domenica 28 agosto 2011

Il buio oltre le stelle

Ho sempre avuto una speciale attrazione per l'astronomia. Credo che sia cominciata quando, da bimbetto, mio papà mi accompagnò ai Giardini Pubblici, in una sera d'estate. Là un gruppo di astrofili aveva montato alcuni telescopi, in modo tale che il pubblico potesse osservare il cielo.

Osservai la luna ma, vabbé, la luna si vede anche a occhio nudo. Ok, si vedeva molto ingrandita, ma niente di più: non rimasi molto impressionato. Il secondo telescopio invece mi lasciò a bocca aperta: c'era Giove, ed era inequivocabilmente Giove, perché riuscii a vedere la macchia rossa.

Il terzo, poi, mi stese: Saturno. C'erano gli anelli! Erano veri, li potevo osservare coi miei occhi. Per me era una cosa incredibile.

In seguito, durante il liceo, un compagno di classe mi prestò un libro divulgativo sull'astronomia, scritto da Isaac Asimov: non ricordo più il titolo, e non riesco a trovarlo in rete, forse era questo (lo stesso compagno mi prestò anche tre libri che lui diceva essere bellissimi, li aveva chiamati Trilogia della Fondazione, sempre di Asimov, ma questa è un'altra storia). Bé, cavoli, supernove, nane bianche, stelle di neutroni, limiti di Chandrasekar: che meraviglie.

Mi interessai sempre di più alla materia, cominciai a leggere Le Scienze, mi tenevo informato. Per un po' di tempo meditai anche di iscrivermi alla laurea in astronomia, ma poi scelsi matematica (in seguito, per un tempo ancora più breve pensai se prendere una seconda laurea in astronomia, ma poi tornai coi piedi per terra).

Quando iniziai a insegnare, capitai in una scuola molto fornita di libri di astronomia, e cominciai a prenderli in prestito. Direi di essermi letto l'opera omnia di Hawking, affascinato dalle sue spiegazioni sui buchi neri (e sulla loro evaporazione, roba da matti).

Poi, nella mia ingenuità di giovane sposo che deve mettere su casa, caddi nella trappola di uno dei vari cosiddetti club di editori, quella gente che ti offriva libri in abbonamento a basso prezzo. Dato che era necessario acquistare un numero minimo di libri all'anno, e dato che molti libri non mi interessavano, capitai quasi per caso su questo libro:

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George Smoot, Nelle pieghe del tempo, Mondadori.

Si tratta di un libro che racconta di come sia stato possibile scoprire le fluttuazioni della radiazione cosmica di fondo: i semi che hanno poi dato origine alle galassie, agli ammassi, e a tutta quella roba che c'è la fuori. Grazie a questi studi Smoot ha anche vinto il premio Nobel.

Questa per me era roba nuova, che non avevo mai letto prima: l'astronomia faceva passi avanti, e io la stavo seguendo.

Qualche anno fa sono poi capitato su un altro libro, di cui ho già parlato (andando a rileggermi, mi accorgo di essere come quei vecchietti che ripetono sempre le stesse cose, anche là ho parlato delle mie meditazioni riguardanti il corso di laurea in astronomia. Povero me): La musica del Big Bang, scritto da Keplero, cioè Amedeo Balbi. Che ha lavorato proprio con George Smoot.

Ora Amedeo ha scritto un nuovo libro, Il buio oltre le stelle.

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Che ci racconta delle ultime novità nel campo della cosmologia, che si possono riassumere in guardate che c'è ancora molta strada da fare. Perché da un lato è incredibile quello che riusciamo a sapere sull'universo standocene qui, inchiodati sulla terra. Dall'altro sappiamo anche che tutto quello che vediamo è circa un misero 5 per cento di tutto ciò che ci dovrebbe essere. Sul restante 95 per cento possiamo fare solo ipotesi, senza nessuna prova sperimentale.

Materia oscura ed energia oscura: oggi sono questi i principali campi di indagine della cosmologia. Perché, come dice la quarta di copertina:

Tutta la storia dell'astronomia, in fondo, altro non è che una lunga lotta dell'uomo contro l'oscurità.


giovedì 25 agosto 2011

Non puoi dire di aver vissuto se non hai mai calcolato un logaritmo con carta e penna

Per prima cosa si calcolano le radici quadrate successive di 10, fino a che non ci si stanca:








E si arriva così a compilare l'importantissima tabella delle radici di 10:


Poi si prende il numero di cui vogliamo calcolare il logaritmo, per esempio 42. Lo si divide per una potenza di 10 opportuna, in modo che il risultato sia un numero compreso minore di 10. Nel nostro caso si ottiene 4.2, e si comincia una serie di divisioni successive per la potenza di 10 appena minore del valore che stiamo utilizzando.







In pratica, questo è quello che abbiamo fatto:


(Quel valore 1.005 finale lo teniamo per dopo)
Abbiamo quindi ottenuto una prima approssimazione per il logaritmo di 4.2:


E ci calcoliamo anche il risultato della frazione:


Ora si tratta di stimare in qualche modo quell'1.005 che abbiamo lasciato indietro. Per prima cosa allarghiamo la tabella delle potenze di 10


Dalla quale scopriamo che (10x-1)/x si comporta con una certa regolarità: le differenze dei valori successivi si dimezzano sempre. Stimiamo quindi l'errore che abbiamo commesso fermandoci a 1/256. Naturalmente anche i calcoli per le due nuove colonne della tabella sono stati fatti a mano:


Dalla tabella abbiamo scoperto che vale la seguente approssimazione, per le potenze di 10 piccole:


(Anche la divisione indicata è fatta come si deve:)


Abbiamo trovato quindi una stima dell'errore che abbiamo commesso lasciando fuori quel famoso 1.005, di cui ora possiamo tenere conto:

E quindi ecco il calcolo corretto:


Ora, per trovare il logaritmo di 42, basta aggiungere uno:


Ed ecco fatto.

Tutti i calcoli sono stati eseguiti rigorosamente a mano, e subito dopo sono stati controllati con la calcolatrice. In media c'era un errore per ogni passaggio, ehm. Tempo impiegato: un pomeriggio.

Briggs, senza il controllo a posteriori, faceva invece delle tabelle del genere:




I greci non erano normali — 26: epilogo

Ho trovato gran parte delle informazioni sulla storia delle costruzioni con riga e compasso su questo libro:

More about Famous Problems of Geometry and How to Solve Them

Benjamin Bold, Famous Problems of Geometry and How to Solve Them, Dover Publications, 8.37 €.

È un libretto di 112 pagine, con la storia delle costruzioni tanto amate dai greci. Non tutti i teoremi sono dimostrati, di alcuni dei più difficili vengono dati solo i riferimenti ai lavori originali. Il libro contiene, inoltre, molti esercizi: man mano che la teoria viene sviluppata il lettore può verificare la sua comprensione provando a rispondere ad alcune domande poste dall'autore; nella parte finale del testo tutti gli esercizi vengono risolti.

Mancano, naturalmente, i dialoghi tra il Vero Matematico e l'apprendista…

mercoledì 24 agosto 2011

I greci non erano normali — 25: Fermat si era sbagliato

«Nel 1732 Eulero riuscì a dimostrare che F= 225+1 = 232+1 = 4294967297 è un numero composto».

«Ha fatto la divisione?».

«Non proprio: se ricordi, fattorizzare un numero è un'operazione molto lenta, perché bisogna fare un numero molto alto di divisioni».

«Eulero poi non aveva la calcolatrice».

«Infatti: oggi per fattorizzare F5 ci mettiamo un attimo».

«E Eulero invece come ha fatto?».

«Ha scritto 232+1 come differenza:».

232+1 = (54·228+232)-(54·228-1)

«È certamente giusto, ma mi sfugge il senso».

«Porta pazienza. Ora, consideriamo il primo dei due termini che devono essere sottratti».

«Quello che alle elementari si chiamava minuendo».

«Proprio lui. Se raccogliamo a fattor comune 228, otteniamo che 54·228+232 = 228(54+24)».

«Vabbé».

«Ora analizziamo il secondo termine».

«Il sottraendo».

«Esatto. Osserva questa catena di scomposizioni:».

54228-1 =
 = (52·214+1)(52·214-1)
 = (52·214+1)(5·27+1)(5·27-1)

«Io osservo, ma non capisco».

«Ancora un momento. Quanto fa 54+24?».

«Fammi fare il conto… fa 641».

«Bene. E quanto fa 5·27-1?».

«Vediamo… ancora 641».

«Ottimo. Ora trai una conclusione intelligente».

«Ehm».

«Dai, il nostro numerone è stato espresso come una differenza tra altri due numeri. Poi abbiamo lavorato separatamente sui due numeri e abbiamo scoperto che entrambi possono essere scritti come 641 per qualcosa. Cosa possiamo dire, a questo punto?».

«Eh, possiamo dire che entrambi sono divisibili per 641. Ah, ma allora 641 è un fattore comune ai due termini, quindi è un fattore del nostro F5».

«Ed ecco un controesempio alla congettura di Fermat: non è vero che tutti i numeri di Fermat sono primi».

«Grande Eulero!».

«Eulero ha poi dimostrato un risultato generale: ogni fattore di Fn deve avere la forma di k·2n+1+1».

«E quindi Fermat si è sbagliato».

«Pare che Fermat fosse a conoscenza di questa proprietà dei divisori di Fn».

«E allora come mai non ha trovato il fattore 641? Non è tanto grande».

«Si pensa che abbia fatto un errore di calcolo. Dato che era così convinto della sua congettura, non ha controllato i calcoli per una seconda volta».

«Ed è rimasto fregato».

«Già. Adesso coi computer si fa molto presto, e si possono controllare numeri di Fermat sempre più grandi».

«E non ne hanno ancora trovato un altro primo?».

«Eh, no. Ad oggi sono arrivati a controllare tutti i numeri fino a F32, e nessuno è primo. Inoltre sono stati fatti alcuni test su numeri mostruosi, che hanno qualche strana proprietà che permette di rendere i calcoli accessibili».

«Per esempio?».

«Per esempio sappiamo che F2543548 non è primo, perché è divisibile per 9·22543551+1».

«Interessantissimo».

«Non fare dello spirito, sai che in matematica non si butta via niente.Gli algoritmi sviluppati per questo tipo di calcoli verranno utilizzati certamente per svolgere calcoli che ti piaceranno di più. In questa pagina, comunque, c'è un riassunto di tutto quello che sappiamo sui numeri di Fermat. Finora non ne sono stati trovati altri che siano primi. E qui trovi l'elenco di tutti coloro che hanno lavorato su questi numeri, da Fermat in poi».

«E quindi, fino a che non troveremo un altro numero primo di Fermat, non avremo altri poligoni costruibili con riga e compasso?».

«Esatto. E, se ne troveremo altri, avranno talmente tanti lati che il nostro 65537-gono sembrerà spigolosissimo.

E così per adesso finiamo qui».

lunedì 22 agosto 2011

I greci non erano normali — 24: costruzioni improponibili

«Abbiamo parlati dei numeri primi di Fermat, ma ci siamo fermati a F2».

«Già, F= 17, mi hai raccontato del giovane Gauss e dell'eptadecagono».

«Sai che Gauss era così orgoglioso della sua scoperta che avrebbe voluto che un eptadecagono fosse scolpito sulla sua tomba?».

«E l'hanno accontentato?».

«No, lo scalpellino si è rifiutato, ha detto che sarebbe stato confuso con una circonferenza».

«Ma poveretto».

«Ora andiamo avanti nell'analisi dei numeri primi di Fermat».

«Siamo a F3 = 223+1 = 28+1 = 256+1 = 257. Duecentocinquantasette lati?».

«Già, se era indistinguibile da un cerchio quello di 17 lati, figurati questo. Devi sapere che Gauss ha solo dimostrato la costruibilità di tutti questi poligoni, ma non ha spiegato come fare per realizzare la costruzione geometrica. In fondo è un esercizio banale, almeno per quelli come Gauss».

«Ah, ho visto quanto è banale la costruzione dell'eptadecagono, quella animazione non finiva più…».

«Ecco, sappi allora che c'è stato qualcuno che ha spiegato come fare per costruire effettivamente il 257-gono, ma per questo ti lascio alla pagina su wikipedia (tra l'altro, gli inglesi non ce l'hanno nemmeno, una voce sul 257-gono)».

«Roba da matti».

«Ma andiamo avanti con i numeri di Fermat».

«Il prossimo è F4 = 224+1 = 226+1 = 65536+1 = 65537. Argh».

«Un 65537-gono».

«Non dirmi che qualche pazzo furioso ha provato a costruirlo davvero».

«Certo. Pare che abbia impiegato dieci anni per completare la sua opera. Duecento pagine di calcoli».

«Incredibile».

«Naturalmente, la costruzione è del tutto teorica, ma irrealizzabile a mano».

«Ci credo».

«Non solo perché per disegnare 65537 lati ci vuole un po' di tempo, ma anche per le dimensioni del disegno: se il poligono fosse inscritto in un cerchio di raggio un centimetro, il lato del poligono sarebbe lungo 0.0009587 millimetri, mentre uno dei primi cerchi necessari per risolvere la prima equazione di secondo grado avrebbe raggio uguale a 81.91 metri».

«E quindi l'autore di questa meravigliosa impresa è stato pagato per dieci anni per trovare un metodo irrealizzabile?».

«Ehm, già. E non è finita qui: Conway, nel 1997, ha messo in dubbio la validità della costruzione».

«Pure!».

«Sì. Propose a uno dei suoi studenti la costruzione del 65537-gono, e si accorse che l'impresa era molto ardua. Ci ha lavorato un po', e sostiene che la sua idea di dimostrazione potrebbe riempire una ventina di pagine scritte fitte, e il valore esatto del lato del 65537-gono potrebbe essere calcolato facilmente con un computer, oggi».

«Vedo che su wikipedia c'è una figura che descrive la prima parte della costruzione».

«Sì, ed è già molto complicata così: è quella parte che serve per costruire il famoso cerchio di raggio 81.91 metri. Comunque, ora abbandoniamo il 65537 e parliamo dei successivi numeri di Fermat».

«Avevi detto che ce ne sono solo cinque».

«Le cose stanno così: i numeri di Fermat sono naturalmente infiniti, ma non tutti sono primi. Noi abbiamo parlato dei primi cinque, che lo sono. Fermat congetturò che lo fossero tutti, ma si sa che Fermat le sparava un po', ogni tanto».

«Non è riuscito a dimostrarlo, quindi?».

«No».

«E dopo Fermat, che è successo?».

«È arrivato Eulero».

venerdì 19 agosto 2011

I greci non erano normali — 23: il giovane Gauss, 19 anni

«Racconta Gauss che la mattina del 29 marzo 1796 (era un martedì), durante una vacanza a Braunschweig, riuscì a vedere chiaramente la relazione giusta tra le diciassette radici dell'unità, relazione da utilizzare per dimostrare la costruibilità dell'eptadecagono».

«Fenomeno…».

«Lo sai che Gauss è il Chuck Norris della matematica».

«Voi. Siete. Pazzi».

«Bé, comunque la dimostrazione di Gauss è complicatina. Cominciamo dalla figura».



«Mh, hai colorato i vertici con due colori, perché?».

«Eh, perché questa volta non possiamo accoppiare a due a due le radici e costruire un'equazione. Dato che abbiamo 8 coppie, avremmo 8 incognite, e un'equazione di ottavo grado non è molto gestibile. Gauss allora fa una serie di raggruppamenti: il primo è quello che vedi in figura: le radici rosse vanno sommate tra loro, e quelle blu anche».

«Quindi Gauss fa una cosa del genere?».

y1 = R+R16+R2+R15+R4+R13+R8+R9,
y2 = R3+R14+R5+R12+R6+R11+R7+R10.

«Esatto».

«Ma perché?».

«Aspetta e vedrai. Per prima cosa bisogna calcolare y1+y2».

«Bé, questo è facile: è la somma di tutti gli R, vale -1. Ormai ho imparato».

«Molto bene. Ora bisogna calcolare y1y2».

«Uhm, qua mi sa che non si finisce più… potresti dirmi direttamente il risultato».

«Viene -4».

«Oh, bene. Immagino che ora si debba costruire un'equazione che abbia come soluzione questi due valori».

«Esatto, sai farlo?».

«Certo: y2+y-4 = 0».

«Bene. Vorrei farti presente che non abbiamo ancora risolto il problema, perché la conoscenza di questi due valori di y non ci consente ancora di costruire R. Per poter avere R direttamente, avremmo dovuto utilizzare solo la somma di R + R16, ad esempio, in analogia con quanto avevamo fatto per il pentagono».

«Ok, allora come andiamo avanti?».

«Facciamo una nuova costruzione:».

z= R+R16+R4+R13,
z= R2+R15+R8+R9.

«È come se avessimo spezzato a metà y1: sono gli stessi elementi, divisi in due gruppi».

«Proprio così, quindi z1+z2 è uguale a y1».

«Ma perché abbiamo suddiviso proprio y1?».

«No, non c'è niente di speciale in y1, ora facciamo la stessa cosa con y2. Costruiamo altre due variabili:».

w= R3+R14+R5+R12,
w= R6+R11+R7+R10.

«Ah. Qui abbiamo che w1+w= y2».

«Giusto. E ti dirò anche che z1z= -1, e pure w1w= -1».

«Grazie per avermi risparmiato i calcoli. A questo punto suppongo che si debbano costruire altre due equazioni».

«Già. Una avente come soluzioni le due z…».

«Che sarà z2-y1z-1 = 0».

«E l'altra avente come soluzioni le due w».

«Eccola: w2-y2w-1 = 0».

«Ma non siamo ancora arrivati: conoscere i valori delle z o delle w non è sufficiente, non ci permette di trovare R».

«E quindi?».

«E quindi facciamo un'altra costruzione:».

vR+R16,
v= R4+R13.

«Gulp, non si finisce più».

«Pensa a Gauss, che ha avuto l'illuminazione mentre era in vacanza».

«Roba da matti. Immagino che si debba costruire un'altra equazione, vero?».

«Eh, sì».

«Però devi dirmi quanto valgono la somma e il prodotto delle v».

«La somma è ovvia, no?».

«Sì, è vero, v1+v= z1».

«Bene, ed ecco il genio di Gauss: il prodotto v1v= w1».

«Magari ci è arrivato senza nemmeno fare qualche prova su un foglio di carta?».

«Questo la storia non lo dice. Comunque lui ci è arrivato, e ora puoi costruire una nuova equazione».

«Ecco qua: v2-z1v+w= 0».

«E questa ha come soluzioni v1 e v2. Ora ti faccio notare che v1 è il termine che ci interessa: è la somma di R + R16: da v1 possiamo ricavare finalmente R. Giusto per essere espliciti fino in fondo, R è una soluzione di r2-v1r+1 = 0».

«L'ultimo termine dell'equazione è 1 perché è uguale al prodotto di R per R16, vero?».

«Esatto. Quindi, per trovare R, dobbiamo risolvere una serie di equazioni di secondo grado. Te le riassumo, risparmiandoti le varie considerazioni che si devono fare sui segni, per fare in modo che R sia proprio la radice dell'unità che vogliamo noi, e non una delle altre 15».

«Ok, vai».

«Primo passaggio: y= (√17 - 1)/2».

«Ok».

«Secondo passaggio: y= (-√17 -1)/2».

«Ah, giusto, ci serve anche y2 per poter trovare w».

«Esatto. Terzo passaggio: z= y1/2 + √(1+y12/4)».

«Carino».

«Quarto passaggio: w= y2/2 + √(1+y22/4)».

«Finito?».

«Quasi: ora ci basta trovare v1, che è la radice maggiore dell'equazione v2-z1v+w= 0. A questo punto abbiamo R».

«Mamma mia. Ma alla fine quanto risulta, questo benedetto lato dell'eptadecagono?».

«Risulta questo:».













giovedì 18 agosto 2011

Il professor Apotema insegna: i numeri iperreali

L'analisi matematica è una brutta bestia: permette di fare cose meravigliose, ma per capirci qualcosa occorre superare un gigantesco ostacolo iniziale, il calcolo dei limiti. Il percorso classico che seguono gli studenti di molte scuole superiori è: limiti-derivate-integrali. Ma storicamente le cose sono andate in un altro modo.

Newton e Leibniz sono stati i primi scopritori/creatori (scegliete voi) del calcolo infinitesimale. Hanno sviluppato i loro studi in maniera indipendente, anche se ai tempi ci fu una disputa tra i due: Leibniz pubblicò per primo, ma Newton aveva scritto e non pubblicato ancora prima, insomma, son cose note, hanno litigato. Capricci da star. Qualche giorno fa ho scoperto che un terzo matematico, il giapponese Seki Kōwa, era arrivato a sviluppare gli stessi concetti: naturalmente né Newton né Leibniz lo conoscevano. Tre geni, contemporanei. Chissà cosa è successo nel mondo in quel periodo.

Bene, Leibniz utilizzava degli oggetti matematici che chiamava infinitesimi, e non sapeva bene cosa fossero. C'è un esempio molto semplice che fa capire il problema a tutti: eccolo qua.

Prendiamo una funzione facile, quella che eleva un numero al quadrato, e indichiamola così: f(x) = x2. La domanda è questa: se noi facciamo variare x da un certo valore a un altro valore, anche f(x) varierà, ma di quanto? Cioè, quanto vale il rapporto tra la variazione di f e la variazione di x?

La prima risposta che possiamo dare è: ma che domanda è? Dipende da quanto varia x, no? Non c'è proporzionalità.

È vero, se x varia da 1 a 3, il corrispondente valore di f varia da 1 a 9, e il rapporto tra le due variazioni vale (9-1)/(3-1) = 8/2 = 4. Se invece x varia da 1 a 2, la f varia da 1 a 4, e il rapporto ora vale (4-1)/(2-1) = 3.

Leibniz allora diceva: ok, io sono interessato a vedere cosa succede quando la variazione è piccola. E gli rispondevano: ma come, proprio tu che sei un matematico parli di numeri piccoli? Cosa significa piccolo? Ma dai!

E Leibniz insisteva: guardate, io voglio sapere come stanno le cose quando la variazione è sempre più piccola. Quando è infinitamente piccola. Quando è un infinitesimo.

Eeeh? gli dicevano.

E allora Leibniz faceva un esempio. Guardate, diceva, partiamo pure da = 1, ma spostiamoci di pochissimo, di una quantità piccolissima che indicherò con dx, e così facendo sappiate che sto scrivendo il mio nome nella storia.

Dai, andiamo avanti, gli dicevano quelli che erano rimasti ad ascoltarlo.

Ecco, allora facciamo i conti, proseguiva Leibniz. f(1+dx) è uguale a (1+dx)2, che a sua volta è uguale a 1+2dx+(dx)2. Quindi la variazione dei valori di f è la seguente: f(1+dx)-f(1) = 1+2dx+(dx)2-1 = 2dx+(dx)2.

Fin qua abbiam capito, Leibniz, questa è algebretta che conoscono tutti.

Bene, proseguiva lo scienziato, allora sapete anche calcolare il rapporto tra le variazioni dei risultati e le variazioni delle x.

Certo, per chi ci hai presi?, rispondevano. La variazione è uguale a (2dx+(dx)2)/(dx). Sappiamo anche semplificare, sai? Risulta 2+dx.

Bravi, concludeva Leibniz, allora dato che dx è un infinitesimo lo trascuriamo come se fosse zero, e il risultato è che la variazione in quel punto è uguale a 2.

E a quel punto i Veri Matematici inorridivano: ma come, dicevano, prima dividi per dx e poi dici che dx è zero, ma sei matto? Ma lo sanno anche i bambini delle elementari che non si può dividere per zero. Buu, vai a casa Leibniz.

Ma il nostro eroe insisteva: stolti, diceva, guardate questo lavoro che ho scritto ieri, guardate quanti problemi meravigliosi ho risolto con il mio calcolo infinitesimale, guardate che funziona tutto, guardate che meraviglia.

Ehm, boh, in effetti, borbottava qualcuno.

C'era qualcuno che borbottava meno, e diceva le cose come stavano. Per esempio, in Inghilterra il vescovo Berkeley pontificava: ma voi analisti siete tutti matti, non sapete nemmeno le basi della matematica. E cosa sono queste quantità evanescenti, di cui vi ha riempito la testa Newton? Per non parlare degli infinitesimi di quell'altro tedesco là. Ma ne avete idea? Non sono né quantità finite, né quantità infinitamente piccole, e neanche zero. Non potremmo chiamarli fantasmi di quantità defunte?

Di solito la risposta era un discreto ehm, poi la gente se ne andava con la coda tra le gambe perché, sì, le cose funzionavano ma aveva ragione anche Berkeley, o una quantità è zero o non lo è, e se lo è non si può metterla al denominatore. Punto.

Poi è arrivato Weierstrass, che ha compiuto due passi da gigante: il primo è stato quello di sistematizzare tutta la faccenda degli infinitesimi, in modo tale che i Veri Matematici fossero tutti contenti: il secondo è stato quello di rendere la vita molto difficile per tutti gli studenti di analisi. Perché da adesso in poi 1 diviso 0 uguale a infinito è una frase che si può solo pensare ma non si può pronunciare, pena il lancio del libretto universitario dalla finestra. Insomma, Weierstrass ha ammazzato gli infinitesimi, tutta l'analisi si può studiare senza mai pronunciare le parole piccolo e grande, anche se tutti — tranne i matematici — continuano a farlo.

Nel 1961 è arrivato un tale, Abraham Robinson, che ha detto: sapete che c'è? Weierstrass ha fatto un bel lavoro a sistemare la teoria dell'analisi infinitesimale, ma così facendo ha complicato le cose in maniera incredibile. Esiste un altro sistema di vedere l'analisi, in cui gli infinitesimi esistono, e in cui si può dire senza problemi che 1 diviso un infinitesimo fa un infinito. Lo chiamerò analisi non standard.

Agli studenti non sembrava vero.

C'è un problema, però.

Agli studenti sembrava già un po' più vero.

Il fatto è che possiamo buttare via tutta la faccenda degli epsilon e i delta di Weierstrass, ma dobbiamo studiare molto la logica matematica.

E ciao, allora. Gli ultimi studenti rimasti ad ascoltarlo si misero d'accordo per l'acquisto delle birre, e non lo ascoltarono più.

Poi, nel 1976, si è presentato sulla scena un altro matematico, Howard Jerome Keisler, che ha detto: cari studenti, non vi preoccupate, mettete via le vostre birre per un attimo. Esiste un altro sistema, che sono qui a presentarvi. Non è necessario sapere tutto di logica per studiare l'analisi matematica, esiste anche il metodo assiomatico. Ci basta cambiare un piccolo assioma dei numeri reali, e otteniamo questi meravigliosi nuovi numeri, i numeri iperreali, con tanto di infiniti e infinitesimi.

Ma davvero? Senza problemi?

Senza problemi.

Facci un esempio, dai!

La conoscete la definizione di funzione continua?

Ehm.

Dai, ragazzi, un minimo bisogna studiare, eh? Allora, è questa: la funzione f è continua nel punto c se, comunque si fissi un errore positivo piccolo a piacere, esiste sempre una differenza positiva sufficientemente piccola tale che se x differisce da c, in valore assoluto, per meno di quella differenza, allora f(x) differisce da f(c), in valore assoluto, per meno di quell'errore.

Argh, è vero. E tu ci stai dicendo che col tuo metodo non dobbiamo capire questa roba?

Giudicate voi, ecco come si definisce una funzione continua nel linguaggio dell'analisi non standard: una funzione f è continua nel punto c se quando x è infinitamente vicino a c, allora f(x) è infinitamente vicino a f(c),

Ma è bellissimo! E si capisce anche! E allora possiamo studiare gli infinitesimi? Magari possiamo anche confrontarli?

Certo, possiamo anche vederli.

E come facciamo?

Con un meraviglioso strumento matematico che ho chiamato microscopio infinitesimo.

Fantastico! E anche gli infiniti?

Naturalmente. Gli infiniti li osserviamo con un altro strumento, il telescopio infinito.

Ma è bellissimo!

Lo so. E ho anche inventato nomi meravigliosi per questo nuovo mondo di numeri, come le monadi e le galassie.

Ahh, bravissimo, Keisler. Vieni, abbiamo della birra in frigo.



Sono pochissimi gli insegnanti che utilizzano i metodi dell'analisi non standard nelle scuole superiori: del resto, l'unico libro di testo disponibile finora è stato quello di Keisler, in inglese (con anche un approfondimento teorico, non per gli studenti). Come dicevo qualche giorno fa, ho conosciuto il professor Apotema, il quale è uno di questi insegnanti.

Nel suo secondo libro descrive il metodo da lui utilizzato per introdurre l'analisi infinitesimale ai suoi studenti. Testo consigliato anche a chi avrebbe voluto capirci qualcosa di più, sull'analisi matematica, ma non ha mai osato entrare nel mondo degli epsilon e dei delta.


Giorgio Goldoni, Il professor Apotema insegna… i numeri iperreali, ilmiolibro.it, 13 €.

Se si sbriga a scrivere anche i volumi successivi, intitolati il primo Il calcolo delle differenze e il calcolo differenziale, il secondo Il calcolo delle somme e il calcolo integrale, dal prossimo anno comincio anche io a parlare di numeri iperreali (mi ha promesso che lo farà…).

mercoledì 17 agosto 2011

I greci non erano normali — 22: il Risultato Definitivo

«Abbiamo visto alcuni esempi di poligoni, alcuni costruibili e alcuni no. Ora siamo pronti per il risultato generale».

«Oh, bene».

«Risultato che conferma, naturalmente, i tre esempi che abbiamo visto. Allora, eccolo: un poligono di n lati è costruibile se n è uguale a 2h+1, e n è primo. In questo caso l'equazione ciclotomica è di grado 2h, ed è anche irriducibile. Se invece n è uguale a 2h+1, ma non è un numero primo, allora l'equazione ciclotomica è riducibile e il poligono non è costruibile».

«Oh, quindi si tratta di vedere se n è primo oppure no».

«E se è nella forma 2h+1, altrimenti non va bene».

«Ah, ecco, si tratta quindi di provare».

«Non è necessario provare tutti i numeri primi, perché c'è un altro teorema che dice che se = 2h+1 è primo, allora h è una potenza di 2, cioè = 2m, con m maggiore o uguale di zero. Questo non è difficile da dimostrare».

«Uhm».

«Se h non fosse una potenza di 2, avrebbe un fattore dispari».

«Giusto».

«Allora proviamo a scrivere = rs, con r e s positivi, e supponiamo che sia s il fattore dispari».

«Bene».

«Allora 2h+1 = 2rs+1 = (2r)s+1».

«Mh».

«Non è una brutta espressione: se la guardi bene è una somma di potenze dispari».

«Ah, hai ragione. È come se fosse As+1, con s dispari».

«Esattamente. E, come sai, le somme di potenze dispari si scompongono».

«Vero: As+1 diventa (A+1) per l'equazione ciclotomica».

«Eh, no, attenzione ai segni: ottieni l'equazione ciclotomica se provi a scomporre As-1».

«Ah, e qui cosa ottengo, allora?».

«Un'espressione analoga all'equazione ciclotomica, ma con i segni alterni».

«Fammi un esempio che mi sto perdendo».

«Ti faccio vedere direttamente il risultato:».

2h+1 = 2rs+1 = (2r)s+1 = (2r+1)(2r(s-1)-2r(s-2)+…+1).

«Bene, direi di aver capito. Come andiamo avanti?».

«Siamo arrivati alla fine: abbiamo scomposto in fattori 2h+1, che quindi non può essere primo. Questo è un assurdo».

«Ah! Allora non è vero che h ha almeno un fattore dispari».

«Esatto, quindi h è una potenza di 2, come volevasi dimostrare. Quindi ecco il risultato fondamentale: un poligono di n lati è costruibile se n è primo ed è scrivibile nella forma 22m+1. Quindi non abbiamo bisogno di analizzare tutti i numeri primi, ma solo quelli fatti in quel modo».

«Che avranno un nome, immagino».

«Esatto: si chiamano numeri primi di Fermat».

«Saranno comunque un'infinità».

«Quelli noti ad oggi sono cinque».

«Cosa?».

«Eh, già. Di solito si indicano così: F= 22m+1. Prova a cominciare a fare un elenco, partendo fa F0».

«Allora, vediamo, F= 220+1 = 21+1 = 2+1 = 3. Ok, è primo».

«Perfetto, questo è il triangolo. Andiamo avanti».

«F= 221+1 = 22+1 = 4+1 = 5. Ecco il pentagono».

«Bene, avanti».

«F= 222+1 = 24+1 = 16+1 = 17. Uh, un eptadecagono? Si può costruire?».

«Sì, il primo a dimostrarlo fu il giovane Gauss, 19 anni».

lunedì 15 agosto 2011

Longitudine

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Nel 1714 il parlamento inglese offrì una ricompensa di ventimila sterline in oro a chi avesse scoperto come determinare la longitudine di una nave nell'oceano.

Ventimila sterline, all'epoca, erano una cifra astronomica. Il problema della determinazione della longitudine era fondamentale per la navigazione: si trattava, spesso, di questione di vita o di morte. Gran parte della matematica, fino a metà del 1700 circa, è servita a quello scopo.

Sostanzialmente il problema si riduce a stabilire l'ora locale precisa nel punto della superficie terrestre del quale si vuole calcolare la longitudine. E, ai tempi, c'erano due strade per affrontarlo.

Una era data dall'astronomia. Galileo, Cassini, Huygens, Newton, Flamsteed, Halley: queti sono alcuni nomi di chi ha tentato di studiare le leggi dell'astronomia per provare ad applicarle alla determinazione dell'ora. Se la luna si trova in una determinata posizione rispetto alle stelle fisse, oppure rispetto al sole, significa che a Greenwich è una certa ora. Confrontando il risultato con l'ora locale della nave, si riesce a calcolare la distanza tra la posizione della nave e il meridiano fondamentale. E cioè, la longitudine.

Ma è molto difficile mettere in pratica questo metodo: l'ora locale della nave deve essere determinata ogni giorno, perché gli orologi, soprattutto se posizionati su una nave, non sono per niente precisi. E poi non sempre il cielo è visibile e, quando lo è, non sempre lo è la luna. A volte è troppo vicina al sole, altre volte è invisibile: insomma, una nave potrebbe trovarsi in una situazione molto critica se non riesce a stabilire dove si trova per molti giorni consecutivi.

La seconda strada, invece, consisteva nel portare con sé, durante il viaggio, l'ora del meridiano fondamentale. Bastava, insomma, avere a bordo un orologio molto preciso.

La precisione richiesta era molto elevata: l'orologio non doveva sbagliare per più di tre secondi in ventiquattro ore.

Dava Sobel, Longitudine, BUR, 8,90 €, è la storia di John Harrison, orologiaio autodidatta che, con molta fatica e dedicando tutta la sua vita, ha vinto il premio.

venerdì 12 agosto 2011

I greci non erano normali — 21: l'ennagono

«Vediamo un ultimo esempio, l'ennagono».

«Nove lati».

«Vai avanti nell'analisi».

«Allora, l'equazione dei vertici è x9-1 = 0, che si riduce nel prodotto (x-1)(x8+x7+…+x+1) = 0. L'equazione ciclotomica è quindi di ottavo grado, 8 è una potenza di 2, quindi siamo a posto, l'ennagono è costruibile. Fatto».

«Sbagliato».

«Perché?».

«Hai dimenticato un particolare: l'equazione deve avere come grado una potenza di 2, è vero, ma deve anche essere irriducibile, altrimenti non puoi concludere niente».

«E questa non è irriducibile?».

«No, e lo si può vedere facilmente: possiamo interpretare il polinomio x9-1 come una differenza di cubi».

«Giusto, se lo scompongo ottengo x9-1 = (x3-1)(x6+x3+1)».

«Continua nella scomposizione, anche x3-1 è una differenza di cubi».

«Vero, si scompone in (x-1)(x2+x+1)».

«Se mettiamo tutto insieme, abbiamo che».

x9-1 = (x-1)(x2+x+1)(x6+x3+1).

«Ah, ho capito, l'equazione ciclotomica di grado 8 è stata scomposta, non è irriducibile».

«Esatto. Ora concentriamoci sull'equazione x6+x3+1 = 0».

«Posso dire che ha le stesse soluzioni dell'equazione ciclotomica da cui siamo partiti, da cui però devo togliere le soluzioni di (x-1)(x2+x+1) = 0».

«Che sono poi le soluzioni di x3-1 = 0, cioè le tre radici cubiche dell'unità».

«Ah, è vero. Se chiamiamo R la prima soluzione non banale dell'equazione ciclotomica, abbiamo allora che le soluzioni di x6+x3+1 = 0 sono R, R2, R4, R5, R7 e R8».

«Esatto, abbiamo lasciato indietro 1, R3 e R6 che corrispondono alle radici cubiche di 1. Ora le accoppiamo come in questa figura:».



«Ah, hai messo in evidenza anche le radici cubiche».

«Sì, ma quelle non vanno considerate. Accoppiamo le altre costruendo tre nuove variabili:».

y= R+R8,
y= R2+R7,
y= R4+R5.

«Ora dobbiamo fare quei calcoli noiosi, vero?».

«Sì, se vuoi ti abbrevio il calcolo e ti dico il risultato».

«Benissimo».

«Allora, se provi a calcolare la somma y1+y2+y3, risulta R+R2+R4+R5+R7+R8».

«Uhm, e quanto fa?».

«È la somma delle radici di x6+x3+1 = 0».

«Vero. Ma quanto fa?».

«Data un'equazione, è possibile calcolare la somma delle sue radici senza calcolare tutte le radici».

«Ah, sì, basta prendere il coefficiente del secondo termine».

«E cambiargli di segno».

«Vero. Ma nella nostra equazione il secondo termine non è x3, no? Dovrebbe essere x5, ma non c'è».

«Dunque il suo coefficiente è zero».

«Ah, ma allora la somma delle radici è zero, e quindi anche y1+y2+y= 0».

«Bene. Ora passiamo al calcolo di y1y2+y1y3+y2y3. Ti dirò che il risultato è -1+2(R3+R6), cioè -1+2(-1), cioè -3».

«Ok, rimane ora da calcolare y1y2y3».

«Qui il risultato è -1».

«Ok, perfetto. Allora, dovrei costruire un'equazione di terzo grado in y con questi coefficienti…».

«…ricordati di prendere i segni alterni».

«Giusto. Allora, i coefficienti sono 0, -3, +1. L'equazione è y3-3y+1».

«Che è irriducibile, e di terzo grado».

«Ah, ma allora i nostri y non possono essere costruiti».

«No, e quindi nemmeno l'ennagono. Il grado 8 non era sufficiente, per poter applicare il teorema serviva anche l'irriducibilità dell'equazione ciclotomica».

«Poveri greci».

giovedì 11 agosto 2011

Il professor Apotema insegna: le funzioni lineari, esponenziali, logaritmiche e potenze

Del professor Apotema avevo parlato già tempo fa, nel finale del libro Verso l'infinito, ma con calma. Allora non lo conoscevo ancora di persona, ma solo attraverso i suoi dialoghi, dai quali ho tratto ispirazione per la scrittura del mio libro.

Quest'anno l'ho (finalmente) conosciuto di persona. Giorgio Goldoni, questo è il nome del suo alter ego fisico, è un prof di matematica che insegna in un istituto tecnico di Carpi, è uno dei responsabili del funzionamento del planetario di Modena, in cui tiene dei corsi, è un appassionato di giochi matematici e di astronomia.

È molto orgoglioso del suo percorso scolastico: ha iniziato frequentando l'istituto professionale, poi è passato al tecnico, è stato alla Normale di Pisa, e infine si è laureato a Modena. Sono stati proprio gli studi tecnici a influenzare il suo insegnamento: se devi spiegare un argomento di matematica devi averlo capito, e se vuoi capirlo devi provare, fare calcoli, risolvere problemi, trovare collegamenti con la realtà. La matematica fatta di definizioni/teoremi/dimostrazioni la lasciamo al mondo universitario, nella scuola superiore serve altro.

Ora Giorgio ha scritto un libro (anzi, ad oggi ne ha scritti due, ma so che sta lavorando ad altri volumi), perché… bé, lo lascio dire a lui:

Ultimamente, avendo ormai percorso un buon tratto della mia carriera di insegnante, ho sentito il bisogno di lasciare una testimonianza scritta delle tante attività didattiche sperimentate in questi trent'anni di lavoro, nella speranza che possa essere di qualche utilità non solo agli studenti, ma anche a qualche giovane collega. Ho così provato più volte a riscrivere in modo sistematico gli appunti che anno dopo anno avevo fornito ai miei allievi, ma con esito del tutto insoddisfacente. La trattazione risultava asettica e, nonostante lo sforzo di cercare la semplicità, sapeva di accademico. Insomma, non c'era nulla dell'atmosfera con cui lavoravo in classe: mancavano gli alunni! Cosi ho pensato di ricorrere nuovamente al professor Apotema e alla sua rumorosa e variegata classe.

In questo primo volume Giorgio Goldoni ci parla di un argomento che viene trattato in tutte le scuole superiori: le funzioni lineari, esponenziali, logaritmiche e potenze. La trattazione non è, però, quella classica: qui i quattro tipi di funzioni vengono trattati in parallelo, mettendo in evidenza le caratteristiche comuni. Le quattro funzioni, infatti, sono caratterizzate dal loro comportamento nei confronti di due tipi di progressioni: quelle aritmetiche e quelle geometriche.

Le funzioni lineari, infatti, sono quelle che mandano progressioni aritmetiche in progressioni aritmetiche; le esponenziali invece mandano progressioni aritmetiche in geometriche; quelle logaritmiche mandano progressioni geometriche in aritmetiche e, infine, le potenze mandano progressioni geometriche in geometriche.

Questo tipo di trattazione consente di parlare anche della nascita dei logaritmi e delle loro applicazioni pratiche: Apotema ci mostra come venivano compilate le tavole logaritmiche, come si poteva calcolare un logaritmo senza l'uso della calcolatrice, e come è stato scoperto il numero e. Nei suoi esempi ci parla della terza legge di Keplero, del decadimento radioattivo, dell'attenuazione luminosa e della legge di Lambert-Beer e della legge psicofisica di Fechner e Weber.

Insomma, questo è un libro certamente per specialisti, per insegnanti e per studenti. Ma, grazie alla forma a dialogo leggera e piacevole, è un libro anche per il lettore curioso.


Giorgio Goldoni, Le funzioni lineari, esponenziali, logaritmiche e potenze, ilmiolibro.it, 14 €.

Ecco la quarta di copertina:

Ancora una volta il professor Apotema cercherà di convincere Sekky, Asy, Geny e il resto della classe che ha qualcosa di interessante da dire che merita la loro attenzione. In queste lezioni, più che al rigore espositivo, Apotema mira a fornire uno strumento concettuale che consenta di riconoscere alcune funzioni fondamentali nelle situazioni più disparate. Convinto che non esista il punto di vista migliore, ma soltanto prospettive differenti, Apotema presenta ai suoi studenti diverse definizioni equivalenti di ciascuna classe di funzioni. E questo non per fare un vuoto esercizio accademico, ma per favorire una percezione sempre più nitida dell’oggetto di studio. L’autore si è rivolto principalmente agli studenti di scuola superiore e confida in un giudizio benevolo da parte dei colleghi nonostante le molte libertà che si è preso nell’esposizione e nella terminologia. Non si cura invece di eventuali critiche riguardo allo stile scherzoso, facendosi scudo con le parole del grande Lewis Carroll: “Esistono senza dubbio discipline talmente serie da non potersi trattare con uno stile leggero, ma per fortuna non è questo il caso della matematica!”

mercoledì 10 agosto 2011

I greci non erano normali — 20: l'ettagono

«Ora vediamo un esempio di poligono non costruibile con riga e compasso, l'ettagono».

«Sette lati. Dobbiamo analizzare l'equazione x7-1 = 0, suppongo».

«Sì, in particolare dobbiamo analizzare la solita equazione ciclotomica, che in questo caso ha grado 6».

«Facciamo come con il pentagono? Dobbiamo accoppiare le soluzioni?».

«Esatto. Indichiamo con R, R2, …, R6 le soluzioni dell'equazione ciclotomica, e accoppiamo le complesse coniugate».




«Fammi dare un'occhiata alla figura: accoppiamo R con R6, vero?».

«Sì, indichiamo con y1 la somma R+R6».

«Provo ad andare avanti: indichiamo con y2 la somma R2+R5 e con y3 la somma R3+R4».

«Proprio così».

«E adesso?».

«Adesso cominciamo a calcolare un po' di somme di prodotti di valori di y».

«Uhm, vediamo se mi ricordo: prima di tutto calcolo y1+y2+y3, giusto?».

«Giusto, vai».

«Bé. è facile, mi viene la somma di tutte le potenze di R, tranne 1, così come era successo col pentagono. La somma di tutte queste potenze è uguale a -1, me lo dice la famosa equazione ciclotomica».

«Molto bene, quindi y1+y2+y= -1».

«Adesso devo prendere gli y a due a due, moltiplicarli e sommare tutto, se ben ricordo».

«Sì, in formule devi calcolare y1y2+y1y3+y2y3».

«Noioso».

«E devi anche ricordarti che le potenze di R funzionano come i numeri dell'orologio: R= 1, R= R, e così via».

«Ancora più noioso».

«Se vuoi ti dico il risultato».

«Sì, è meglio».

«Allora, risulta la somma di tutte le potenze di R, tranne 1, contate due volte».

«Sono dodici termini, mamma mia».

«Sì, giusto».

«Vediamo, dato che la somma delle potenze di R, escluso 1, vale -1, quella somma varrà -2».

«Certo. Quindi, riassumendo, y1y2+y1y3+y2y= -2».

«Ora dovrei calcolare il prodotto di tutti gli y, se non sbaglio».

«Non sbagli».

«Noioso anche questo».

«Ti dico anche questo risutato: se moltiplichi y1y2y3, ottieni la somma di tutte le potenze di R, questa volta da 1 fino a R7».

«Dato che la somma di tutte le potenze di R, da 1 fino a R6, è uguale a zero (grazie all'equazione ciclotomica), mi rimane R7».

«Che è uguale a?».

«Che è uguale a 1».

«Ottimo. Quindi y1y2y= 1».

«E adesso cosa dobbiamo fare?».

«Dobbiamo costruire un'equazione che abbia, come soluzioni, i tre valori y1, y2, y3».

«E come facciamo?».

«Utilizziamo quella generalizzazione della regola della somma e del prodotto che abbiamo visto l'altra volta».

«Ah, ecco a cosa serve. Devo scrivere un'equazione in y, i cui coefficienti siano uguali ai numeri che abbiamo trovato adesso…».

«Coi segni alterni!».

«Giusto, è vero. E il primo segno è negativo. Vediamo se ho capito bene, questa è l'equazione:».

y3+y2-2y-1 = 0.

«E questa è una equazione irriducibile nei razionali».

«E come facciamo a saperlo?».

«Risposta breve: guarda le soluzioni su wolfram alpha».

«Ah, vedo. C'è anche una risposta lunga?».

«Sì, una equazione polinomiale come la nostra può avere, come soluzioni razionali, solo i numeri che si ottengono prendendo i divisori del termine noto».

«Ma il termine noto è -1».

«Appunto. Se quella equazione avesse soluzioni razionali, queste potrebbero essere solo o +1 o -1».

«E ci basta provare a sostituire per vedere che quei due numeri non sono soluzioni, ho capito».

«E allora siamo di fronte a un'equazione di terzo grado irriducibile, e quindi le soluzioni (che pure esistono) non sono costruibili con riga e compasso».

«Ok».

«E questo conferma anche il teorema di cui ti avevo parlato: un poligono è costruibile se l'equazione ciclotomica ha come grado una potenza di due ed è irriducibile».

«Mentre, in questo caso, il grado è 6, che non è una potenza di 2».

«E tanti saluti all'ettagono».

martedì 9 agosto 2011

Le cronache del ghiaccio e del fuoco

Alcuni anni fa mi regalarono un gioco da tavolo intitolato A Game of Thrones. Ci giocai una volta con alcuni amici, e poi fu accantonato e dimenticato, senza infamia e senza lode.

Qualche mese fa mi dissero che esisteva anche una serie televisiva dallo stesso titolo: la notizia non mi fece né caldo né freddo, di serie televisive ce ne sono tante, così come sono tanti i giochi da tavolo; i capolavori sono rari.

Poi cominciai a leggere in giro recensioni entusiaste sul telefilm, e dato che le serie che stavo seguendo erano tutte state cancellate mi dissi, bé, dai, proviamo a vedere com'è.

E insomma, per farla breve: la serie televisiva è bellissima. Tanto che già dopo la seconda puntata è stata confermata anche per l'anno prossimo.

La mia prima reazione, di fronte a queste notizie, è stata del tipo uffa, un'altra serie fantasy? Dopo il Signore degli Anelli sono tutte scopiazzature. Ecco, non è così.

Questa storia non assomiglia per niente al Signore degli Anelli, e non assomiglia per niente a quello che di solito uno ha in mente quando si parla di fantasy. Per prima cosa, l'elemento fantastico è veramente ridotto all'osso. L'ambientazione è medievale, ci sono spade, cavalieri, re, sudditi, sangue. Molto sangue: la vita dei protagonisti non è sacra. Questo aspetto mi ha ricordato una storia di tutt'altro genere, quella di Ken Parker.

Anche nel fumetto di Lungo Fucile compaiono molti personaggi, tutti quanti ben caratterizzati, compresi i comprimari, o le comparse: ti affezioni anche a figure che compaiono solo in poche storie, o addirittura in poche tavole. Avete presente gli uomini in uniforme rossa di Star Trek? Quelli che sono messi lì apposta perché qualcuno deve morire? Ecco, qui è l'opposto. Nel gioco dei troni tutti sono protagonisti, tutti sono ben descritti, tutti possono inaspettatamente morire.

Sia il gioco da tavolo che la serie televisiva sono tratti da una serie di romanzi scritti da George Raymond Richard Martin, soprannominato dagli amici il Ciccione Maledetto.

Questo affettuoso appellativo è motivato proprio dal fatto che lui non ha pietà dei suoi personaggi. È capace di creare intrecci meravigliosi, di portare il lettore a stare alzato fino a tarda notte per vedere cosa succede, per capire se il tale personaggio ce l'ha fatta oppure no. È bravissimo. Ed è un bastardo.

Non posso dire di più per non rovinare la visione del telefilm, o la lettura dei libri. Libri che io ho divorato velocemente.

A proposito dei libri: nell'edizione inglese sono cinque, l'ultimo è uscito da pochi mesi. Martin prevede di scriverne sette. Eccoli qua.


Questo è il cofanetto con i primi quattro volumi, usciti già da qualche anno (l'ultimo volume è del 2005). I titoli sono, nell'ordine,




Da poco è uscito l'attesissimo quinto volume, dal titolo A Dance with Dragons.


La situazione italiana è un po' più caotica, perché i libri sono usciti in vari formati diversi. Tanto per dire, anche se il quinti libro inglese non è ancora stato tradotto, siamo già a nove libri, perché dal primo libro inglese ne sono stati tratti due in italiano, dal secondo libro altri due, dal terzo ben tre e dal quarto altri due. Però, se riuscite a trovare da qualche parte la collana Urania, le grandi saghe fantasy, allora i quattro libri inglesi sono cinque (il primo, il secondo e il quarto libro sono in corrispondenza uno a uno con quelli inglesi, mentre il terzo libro è stato sdoppiato). La pagina di wikipedia riassume il tutto.

Ecco quindi i volumi italiani:



1 — Il trono di spade, Oscar bestsellers, 10 euro

2 — Il grande inverno, Oscar bestsellers, 10 euro


3 — Il regno dei lupi, Oscar bestsellers, 10 euro


4 — La regina dei draghi, Oscar bestsellers, 10 euro


5 — Tempesta di spade, Oscar bestsellers, 10 euro


6 — I fiumi della guerra, Oscar bestsellers, 10 euro


7 — Il portale delle tenebre, Oscar bestsellers, 10 euro


8 — Il dominio della regina, Oscar bestsellers, 10 euro


9 — L'ombra della profezia, Oscar bestsellers, 10 euro

(Fino a che non entrerà in vigore la nuova legge sull'editoria, Amazon fa il 40 per cento di sconto)

Esiste infine un'altra edizione in un unico volume, che alcuni sconsigliano perché è molto pesante e perché l'appendice, che in teoria sarebbe utile al lettore che non sa nulla e che si avvicina alla serie, è aggiornata agli eventi del secondo libro, e quindi è piena zeppa di spoiler che rovinano la lettura. Comunque, eccola qua:


Le cronache del ghiaccio e del fuoco: 1, Omnibus, 22.50 euro (1601 pagine)

Questo è tutto. Se cominciate, non finite più.

lunedì 8 agosto 2011

I greci non erano normali — 19: il pentagono

«Ora vediamo come funzionano i teoremi che ti ho raccontato la volta scorsa, prendendo come esempio la costruzione del pentagono. Prima, però, serve un altro teoremino algebrico».

«Uffa».

«Che riguarda il famoso legame tra le radici e i coefficienti di un'equazione di secondo grado».

«Non ne avevamo già parlato?».

«Sì, ora generalizziamo».

«Andiamo bene».

«Prendiamo un'equazione di grado n, e per comodità facciamo in modo che il coefficiente del termine di grado massimo sia uguale a 1».

«Se non lo è, possiamo sempre dividere tutti i termini per quel valore».

«Proprio così. Scriviamo l'equazione in questo modo: xn+a1xn-1+a2xn-2+…+a= 0».

«Bleah».

«E indichiamo con r1, r2, …, rn le sue radici, eventualmente multiple, eventualmente complesse».

«D'accordo».

«Allora, il teorema dice questo: la somma di tutte le radici è uguale a -a1».

«Come nel caso del secondo grado: avevamo indicato il coefficiente di x con -S, cioè la somma cambiata di segno».

«Giusto, anche se qui non stiamo parlando del coefficiente di x, ma di xn-1».

«Ah, ok».

«Il teorema va avanti, e dà un significato a tutti i coefficienti. Per esempio, la somma di tutti i prodotti del tipo rirj, con i minore di j, è uguale a a2».

«Uhm».

«La somma di tutti i prodotti del tipo rirjrk, con i minore di j e di k, e j minore di k, è uguale a -a3».

«Vedo che questi a hanno i segni alterni, è così sempre, andando avanti?».

«Esatto, i segni sono sempre alterni, e si parte dal segno meno. Ogni coefficiente si ottiene sommando tutti i prodotti ottenuti moltiplicando tra loro due, tre, quattro radici, e così via».

«Alla fine cosa ho?».

«L'ultimo termine è un unico prodotto, di tutte le radici, che è uguale in valore assoluto a an. Il segno dipende dal valore di n: se è pari, il segno è positivo, altrimenti è negativo».

«Ok, non conoscevo questa generalizzazione».

«Infatti, a scuola non si spiega. Finalmente siamo pronti per vedere un esempio concreto, il pentagono».

«Oh, bene».

«Per prima cosa, rappresentiamo le radici dell'equazione x5-1 = 0 in questo modo: 1, R, R2, R3, R4».

«Ricordo che avevamo parlato di questa notazione. Avevi anche detto che queste radici formano un gruppo».

«Ottimo. Ora le accoppiamo in questo modo:».

y= R+R4,
y= R2+R3.

«Perché in questo modo?».



«Osserva la figura: gli accoppiamenti sono fatti tra radici che hanno la stessa parte reale, e parte immaginaria opposta».

«Sono radici complesse coniugate, vero?».

«Esatto, si chiamano così. Se le sommi, sparisce la parte immaginaria e rimangono solo numeri reali».

«Ah, ecco. Quindi i nostri y sono numeri reali, bene».

«Ora prova a calcolare la somma y1+y2».

«Dovrebbe risultare R+R4+R2+R3».

«Quanto fa?».

«Boh, come faccio a saperlo?».

«Guarda quello che hai sommato: sono tutte le radici dell'equazione iniziale, tranne quella uguale a 1».

«E quindi?».

«E quindi sono le soluzioni dell'equazione ciclotomica».

«Non vorrei ripetermi, ma quindi questo a cosa mi serve?».

«Se sostituisci R al posto di x nell'equazione ciclotomica del pentagono, cosa ottieni?».

«Uhm, viene R4+R3+R2+R+1 = 0. Ehi, ho capito, se porto 1 a destra dell'uguale, ottengo che la somma che voglio calcolare è uguale a -1».

«Molto bene, quindi y1+y= -1. Ora prova a calcolare il prodotto y1y2».

«Pronti. Mi viene R3+R4+R6+R7. Non mi piace».

«Ricordati quello che abbiamo detto sulle radici dell'unità. Quanto fa R6?».

«Dovrebbe essere uguale a R, funziona come le lancette dell'orologio, mi ricordo».

«Benissimo. E quanto fa R7?».

«R2. Ma allora il prodotto risulta uguale alla somma, sempre -1».

«Sì. Quindi il nostro problema diventa: trova due numeri y1 e y2 la cui somma sia uguale a -1 e il cui prodotto sia ancora uguale a -1».

«Mi basta la regola delle equazioni di secondo grado, non ho bisogno della tua generalizzazione».

«Per questo esempio, no. Per il prossimo sì: allora, che equazione devi risolvere?».

«Questa: y2+y-1 = 0».

«Che è una equazione irriducibile di secondo grado, quindi possiamo costruire con riga e compasso le sue soluzioni. Da lì, sappiamo trovare tutti gli R, e quindi il pentagono è costruibilie».

«Ma questo lo sapevano fare anche i greci, senza equazioni ciclotomiche».

«Già. E noi, utilizzando un altro metodo più complicato, abbiamo ottenuto lo stesso risultato. Non è meraviglioso che tutto torni?».

«Tu non sei normale».