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lunedì 15 dicembre 2014

Complesse rotazioni

“Ma quindi come si risolveva il problema del tesoro nascosto? Cosa c'entrano i numeri complessi?”.

“Eh, coi numeri complessi si può risolvere il gioco in modo molto elegante”.

“Ma perché proprio i numeri complessi? Mi sembra un problema di geometria”.

“Certo, e proprio per questo i numeri complessi sono utili”.

“Ma se non c'entrano niente con la geometria!”.

“Qui ti sbagli, c'entrano eccome. Per capire il perché bisogna fare un passo indietro, ai numeri negativi”.

“Tipo −1, −2, −3?”.

“Sì. A dir la verità, ci basta −1. ”.

“Boh, continuo a non capire cosa c'entri la geometria”.

“Prendi un numero qualsiasi, positivo. Per esempio 3”.

“Va bene. Che ci faccio?”.

“Rappresentalo su una retta”.

“E fin qua è facile”.

“Ora moltiplicalo per −1”.

“Diventa −3”.

“Bene, ora ti faccio un disegno”.



“Bè? Cosa vuoi dire? Che c'entra la geometria perché moltiplicando per −1 hai spostato un punto da una parte a quell'altra? Mi sembra banale”.

“Diciamo, più precisamente, che ho ruotato il segmento che va da 0 a 3 e l'ho sovrapposto a quello che va da 0 a −3”.

“Possiamo dire che moltiplicare per −1 è come fare una rotazione di 180 gradi?”.

“In senso antiorario, sì”.

“Volendo anche in senso orario, se giri dall'altra parte ottieni sempre −3”.

“Certo. Siccome dobbiamo decidere un verso, diciamo che scegliamo quello antiorario”.

“Perché dobbiamo decidere?”.

“Perché tra un po' dovremo essere più precisi”.

“Va bene. Ancora non vedo numeri complessi, però”.

“Adesso arrivano, porta pazienza. Fino ad ora abbiamo trasformato una moltiplicazione per un numero particolare in una rotazione”.

“Sì, −1 fa ruotare di 180 gradi”.

“Bene. Ora ci chiediamo: quale numero produrrà una rotazione di 90 gradi?”.

“Cioè metà dell'angolo generato da −1. Mi sembra facile, −1/2”.

“Troppo facile, infatti. Ricordati che l'operazione che ha prodotto la rotazione è una moltiplicazione, e tieni presente che ci piacerebbe mantenere tutte le proprietà delle operazioni. Quindi, se moltiplicare per −1/2 potesse tradursi in una rotazione di 90 gradi, vorrebbe dire che moltiplicare per due volte per −1/2 ci dovrebbe portare a una rotazione di 180 gradi. Ma non è così”.

“Non è così perché moltiplicare due volte per −1/2 significa moltiplicare per 1/4, vero?”.

“Certo”.

“Ma allora dovremmo trovare un numero che moltiplicato per sé stesso due volte sia uguale a −1. Ma non esiste!”.

“Eh”.

“E poi, ora che ci penso, una rotazione di 90 gradi non avrebbe nemmeno senso! Non c'è niente a metà via, se ruoti solo di 90 gradi non ruoti il segmento in modo da sovrapporlo alla retta dei numeri”.

“Molto bene, questo è un altro problema, che in realtà ci fa fare un passo avanti verso la soluzione”.

“Quindi stiamo cercando un numero che non esiste che produce una rotazione di un segmento che rappresenta un numero in una zona in cui non ci sono numeri”.

“Perfetto”.

“Vabbé, mi piacerebbe sapere come i Veri Matematici possano aver risolto questo problema non risolubile”.

“Fanno come il capitano Kirk (l'unico, quello vero) con il test Kobayashi Maru: cambiano le regole”.

“Rimango senza parole”.

“Il numero che moltiplicato per sé stesso due volte dà come risultato −1 non c'è? Bene, lo inventiamo (o lo scopriamo, c'è sempre stato ma non ce ne siamo ancora accorti)”.

“Secondo te c'è sempre stato, naturalmente”.

“Naturalmente”.

“E come se la cavano i Veri Matematici col fatto che ruotando di 90 gradi si arriva in una zona senza numeri?”.

“Semplice: riempiono anche quella zona di numeri”.

“Ovvio, come ho fatto a non pensarci prima?”.

“Definiamo quindi un nuovo numero che chiamiamo i e che ha questa proprietà: ruota i segmenti di 90 gradi in senso antiorario. O, se vogliamo stare fuori dalla geometria, tale che il suo quadrato sia uguale a −1”.

“Un numero che non esiste”.

“Se vuoi. Adesso comunque esiste”.

“E perché proprio i?”.

“Iniziale di immaginario”.

“Mi prendi in giro?”.

“No, no, è proprio così che lo chiamano i Veri Matematici. Questo i è l'unità immaginaria”.

“Come unità? Vuoi dire che ce ne sono altri?”.

“Ovviamente. Cosa ci impedisce di fare + i?”.

“Che farebbe 2i?”.

“Già. O anche + 1”.

“E quanto fa?”.

+ 1”.

“Continuo a pensare che tu mi stia prendendo in giro”.

“No, le cose stanno davvero così. Se ammettiamo l'esistenza di i, e se vogliamo continuare a servirci delle proprietà di cui godono di solito i numeri, dobbiamo anche ammettere l'esistenza di un'infinità di nuovi numeri, formati sommando i vecchi numeri reali con i nuovi numeri immaginari. Qualcosa del tipo + ib, con a e b reali”.

“Bleah. E come li chiamiamo, questi numeri?”.

“Numeri complessi”.

“Ma dai”.

“Non è uno scherzo, si chiamano proprio così. E possiamo anche rappresentarli su un piano in maniera molto facile: il numero + ib corrisponde al punto di coordinate (a,b). Ti faccio notare che in questo modo risolviamo anche il problema di non avere numeri al di fuori della retta: adesso ci possiamo riempire un intero piano. Ma non stiamo a fare la solita trattazione che si fa a scuola e che tu conosci già”.

“Certo, no, non facciamola, so già tutto”.

“Bene”.

“STAVO SCHERZANDO”.

“Ah, eh, ecco. Ma va bene lo stesso, non ci interessa davvero ora ripercorrere tutta la storia. Vorrei concentrarmi su un aspetto, quello delle rotazioni. Usando i numeri complessi possiamo riempire tutto il piano, e possiamo anche definire l'unità immaginaria i in modo alternativo, cioè non come si fa di solito a scuola. Possiamo dire che ogni numero complesso, oltre a essere associato a un punto del piano di coordinate (a,b), è anche associato a un vettore che parte dall'origine e arriva in (a,b)”.

“Fin qua posso essere d'accordo, invece di disegnare un punto posso disegnare tranquillamente una freccia”.



“Bene, quindi hai capito che punti del piano, numeri complessi e vettori sono tre aspetti dello stesso ente”.

“Diciamo di sì”.

“Perfetto, allora i sarebbe quell'unico numero che moltiplicato per un vettore lo fa ruotare di 90 gradi in senso antiorario”.

“Ma come fa un numero a fare ruotare un vettore?”.

“Lo fa così come il numero −1 fa ruotare di 180 gradi un numero reale, cioè un vettore orizzontale”.

“Ma il numero −1 fa ruotare i vettori perché è così che funzionano le operazioni!”.

“Benissimo, e qui noi facciamo il contrario. Definiamo le operazioni tra i numeri complessi in modo tale che funzionino come le rotazioni, e siamo a posto”.

“Ma… ma… ma si può? Ma non è come barare? Davvero i Veri Matematici fanno così?”.

“I Veri Matematici fanno un po' quello che vogliono. Se scoprono che le cose funzionano, sono felici e pubblicano i loro risultati, dopo averli ripuliti e circondati da un'aura di mistero. Se invece le cose non funzionano, buttano via tutto e non dicono niente a nessuno. Storicamente i numeri complessi non sono nati così come ti sto raccontando: hanno avuto un'altra origine. È una storia nota: provando a risolvere le equazioni di terzo grado si è visto che se si usavano questi numeri di cui nessuno conosceva il significato (e di cui molti dubitavano pure l'esistenza), le cose funzionavano meglio. Poi è successo che studiando le operazioni tra i vettori nello spazio altri Veri Matematici hanno scoperto altri numeri, che sono poi stati chiamati quaternioni, che rappresentavano molto bene i rapporti tra vettori nello spazio. Prendere un vettore e moltiplicarlo per un quaternione significa allungarlo o accorciarlo e ruotarlo nello spazio. La cosa meravigliosa è che poi, se si studiano le stesse operazioni tra vettori nel piano, i quaternioni in un certo senso si semplificano e diventano i numeri complessi. E allora, volendo, i numeri complessi si potrebbero ridefinire non seguendo la strada classica, ma come quozienti tra vettori nel piano. In generale, quindi, moltiplicare un vettore per un numero complesso significa allungarlo (o accorciarlo, o anche lasciarlo così com'è, naturalmente) e ruotarlo”.

“Che roba. Ho capito una parola ogni dieci, ma mi sembra di intuire che ci siano due modi diversi per vedere le stesse cose, e questo ti fa andare in brodo di giuggiole, vero?”.

“Sì, lo confesso. Aver studiato i numeri complessi a scuola, dove i era la famosa radice di meno uno, e aver rivisto tutta la loro costruzione a partire dal rapporto tra due vettori, mi ha entusiasmato”.

“Mah. E questi numeri complessi servono poi per risolvere il problema del tesoro?”.

“Anche, sì. Ma prima di farlo, se ti interessa questo modo alternativo di definire i numeri complessi, e se vuoi anche sapere qualcosa anche sui quaternioni, ti consiglio di dare un'occhiata a uno dei libri di Giorgio Goldoni. Fa parte della collana Il professor Apotema insegna…, e si intitola proprio I numeri complessi del piano e dello spazio”.




“Ah, un altro libro della collana, bello!”.

“Sì. La prossima volta parliamo poi del problema del tesoro”.

martedì 24 luglio 2012

Il professor Apotema insegna: il calcolo delle somme e il calcolo integrale

Ormai sta diventando un appuntamento fisso: Giorgio Goldoni scrive un altro libro in cui raccoglie le sue lezioni su un determinato argomento, e io lo recensisco.


Questa volta si tratta del volume numero 4 (qui i volumi 1, 2, 3), dedicato al calcolo delle somme e al calcolo integrale, utilizzando l'approccio iperreale.

Somme e integrali vengono definiti e studiati in modo parallelo (per quanto riguarda le somme, ho scoperto cosa sono i numeri di Stirling, ad esempio), oltre alla teoria vengono presentate varie applicazioni interessanti, come il calcolo dei volumi, i baricentri, superfici e volumi di rotazione, l'integrazione numerica (compreso il metodo per ricavare la formula di Simpson, che di solito si trova scritta senza dimostrazione nei testi scolastici), densità di probabilità e metodi per generare distribuzioni di numeri pseudocasuali con densità assegnata.

Io, come al solito, lo consiglio.

Giorgio Goldoni, Il professor Apotema insegna: il calcolo delle somme e il calcolo integrale, ilmiolibro.it, 18€.

sabato 3 dicembre 2011

Il professor Apotema insegna: il calcolo delle differenze e il calcolo differenziale

Avevo già parlato dell'approccio assiomatico ai numeri iperreali e di come alcuni (pochi) insegnanti lo usino per spiegare l'analisi matematica.

Qualche giorno fa alcuni di questi insegnanti si sono ritrovati a Venezia, al liceo Foscarini, per una giornata di studio e confronto sull'analisi infinitesimale; tra questi c'era anche Giorgio Goldoni, in arte professor Apotema, di cui ho già recensito il primo libro su questo argomento.

Come aveva promesso ha continuato a scrivere e, dopo il volume in cui presenta i numeri iperreali, ora ne ha concluso uno nuovo, dedicato al calcolo delle differenze e al calcolo differenziale.

In 425 pagine vengono presentati, utilizzando l'approccio iperreale, argomenti molto noti, come le derivate, lo studio di funzione e i problemi di massimo e minimo, e anche argomenti poco noti (io, almeno, non li conoscevo), come il calcolo delle differenze, che sarebbe l'analogo discreto del calcolo differenziale. Esistono, ad esempio, formule sulle differenze discrete analoghe a quelle sulle derivate, esiste una versione discreta delle regole di de l'Hôpital, ed esiste persino una versione discreta del polinomio di Taylor, detto polinomio di Gregory-Newton. Il tutto è sempre presentato sotto forma di dialogo tra il professor Apotema e i suoi studenti.

Insomma, anche questo è un testo consigliatissimo.



Giorgio Goldoni, Il professor Apotema insegna: il calcolo delle differenze e il calcolo differenziale, ilmiolibro.it, 20€.

giovedì 18 agosto 2011

Il professor Apotema insegna: i numeri iperreali

L'analisi matematica è una brutta bestia: permette di fare cose meravigliose, ma per capirci qualcosa occorre superare un gigantesco ostacolo iniziale, il calcolo dei limiti. Il percorso classico che seguono gli studenti di molte scuole superiori è: limiti-derivate-integrali. Ma storicamente le cose sono andate in un altro modo.

Newton e Leibniz sono stati i primi scopritori/creatori (scegliete voi) del calcolo infinitesimale. Hanno sviluppato i loro studi in maniera indipendente, anche se ai tempi ci fu una disputa tra i due: Leibniz pubblicò per primo, ma Newton aveva scritto e non pubblicato ancora prima, insomma, son cose note, hanno litigato. Capricci da star. Qualche giorno fa ho scoperto che un terzo matematico, il giapponese Seki Kōwa, era arrivato a sviluppare gli stessi concetti: naturalmente né Newton né Leibniz lo conoscevano. Tre geni, contemporanei. Chissà cosa è successo nel mondo in quel periodo.

Bene, Leibniz utilizzava degli oggetti matematici che chiamava infinitesimi, e non sapeva bene cosa fossero. C'è un esempio molto semplice che fa capire il problema a tutti: eccolo qua.

Prendiamo una funzione facile, quella che eleva un numero al quadrato, e indichiamola così: f(x) = x2. La domanda è questa: se noi facciamo variare x da un certo valore a un altro valore, anche f(x) varierà, ma di quanto? Cioè, quanto vale il rapporto tra la variazione di f e la variazione di x?

La prima risposta che possiamo dare è: ma che domanda è? Dipende da quanto varia x, no? Non c'è proporzionalità.

È vero, se x varia da 1 a 3, il corrispondente valore di f varia da 1 a 9, e il rapporto tra le due variazioni vale (9-1)/(3-1) = 8/2 = 4. Se invece x varia da 1 a 2, la f varia da 1 a 4, e il rapporto ora vale (4-1)/(2-1) = 3.

Leibniz allora diceva: ok, io sono interessato a vedere cosa succede quando la variazione è piccola. E gli rispondevano: ma come, proprio tu che sei un matematico parli di numeri piccoli? Cosa significa piccolo? Ma dai!

E Leibniz insisteva: guardate, io voglio sapere come stanno le cose quando la variazione è sempre più piccola. Quando è infinitamente piccola. Quando è un infinitesimo.

Eeeh? gli dicevano.

E allora Leibniz faceva un esempio. Guardate, diceva, partiamo pure da = 1, ma spostiamoci di pochissimo, di una quantità piccolissima che indicherò con dx, e così facendo sappiate che sto scrivendo il mio nome nella storia.

Dai, andiamo avanti, gli dicevano quelli che erano rimasti ad ascoltarlo.

Ecco, allora facciamo i conti, proseguiva Leibniz. f(1+dx) è uguale a (1+dx)2, che a sua volta è uguale a 1+2dx+(dx)2. Quindi la variazione dei valori di f è la seguente: f(1+dx)-f(1) = 1+2dx+(dx)2-1 = 2dx+(dx)2.

Fin qua abbiam capito, Leibniz, questa è algebretta che conoscono tutti.

Bene, proseguiva lo scienziato, allora sapete anche calcolare il rapporto tra le variazioni dei risultati e le variazioni delle x.

Certo, per chi ci hai presi?, rispondevano. La variazione è uguale a (2dx+(dx)2)/(dx). Sappiamo anche semplificare, sai? Risulta 2+dx.

Bravi, concludeva Leibniz, allora dato che dx è un infinitesimo lo trascuriamo come se fosse zero, e il risultato è che la variazione in quel punto è uguale a 2.

E a quel punto i Veri Matematici inorridivano: ma come, dicevano, prima dividi per dx e poi dici che dx è zero, ma sei matto? Ma lo sanno anche i bambini delle elementari che non si può dividere per zero. Buu, vai a casa Leibniz.

Ma il nostro eroe insisteva: stolti, diceva, guardate questo lavoro che ho scritto ieri, guardate quanti problemi meravigliosi ho risolto con il mio calcolo infinitesimale, guardate che funziona tutto, guardate che meraviglia.

Ehm, boh, in effetti, borbottava qualcuno.

C'era qualcuno che borbottava meno, e diceva le cose come stavano. Per esempio, in Inghilterra il vescovo Berkeley pontificava: ma voi analisti siete tutti matti, non sapete nemmeno le basi della matematica. E cosa sono queste quantità evanescenti, di cui vi ha riempito la testa Newton? Per non parlare degli infinitesimi di quell'altro tedesco là. Ma ne avete idea? Non sono né quantità finite, né quantità infinitamente piccole, e neanche zero. Non potremmo chiamarli fantasmi di quantità defunte?

Di solito la risposta era un discreto ehm, poi la gente se ne andava con la coda tra le gambe perché, sì, le cose funzionavano ma aveva ragione anche Berkeley, o una quantità è zero o non lo è, e se lo è non si può metterla al denominatore. Punto.

Poi è arrivato Weierstrass, che ha compiuto due passi da gigante: il primo è stato quello di sistematizzare tutta la faccenda degli infinitesimi, in modo tale che i Veri Matematici fossero tutti contenti: il secondo è stato quello di rendere la vita molto difficile per tutti gli studenti di analisi. Perché da adesso in poi 1 diviso 0 uguale a infinito è una frase che si può solo pensare ma non si può pronunciare, pena il lancio del libretto universitario dalla finestra. Insomma, Weierstrass ha ammazzato gli infinitesimi, tutta l'analisi si può studiare senza mai pronunciare le parole piccolo e grande, anche se tutti — tranne i matematici — continuano a farlo.

Nel 1961 è arrivato un tale, Abraham Robinson, che ha detto: sapete che c'è? Weierstrass ha fatto un bel lavoro a sistemare la teoria dell'analisi infinitesimale, ma così facendo ha complicato le cose in maniera incredibile. Esiste un altro sistema di vedere l'analisi, in cui gli infinitesimi esistono, e in cui si può dire senza problemi che 1 diviso un infinitesimo fa un infinito. Lo chiamerò analisi non standard.

Agli studenti non sembrava vero.

C'è un problema, però.

Agli studenti sembrava già un po' più vero.

Il fatto è che possiamo buttare via tutta la faccenda degli epsilon e i delta di Weierstrass, ma dobbiamo studiare molto la logica matematica.

E ciao, allora. Gli ultimi studenti rimasti ad ascoltarlo si misero d'accordo per l'acquisto delle birre, e non lo ascoltarono più.

Poi, nel 1976, si è presentato sulla scena un altro matematico, Howard Jerome Keisler, che ha detto: cari studenti, non vi preoccupate, mettete via le vostre birre per un attimo. Esiste un altro sistema, che sono qui a presentarvi. Non è necessario sapere tutto di logica per studiare l'analisi matematica, esiste anche il metodo assiomatico. Ci basta cambiare un piccolo assioma dei numeri reali, e otteniamo questi meravigliosi nuovi numeri, i numeri iperreali, con tanto di infiniti e infinitesimi.

Ma davvero? Senza problemi?

Senza problemi.

Facci un esempio, dai!

La conoscete la definizione di funzione continua?

Ehm.

Dai, ragazzi, un minimo bisogna studiare, eh? Allora, è questa: la funzione f è continua nel punto c se, comunque si fissi un errore positivo piccolo a piacere, esiste sempre una differenza positiva sufficientemente piccola tale che se x differisce da c, in valore assoluto, per meno di quella differenza, allora f(x) differisce da f(c), in valore assoluto, per meno di quell'errore.

Argh, è vero. E tu ci stai dicendo che col tuo metodo non dobbiamo capire questa roba?

Giudicate voi, ecco come si definisce una funzione continua nel linguaggio dell'analisi non standard: una funzione f è continua nel punto c se quando x è infinitamente vicino a c, allora f(x) è infinitamente vicino a f(c),

Ma è bellissimo! E si capisce anche! E allora possiamo studiare gli infinitesimi? Magari possiamo anche confrontarli?

Certo, possiamo anche vederli.

E come facciamo?

Con un meraviglioso strumento matematico che ho chiamato microscopio infinitesimo.

Fantastico! E anche gli infiniti?

Naturalmente. Gli infiniti li osserviamo con un altro strumento, il telescopio infinito.

Ma è bellissimo!

Lo so. E ho anche inventato nomi meravigliosi per questo nuovo mondo di numeri, come le monadi e le galassie.

Ahh, bravissimo, Keisler. Vieni, abbiamo della birra in frigo.



Sono pochissimi gli insegnanti che utilizzano i metodi dell'analisi non standard nelle scuole superiori: del resto, l'unico libro di testo disponibile finora è stato quello di Keisler, in inglese (con anche un approfondimento teorico, non per gli studenti). Come dicevo qualche giorno fa, ho conosciuto il professor Apotema, il quale è uno di questi insegnanti.

Nel suo secondo libro descrive il metodo da lui utilizzato per introdurre l'analisi infinitesimale ai suoi studenti. Testo consigliato anche a chi avrebbe voluto capirci qualcosa di più, sull'analisi matematica, ma non ha mai osato entrare nel mondo degli epsilon e dei delta.


Giorgio Goldoni, Il professor Apotema insegna… i numeri iperreali, ilmiolibro.it, 13 €.

Se si sbriga a scrivere anche i volumi successivi, intitolati il primo Il calcolo delle differenze e il calcolo differenziale, il secondo Il calcolo delle somme e il calcolo integrale, dal prossimo anno comincio anche io a parlare di numeri iperreali (mi ha promesso che lo farà…).

giovedì 11 agosto 2011

Il professor Apotema insegna: le funzioni lineari, esponenziali, logaritmiche e potenze

Del professor Apotema avevo parlato già tempo fa, nel finale del libro Verso l'infinito, ma con calma. Allora non lo conoscevo ancora di persona, ma solo attraverso i suoi dialoghi, dai quali ho tratto ispirazione per la scrittura del mio libro.

Quest'anno l'ho (finalmente) conosciuto di persona. Giorgio Goldoni, questo è il nome del suo alter ego fisico, è un prof di matematica che insegna in un istituto tecnico di Carpi, è uno dei responsabili del funzionamento del planetario di Modena, in cui tiene dei corsi, è un appassionato di giochi matematici e di astronomia.

È molto orgoglioso del suo percorso scolastico: ha iniziato frequentando l'istituto professionale, poi è passato al tecnico, è stato alla Normale di Pisa, e infine si è laureato a Modena. Sono stati proprio gli studi tecnici a influenzare il suo insegnamento: se devi spiegare un argomento di matematica devi averlo capito, e se vuoi capirlo devi provare, fare calcoli, risolvere problemi, trovare collegamenti con la realtà. La matematica fatta di definizioni/teoremi/dimostrazioni la lasciamo al mondo universitario, nella scuola superiore serve altro.

Ora Giorgio ha scritto un libro (anzi, ad oggi ne ha scritti due, ma so che sta lavorando ad altri volumi), perché… bé, lo lascio dire a lui:

Ultimamente, avendo ormai percorso un buon tratto della mia carriera di insegnante, ho sentito il bisogno di lasciare una testimonianza scritta delle tante attività didattiche sperimentate in questi trent'anni di lavoro, nella speranza che possa essere di qualche utilità non solo agli studenti, ma anche a qualche giovane collega. Ho così provato più volte a riscrivere in modo sistematico gli appunti che anno dopo anno avevo fornito ai miei allievi, ma con esito del tutto insoddisfacente. La trattazione risultava asettica e, nonostante lo sforzo di cercare la semplicità, sapeva di accademico. Insomma, non c'era nulla dell'atmosfera con cui lavoravo in classe: mancavano gli alunni! Cosi ho pensato di ricorrere nuovamente al professor Apotema e alla sua rumorosa e variegata classe.

In questo primo volume Giorgio Goldoni ci parla di un argomento che viene trattato in tutte le scuole superiori: le funzioni lineari, esponenziali, logaritmiche e potenze. La trattazione non è, però, quella classica: qui i quattro tipi di funzioni vengono trattati in parallelo, mettendo in evidenza le caratteristiche comuni. Le quattro funzioni, infatti, sono caratterizzate dal loro comportamento nei confronti di due tipi di progressioni: quelle aritmetiche e quelle geometriche.

Le funzioni lineari, infatti, sono quelle che mandano progressioni aritmetiche in progressioni aritmetiche; le esponenziali invece mandano progressioni aritmetiche in geometriche; quelle logaritmiche mandano progressioni geometriche in aritmetiche e, infine, le potenze mandano progressioni geometriche in geometriche.

Questo tipo di trattazione consente di parlare anche della nascita dei logaritmi e delle loro applicazioni pratiche: Apotema ci mostra come venivano compilate le tavole logaritmiche, come si poteva calcolare un logaritmo senza l'uso della calcolatrice, e come è stato scoperto il numero e. Nei suoi esempi ci parla della terza legge di Keplero, del decadimento radioattivo, dell'attenuazione luminosa e della legge di Lambert-Beer e della legge psicofisica di Fechner e Weber.

Insomma, questo è un libro certamente per specialisti, per insegnanti e per studenti. Ma, grazie alla forma a dialogo leggera e piacevole, è un libro anche per il lettore curioso.


Giorgio Goldoni, Le funzioni lineari, esponenziali, logaritmiche e potenze, ilmiolibro.it, 14 €.

Ecco la quarta di copertina:

Ancora una volta il professor Apotema cercherà di convincere Sekky, Asy, Geny e il resto della classe che ha qualcosa di interessante da dire che merita la loro attenzione. In queste lezioni, più che al rigore espositivo, Apotema mira a fornire uno strumento concettuale che consenta di riconoscere alcune funzioni fondamentali nelle situazioni più disparate. Convinto che non esista il punto di vista migliore, ma soltanto prospettive differenti, Apotema presenta ai suoi studenti diverse definizioni equivalenti di ciascuna classe di funzioni. E questo non per fare un vuoto esercizio accademico, ma per favorire una percezione sempre più nitida dell’oggetto di studio. L’autore si è rivolto principalmente agli studenti di scuola superiore e confida in un giudizio benevolo da parte dei colleghi nonostante le molte libertà che si è preso nell’esposizione e nella terminologia. Non si cura invece di eventuali critiche riguardo allo stile scherzoso, facendosi scudo con le parole del grande Lewis Carroll: “Esistono senza dubbio discipline talmente serie da non potersi trattare con uno stile leggero, ma per fortuna non è questo il caso della matematica!”