Una sezione di Dedekind in un campo ordinato è una partizione di tale campo, (A,B), tale che A è non vuoto e chiuso verso il basso, B è non vuoto e chiuso verso l'alto, e A non contiene massimo. I numeri reali possono essere costruiti come sezioni di Dedekind dei numeri razionali.
“Vabbé, dai, ho capito che non ne hai voglia”.
“Che problema c'è?”.
“Dimmi se ti sembra una cosa comprensibile. Sembra che con questa definizione i Veri Matematici abbiano raggiunto l'apice della incomprensibilità”.
“Mh, forse esistono definizioni più complicate di queste”.
“Non ne parliamo nemmeno, eh?”.
“Va bene. Questa non è proprio intuitiva, vero?”.
“Eh, direi”.
“Provo a spiegartela così: cosa diresti se tu fossi un mio studente e io ti dicessi che in pagella ti ho messo un voto che sta tra due insiemi, il primo dei quali contiene tutti i numeri minori di cinque, il secondo tutti i numeri maggiori o uguali di cinque?”.
“Ti chiederei se sei venuto a scuola in macchina”.
“Perché?”.
“Perché se sei in macchina posso bucarti quattro gomme, se sei in bicicletta soltanto due”.
“Ehm. Ho capito. Potevo scegliere sei invece di cinque come esempio, vero?”.
“Già”.
“Comunque hai capito come funziona?”.
“Direi di sì, è il solito metodo demenziale di complicare le cose semplici. Invece di dire cinque, hai detto tutto ciò che non è cinque, ordinando tutto in due parti. Una contiene tutti i numeri minori di cinque, l'altra tutti quelli maggiori di cinque”.
“Eh, l'idea è questa, anche se c'è qualche precisazione da fare”.
“Capirai”.
“Se, come hai detto tu, dividiamo i numeri in minori di cinque e maggiori di cinque, lasciamo fuori un valore, che è proprio cinque. Questo non va bene, perché noi vogliamo fare una partizione”.
“Cosa sarebbe una partizione?”.
“Una suddivisione di un insieme in sottoinsiemi fatta in modo tale che, riunendo tutte le parti, si ottiene l'insieme di partenza”.
“Ah, ok. Se riunisco le mie parti non riottengo l'insieme di partenza, perché lascio fuori cinque”.
“Esatto, ecco perché nel mio esempio ho specificato che il primo insieme contiene tutti i numeri minori di cinque, il secondo tutti quelli maggiori o uguali a cinque”.
“Potevi anche fare il contrario?”.
“No, perché la definizione specifica che il primo insieme non ha massimo. Se metto cinque nel primo insieme, diventa il massimo”.
“Invece il secondo insieme può avere minimo?”.
“Sì, la definizione non dice nulla riguardo a questo”.
“E perché questa asimmetria?”.
“Perché da qualche parte il cinque dobbiamo pur metterlo, e se non specifichiamo nulla abbiamo due modi diversi per fare la partizione. Siccome non ci piace questa ambiguità, decidiamo arbitrariamente di metterlo nell'insieme di destra”.
“Va bene. Ora passiamo a quel chiuso verso il basso e chiuso verso l'alto. Cosa significano quelle specificazioni?”.
“Allora, un insieme è chiuso verso il basso se esso contiene tutti i numeri minori di qualunque suo elemento”.
“Non è mica tanto chiaro, sai?”.
“Te lo spiego con un esempio. Scegli a caso un numero all'interno del primo insieme, quello che contiene tutti i numeri minori di cinque”.
“Tre”.
“Bene. È vero che l'insieme contiene tutti i numeri minori di tre?”.
“Sì, è vero”.
“Questa proprietà è vera perché tre è un qualche elemento particolare? Oppure vale per qualsiasi scelta tu faccia?”.
“Direi che vale sempre”.
“Esatto. Questo significa che il tuo insieme è chiuso verso il basso”.
“Praticamente è una semiretta che va verso sinistra”.
“Benissimo”.
“E suppongo che chiuso verso l'alto significhi che, per ogni elemento del secondo insieme, è vero che tutti i numeri maggiori di esso sono contenuti nell'insieme”.
“Sì. È più difficile da dire che da capire”.
“Ho capito. Cosa ce ne facciamo di queste sezioni di Dedekind?”.
“Ci servono per definire i numeri reali, ma facciamo un passo alla volta: per prima cosa vediamo che tutti i numeri razionali, che abbiamo già definito, possono essere visti come sezioni di Dedekind”.
“Bé, questa credo di averla capita anche io. Si può fare come hai fatto tu con il cinque: basta che tu sostituisca al posto di cinque un qualunque numero razionale”.
“Giusto. Quindi come sarebbe la sezione di Dedekind relativa a 1/2, per esempio?”.
“Direi che sarebbe una coppia di insiemi (A,B) fatta così: A contiene tutti i numeri razionali minori di 1/2, B contiene tutti quelli maggiori o uguali a 1/2”.
“Perfetto”.
“Mi pare semplice. E devo dire che non capisco l'utilità: è davvero una complicazione inutile”.
“Sì, devo darti ragione. È difficile capire il senso di questa costruzione, e quando provi a spiegarla agli studenti l'unica domanda che riescono a farti è: prof, ma ce la chiede questa roba?”.
“Poveretti”.
“A parte il fatto che gli studenti non sono mai poveretti per definizione, andiamo avanti. Quello che dovresti capire è che ogni numero razionale è associato a una sezione di Dedekind”.
“Sì, questo l'ho capito. Immagino che valga anche il contrario”.
“Cioè che ogni sezione di Dedekind è associata a un numero razionale? Certo che no, altrimenti sarebbero davvero inutili”.
“Ah. Uhm... no, non ho capito bene: esistono sezioni di Dedekind che non sono associate a nessun numero razionale? Come è possibile? Non basta prendere, come numero, il minimo del secondo insieme?”.
“No, la definizione non parla di minimo del secondo insieme. Dice solo che il primo insieme non ha massimo”.
“Perché il secondo ha minimo, è sottinteso”.
“Invece no, è possibile che il primo insieme non abbia massimo e il secondo non abbia minimo”.
“Impossibile”.
“Ti faccio un esempio, anche se sarà un pochino più complicato di quello che ti ho fatto col cinque”.
“Va bene, provo a seguirti”.
“Allora, nel primo insieme ci mettiamo, per prima cosa, tutti i numeri negativi”.
“Ok”.
“Poi ci mettiamo anche lo zero, e tutti i numeri positivi il cui quadrato sia minore di 2”.
“Uhm, va bene. Perché poi complicare le definizioni così?”.
“Aspetta e vedrai”.
“Nel secondo insieme ci metto invece tutti i numeri positivi il cui quadrato sia maggiore di 2”.
“Ehi, non va bene! Dovresti dire il cui quadrato sia maggiore o uguale di 2”.
“Siamo sicuri?”.
“Eh, sì, altrimenti non è più una partizione, l'hai detto prima! Lasci fuori un numero”.
“Quale?”.
“Bé, quello il cui quadrato è uguale a 2”.
“Che non esiste”.
“Non esiste? Come non esiste? È la radice di 2, no?”.
“La radice di 2 non è razionale, caro il mio Ippaso di Metaponto”.
“Uffa, ma cosa c'entra adesso?”.
“C'entra eccome: noi stiamo facendo sezioni di Dedekind sui numeri razionali. Radice di due non è razionale, non esiste ancora. Nella definizione del secondo insieme puoi anche dire, se vuoi, che esso contiene tutti i numeri il cui quadrato sia maggiore o uguale di 2, ma non devi ingannarti: quell'insieme non ha minimo. Quell'insieme contiene, ad esempio, 2, poi 15/10, poi ancora 142/100, 1415/1000, 14143/10000, e così via. Puoi andare avanti così, spostandoti verso il basso, quanto vuoi. Quindi non esiste minimo, e specificare che il quadrato di questi numeri deve essere maggiore o uguale di 2 è inutile: puoi limitarti a dire che deve essere maggiore di 2”.
“Gulp, ho capito. Credevo fosse una cosa semplice, invece no”.
“No, neanche un po'. Ora riassumiamo: è vero che ogni numero razionale corrisponde a una sezione di Dedekind?”.
“Sì, questo l'ho capito”.
“Ed è vero che ogni sezione di Dedekind corrisponde a un numero razionale?”.
“Eh, stando a quanto hai detto adesso, no. La sezione che hai definito prima non corrisponde a nessuna frazione: corrisponderebbe a radice di 2, ma hai detto che non esiste”.
“Perfetto. Allora possiamo dire che abbiamo due tipi di sezioni di Dedekind: il primo tipo è quello che corrisponde a un numero razionale”.
“Ok”.
“E il secondo tipo è quello che non corrisponde a nessun numero razionale”.
“Va bene”.
“Allora siamo a posto: le sezioni di Dedekind del secondo tipo le chiamiamo numeri irrazionali. Le altre continuiamo pure a chiamarle numeri razionali — anche se in realtà abbiamo immerso i vecchi numeri razionali in questa nuova struttura più ricca. L'insieme di tutte le sezioni di Dedekind dei razionali viene chiamato invece insieme dei numeri reali”.
“Wow. Non si può dire che sia una definizione semplice e intuitiva. E poi, scusa, come faccio a capire com'è fatto un numero reale?”.
“In che senso?”.
“Per esempio, radice di 2. Hai detto che corrisponde a quella sezione di Dedekind formata dai numeri il cui quadrato è minore oppure maggiore di 2, ma quali sono questi numeri? Cosa c'è in mezzo ai due insiemi? Sono insiemi infiniti, come faccio a esaminarli tutti?”.
“Ah, certamente non puoi”.
“Ma allora non è una gran definizione”.
“Bé, la definizione è fatta bene, il problema nasce dal fatto che non sai con esattezza come sia fatto l'oggetto che stai definendo”.
“E ti sembra poco?”.
“Ma questo è il problema dei numeri reali. Quando scrivi radice di 2, oppure π, oppure e, in realtà scrivi solo simboli, ma non sai con esattezza cosa siano. Sai che sono numeri decimali illimitati non periodici, e proprio per questo non li potrai mai conoscere”.
“Non ci avevo mai pensato”.
“È una beffa: noi chiamiamo reali degli oggetti che non conosciamo, e che certamente non potremo mai conoscere. Però sappiamo che esistono, e tanto basta”.
“Magra consolazione”.
“Bisogna anche dire che è vero che non conosceremo mai tutte le cifre di un numero irrazionale, ma comunque potremo sempre approssimarlo, bene quanto vogliamo, con delle frazioni. È quello che fanno sempre le calcolatrici, del resto”.
“Giusto: se dovessero maneggiare davvero dei numeri reali, avrebbero bisogno di una memoria infinita”.
“E allora, invece di usare numeri reali, usano le sezioni di Dedekind”.
“In che senso?”.
“Nel senso che i due insiemi A e B di una sezione di Dedekind relativa a un numero irrazionale sono proprio gli insiemi delle frazioni che approssimano per difetto oppure per eccesso quel numero. Le calcolatrici usano una approssimazione, e l'utente non può controllare l'errore, ma esistono programmi di calcolo più specifici che ti dicono, in ogni momento, quale è l'approssimazione che stanno usando. Invece di darti un numero, ti danno un intervallo: non potendo gestire gli infiniti elementi degli insiemi A e B, tengono in memoria solo il più grande elemento di A e il più piccolo di B. Il tuo numero reale è compreso tra essi, e la loro differenza rappresenta quindi il tuo margine d'errore”.
“Ma guarda... Quindi alla fine anche questa definizione ha un suo senso e una sua applicazione”.
“Bé, come tutte le definizioni della matematica, no?”.
“Hai detto che sei in macchina?”.
lunedì 29 giugno 2009
venerdì 26 giugno 2009
Su un particolare insieme numerico - Reali?
“Cominci con i numeri reali, allora?”.
“Mah...”.
“Cosa?”.
“Che bisogno c'è?”.
“Eh?”.
“Voglio dire: a cosa ci serve? Hai mai visto un numero reale?”.
“Se è per questo non ho mai visto nemmeno un numero naturale”.
“No? Guardati la mano?”.
“Cos'ha?”.
“Quante dita ci sono?”.
“Cinque”.
“Ecco. Un numero naturale”.
“No, un momento, non è un numero naturale. È un insieme di oggetti reali, tangibili, composto da cinque elementi. Cinque rappresenta solo la quantità di elementi”.
“Quindi tu sostieni che un numero esiste solo se puoi in qualche modo toccarlo? Altrimenti non esiste?”.
“Bé, sì”.
“Chiedi a uno studente che ha avuto un cinque in pagella se quel cinque è reale oppure no”.
“Ma dai, cosa c'entra?”.
“C'entra eccome: un cinque in pagella, un simbolo intangibile e, per te, non esistente, ha degli effetti (di solito negativi) sulla vita del povero studente. Per lui è certamente reale. A volte prendere un cinque comporta una diminuzione negli introiti di denaro dello studente, altre volte comporta arrossamenti dei glutei, privazioni di qualche libertà, mancanza di banda nella connessione a internet, improvvise sparizioni di modem, isolamento dalle comunicazioni telefoniche, lavoro estivo. Tutto realissimo”.
“Vabbé. Quindi? I numeri naturali esistono, i reali no?”.
“Proprio così. Prendi questo tavolo, se lo tagli a metà cosa ottieni?”.
“Due mezzi tavoli”.
“Per quanto tu voglia tagliarlo, otterrai sempre parti misurabili con frazioni. Poi a un certo punto ti fermi, non puoi certo andare avanti all'infinito”.
“Va bene, ma il tavolo è un oggetto reale”.
“Certo che è reale. E per misurare un oggetto reale non servono i numeri reali. Ti pare logico?”.
“Effettivamente...”.
“La favola della continuità è una invenzione. Non esiste la continuità, tutto è discreto. A chi servono i numeri reali?”.
“Mamma mia, ma ti senti bene?”.
“Mai stato meglio! Abbiamo visto che con i numeri naturali possiamo definire gli interi e i razionali. Tutto è misurabile con i razionali, non ci serve altro!”.
“Ma allora, la faccenda della diagonale del quadrato...”.
“Cosacosacosa?”.
“Ma sì, dai, il fatto che la diagonale di un quadrato non si può esprimere in nessun modo come frazione del lato”.
“Mmmmh”.
“Cosa?”.
“Tra un po' vai in vacanza, vero?”.
“Eh? Sì, ma cosa c'entra?”.
“E come vai? In nave?”.
“Sì, ma... Sicuro di stare bene?”.
“Sì, sì, non ti preoccupare. Ecco, più o meno è andata così”.
“Cosa?”.
“La vicenda della scoperta dei numeri irrazionali, che ha portato alla consapevolezza che i numeri razionali non sono sufficienti. La scoperta, insomma, del fatto che anche se i numeri razionali riempiono una retta in modo denso, rimangono comunque di buchi”.
“Sai, per un attimo ho pensato che tu fossi impazzito”.
“Ho solo fatto finta di essere Pitagora. La leggenda narra che il divulgatore di questa notizia abbia fatto una brutta fine”.
“L'hanno ammazzato?”.
“Diciamo che la sua nave è naufragata. Almeno questa è la versione ufficiale”.
“Anche Pitagora non era sano di mente, allora”.
“Il fatto è che in un certo senso aveva ragione: i numeri reali non servirebbero per descrivere la natura. E nonostante questo li chiamiamo reali: sembra una presa in giro”.
“E allora perché li definiamo?”.
“L'hai detto tu: se ammetti l'esistenza di un quadrato ideale, hai bisogno di definire la radice di due. È necessario. E anche su questo termine ci sarebbe molto da discutere”.
“Sì, è vero. Basta anche solo parlare di numeri naturali per dare avvio a qualche discussione filosofica”.
“Infatti. Eppure, se ammettiamo l'esistenza dei numeri naturali, necessariamente dobbiamo arrivare a definire i numeri reali: è una questione di completezza. Se sulla retta dei numeri (razionali) ci sono ancora dei buchi, vuole dire che esistono altri numeri. Sono già lì, aspettano solo di essere scoperti ”.
“Ma allora, li costruiamo o li scopriamo?”.
“O li descriviamo? Questo è pane per i filosofi”.
“Mi viene in mente una storiella, sui matematici e i filosofi...”.
“Quale?”.
“Un fisico sperimentale, per lavorare, ha bisogno di carta, penna, di un cestino per buttare via i conti sbagliati, e di un acceleratore di particelle. Un fisico teorico, invece, ha bisogno di carta, penna, un cestino, e un terminale col quale poter accedere alle risorse di qualche supercomputer. Un matematico ha bisogno solo di carta, penna e cestino. Coi filosofi puoi risparmiare il prezzo del cestino”.
“Mah...”.
“Cosa?”.
“Che bisogno c'è?”.
“Eh?”.
“Voglio dire: a cosa ci serve? Hai mai visto un numero reale?”.
“Se è per questo non ho mai visto nemmeno un numero naturale”.
“No? Guardati la mano?”.
“Cos'ha?”.
“Quante dita ci sono?”.
“Cinque”.
“Ecco. Un numero naturale”.
“No, un momento, non è un numero naturale. È un insieme di oggetti reali, tangibili, composto da cinque elementi. Cinque rappresenta solo la quantità di elementi”.
“Quindi tu sostieni che un numero esiste solo se puoi in qualche modo toccarlo? Altrimenti non esiste?”.
“Bé, sì”.
“Chiedi a uno studente che ha avuto un cinque in pagella se quel cinque è reale oppure no”.
“Ma dai, cosa c'entra?”.
“C'entra eccome: un cinque in pagella, un simbolo intangibile e, per te, non esistente, ha degli effetti (di solito negativi) sulla vita del povero studente. Per lui è certamente reale. A volte prendere un cinque comporta una diminuzione negli introiti di denaro dello studente, altre volte comporta arrossamenti dei glutei, privazioni di qualche libertà, mancanza di banda nella connessione a internet, improvvise sparizioni di modem, isolamento dalle comunicazioni telefoniche, lavoro estivo. Tutto realissimo”.
“Vabbé. Quindi? I numeri naturali esistono, i reali no?”.
“Proprio così. Prendi questo tavolo, se lo tagli a metà cosa ottieni?”.
“Due mezzi tavoli”.
“Per quanto tu voglia tagliarlo, otterrai sempre parti misurabili con frazioni. Poi a un certo punto ti fermi, non puoi certo andare avanti all'infinito”.
“Va bene, ma il tavolo è un oggetto reale”.
“Certo che è reale. E per misurare un oggetto reale non servono i numeri reali. Ti pare logico?”.
“Effettivamente...”.
“La favola della continuità è una invenzione. Non esiste la continuità, tutto è discreto. A chi servono i numeri reali?”.
“Mamma mia, ma ti senti bene?”.
“Mai stato meglio! Abbiamo visto che con i numeri naturali possiamo definire gli interi e i razionali. Tutto è misurabile con i razionali, non ci serve altro!”.
“Ma allora, la faccenda della diagonale del quadrato...”.
“Cosacosacosa?”.
“Ma sì, dai, il fatto che la diagonale di un quadrato non si può esprimere in nessun modo come frazione del lato”.
“Mmmmh”.
“Cosa?”.
“Tra un po' vai in vacanza, vero?”.
“Eh? Sì, ma cosa c'entra?”.
“E come vai? In nave?”.
“Sì, ma... Sicuro di stare bene?”.
“Sì, sì, non ti preoccupare. Ecco, più o meno è andata così”.
“Cosa?”.
“La vicenda della scoperta dei numeri irrazionali, che ha portato alla consapevolezza che i numeri razionali non sono sufficienti. La scoperta, insomma, del fatto che anche se i numeri razionali riempiono una retta in modo denso, rimangono comunque di buchi”.
“Sai, per un attimo ho pensato che tu fossi impazzito”.
“Ho solo fatto finta di essere Pitagora. La leggenda narra che il divulgatore di questa notizia abbia fatto una brutta fine”.
“L'hanno ammazzato?”.
“Diciamo che la sua nave è naufragata. Almeno questa è la versione ufficiale”.
“Anche Pitagora non era sano di mente, allora”.
“Il fatto è che in un certo senso aveva ragione: i numeri reali non servirebbero per descrivere la natura. E nonostante questo li chiamiamo reali: sembra una presa in giro”.
“E allora perché li definiamo?”.
“L'hai detto tu: se ammetti l'esistenza di un quadrato ideale, hai bisogno di definire la radice di due. È necessario. E anche su questo termine ci sarebbe molto da discutere”.
“Sì, è vero. Basta anche solo parlare di numeri naturali per dare avvio a qualche discussione filosofica”.
“Infatti. Eppure, se ammettiamo l'esistenza dei numeri naturali, necessariamente dobbiamo arrivare a definire i numeri reali: è una questione di completezza. Se sulla retta dei numeri (razionali) ci sono ancora dei buchi, vuole dire che esistono altri numeri. Sono già lì, aspettano solo di essere scoperti ”.
“Ma allora, li costruiamo o li scopriamo?”.
“O li descriviamo? Questo è pane per i filosofi”.
“Mi viene in mente una storiella, sui matematici e i filosofi...”.
“Quale?”.
“Un fisico sperimentale, per lavorare, ha bisogno di carta, penna, di un cestino per buttare via i conti sbagliati, e di un acceleratore di particelle. Un fisico teorico, invece, ha bisogno di carta, penna, un cestino, e un terminale col quale poter accedere alle risorse di qualche supercomputer. Un matematico ha bisogno solo di carta, penna e cestino. Coi filosofi puoi risparmiare il prezzo del cestino”.
mercoledì 24 giugno 2009
Su un particolare insieme numerico - operazioni nei numeri razionali
“Ora definiamo le operazioni in Q?”.
“Sì, anche se prima dobbiamo verificare che l'insieme che abbiamo definito esiste”.
“In che senso?”.
“Nel senso che non abbiamo ancora visto se la relazione che abbiamo definito è una relazione di equivalenza”.
“Ah, già. Allora, dobbiamo verificare se valgono le tre proprietà: riflessiva, simmetrica, transitiva. Giusto?”.
“Giusto. Parti con la proprietà riflessiva, allora”.
“Dunque, vediamo: (a,b) è in relazione con (a,b). Questo significa, secondo la definizione, che ab=ab. Bé, facile, è vero”.
“Bene, ora vai con la proprietà simmetrica. È vero che se (a,b) è in relazione con (c,d) allora (c,d) è in relazione con (a,b)?”.
“La prima uguaglianza significa ad=bc; la seconda cb=da. Mi pare che sia giusto”.
“Sì, è giusto perché facciamo riferimento alla proprietà commutativa dei numeri interi, insieme che abbiamo già definito (anche se non abbiamo dimostrato esplicitamente questa proprietà, ma ti posso lasciare la dimostrazione come esercizio)”.
“Va bene, va bene. Ora la proprietà transitiva, che è sempre la più complicata”.
“Già. Le tue ipotesi sono queste: (a,b) è in relazione con (c,d) e (c,d) è in relazione con (e,f). Devi dimostrare che (a,b) è in relazione con (e,f)”.
“Vediamo: la prima si traduce nell'uguaglianza ad=bc, la seconda invece diventa cf=de. Adesso?”.
“Adesso moltiplicale tra loro. A cosa è uguale adcf?”.
“Uhm, adcf=bcde”.
“Ora puoi semplificare a destra e a sinistra”.
“E rimane af=be. Giusto! Allora Q esiste davvero...”.
“Infatti. Ora, già che ci sei, definisci le operazioni di somma e prodotto”.
“Come faccio? Usando il solito trucco?”.
“Sì: fai prima le operazioni con le frazioni, poi traduci”.
“Allora, vediamo: devo calcolare a/b + c/d. Devo calcolare il denominatore comune, e mi risulta (ad+cb)/(bd)”.
“Perfetto. Ora traduci nel linguaggio delle coppie”.
“Dovrebbe essere questo: (a,b) + (c,d) = (ad+bc,bd)”.
“Perfetto: questa è la somma. Prova a calcolare, per esempio, 1/2 + 1/2”.
“Uhm, cioè (1,2)+(1,2). Risulta (1×2+ 2×1, 2×2), cioè (4,4)”.
“Che è equivalente a (1,1), giusto?”.
“Eh, sì, secondo la definizione (4,4) è in relazione con (1,1) perché 4×1 è uguale a 4×1”.
“Perfetto, ti lascio come esercizio la verifica del fatto che questa è una definizione ben posta”.
“Uh, è vero, bisogna fare anche questo tipo di verifica”.
“Pensaci. Intanto, definiamo anche il prodotto”.
“Vado: a/b × c/d dà come risultato ac/bd. Questo è più facile”.
“Sì, non ci sono denominatori comuni da fare”.
“Viene così: (a,b)×(c,d) = (ac,bd)”.
“Perfetto. Prova a calcolare 2×1/2”.
“(2,1)×(1,2) = (2,2). Perfetto, risulta 1”.
“In generale abbiamo che il reciproco di (a,b) è (b,a)”.
“Ah, sì, giusto: se li moltiplico risulta 1”.
“Perfetto. Così abbiamo definito l'insieme Q”.
“E ora con lo stesso sistema definiamo R? Facciamo una nuova relazione di equivalenza, e creiamo i numeri reali?”.
“Eh, no, non si può”.
“Perché?”.
“Perché i numeri reali sono troppi. Il prodotto cartesiano Q×Q contiene pochi elementi: ricordi? Ne avevamo parlato: la cardinalità dei numeri reali è maggiore di quella dei numeri razionali (mentre il prodotto cartesiano di Q per sé stesso ha la stessa cardinalità di Q — ℵ0 moltiplicato ℵ0 fa ℵ0)”.
“Ahi. Allora questo bel sistema non funziona più?”.
“Purtroppo no. Costruire i numeri reali è complicato (e infatti l'altra volta li avevamo definiti in modo assiomatico, ma avevamo evitato il problema di costruirli)”.
“Adesso il problema non lo evitiamo più?”.
“No, ci tuffiamo proprio dentro, al problema. Dovremo prendere i razionali e tagliuzzarli per bene, per riuscire ad ottenere tutti i numeri reali”.
“Sì, anche se prima dobbiamo verificare che l'insieme che abbiamo definito esiste”.
“In che senso?”.
“Nel senso che non abbiamo ancora visto se la relazione che abbiamo definito è una relazione di equivalenza”.
“Ah, già. Allora, dobbiamo verificare se valgono le tre proprietà: riflessiva, simmetrica, transitiva. Giusto?”.
“Giusto. Parti con la proprietà riflessiva, allora”.
“Dunque, vediamo: (a,b) è in relazione con (a,b). Questo significa, secondo la definizione, che ab=ab. Bé, facile, è vero”.
“Bene, ora vai con la proprietà simmetrica. È vero che se (a,b) è in relazione con (c,d) allora (c,d) è in relazione con (a,b)?”.
“La prima uguaglianza significa ad=bc; la seconda cb=da. Mi pare che sia giusto”.
“Sì, è giusto perché facciamo riferimento alla proprietà commutativa dei numeri interi, insieme che abbiamo già definito (anche se non abbiamo dimostrato esplicitamente questa proprietà, ma ti posso lasciare la dimostrazione come esercizio)”.
“Va bene, va bene. Ora la proprietà transitiva, che è sempre la più complicata”.
“Già. Le tue ipotesi sono queste: (a,b) è in relazione con (c,d) e (c,d) è in relazione con (e,f). Devi dimostrare che (a,b) è in relazione con (e,f)”.
“Vediamo: la prima si traduce nell'uguaglianza ad=bc, la seconda invece diventa cf=de. Adesso?”.
“Adesso moltiplicale tra loro. A cosa è uguale adcf?”.
“Uhm, adcf=bcde”.
“Ora puoi semplificare a destra e a sinistra”.
“E rimane af=be. Giusto! Allora Q esiste davvero...”.
“Infatti. Ora, già che ci sei, definisci le operazioni di somma e prodotto”.
“Come faccio? Usando il solito trucco?”.
“Sì: fai prima le operazioni con le frazioni, poi traduci”.
“Allora, vediamo: devo calcolare a/b + c/d. Devo calcolare il denominatore comune, e mi risulta (ad+cb)/(bd)”.
“Perfetto. Ora traduci nel linguaggio delle coppie”.
“Dovrebbe essere questo: (a,b) + (c,d) = (ad+bc,bd)”.
“Perfetto: questa è la somma. Prova a calcolare, per esempio, 1/2 + 1/2”.
“Uhm, cioè (1,2)+(1,2). Risulta (1×2+ 2×1, 2×2), cioè (4,4)”.
“Che è equivalente a (1,1), giusto?”.
“Eh, sì, secondo la definizione (4,4) è in relazione con (1,1) perché 4×1 è uguale a 4×1”.
“Perfetto, ti lascio come esercizio la verifica del fatto che questa è una definizione ben posta”.
“Uh, è vero, bisogna fare anche questo tipo di verifica”.
“Pensaci. Intanto, definiamo anche il prodotto”.
“Vado: a/b × c/d dà come risultato ac/bd. Questo è più facile”.
“Sì, non ci sono denominatori comuni da fare”.
“Viene così: (a,b)×(c,d) = (ac,bd)”.
“Perfetto. Prova a calcolare 2×1/2”.
“(2,1)×(1,2) = (2,2). Perfetto, risulta 1”.
“In generale abbiamo che il reciproco di (a,b) è (b,a)”.
“Ah, sì, giusto: se li moltiplico risulta 1”.
“Perfetto. Così abbiamo definito l'insieme Q”.
“E ora con lo stesso sistema definiamo R? Facciamo una nuova relazione di equivalenza, e creiamo i numeri reali?”.
“Eh, no, non si può”.
“Perché?”.
“Perché i numeri reali sono troppi. Il prodotto cartesiano Q×Q contiene pochi elementi: ricordi? Ne avevamo parlato: la cardinalità dei numeri reali è maggiore di quella dei numeri razionali (mentre il prodotto cartesiano di Q per sé stesso ha la stessa cardinalità di Q — ℵ0 moltiplicato ℵ0 fa ℵ0)”.
“Ahi. Allora questo bel sistema non funziona più?”.
“Purtroppo no. Costruire i numeri reali è complicato (e infatti l'altra volta li avevamo definiti in modo assiomatico, ma avevamo evitato il problema di costruirli)”.
“Adesso il problema non lo evitiamo più?”.
“No, ci tuffiamo proprio dentro, al problema. Dovremo prendere i razionali e tagliuzzarli per bene, per riuscire ad ottenere tutti i numeri reali”.
martedì 23 giugno 2009
Evoluzione
Una volta i ggiovani inserivano, in ogni frase, due o tre cioè. Poi si sono evoluti, e i cioè sono diventati dei ciè pronunciati sempre più velocemente. Ultimamente si sente spesso dire cè. E tu pensi, vabbè, dai, hanno capito che dire sempre cioè non serve a niente, ora cominciano a pronunciarlo sempre più in fretta, tra poco sparirà dalla lingua parlata: in fondo sei contento.
È quando vedi che scrivono c'è che capisci che qualcosa non va.
È quando vedi che scrivono c'è che capisci che qualcosa non va.
lunedì 22 giugno 2009
Su un particolare insieme numerico - costruzione dei numeri razionali
“Ora costruiamo i numeri razionali”.
“Uffa, immagino un'altra roba complicata e incomprensibile. C'è un trucco anche qui?”.
“Sì, ma questa volta te lo spiego prima”.
“Uh? Come mai questa bontà?”.
“Bè, il fatto è che il trucco lo conosci già”.
“Eh?”.
“Sì, lo conoscono tutti. Cos'è un numero razionale?”.
“Una frazione”.
“Cioè il rapporto tra due numeri interi”.
“Giusto”.
“Che normalmente si scrive a/b”.
“Giusto”.
“Ma che noi potremmo anche scrivere (a,b)”.
“...”.
“Cosa c'è?”.
“Vuoi dire che se scrivo (a,b) pensando a a/b ho già definito i numeri razionali? Così facile?”.
“Sì. Prova”.
“Ehm, da dove si parte?”.
“Devi partire dalla relazione di equivalenza: quand'è che due coppie (a,b) e (c,d) rappresentano lo stesso numero razionale?”.
“Boh”.
“Te lo traduco: quand'è che due frazioni a/b e c/d rappresentano lo stesso numero?”.
“Ah, uhm, comincio a capire... Bè, quando ridotte ai minimi termini sono uguali”.
“Sì, è vero, ma stai usando un linguaggio complicato: per parlare di riduzione ai minimi termini bisogna parlare di Massimo Comun Divisore e di divisioni”.
“E non va bene?”.
“Non è che non vada bene: non è semplice. Le divisioni non le abbiamo nemmeno definite. Si può fare, ma ci piacerebbe utilizzare un linguaggio più semplice”.
“Proprio tu parli di linguaggio semplice?”.
“Esistono alcune parole che, nel mondo dei Veri Matematici, hanno significato diverso da quello che avrebbero nel mondo della gente comune”.
“Benissimo. Immagino che semplice sia una di queste parole”.
“Potremmo dire che è la prima”.
“A posto. Cosa significherebbe, per te, semplice?”.
“Significa che fa uso della minor quantità possibile di concetti. Nel nostro caso, vogliamo dire quando due frazioni sono equivalenti senza parlare di divisioni, perché saremmo obbligati a definirle e noi non vogliamo essere obbligati a fare niente”.
“Ah, uhm, ok. Un punto di vista originale”.
“E quindi, come si fa a dire che a/b e c/d sono equivalenti?”.
“Non saprei proprio”.
“A scuola non hai mai calcolato un denominatore comune tra due frazioni?”.
“Certo, ma mi hai appena detto che non vuoi usare le divisioni!”.
“E tu pensale solo senza scriverle...”.
“Tu sei malato”.
“Ti ho pur detto che semplice è una parola dai tanti significati...”.
“Vabbè. Allora, parto da a/b = c/d e faccio il denominatore comune. Viene ad/bd = bc/bd. Non mi pare di aver semplificato niente”.
“Infatti non l'hai ancora fatto. Ora, appunto, semplifica il denominatore”.
“Ricordandomi che servono delle condizioni di esistenza, cioè b e d devono essere diversi da 0, mi risulta ad = bc”.
“Ti dice niente?”.
“Ah, ma sì! Alle medie la chiamavano la moltiplicazione in croce. Giusto! Mi sono sempre chiesto a cosa servisse”.
“A semplificare le cose complicate”.
“Per me è complicare le cose semplici, ma andiamo avanti”.
“Ormai abbiamo finito, si tratta solo di formalizzare il tutto nascondendo sapientemente il trucco usato, in modo da creare quell'alone di mistero che ci piace sempre avere intorno”.
“Uhm, allora provo. Due coppie sono equivalenti se...”.
“Aspetta, aspetta, se vuoi formalizzare fallo per bene.”.
“Cosa devo fare?”.
“Devi partire dal prodotto cartesiano, come avevamo fatto per i numeri interi”.
“Forse è meglio se lo fai tu...”.
“Ok, ecco qua:”.
Sia data la seguente relazione, definita sul prodotto cartesiano Z×Z*:
due coppie (a,b) e (c,d) sono in relazione se e solo se ad = bc.
L'insieme quoziente di questa relazione di equivalenza si chiama insieme dei numeri razionali e si indica con il simbolo Q.
“Tutto ciò è meraviglioso”.
“Ti piace?”.
“Il viaggio all'interno di una mente malata è sempre affascinante, anche se insidioso”.
“Eh?”.
“Ma scusa, ti pare semplice? Non si capisce niente! Cosa sono Z e Z*?”.
“Z è naturalmente l'insieme dei numeri interi. Hai ragione, mi sono dimenticato di assegnarli un simbolo quando l'abbiamo definito. Con Z* intendiamo l'insieme dei numeri interi privato dello 0, dato che non ci piace avere 0 al denominatore. La definizione è semplice perché richiede solo il concetto di moltiplicazione. È misteriosa perché uno che non è pratico di queste cose non le capisce, anche se le sa usare dalla scuola media”.
“Esistono sette segrete di matematici? Vi ritrovate periodicamente per pensare a come complicare la vita a chi studia matematica?”.
“No, ci viene naturale farlo anche da soli”.
“Uffa, immagino un'altra roba complicata e incomprensibile. C'è un trucco anche qui?”.
“Sì, ma questa volta te lo spiego prima”.
“Uh? Come mai questa bontà?”.
“Bè, il fatto è che il trucco lo conosci già”.
“Eh?”.
“Sì, lo conoscono tutti. Cos'è un numero razionale?”.
“Una frazione”.
“Cioè il rapporto tra due numeri interi”.
“Giusto”.
“Che normalmente si scrive a/b”.
“Giusto”.
“Ma che noi potremmo anche scrivere (a,b)”.
“...”.
“Cosa c'è?”.
“Vuoi dire che se scrivo (a,b) pensando a a/b ho già definito i numeri razionali? Così facile?”.
“Sì. Prova”.
“Ehm, da dove si parte?”.
“Devi partire dalla relazione di equivalenza: quand'è che due coppie (a,b) e (c,d) rappresentano lo stesso numero razionale?”.
“Boh”.
“Te lo traduco: quand'è che due frazioni a/b e c/d rappresentano lo stesso numero?”.
“Ah, uhm, comincio a capire... Bè, quando ridotte ai minimi termini sono uguali”.
“Sì, è vero, ma stai usando un linguaggio complicato: per parlare di riduzione ai minimi termini bisogna parlare di Massimo Comun Divisore e di divisioni”.
“E non va bene?”.
“Non è che non vada bene: non è semplice. Le divisioni non le abbiamo nemmeno definite. Si può fare, ma ci piacerebbe utilizzare un linguaggio più semplice”.
“Proprio tu parli di linguaggio semplice?”.
“Esistono alcune parole che, nel mondo dei Veri Matematici, hanno significato diverso da quello che avrebbero nel mondo della gente comune”.
“Benissimo. Immagino che semplice sia una di queste parole”.
“Potremmo dire che è la prima”.
“A posto. Cosa significherebbe, per te, semplice?”.
“Significa che fa uso della minor quantità possibile di concetti. Nel nostro caso, vogliamo dire quando due frazioni sono equivalenti senza parlare di divisioni, perché saremmo obbligati a definirle e noi non vogliamo essere obbligati a fare niente”.
“Ah, uhm, ok. Un punto di vista originale”.
“E quindi, come si fa a dire che a/b e c/d sono equivalenti?”.
“Non saprei proprio”.
“A scuola non hai mai calcolato un denominatore comune tra due frazioni?”.
“Certo, ma mi hai appena detto che non vuoi usare le divisioni!”.
“E tu pensale solo senza scriverle...”.
“Tu sei malato”.
“Ti ho pur detto che semplice è una parola dai tanti significati...”.
“Vabbè. Allora, parto da a/b = c/d e faccio il denominatore comune. Viene ad/bd = bc/bd. Non mi pare di aver semplificato niente”.
“Infatti non l'hai ancora fatto. Ora, appunto, semplifica il denominatore”.
“Ricordandomi che servono delle condizioni di esistenza, cioè b e d devono essere diversi da 0, mi risulta ad = bc”.
“Ti dice niente?”.
“Ah, ma sì! Alle medie la chiamavano la moltiplicazione in croce. Giusto! Mi sono sempre chiesto a cosa servisse”.
“A semplificare le cose complicate”.
“Per me è complicare le cose semplici, ma andiamo avanti”.
“Ormai abbiamo finito, si tratta solo di formalizzare il tutto nascondendo sapientemente il trucco usato, in modo da creare quell'alone di mistero che ci piace sempre avere intorno”.
“Uhm, allora provo. Due coppie sono equivalenti se...”.
“Aspetta, aspetta, se vuoi formalizzare fallo per bene.”.
“Cosa devo fare?”.
“Devi partire dal prodotto cartesiano, come avevamo fatto per i numeri interi”.
“Forse è meglio se lo fai tu...”.
“Ok, ecco qua:”.
Sia data la seguente relazione, definita sul prodotto cartesiano Z×Z*:
due coppie (a,b) e (c,d) sono in relazione se e solo se ad = bc.
L'insieme quoziente di questa relazione di equivalenza si chiama insieme dei numeri razionali e si indica con il simbolo Q.
“Tutto ciò è meraviglioso”.
“Ti piace?”.
“Il viaggio all'interno di una mente malata è sempre affascinante, anche se insidioso”.
“Eh?”.
“Ma scusa, ti pare semplice? Non si capisce niente! Cosa sono Z e Z*?”.
“Z è naturalmente l'insieme dei numeri interi. Hai ragione, mi sono dimenticato di assegnarli un simbolo quando l'abbiamo definito. Con Z* intendiamo l'insieme dei numeri interi privato dello 0, dato che non ci piace avere 0 al denominatore. La definizione è semplice perché richiede solo il concetto di moltiplicazione. È misteriosa perché uno che non è pratico di queste cose non le capisce, anche se le sa usare dalla scuola media”.
“Esistono sette segrete di matematici? Vi ritrovate periodicamente per pensare a come complicare la vita a chi studia matematica?”.
“No, ci viene naturale farlo anche da soli”.
sabato 20 giugno 2009
Su un particolare insieme numerico - la moltiplicazione di numeri interi
“Vediamo come definire la moltiplicazione tra due numeri interi”.
“Utilizzando il trucco?”.
“Sì. Se ricordi, il trucco consiste nello scrivere un numero intero come coppia (x,y), immaginando però di avere a che fare con il numero x-y”.
“Cioè, noi scriviamo (x,y) ma, nella nostra testa, senza dirlo a nessuno, pensiamo a x-y?”.
“Esatto”.
“E con questo possiamo scrivere la regola della moltiplicazione in modo decente?”.
“Sì. Noi dovremmo scrivere il risultato della moltiplicazione tra (n,m) e (p,q)”.
“Allora, vediamo se ho capito. Io, nella mia testa, dovrei pensare invece a n-m e p-q”.
“Sì”.
“Ok. E adesso?”.
“E adesso li moltiplichi”.
“Boh, va bene: (n-m)(p-q) è uguale a np-nq-mp+mq. Non so bene cosa farmene, però”.
“Devi prima trasformare il risultato in una differenza del tipo A-B, che però ti guarderai bene dallo scrivere come differenza”.
“E come dovrò scriverla?”.
“Bè, come coppia (A,B)”.
“Ah! Ho capito il trucco! Faccio le operazioni in modo normale, poi traduco tutto nel linguaggio misterioso dei Veri Matematici”.
“Proprio così: prova”.
“Allora, prima devo trasformare np-nq-mp+mq in una differenza. Uhm, una cosa del genere: (np+mq)-(nq+mp). Può andare?”.
“Va benissimo. La pensi così, ma la scrivi come coppia: (np+mq,nq+mp)”.
“Quindi, utilizzando il linguaggio delle coppie, ho definito la moltiplicazione tra due numeri interi in questo modo: (n,m)×(p,q) = (np+mq,nq+mp). È corretto?”.
“Certo, questa è la definizione. Se non si conoscono i passaggi intermedi, è abbastanza misteriosa”.
“Già. Fammi fare una prova: provo a calcolare 3×2”.
“Bravo. Bisogna sempre provare, non sarebbe elegante presentare una teoria misteriosa e sbagliata”.
“Posso scrivere 3 come coppia (3,0) e 2 come (2,0)”.
“Naturalmente questa è una delle infinite scelte che puoi fare”.
“Eh, lo so. Mi ricordo che si deve dimostrare che la definizione è una buona definizione, ma magari ci penso dopo. Adesso vorrei provare a capire se 3 per 2 fa davvero 6”.
“Ok, vai avanti applicando la regola”.
“Allora, (3,0)×(2,0) = (3×2 + 0×0, 3×0 + 0×2) = (6,0). Pare funzionare”.
“Almeno in uno degli infini casi”.
“Un po' poco. Dovrei provare a generalizzare”.
“Prova. Invece di prendere (n,m) come primo fattore, prova a prenderne un altro che fa parte della stessa classe di equivalenza”.
“Potrei prendere (n+x,m+x), ora che mi ha spiegato il trucco non mi ferma più nessuno”.
“Perfetto. Ora moltiplica per (p,q)”.
“Vado: (n+x,m+x)×(p,q) = (np+xp+mq+xq, nq+xq+mp+xp). Bruttino”.
“Bruttino, ma appartiene alla stessa classe di (np+mq, nq+mp)?”.
“Ah, sì! I due addendi xp e xq compaiono sia nel primo elemento della coppia che nel secondo, quindi la nostra moltiplicazione funziona davvero!”.
“Già. Se vuoi complicare ancora, puoi prendere un elemento generico anche per (p,q) e rifare i calcoli, ma direi che ce li possiamo risparmiare, no?”.
“Sì, ho capito il funzionamento: compariranno sempre termini semplificabili”.
“Perfetto. Ora la definizione di numeri interi è completa”.
“E cosa ci facciamo?”.
“La usiamo per costruire i numeri razionali”.
“Utilizzando il trucco?”.
“Sì. Se ricordi, il trucco consiste nello scrivere un numero intero come coppia (x,y), immaginando però di avere a che fare con il numero x-y”.
“Cioè, noi scriviamo (x,y) ma, nella nostra testa, senza dirlo a nessuno, pensiamo a x-y?”.
“Esatto”.
“E con questo possiamo scrivere la regola della moltiplicazione in modo decente?”.
“Sì. Noi dovremmo scrivere il risultato della moltiplicazione tra (n,m) e (p,q)”.
“Allora, vediamo se ho capito. Io, nella mia testa, dovrei pensare invece a n-m e p-q”.
“Sì”.
“Ok. E adesso?”.
“E adesso li moltiplichi”.
“Boh, va bene: (n-m)(p-q) è uguale a np-nq-mp+mq. Non so bene cosa farmene, però”.
“Devi prima trasformare il risultato in una differenza del tipo A-B, che però ti guarderai bene dallo scrivere come differenza”.
“E come dovrò scriverla?”.
“Bè, come coppia (A,B)”.
“Ah! Ho capito il trucco! Faccio le operazioni in modo normale, poi traduco tutto nel linguaggio misterioso dei Veri Matematici”.
“Proprio così: prova”.
“Allora, prima devo trasformare np-nq-mp+mq in una differenza. Uhm, una cosa del genere: (np+mq)-(nq+mp). Può andare?”.
“Va benissimo. La pensi così, ma la scrivi come coppia: (np+mq,nq+mp)”.
“Quindi, utilizzando il linguaggio delle coppie, ho definito la moltiplicazione tra due numeri interi in questo modo: (n,m)×(p,q) = (np+mq,nq+mp). È corretto?”.
“Certo, questa è la definizione. Se non si conoscono i passaggi intermedi, è abbastanza misteriosa”.
“Già. Fammi fare una prova: provo a calcolare 3×2”.
“Bravo. Bisogna sempre provare, non sarebbe elegante presentare una teoria misteriosa e sbagliata”.
“Posso scrivere 3 come coppia (3,0) e 2 come (2,0)”.
“Naturalmente questa è una delle infinite scelte che puoi fare”.
“Eh, lo so. Mi ricordo che si deve dimostrare che la definizione è una buona definizione, ma magari ci penso dopo. Adesso vorrei provare a capire se 3 per 2 fa davvero 6”.
“Ok, vai avanti applicando la regola”.
“Allora, (3,0)×(2,0) = (3×2 + 0×0, 3×0 + 0×2) = (6,0). Pare funzionare”.
“Almeno in uno degli infini casi”.
“Un po' poco. Dovrei provare a generalizzare”.
“Prova. Invece di prendere (n,m) come primo fattore, prova a prenderne un altro che fa parte della stessa classe di equivalenza”.
“Potrei prendere (n+x,m+x), ora che mi ha spiegato il trucco non mi ferma più nessuno”.
“Perfetto. Ora moltiplica per (p,q)”.
“Vado: (n+x,m+x)×(p,q) = (np+xp+mq+xq, nq+xq+mp+xp). Bruttino”.
“Bruttino, ma appartiene alla stessa classe di (np+mq, nq+mp)?”.
“Ah, sì! I due addendi xp e xq compaiono sia nel primo elemento della coppia che nel secondo, quindi la nostra moltiplicazione funziona davvero!”.
“Già. Se vuoi complicare ancora, puoi prendere un elemento generico anche per (p,q) e rifare i calcoli, ma direi che ce li possiamo risparmiare, no?”.
“Sì, ho capito il funzionamento: compariranno sempre termini semplificabili”.
“Perfetto. Ora la definizione di numeri interi è completa”.
“E cosa ci facciamo?”.
“La usiamo per costruire i numeri razionali”.
mercoledì 17 giugno 2009
Su un particolare insieme numerico - sì, sono proprio quei numeri interi
“Ora che abbiamo capito il trucco, possiamo andare più spediti. Per esempio, abbiamo detto che la classe individuata dalla coppia (1,0) rappresenta il numero +1 e, più in generale, abbiamo capito che una coppia (x,y) rappresenta il numero x-y, se x è maggiore o uguale di y”.
“Uhm, ricordo che c'era un problema con i numeri negativi: avevi detto che non possiamo calcolare x-y se x è minore di y, perché possiamo fare solo operazioni con i numeri naturali”.
“Proprio così. Dato che stiamo costruendo i numeri interi, non possiamo già utilizzarli”.
“Se ben ricordo, avevi detto che i numeri naturali vengono immersi nei nuovi numeri che stiamo costruendo”.
“Sì. Ci eravamo fermati di fronte a numeri come (0,1)”.
“Vero. Ricordo che avevi fatto una domanda: come facciamo a sapere se (0,1) è proprio -1?”.
“Ricordi anche la risposta?”.
“Avevi detto che ci serviva una somma. Bene, la somma l'abbiamo definita, e mi hai spiegato anche il trucco. Ora come la usiamo?”.
“Calcoliamo la somma (1,0) + (0,1)”.
“Secondo la regola risulta (1,1)”.
“A che numero corrisponde (1,1)?”.
“Corrisponde a 0, dato che 1-1 fa 0”.
“Bene. Quindi i due numeri (1,0) e (0,1) sono opposti”.
“Giusto”.
“E dato che (1,0) corrisponde a +1...”.
“Ah, ho capito! (0,1) sarà il suo opposto, quello che normalmente chiamiamo -1”.
“Proprio così. Ecco quindi quello che abbiamo fatto: abbiamo immerso i numeri naturali nel nostro nuovo insieme, in modo che a ogni n naturale corrisponda la classe di equivalenza individuata da (n,0). Poi abbiamo visto che esistono classi, come quella individuata da (0,1), che non sono corrispondenti di nessun numero naturale. Queste classi sono i numeri negativi. Ed ecco che ora abbiamo a disposizione l'insieme dei numeri interi, con la somma”.
“Wow. Quindi a partire dai numeri naturali abbiamo costruito gli interi. Allora non sono numeri nuovi, ma sono stati fabbricati a partire dai vecchi”.
“Nihil novi sub solem”.
“C'era anche una frase famosa di un matematico che si riferiva a questo fatto”.
“Sì, è di Kronecker, e dice: Dio fece i numeri naturali, tutto il resto è opera dell'uomo. In realtà Kronecker la pronunciò per criticare il lavoro di Cantor sui numeri transfiniti (di cui ricorderai qualcosa, spero), ma possiamo applicarla anche a questo semplice caso”.
“Semplice?”.
“Eh, bè, sì. Abbiamo definito soltanto i numeri interi, e non completamente, ma ci sono anche altri tipi di numeri”.
“Oh mamma. Tutti si possono costruire in questo modo?”.
“Non proprio tutti allo stesso modo, ma lo vedremo pian piano. Per ora, vediamo di finire lo studio dei numeri interi”.
“Cosa manca?”.
“La moltiplicazione. Ma col trucco che ti ho spiegato sarà più semplice da capire”.
“Uhm, ricordo che c'era un problema con i numeri negativi: avevi detto che non possiamo calcolare x-y se x è minore di y, perché possiamo fare solo operazioni con i numeri naturali”.
“Proprio così. Dato che stiamo costruendo i numeri interi, non possiamo già utilizzarli”.
“Se ben ricordo, avevi detto che i numeri naturali vengono immersi nei nuovi numeri che stiamo costruendo”.
“Sì. Ci eravamo fermati di fronte a numeri come (0,1)”.
“Vero. Ricordo che avevi fatto una domanda: come facciamo a sapere se (0,1) è proprio -1?”.
“Ricordi anche la risposta?”.
“Avevi detto che ci serviva una somma. Bene, la somma l'abbiamo definita, e mi hai spiegato anche il trucco. Ora come la usiamo?”.
“Calcoliamo la somma (1,0) + (0,1)”.
“Secondo la regola risulta (1,1)”.
“A che numero corrisponde (1,1)?”.
“Corrisponde a 0, dato che 1-1 fa 0”.
“Bene. Quindi i due numeri (1,0) e (0,1) sono opposti”.
“Giusto”.
“E dato che (1,0) corrisponde a +1...”.
“Ah, ho capito! (0,1) sarà il suo opposto, quello che normalmente chiamiamo -1”.
“Proprio così. Ecco quindi quello che abbiamo fatto: abbiamo immerso i numeri naturali nel nostro nuovo insieme, in modo che a ogni n naturale corrisponda la classe di equivalenza individuata da (n,0). Poi abbiamo visto che esistono classi, come quella individuata da (0,1), che non sono corrispondenti di nessun numero naturale. Queste classi sono i numeri negativi. Ed ecco che ora abbiamo a disposizione l'insieme dei numeri interi, con la somma”.
“Wow. Quindi a partire dai numeri naturali abbiamo costruito gli interi. Allora non sono numeri nuovi, ma sono stati fabbricati a partire dai vecchi”.
“Nihil novi sub solem”.
“C'era anche una frase famosa di un matematico che si riferiva a questo fatto”.
“Sì, è di Kronecker, e dice: Dio fece i numeri naturali, tutto il resto è opera dell'uomo. In realtà Kronecker la pronunciò per criticare il lavoro di Cantor sui numeri transfiniti (di cui ricorderai qualcosa, spero), ma possiamo applicarla anche a questo semplice caso”.
“Semplice?”.
“Eh, bè, sì. Abbiamo definito soltanto i numeri interi, e non completamente, ma ci sono anche altri tipi di numeri”.
“Oh mamma. Tutti si possono costruire in questo modo?”.
“Non proprio tutti allo stesso modo, ma lo vedremo pian piano. Per ora, vediamo di finire lo studio dei numeri interi”.
“Cosa manca?”.
“La moltiplicazione. Ma col trucco che ti ho spiegato sarà più semplice da capire”.
martedì 16 giugno 2009
Su un particolare insieme numerico - il trucco
“Quindi c'è un trucco?”.
“Sì. Vedi, le teorie non nascono già belle e formalizzate. Prima che tutto funzioni bene hanno bisogno di lavoro, prove, tentativi, errori, correzioni”.
“Cosa che, però, i Veri Matematici si guardano bene di far sapere”.
“Eh, questo fa parte dell'alone di mistero che vogliono mantenere”.
“Forse è meglio se mi spieghi il trucco”.
“Sì, credo di sì. Dunque, per quale ragione nasce l'esigenza di utilizzare i numeri interi? Quand'è che i numeri naturali non bastano più?”.
“Uhm, quando si devono calcolare le sottrazioni?”.
“Esatto. Fino a che devi fare solo delle somme, i numeri naturali sono sufficienti. Ma quando devi fare delle sottrazioni, non ti bastano più: puoi calcolare 3-2, ma non puoi calcolare 2-3”.
“Va bene, questo me lo hanno spiegato alle elementari”.
“Perfetto. Ora quello che vogliamo fare è costruire il risultato di operazioni come 2-3 senza utilizzare il segno meno, cioè senza utilizzare numeri che ancora non esistono. Insomma vogliamo scrivere i numeri negativi utilizzando solo i numeri positivi”.
“Ok. Dunque come facciamo?”.
“Nascondiamo la sottrazione all'interno delle coppie di numeri”.
“Eh?”.
“Dovresti aver capito che la nostra definizione di numero intero come coppia di numeri naturali nasconde, al suo interno, una sottrazione”.
“Uhm, cioè vuoi dire che (3,2) corrisponde a +1 perché 3-2 è uguale a 1?”.
“Certo. E quindi (2,3) corrisponde a -1 per lo stesso motivo”.
“Però avevi detto che non potevi usare i numeri negativi”.
“Infatti nella definizione non li ho mai usati. Ora ti sto solo spiegando il trucco”.
“Va bene, vai avanti”.
“Allora, il trucco è questo: i numeri interi sono coppie di numeri, per ottenere il numero a cui corrisponde la coppia (n,m) ti basta calcolare n-m”.
“Fin qua ci sono”.
“Bene. Due numeri (n,m) e (p,q) sono uguali se n-m è uguale a p-q”.
“Ok, giusto”.
“Ma l'uguaglianza n-m = p-q è proibita, perché non sempre fornisce risultati accettabili, cioè non sempre fornisce numeri naturali, che sono gli unici oggetti che possiamo usare”.
“Ok, quindi?”.
“Quindi trasformiamo l'uguaglianza: portiamo m a destra e q a sinistra”.
“E otteniamo n+q = m+p. Ehi, è la definizione della relazione di equivalenza!”.
“Proprio lei”.
“E non potevi dirlo prima? Avrei capito subito dove saresti andato a parare”.
“Perdendo così quell'alone di mistero e quel senso di superiorità che è tanto caro ai Veri Matematici?”.
“Sì. Vedi, le teorie non nascono già belle e formalizzate. Prima che tutto funzioni bene hanno bisogno di lavoro, prove, tentativi, errori, correzioni”.
“Cosa che, però, i Veri Matematici si guardano bene di far sapere”.
“Eh, questo fa parte dell'alone di mistero che vogliono mantenere”.
“Forse è meglio se mi spieghi il trucco”.
“Sì, credo di sì. Dunque, per quale ragione nasce l'esigenza di utilizzare i numeri interi? Quand'è che i numeri naturali non bastano più?”.
“Uhm, quando si devono calcolare le sottrazioni?”.
“Esatto. Fino a che devi fare solo delle somme, i numeri naturali sono sufficienti. Ma quando devi fare delle sottrazioni, non ti bastano più: puoi calcolare 3-2, ma non puoi calcolare 2-3”.
“Va bene, questo me lo hanno spiegato alle elementari”.
“Perfetto. Ora quello che vogliamo fare è costruire il risultato di operazioni come 2-3 senza utilizzare il segno meno, cioè senza utilizzare numeri che ancora non esistono. Insomma vogliamo scrivere i numeri negativi utilizzando solo i numeri positivi”.
“Ok. Dunque come facciamo?”.
“Nascondiamo la sottrazione all'interno delle coppie di numeri”.
“Eh?”.
“Dovresti aver capito che la nostra definizione di numero intero come coppia di numeri naturali nasconde, al suo interno, una sottrazione”.
“Uhm, cioè vuoi dire che (3,2) corrisponde a +1 perché 3-2 è uguale a 1?”.
“Certo. E quindi (2,3) corrisponde a -1 per lo stesso motivo”.
“Però avevi detto che non potevi usare i numeri negativi”.
“Infatti nella definizione non li ho mai usati. Ora ti sto solo spiegando il trucco”.
“Va bene, vai avanti”.
“Allora, il trucco è questo: i numeri interi sono coppie di numeri, per ottenere il numero a cui corrisponde la coppia (n,m) ti basta calcolare n-m”.
“Fin qua ci sono”.
“Bene. Due numeri (n,m) e (p,q) sono uguali se n-m è uguale a p-q”.
“Ok, giusto”.
“Ma l'uguaglianza n-m = p-q è proibita, perché non sempre fornisce risultati accettabili, cioè non sempre fornisce numeri naturali, che sono gli unici oggetti che possiamo usare”.
“Ok, quindi?”.
“Quindi trasformiamo l'uguaglianza: portiamo m a destra e q a sinistra”.
“E otteniamo n+q = m+p. Ehi, è la definizione della relazione di equivalenza!”.
“Proprio lei”.
“E non potevi dirlo prima? Avrei capito subito dove saresti andato a parare”.
“Perdendo così quell'alone di mistero e quel senso di superiorità che è tanto caro ai Veri Matematici?”.
venerdì 12 giugno 2009
Perso
Sono entrato nel tunnel di Lost. Precipitato fino in fondo, come attratto da una potente forza. Elettromagnetica.
Su un particolare insieme numerico - la somma di numeri interi
La somma di due numeri interi (n,m) + (p,q) è uguale a (n+p,m+q).
“Sembra facile”.
“Esatto”.
“In che senso, esatto?”.
“Sembra facile”.
“Non è così?”.
“Non è tutto ovvio. Per esempio, è una definizione ben posta?”.
“Cosa significa?”.
“Ricordi che un numero intero è una intera classe di equivalenza, no? Per esempio, la classe individuata da (1,0) contiene anche (2,1), (3,2), e così via. In pratica, contiene tutte le coppie del tipo (a+1,a): a questa classe di equivalenza abbiamo dato il nome di +1”.
“Vero, un numero intero può essere scritto in tanti modi, come coppia di numeri naturali”.
“E allora, se prendo due modi diversi per rappresentare lo stesso numero, otterrò dalla somma lo stesso risultato?”.
“Ah. Uhm, non ci avevo pensato”.
“Cominciamo da un esempio facile: 1+1”.
“Non mi stai prendendo in giro, vero?”.
“No, no. Vorrei che tu calcolassi 1+1 come somma di numeri interi, non come somma di numeri naturali”.
“E non è la stessa cosa?”.
“No, perché ora stiamo costruendo i numeri interi, quindi non sappiamo ancora nulla su di essi. Invece sappiamo tutto sui numeri naturali, che sono i nostri mattoni”.
“Va bene, vediamo se ho capito. Se voglio calcolare 1+1 devo considerare numeri interi, cioè coppie di naturali. Quindi dovrei calcolare (1,0)+(1,0). Secondo la definizione, dovrebbe risultare (2,0)”.
“Giusto. Ora il problema è: cosa succede se al posto di (1,0) prendi un altro rappresentante?”.
“Uhm. Potrei prendere (2,1): mi stai chiedendo che succede se voglio calcolare (2,1)+(2,1)?”.
“O anche (2,1)+(1,0)”.
“Vediamo: (2,1)+(2,1) fa (4,2). Ehi, va bene, perché (4,2) è in relazione con (2,0)!”.
“Giusto. Se invece calcoli (2,1)+(1,0)?”.
“In questo caso risulta (3,1). Va bene ugualmente, perché (3,1) corrisponde a (2,0)”.
“Riesci a trovare una regola generale? Ricordati che il numero +1 si può scrivere in infiniti modi come (a+1,a)”.
“Potrei provare a sommare (n+1,n) con (m+1,m)”.
“Bene, cosa ottieni come risultato?”.
“Risulta (n+1+m+1,n+m), che è uguale a (n+m+2,n+m)”.
“Esatto. Questa coppia è del tipo (a+2,a), vero?”.
“Sì, e quindi è in relazione con (2,0), cioè con +2”.
“Benissimo, quindi è vero che 1+1 fa 2”.
“Uhm, così tanta fatica per dimostrare una cosa che conoscevamo già...”.
“Sì, ma ora l'abbiamo estesa ai nostri nuovi numeri: 1+1 fa 2 nei numeri naturali, ma anche nei numeri interi. Quindi abbiamo esteso la somma ai nuovi numeri che abbiamo costruito”.
“Uhm, ripensandoci, abbiamo esteso soltanto la somma 1+1. Anche le altre somme funzionano altrettanto bene?”.
“Sì, anche se è noioso dimostrarlo. Abbiamo definito la somma di (n,m)+(p,q) come la coppia (n+p,m+q). Ora prendiamo un altro rappresentante generico per la coppia (n,m), cioè (n+a,m+a)”.
“Mi pare di capire: se il risultato della somma rimane uguale, allora la somma è ben definita sempre”.
“Giusto. Prova a fare la somma, dunque”.
“Allora, (n+a,m+a) + (p,q) = (n+a+p,m+a+q)”.
“Ed è vero che questo risultato è in relazione con (n+p,m+q)?”.
“Sì, perché, secondo la definizione, (n+a+p) + (m+q) è uguale a (m+a+q) + (n+p)”.
“Perfetto, quindi siamo a posto, la somma è una buona somma”.
“Va bene, ho capito. Ma voi matematici come fate a far funzionare cose così complicate? Come vi è venuto in mente di inventare una definizione così strana? Per non parlare della relazione di equivalenza iniziale, quella dalla quale è partito tutto?”.
“Eh, in effetti c'è un trucco”.
“Sembra facile”.
“Esatto”.
“In che senso, esatto?”.
“Sembra facile”.
“Non è così?”.
“Non è tutto ovvio. Per esempio, è una definizione ben posta?”.
“Cosa significa?”.
“Ricordi che un numero intero è una intera classe di equivalenza, no? Per esempio, la classe individuata da (1,0) contiene anche (2,1), (3,2), e così via. In pratica, contiene tutte le coppie del tipo (a+1,a): a questa classe di equivalenza abbiamo dato il nome di +1”.
“Vero, un numero intero può essere scritto in tanti modi, come coppia di numeri naturali”.
“E allora, se prendo due modi diversi per rappresentare lo stesso numero, otterrò dalla somma lo stesso risultato?”.
“Ah. Uhm, non ci avevo pensato”.
“Cominciamo da un esempio facile: 1+1”.
“Non mi stai prendendo in giro, vero?”.
“No, no. Vorrei che tu calcolassi 1+1 come somma di numeri interi, non come somma di numeri naturali”.
“E non è la stessa cosa?”.
“No, perché ora stiamo costruendo i numeri interi, quindi non sappiamo ancora nulla su di essi. Invece sappiamo tutto sui numeri naturali, che sono i nostri mattoni”.
“Va bene, vediamo se ho capito. Se voglio calcolare 1+1 devo considerare numeri interi, cioè coppie di naturali. Quindi dovrei calcolare (1,0)+(1,0). Secondo la definizione, dovrebbe risultare (2,0)”.
“Giusto. Ora il problema è: cosa succede se al posto di (1,0) prendi un altro rappresentante?”.
“Uhm. Potrei prendere (2,1): mi stai chiedendo che succede se voglio calcolare (2,1)+(2,1)?”.
“O anche (2,1)+(1,0)”.
“Vediamo: (2,1)+(2,1) fa (4,2). Ehi, va bene, perché (4,2) è in relazione con (2,0)!”.
“Giusto. Se invece calcoli (2,1)+(1,0)?”.
“In questo caso risulta (3,1). Va bene ugualmente, perché (3,1) corrisponde a (2,0)”.
“Riesci a trovare una regola generale? Ricordati che il numero +1 si può scrivere in infiniti modi come (a+1,a)”.
“Potrei provare a sommare (n+1,n) con (m+1,m)”.
“Bene, cosa ottieni come risultato?”.
“Risulta (n+1+m+1,n+m), che è uguale a (n+m+2,n+m)”.
“Esatto. Questa coppia è del tipo (a+2,a), vero?”.
“Sì, e quindi è in relazione con (2,0), cioè con +2”.
“Benissimo, quindi è vero che 1+1 fa 2”.
“Uhm, così tanta fatica per dimostrare una cosa che conoscevamo già...”.
“Sì, ma ora l'abbiamo estesa ai nostri nuovi numeri: 1+1 fa 2 nei numeri naturali, ma anche nei numeri interi. Quindi abbiamo esteso la somma ai nuovi numeri che abbiamo costruito”.
“Uhm, ripensandoci, abbiamo esteso soltanto la somma 1+1. Anche le altre somme funzionano altrettanto bene?”.
“Sì, anche se è noioso dimostrarlo. Abbiamo definito la somma di (n,m)+(p,q) come la coppia (n+p,m+q). Ora prendiamo un altro rappresentante generico per la coppia (n,m), cioè (n+a,m+a)”.
“Mi pare di capire: se il risultato della somma rimane uguale, allora la somma è ben definita sempre”.
“Giusto. Prova a fare la somma, dunque”.
“Allora, (n+a,m+a) + (p,q) = (n+a+p,m+a+q)”.
“Ed è vero che questo risultato è in relazione con (n+p,m+q)?”.
“Sì, perché, secondo la definizione, (n+a+p) + (m+q) è uguale a (m+a+q) + (n+p)”.
“Perfetto, quindi siamo a posto, la somma è una buona somma”.
“Va bene, ho capito. Ma voi matematici come fate a far funzionare cose così complicate? Come vi è venuto in mente di inventare una definizione così strana? Per non parlare della relazione di equivalenza iniziale, quella dalla quale è partito tutto?”.
“Eh, in effetti c'è un trucco”.
giovedì 11 giugno 2009
Il Bene e il Male
Faranno un prequel di Blade Runner: via web, col televoto, in cui eventi e ambientazioni, per una questione di diritti non acquistati, non avranno nulla a che fare con Blade Runner.
Faranno Toy Story 3: Andy è cresciuto, andrà al college, e nel teaser compaiono tutti i personaggi.
Faranno Toy Story 3: Andy è cresciuto, andrà al college, e nel teaser compaiono tutti i personaggi.
martedì 9 giugno 2009
Ancora reboot
Dai, con Star Trek è andata abbastanza bene, ma forse non è il caso di provarci anche con Alien. Ripley è la Weaver, punto. E quando è arrivata sul pianeta degli alieni non sapeva nulla.
Su un particolare insieme numerico - ma sono proprio quei numeri interi?
“Come fai a dire che questi sono proprio i numeri interi? Cioè, roba tipo 1, 2, 3, -1, -2, -3?”.
“Hai detto tipo!”.
“Eh?”.
“Non dire più tipo, ti prego”.
“Perché?”.
“Perché gli studenti sono nella fase in cui dicono tipo ogni volta che aprono bocca. Cioè, tipo, se devono dire una cosa tipo ciao, andiamo a prendere un gelato, dicono ehi raga, cioè, andiamo a prendere, tipo, un gelato?”.
“Oh mamma”.
“Speriamo che passi presto”.
“Di solito sono mode passeggere”.
“È vero. L'unica che non è ancora passata è quella dei pantaloni a vita bassa con le mutande fuori”.
“Taci, taci, non me ne parlare... Forse è meglio se torniamo ai nostri numeri interi. Come procediamo per capire se sono davvero quei numeri interi?”.
“Cominciamo con lo scoprire come sono fatte le classi di equivalenza. Hai dimostrato prima che (3,2) è in relazione con (a+1,a). In particolare, è in relazione con (1,0)”.
“Vero”.
“Ora prendiamo un altro esempio: (3,1). Questo è in relazione con (a+2,a), sei d'accordo?”.
“Giusto: 3+a è uguale a 1+a+2”.
“E quindi questa coppia sarà in relazione anche con (2,0)”.
“Mh, va bene. Mi pare di capire che ti piacciano le coppie con a=0”.
“Infatti. Prova tu a calcolare i corrispondenti di (3,3)”.
“Uhm, (3,3) è in relazione con (a,a), perché 3+a = 3+a. A te piacerà sicuramente (0,0)”.
“Giusto. Proviamo a generalizzare?”.
“Proviamo”.
“Se io scrivo una generica coppia (x,y), questa con quali altre coppie sarà in relazione?”.
“Boh, non saprei”.
“Ricordati che mi piacciono le coppie che hanno uno zero in seconda posizione”.
“Allora, (x,y) sarà in relazione con una certa coppia (a,0). Un momento, potrei anche impostare un'equazione per trovare a”.
“Ottimo: fallo”.
“Allora, se vale la nostra relazione, deve essere vero che x+0 = y+a”.
“E quindi? Quanto deve essere a?”.
“Devo ricavare a a sinistra: ecco, risulta che a = x-y”.
“Quindi una generica coppia (x,y) sarà in relazione con (x-y,0)”.
“Comincia ad accendersi una lampadina...”.
“Hai capito come funziona? Noi scriviamo coppie di numeri, ma possiamo sempre ricondurle a una coppia che ha zero in seconda posizione. In pratica, riconduciamo una coppia di numeri a un numero solo, dato che l'altro è sempre zero”.
“E quindi, senza fare troppo calcoli, potremmo dire che (42,40) è in relazione con (42-40,0) = (2,0)”.
“Esattamente”.
“Ancora non capisco come saltino fuori i numeri interi, però”.
“Prova a dire a cosa corrisponde la coppia (2,3)”.
“Bè, facile, corrisponde a (2-3,0), cioè (-1,0)”.
“Che non esiste”.
“Eh?”.
“Ti pare che (-1,0) sia una coppia di numeri naturali?”.
“Ehm, no, -1 è un intero”.
“Che stiamo ancora definendo, e che quindi non possiamo usare”.
“Uffa, allora non è corretta la corrispondenza tra (x,y) e (x-y,0)”.
“Sì e no. Andiamo per gradi: se x-y è maggiore o uguale di zero, puoi sempre scrivere che (x,y) corrisponde a (x-y,0), questo è quello che hai calcolato tu”.
“Bene”.
“In pratica se x è maggiore o uguale a y la coppia (x,y) appartiene alla classe di equivalenza di (x-y,0)”.
“Ok”.
“E quindi (x,y) corrisponde a x-y”.
“Fin qua ti seguo”.
“E x-y è un vecchio numero naturale”.
“Sì, quindi praticamente finora non abbiamo fatto nulla di nuovo, se non complicare le cose. Invece di scrivere 42 posso scrivere (42,0) oppure (43,1) oppure (44,2) oppure una qualunque coppia nella forma (42+a,a)”.
“Vero. Quindi i vecchi numeri naturali sono stati immersi in questa nuova struttura più complicata”.
“Va bene. Mi piace la parola immersi”.
“Infatti rende bene l'idea, perché i numeri naturali sono stati davvero inseriti all'interno di una struttura più ampia. Per esempio la coppia (0,1) non corrisponde a nessun numero naturale”.
“Vero, non si può fare l'operazione 0-1 all'interno dei numeri naturali”.
“Quindi (0,1) è un nuovo numero”.
“Ah”.
“Diverso da tutti i naturali”.
“Capisco. Sarebbe quindi un numero negativo?”.
“Certo, corrisponde proprio al numero -1 delle scuole elementari”.
“E quindi potremmo anche dire che (0,2) è uguale a -2?”.
“Certo”.
“Quindi tutti i numeri negativi sono del tipo, scusa, hanno la forma (0,a)?”.
“O tutte le forme equivalenti a questa. Per esempio, (3,4) corrisponde a (0,1)”.
“Ah, certo, d'accordo”.
“Naturalmente non basta un nome per fare di un numero proprio quel numero”.
“Eeeehh?”.
“Voglio dire, abbiamo dato a (0,1) il nome -1, ma siamo sicuri che sia proprio il -1 delle elementari? Non potrebbe essere -2, -3, o qualche altro numero?”.
“Boh, e come facciamo a saperlo?”.
“Perché -1 si chiama proprio così?”.
“Uhm, non so cosa vuoi dire. Credo che -1 sia l'opposto di 1, no?”.
“Giusto. Che significa opposto?”.
“Significa che ha segno opposto”.
“Stai facendo come gli studenti quando usano una definizione per spiegare sé stessa”.
“Uhm. Vuoi che definisca opposto senza usare la parola opposto?”.
“Già”.
“Vediamo. Potrebbe essere che l'opposto di un numero è quel numero che, sommato al primo, dà come risultato zero?”.
“Esattamente. L'opposto di a si indica con -a ed è tale che a + (-a) = 0”.
“Bene, quindi come facciamo a sapere se (0,1) è proprio -1?”.
“Dobbiamo definire una somma”.
“Hai detto tipo!”.
“Eh?”.
“Non dire più tipo, ti prego”.
“Perché?”.
“Perché gli studenti sono nella fase in cui dicono tipo ogni volta che aprono bocca. Cioè, tipo, se devono dire una cosa tipo ciao, andiamo a prendere un gelato, dicono ehi raga, cioè, andiamo a prendere, tipo, un gelato?”.
“Oh mamma”.
“Speriamo che passi presto”.
“Di solito sono mode passeggere”.
“È vero. L'unica che non è ancora passata è quella dei pantaloni a vita bassa con le mutande fuori”.
“Taci, taci, non me ne parlare... Forse è meglio se torniamo ai nostri numeri interi. Come procediamo per capire se sono davvero quei numeri interi?”.
“Cominciamo con lo scoprire come sono fatte le classi di equivalenza. Hai dimostrato prima che (3,2) è in relazione con (a+1,a). In particolare, è in relazione con (1,0)”.
“Vero”.
“Ora prendiamo un altro esempio: (3,1). Questo è in relazione con (a+2,a), sei d'accordo?”.
“Giusto: 3+a è uguale a 1+a+2”.
“E quindi questa coppia sarà in relazione anche con (2,0)”.
“Mh, va bene. Mi pare di capire che ti piacciano le coppie con a=0”.
“Infatti. Prova tu a calcolare i corrispondenti di (3,3)”.
“Uhm, (3,3) è in relazione con (a,a), perché 3+a = 3+a. A te piacerà sicuramente (0,0)”.
“Giusto. Proviamo a generalizzare?”.
“Proviamo”.
“Se io scrivo una generica coppia (x,y), questa con quali altre coppie sarà in relazione?”.
“Boh, non saprei”.
“Ricordati che mi piacciono le coppie che hanno uno zero in seconda posizione”.
“Allora, (x,y) sarà in relazione con una certa coppia (a,0). Un momento, potrei anche impostare un'equazione per trovare a”.
“Ottimo: fallo”.
“Allora, se vale la nostra relazione, deve essere vero che x+0 = y+a”.
“E quindi? Quanto deve essere a?”.
“Devo ricavare a a sinistra: ecco, risulta che a = x-y”.
“Quindi una generica coppia (x,y) sarà in relazione con (x-y,0)”.
“Comincia ad accendersi una lampadina...”.
“Hai capito come funziona? Noi scriviamo coppie di numeri, ma possiamo sempre ricondurle a una coppia che ha zero in seconda posizione. In pratica, riconduciamo una coppia di numeri a un numero solo, dato che l'altro è sempre zero”.
“E quindi, senza fare troppo calcoli, potremmo dire che (42,40) è in relazione con (42-40,0) = (2,0)”.
“Esattamente”.
“Ancora non capisco come saltino fuori i numeri interi, però”.
“Prova a dire a cosa corrisponde la coppia (2,3)”.
“Bè, facile, corrisponde a (2-3,0), cioè (-1,0)”.
“Che non esiste”.
“Eh?”.
“Ti pare che (-1,0) sia una coppia di numeri naturali?”.
“Ehm, no, -1 è un intero”.
“Che stiamo ancora definendo, e che quindi non possiamo usare”.
“Uffa, allora non è corretta la corrispondenza tra (x,y) e (x-y,0)”.
“Sì e no. Andiamo per gradi: se x-y è maggiore o uguale di zero, puoi sempre scrivere che (x,y) corrisponde a (x-y,0), questo è quello che hai calcolato tu”.
“Bene”.
“In pratica se x è maggiore o uguale a y la coppia (x,y) appartiene alla classe di equivalenza di (x-y,0)”.
“Ok”.
“E quindi (x,y) corrisponde a x-y”.
“Fin qua ti seguo”.
“E x-y è un vecchio numero naturale”.
“Sì, quindi praticamente finora non abbiamo fatto nulla di nuovo, se non complicare le cose. Invece di scrivere 42 posso scrivere (42,0) oppure (43,1) oppure (44,2) oppure una qualunque coppia nella forma (42+a,a)”.
“Vero. Quindi i vecchi numeri naturali sono stati immersi in questa nuova struttura più complicata”.
“Va bene. Mi piace la parola immersi”.
“Infatti rende bene l'idea, perché i numeri naturali sono stati davvero inseriti all'interno di una struttura più ampia. Per esempio la coppia (0,1) non corrisponde a nessun numero naturale”.
“Vero, non si può fare l'operazione 0-1 all'interno dei numeri naturali”.
“Quindi (0,1) è un nuovo numero”.
“Ah”.
“Diverso da tutti i naturali”.
“Capisco. Sarebbe quindi un numero negativo?”.
“Certo, corrisponde proprio al numero -1 delle scuole elementari”.
“E quindi potremmo anche dire che (0,2) è uguale a -2?”.
“Certo”.
“Quindi tutti i numeri negativi sono del tipo, scusa, hanno la forma (0,a)?”.
“O tutte le forme equivalenti a questa. Per esempio, (3,4) corrisponde a (0,1)”.
“Ah, certo, d'accordo”.
“Naturalmente non basta un nome per fare di un numero proprio quel numero”.
“Eeeehh?”.
“Voglio dire, abbiamo dato a (0,1) il nome -1, ma siamo sicuri che sia proprio il -1 delle elementari? Non potrebbe essere -2, -3, o qualche altro numero?”.
“Boh, e come facciamo a saperlo?”.
“Perché -1 si chiama proprio così?”.
“Uhm, non so cosa vuoi dire. Credo che -1 sia l'opposto di 1, no?”.
“Giusto. Che significa opposto?”.
“Significa che ha segno opposto”.
“Stai facendo come gli studenti quando usano una definizione per spiegare sé stessa”.
“Uhm. Vuoi che definisca opposto senza usare la parola opposto?”.
“Già”.
“Vediamo. Potrebbe essere che l'opposto di un numero è quel numero che, sommato al primo, dà come risultato zero?”.
“Esattamente. L'opposto di a si indica con -a ed è tale che a + (-a) = 0”.
“Bene, quindi come facciamo a sapere se (0,1) è proprio -1?”.
“Dobbiamo definire una somma”.
venerdì 5 giugno 2009
Su un particolare insieme numerico - costruzione dei numeri interi
Sia data la seguente relazione, definita sul prodotto cartesiano N×N:
due coppie (n,m) e (p,q) sono in relazione se e solo se n+q = m+p.
L'insieme quoziente di questa relazione di equivalenza si chiama insieme dei numeri interi.
“Ecco fatto”.
“Fatto cosa?”.
“Abbiamo costruito i numeri interi”.
“Tu avrai anche costruito i numeri interi, ma io non ho capito praticamente niente”.
“Spiego?”.
“Sarà meglio. E parti dall'inizio: cos'è il prodotto cartesiano?”.
“Questo è facile: il prodotto cartesiano tra due insiemi A e B è l'insieme delle coppie ordinate (a,b), costruite prendendo un qualunque elemento a appartenente ad A e un qualunque b appartenente a B”.
“Va bene, questa l'ho capita. Tu però dici che prendi N×N: prendi due volte lo stesso insieme?”.
“Sì, non è vietato. N×N contiene tutte le possibili coppie di numeri naturali”.
“Ah, ora ci sono. Quindi quando parli di (n,m) e di (p,q) intendi dire che prendi due coppie di naturali, contenute dentro a N×N. Ho capito”.
“Sì, è semplice. Ora prova ad analizzare la relazione”.
“Questa mi pare oscura. Due coppie sono in relazione se n+q è uguale a m+p: che significa?”.
“Prova con qualche esempio: (3,2) e (5,3) sono in relazione?”.
“Uhm, 3+3 fa 6, mentre 2+5 fa 7. No, non lo sono”.
“Giusto. Prova a fare qualche esempio di coppie in relazione con (3,2), allora”.
“Mah, forse (4,3)? Sì, dovrebbe essere giusto, (3,2) e (4,3) sono in relazione perché 3+3 fa 6 e anche 2+4 fa 6”.
“Giusto”.
“Ah, ma allora ho capito: (5,4), (6,5), (7,6) sono tutte coppie in relazione con (3,2). Dato che 3 e 2 differiscono di 1, posso andare avanti quanto voglio creando coppie i cui elementi differiscono di 1. Le due somme n+q e m+p si bilanciano sempre”.
“Esatto”.
“Posso anche scrivere una formula generale: (3,2) è in relazione con qualunque coppia del tipo (a,a-1)”.
“Quasi giusto”.
“Perché quasi?”.
“Perché nell'insieme dei numeri naturali non è sempre definita la sottrazione: quando scrivi a-1 potresti scrivere un numero inesistente”.
“Ma come inesistente?”.
“Ricordati che stiamo costruendo numeri, e che abbiamo a disposizione solo numeri naturali. Se a è uguale a 0, a-1 sarebbe un numero negativo, che non abbiamo ancora definito”.
“Ah, ho capito. Allora la mia formula generale non vale”.
“Potresti modificarla un po' e renderla perfettamente valida”.
“E come faccio?”.
“Rigira il problema: se non puoi affermare che il secondo elemento della coppia si ottiene dal primo elemento sottraendo 1, come puoi cavartela?”.
“Posso dire che il primo si ottiene dal secondo sommando 1. La somma posso sempre farla, giusto?”.
“Proprio così. Quindi il tuo generico elemento diventa (a+1,a)”.
“Bello. Quindi (3,2) è in relazione con (a+1,a), perché 3+a è uguale a 2+(a+1). Giusto!”.
“Ora bisognerebbe dimostrare che quella appena definita è una relazione di equivalenza”.
“Uhm, ricordo che deve soddisfare a tre proprietà: riflessiva, simmetrica e transitiva”.
“Perfetto. La proprietà riflessiva dice che un elemento è in relazione con sé stesso. Come diventa nel nostro caso?”.
“Sarebbe (n,m) in relazione con (n,m), cioè n+m = m+n. Mi pare giusto”.
“Giusto perché stai usando una proprietà della somma di numeri naturali, che (anche se non abbiamo dimostrato esplicitamente) diamo per scontata. Vai con la seconda proprietà delle relazioni di equivalenza, adesso”.
“La proprietà simmetrica. Dice che se (n,m) è in relazione con (p,q), anche (p,q) è in relazione con (n,m)”.
“Esatto. Se applichi la definizione, come diventa?”.
“Se n+q = m+p, allora anche p+m = q+n. Giusto. Anche qui usiamo proprietà dei numeri naturali”.
“Ora la proprietà transitiva. Questa è più difficile”.
“Vediamo: dobbiamo supporre che (n,m) sia in relazione con (p,q) e che (p,q) sia in relazione con (r,s). Dobbiamo dimostrare che (n,m) è in relazione con (r,s)”.
“Ora traduci applicando la nostra definizione”.
“So che n+q = m+p e che p+s = q+r, voglio dimostrare che n+s = m+r. Come faccio?”.
“Somma le tue due ipotesi: quanto fa (n+q) + (p+s)?”.
“Aspetta: che cosa stai facendo?”.
“Ho sommato le due espressioni a sinistra dell'uguale nelle tue due ipotesi. Questa somma sarà uguale a ciò che ottieni sommando le due espressioni a destra dell'uguale”.
“Quindi (n+q) + (p+s) = (m+p) + (q+r), è questo che intendevi?”.
“Sì, va bene. Ora togli tutte le parentesi che non servono”.
“Ottengo n+q+p+s = m+p+q+r”.
“Ora sottrai a destra e a sinistra l'espressione p+q”.
“Rimane n+s = m+r. Ehi, è la tesi!”.
“Quindi anche la proprietà transitiva è vera, e quella che ti ho proposto è davvero una relazione di equivalenza”.
“Bene, Però, boh...”.
“Cosa c'è?”.
“Siam sicuri che questi siano proprio i numeri interi? Quelli delle elementari?”.
“Bella domanda”.
due coppie (n,m) e (p,q) sono in relazione se e solo se n+q = m+p.
L'insieme quoziente di questa relazione di equivalenza si chiama insieme dei numeri interi.
“Ecco fatto”.
“Fatto cosa?”.
“Abbiamo costruito i numeri interi”.
“Tu avrai anche costruito i numeri interi, ma io non ho capito praticamente niente”.
“Spiego?”.
“Sarà meglio. E parti dall'inizio: cos'è il prodotto cartesiano?”.
“Questo è facile: il prodotto cartesiano tra due insiemi A e B è l'insieme delle coppie ordinate (a,b), costruite prendendo un qualunque elemento a appartenente ad A e un qualunque b appartenente a B”.
“Va bene, questa l'ho capita. Tu però dici che prendi N×N: prendi due volte lo stesso insieme?”.
“Sì, non è vietato. N×N contiene tutte le possibili coppie di numeri naturali”.
“Ah, ora ci sono. Quindi quando parli di (n,m) e di (p,q) intendi dire che prendi due coppie di naturali, contenute dentro a N×N. Ho capito”.
“Sì, è semplice. Ora prova ad analizzare la relazione”.
“Questa mi pare oscura. Due coppie sono in relazione se n+q è uguale a m+p: che significa?”.
“Prova con qualche esempio: (3,2) e (5,3) sono in relazione?”.
“Uhm, 3+3 fa 6, mentre 2+5 fa 7. No, non lo sono”.
“Giusto. Prova a fare qualche esempio di coppie in relazione con (3,2), allora”.
“Mah, forse (4,3)? Sì, dovrebbe essere giusto, (3,2) e (4,3) sono in relazione perché 3+3 fa 6 e anche 2+4 fa 6”.
“Giusto”.
“Ah, ma allora ho capito: (5,4), (6,5), (7,6) sono tutte coppie in relazione con (3,2). Dato che 3 e 2 differiscono di 1, posso andare avanti quanto voglio creando coppie i cui elementi differiscono di 1. Le due somme n+q e m+p si bilanciano sempre”.
“Esatto”.
“Posso anche scrivere una formula generale: (3,2) è in relazione con qualunque coppia del tipo (a,a-1)”.
“Quasi giusto”.
“Perché quasi?”.
“Perché nell'insieme dei numeri naturali non è sempre definita la sottrazione: quando scrivi a-1 potresti scrivere un numero inesistente”.
“Ma come inesistente?”.
“Ricordati che stiamo costruendo numeri, e che abbiamo a disposizione solo numeri naturali. Se a è uguale a 0, a-1 sarebbe un numero negativo, che non abbiamo ancora definito”.
“Ah, ho capito. Allora la mia formula generale non vale”.
“Potresti modificarla un po' e renderla perfettamente valida”.
“E come faccio?”.
“Rigira il problema: se non puoi affermare che il secondo elemento della coppia si ottiene dal primo elemento sottraendo 1, come puoi cavartela?”.
“Posso dire che il primo si ottiene dal secondo sommando 1. La somma posso sempre farla, giusto?”.
“Proprio così. Quindi il tuo generico elemento diventa (a+1,a)”.
“Bello. Quindi (3,2) è in relazione con (a+1,a), perché 3+a è uguale a 2+(a+1). Giusto!”.
“Ora bisognerebbe dimostrare che quella appena definita è una relazione di equivalenza”.
“Uhm, ricordo che deve soddisfare a tre proprietà: riflessiva, simmetrica e transitiva”.
“Perfetto. La proprietà riflessiva dice che un elemento è in relazione con sé stesso. Come diventa nel nostro caso?”.
“Sarebbe (n,m) in relazione con (n,m), cioè n+m = m+n. Mi pare giusto”.
“Giusto perché stai usando una proprietà della somma di numeri naturali, che (anche se non abbiamo dimostrato esplicitamente) diamo per scontata. Vai con la seconda proprietà delle relazioni di equivalenza, adesso”.
“La proprietà simmetrica. Dice che se (n,m) è in relazione con (p,q), anche (p,q) è in relazione con (n,m)”.
“Esatto. Se applichi la definizione, come diventa?”.
“Se n+q = m+p, allora anche p+m = q+n. Giusto. Anche qui usiamo proprietà dei numeri naturali”.
“Ora la proprietà transitiva. Questa è più difficile”.
“Vediamo: dobbiamo supporre che (n,m) sia in relazione con (p,q) e che (p,q) sia in relazione con (r,s). Dobbiamo dimostrare che (n,m) è in relazione con (r,s)”.
“Ora traduci applicando la nostra definizione”.
“So che n+q = m+p e che p+s = q+r, voglio dimostrare che n+s = m+r. Come faccio?”.
“Somma le tue due ipotesi: quanto fa (n+q) + (p+s)?”.
“Aspetta: che cosa stai facendo?”.
“Ho sommato le due espressioni a sinistra dell'uguale nelle tue due ipotesi. Questa somma sarà uguale a ciò che ottieni sommando le due espressioni a destra dell'uguale”.
“Quindi (n+q) + (p+s) = (m+p) + (q+r), è questo che intendevi?”.
“Sì, va bene. Ora togli tutte le parentesi che non servono”.
“Ottengo n+q+p+s = m+p+q+r”.
“Ora sottrai a destra e a sinistra l'espressione p+q”.
“Rimane n+s = m+r. Ehi, è la tesi!”.
“Quindi anche la proprietà transitiva è vera, e quella che ti ho proposto è davvero una relazione di equivalenza”.
“Bene, Però, boh...”.
“Cosa c'è?”.
“Siam sicuri che questi siano proprio i numeri interi? Quelli delle elementari?”.
“Bella domanda”.
giovedì 4 giugno 2009
Cioè
“Prof, è vero che se una lo desidera tanto, ma proprio tanto tanto, può rimanere incinta?”.
martedì 2 giugno 2009
Su un particolare insieme numerico - partiamo dai numeri naturali
“Dei numeri naturali abbiamo già parlato”.
“Vero: due volte. Hai parlato degli assiomi di Peano e anche di quella bella costruzione basata sull'insieme vuoto”.
“Già, la definizione di Von Neumann. Abbiamo anche parlato delle relazioni di equivalenza, giusto?”.
“Eh, sì, per spiegarle ti sei messo a raccontar parabole... Come dimenticarlo?”.
“Non rinvanghiamo episodi imbarazzanti, per favore”.
“Come vuoi, ma perché stiamo parlando di questi argomenti?”.
“Perché sono il nostro punto di partenza per una serie di costruzioni”.
“Ah, quindi sarebbe meglio ripassare il tutto?”.
“Già, sarebbe bene. Facciamo un elenchino riassuntivo?”.
“Se mi ricordo, sì. Vediamo, dovrei ricordarmi gli assiomi di Peano:”.
1) esiste un numero naturale, 0 (oppure 1).
2) ogni numero naturale n ha un numero naturale successore, che chiamiamo S(n).
3) numeri diversi hanno successori diversi.
4) 0 (oppure 1) non è successore di nessun numero naturale.
5) ogni insieme di numeri naturali che contenga lo zero (o l'uno) e il successore di ogni proprio elemento coincide con l'insieme dei numeri naturali.
“Bene, ottimo”.
“Però il quinto mi piace di più espresso nell'altro modo:”.
5) indichiamo con P(x) una proprietà valida per il numero x. Se P è vera per 0 (oppure 1) e se la verità di P(n) implica la verità di P(n+1), allora P è vera per tutti i numeri naturali.
“Va bene, sia nel primo modo che nel secondo. L'avevamo chiamato principio di induzione, ricordi?”.
“Giusto”.
“L'altra costruzione, invece?”.
“Ah, quella è molto bella. Ricordo che si basa sull'insieme vuoto, e si costruiscono i numeri in questo modo:”.
0 = {},
1 = {0} = {{}},
2 = {0,1} = {0,{0}} = {{},{{}}},
3 = {0,1,2} = {0,{0},{0,{0}}} = {{},{{}},{{},{{}}}},
e così via.
“Perfetto. Poi abbiamo definito le relazioni di equivalenza, che sono particolari relazioni che devono soddisfare a determinate proprietà, che avevamo chiamato riflessiva, simmetrica e transitiva”.
“Sì, mi ricordo. Ricordo anche che tutti gli elementi in relazione tra loro potevano essere inscatolati insieme”.
“Giusto. Le scatole di cui parli si chiamano classi di equivalenza”.
“Sì, sì, e, se non sbaglio, contengono tutti gli elementi accomunati da una qualche proprietà”.
“Esatto. Le classi di equivalenza raccolgono oggetti diversi con una qualche proprietà in comune. Naturalmente la proprietà cambia a seconda di come è definita la relazione: ogni definizione crea classi diverse”.
“Va bene. Ora ripetimi perché abbiamo ripreso questi concetti, per favore”.
“Perché faremo i costruttori”.
“Costruttori? Di cosa?”.
“Saremo costruttori di numeri”.
“Uhm, costruttori o creatori?”.
“Perché non scopritori? Vuoi che cominciamo già a parlare di filosofia?”.
“Vero: due volte. Hai parlato degli assiomi di Peano e anche di quella bella costruzione basata sull'insieme vuoto”.
“Già, la definizione di Von Neumann. Abbiamo anche parlato delle relazioni di equivalenza, giusto?”.
“Eh, sì, per spiegarle ti sei messo a raccontar parabole... Come dimenticarlo?”.
“Non rinvanghiamo episodi imbarazzanti, per favore”.
“Come vuoi, ma perché stiamo parlando di questi argomenti?”.
“Perché sono il nostro punto di partenza per una serie di costruzioni”.
“Ah, quindi sarebbe meglio ripassare il tutto?”.
“Già, sarebbe bene. Facciamo un elenchino riassuntivo?”.
“Se mi ricordo, sì. Vediamo, dovrei ricordarmi gli assiomi di Peano:”.
1) esiste un numero naturale, 0 (oppure 1).
2) ogni numero naturale n ha un numero naturale successore, che chiamiamo S(n).
3) numeri diversi hanno successori diversi.
4) 0 (oppure 1) non è successore di nessun numero naturale.
5) ogni insieme di numeri naturali che contenga lo zero (o l'uno) e il successore di ogni proprio elemento coincide con l'insieme dei numeri naturali.
“Bene, ottimo”.
“Però il quinto mi piace di più espresso nell'altro modo:”.
5) indichiamo con P(x) una proprietà valida per il numero x. Se P è vera per 0 (oppure 1) e se la verità di P(n) implica la verità di P(n+1), allora P è vera per tutti i numeri naturali.
“Va bene, sia nel primo modo che nel secondo. L'avevamo chiamato principio di induzione, ricordi?”.
“Giusto”.
“L'altra costruzione, invece?”.
“Ah, quella è molto bella. Ricordo che si basa sull'insieme vuoto, e si costruiscono i numeri in questo modo:”.
0 = {},
1 = {0} = {{}},
2 = {0,1} = {0,{0}} = {{},{{}}},
3 = {0,1,2} = {0,{0},{0,{0}}} = {{},{{}},{{},{{}}}},
e così via.
“Perfetto. Poi abbiamo definito le relazioni di equivalenza, che sono particolari relazioni che devono soddisfare a determinate proprietà, che avevamo chiamato riflessiva, simmetrica e transitiva”.
“Sì, mi ricordo. Ricordo anche che tutti gli elementi in relazione tra loro potevano essere inscatolati insieme”.
“Giusto. Le scatole di cui parli si chiamano classi di equivalenza”.
“Sì, sì, e, se non sbaglio, contengono tutti gli elementi accomunati da una qualche proprietà”.
“Esatto. Le classi di equivalenza raccolgono oggetti diversi con una qualche proprietà in comune. Naturalmente la proprietà cambia a seconda di come è definita la relazione: ogni definizione crea classi diverse”.
“Va bene. Ora ripetimi perché abbiamo ripreso questi concetti, per favore”.
“Perché faremo i costruttori”.
“Costruttori? Di cosa?”.
“Saremo costruttori di numeri”.
“Uhm, costruttori o creatori?”.
“Perché non scopritori? Vuoi che cominciamo già a parlare di filosofia?”.
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