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martedì 5 agosto 2014

Codici PIN di quattro cifre che potreste voler utilizzare

0042

Lo sapete tutti, è la risposta alla Domanda Fondamentale sulla Vita, sull'Universo e Tutto quanto.

"Quarantadue!" urlò Loonquawl. "Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?"
"Ho controllato molto approfonditamente," disse il computer, "e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda."


1138

È il numero preferito da Lucas. Da quando esiste Jar Jar Binks, però, non so quanti possano seriamente desiderare di utilizzare questo numero.


1337

Nella codifica leet, si legge leet.


1701

NCC-1701 è il numero di matricola della nave stellare Enteprise, classe Constitution.


1969

Questo è l'unico numero naturale n minore di 4000000 per il quale la funzione standard di Ackermann modulo n non si stabilizza.

Ma è anche l'anno in cui l'uomo ha messo piede sulla luna, eh.


3435

È l'unico numero per il quale la somma delle sue cifre elevate a un esponente uguale a loro stesse è uguale al numero stesso. Si fa prima a scrivere la formula:

33 + 44 + 33 + 55 = 3435.

(No, non è vero, non è l'unico numero di questo tipo, l'altro è 1, ma vabbé. Comunque si chiamano numeri di Münchhausen, perché si elevano da soli, come l'omonimo barone)


5141

Questo è l'unico numero che, rovesciato e letto in esadecimale, rimane uguale a sé stesso.

514110 = 141516.


6174

È la costante di Kaprekar. Funziona così:

  1. prendete un numero qualsiasi di quattro cifre, usando almeno due cifre diverse,
  2. ordinate le cifre in ordine decrescente e in ordine crescente, ottenendo (altri) due numeri
  3. sottraete il più piccolo dal più grande
  4. ripetete i passi 2 e 3

Dopo al massimo sette passi si arriva a 6174, e da lì non ci si muove più.


(Via Facebook)

martedì 30 aprile 2013

Seconda passata

Per capire come mai quattro bordi formati da lamine saponate si intersecano formando angoli di poco più di 109 gradi bisogna spostarsi nello spazio.



Nel piano avevamo tre forze identiche che tiravano in tre direzioni diverse, e avevamo l'equilibrio quando le tre forze erano disposte in modo da formare angoli di 120 gradi; ora prendiamo quattro forze identiche e le mettiamo nello spazio. Quando si ha l'equilibrio?

È come se le quattro palline rosse della seguente figura volessero tutte allontanarsi dal centro:


come devono disporsi?

Evidenti ragioni di simmetria porterebbero il Matematico Audace a dare subito la risposta, ma io ho preferito farmi tutti i calcoli (anche perché per fare la figura ho avuto bisogno di calcolare le coordinate dei centri delle quattro sfere).

Immaginiamo allora che uno dei quattro vettori punti in direzione (0,0,1). O, se vogliamo, immaginiamo che uno dei quattro vettori sia k. Ancora, potremmo dire che stiamo facendo dei calcoli con dei quaternioni.

Ora poniamo un secondo vettore sul piano xz: questo sarà del tipo ai-bk (componente positiva lungo l'asse delle x, e negativa lungo l'asse z). Gli altri due vettori saranno ci+dj-bk e ci-dj-bk.

Sommiamo tutto: il risultato deve essere 0, se vogliamo che tutto sia in equilibrio. Quindi otteniamo che

+ ai - bk + ci + dj - bk + ci - dj - bk = 0,

e cioè

(+ 2c)+ (1-3b)= 0.

Ricaviamo quindi subito che = 1/3 (ce lo aspettavamo, ci sono tre vettori che tirano verso il basso con forza b, e devono equilibrare quello che tira verso l'alto con forza 1) e che = -2c. Inoltre sappiamo che tutti i vettori hanno lunghezza unitaria, quindi

a+ b= 1,
c+ d+ b= 1.

Dalla prima ricaviamo che a= 1-b= 8/9, e cioè = 2√2/3, di conseguenza = -√2/3. Dalla seconda abbiamo che:

d= 1-c- b= 1 - 2/9 - 1/9 = 6/9, da cui = √6/3.

Riassumendo, le coordinate dei quattro vertici sono:

(0,0,1),
(2√2/3,0,-1/3),
(-√2/3,√6/3,-1/3),
(-√2/3,-√6/3,-1/3).

Ecco fatto. Per rispondere alla domanda iniziale, e cioè calcolare quel famoso valore di 109 gradi e rotti, rappresentiamo due di quei vettori, per esempio quelli che stanno sul piano xz. Sistemiamoli un po', in modo che uno dei due si trovi nella direzione positiva dell'asse orizzontale (in altre parole: mettiamo l'asse z in orizzontale):


Bene, l'angolo che stiamo cercando è quello tale per cui, se lo mettiamo sulla circonferenza di raggio 1 con un lato nella direzione dell'asse x, l'altro lato viene proiettato sull'asse x in modo da formare un segmento di lunghezza pari a 1/3 nella direzione negativa. In breve:

α = arccos(-1/3) = 109.47°.

La dimostrazione di questo teorema (le cui tesi sono note con il nome di leggi di Plateau) è molto recente. La matematica americana Jean Taylor la pubblicò sugli Annals of Mathematics nel 1976, dimostrando così che la formazione della schiuma è governata da due semplici costanti: arccos(-1/2), cioè 120 gradi, e arccos(-1/3), cioè 109.47 gradi circa. Plateau l'aveva capito nel 1873, più di cento anni prima, ma non era riuscito a dimostrarlo.

Era un grande osservatore, e uno studioso appassionato. Nella sua tesi di dottorato del 1829 trattò, in sole 27 pagine, della persistenza dei colori sulla retina, delle intersezioni di alcuni particolari luoghi geometrici, della distorsione delle immagini in movimento, della ricostruzione di immagini distorte. Inventò il fenachistoscopio, un oggetto che permetteva di vedere immagini in movimento (quando ancora il cinema non esisteva).

Volendo studiare la persistenza della visione, ideò un esperimento in cui fissò il suo sguardo direttamente sul sole per 25 secondi. Esperimento che, purtroppo, lo portò a perdere la vista qualche anno dopo, nel 1843.

Sì, le leggi che portano il suo nome Plateau le ha elaborate e sperimentate solo con gli occhi della mente.

lunedì 29 aprile 2013

Soffice, morbida, bianca, lieve lieve

Colonna sonora per la lettura di questo post:


Esiste un teorema sulla schiuma, semplice da enunciare ma complicato da dimostrare (succede più spesso di quanto si immagini: enunciati quasi ovvi sono rognosi da dimostrare per bene). In effetti, la schiuma è una cosa complicata, e possiamo rendercene conto in questo modo: se vogliamo disegnare una bolla di sapone, non abbiamo difficoltà. Se stiamo attenti, possiamo anche disegnarne due appiccicate senza sbagliarci troppo.

Provate a disegnarne tre, adesso, ognuna attaccata alle altre due. La schiuma è decisamente complicata.


È sorprendente il fatto che l'enunciato del teorema riguardante la schiuma sia semplice e, soprattutto, comprensibile.

Il teorema afferma che le pellicole saponate sono superfici lisce (per i matematici questa parola ha un significato preciso, che potremmo tradurre con senza spigoli, lisce, appunto (lo so che sembra un commento del grande capo Estiqaatsi, portate pazienza)). Che ogni porzione di pellicola (ogni pezzetto limitato da bordi, insomma) mantiene sempre curvatura media costante — tradotto, significa che se la pellicola saponata non ha bordi, è una bolla, altrimenti potrebbe essere un piano, oppure una catenoide, un'elicoide, una sella in una delle sue varianti, come per esempio la notevole sella della scimmia, ehm (direi di non aver dimenticato nulla, comunque l'idea è che non ci sono bitorzoli).

E ora arriviamo alla parte interessante: il teorema dice che la schiuma può essere complicata finché vogliamo, ma comunque le pellicole di sapone si incontrano sempre a tre a tre, formando un angolo di 120 gradi.

Così:

Si riesce a capire il motivo se si pensa al fatto che le superfici saponate tendono, grazie alla tensione superficiale, ad assumere una configurazione di minima estensione. È come se, in corrispondenza del punto di incontro delle tre lamine, ci fossero tre forze identiche che tendono a tirare verso tre direzioni diverse. Il sistema si mette in equilibrio quando le tre forze agiscono in questo modo:

Attenzione, funziona sempre, non solo quando le tre lamine hanno la stessa lunghezza:


Funziona anche quando le lamine sono più di tre.

Bene, il teorema dice un'ultima cosa: quando tre lamine si incontrano (a 120 gradi, naturalmente) formano un bordo. Ecco, questi bordi si intersecano sempre quattro a quattro formando un angolo che è poco più di 109 gradi.

Il motivo (e il valore esatto dell'angolo) lo vediamo la prossima volta.

[L'immagine della schiuma è presa da wikipedia]

sabato 29 dicembre 2012

Una costante universale

In questo periodo natalizio di scambio di regali, mi torna alla mente un vecchio quesito di Rudi Mathematici.

Prendete due pezzi di Lego del tipo 1×x (con x maggiore di 1), attaccateli in modo che abbiano un solo attacco in comune, e fateli ruotare in modo da ottenere un angolo acuto che sia il più piccolo possibile.

Bene: quanto misura questo angolo?

Il testo è tutto qui, non ci sono altri dati; per essere più precisi, non è necessario cercare altri dati, la risposta è unica, purché si tenga conto di un dettaglio costruttivo (facilmente verificabile andando a recuperare due mattoncini dei Lego): l'incastro a forma di cilindretto utilizzato per attaccare i pezzi uno sopra l'altro ha il raggio più grande possibile. Un pezzo di Lego “da uno”, una volta incastrato su un qualunque altro pezzo, può ruotare su sé stesso liberamente, sfiorando i cilindretti che gli stanno intorno.

Mi sono divertito a costruire la figura di due pezzi 1×2 incastrati uno sull'altro e ruotati come richiesto dal quesito. Il fatto notevole è che questa costruzione può essere effettuata con riga e compasso, senza numeri.

Eccola qua:


A suo tempo feci il calcolo dell'ampiezza dell'angolo. Il risultato è:


E questa è, senza dubbio, una costante universale.

martedì 4 settembre 2012

Una misteriosa costante matematica — 2

«Per ottenere un metodo veloce, anche se approssimato, per calcolare la somma dei primi n termini della serie armonica, dobbiamo dare un'occhiata a questo grafico».



«Uh, e cosa si vede?».

«Allora, la funzione rossa è = 1/x. Se osservi bene, in corrispondenza dei numeri naturali sono disegnati dei segmenti verticali che intersecano la curva».

«Vedo».

«Quindi, il primo punto sulla curva rossa avrà come y il valore 1».

«Certamente, basta sostituire a x il numero 1, e risulta 1/1».

«Bene. Il secondo punto sulla curva rossa invece avrà ordinata uguale a 1/2».

«Giusto, il terzo avrà come y il valore 1/3, il quarto 1/4, e così via».

«Bene. Ora calcola l'area di ognuno di quei rettangoli che sono disegnati, cioè quelli aventi base sull'asse delle x».

«Allora, intanto hanno tutti base uguale a 1».

«Giusto».

«Quindi l'area è data dall'altezza».

«Ancora giusto».

«Quindi il primo rettangolo avrà area 1, il secondo 1/2, il terzo 1/3, e così via».

«Perfetto. Quindi possiamo visualizzare la somma dei primi n termini della serie armonica semplicemente osservando quei rettangoli: la somma che vogliamo calcolare è uguale alla somma delle loro aree».

«Ok, ma non riusciamo a calcolarla?».

«Non direttamente. Però continuiamo l'esame del grafico: siamo in grado di calcolare l'area che sta sotto alla curva rossa».

«Davvero?».

«Sì, si utilizza il calcolo integrale. Risulta che l'area che va dal punto di ascissa 1 al punto di ascissa n+1 (cioè l'area sotto ai primi n rettangoli) è uguale al logaritmo naturale di n+1. In formule, un Vero Matematico scriverebbe questo:».



«Va bene, e ora? L'area sotto la curva rossa non è uguale a quella dei rettangoli».

«No, la differenza è appunto data dalla somma delle aree grigie».

«Ed è una cosa che sappiamo calcolare?».

«Non esattamente, ma possiamo dire una cosa importante: la somma di quelle aree è limitata. In particolare, è minore di 1».

«E come facciamo a dirlo?».

«Se anche quelle aree andassero avanti all'infinito, potremmo comunque pensare di spostarle tutte a sinistra, infilandole nel primo rettangolo (che poi è un quadrato, ma non ha importanza)».

«Vero».

«E ci starebbero tutte, senza sovrapporsi».

«Anche questo è vero».

«E lascerebbero un po' di spazio libero».

«Ah, ho capito! Visto che l'area del rettangolo in cui sono contenute è uguale a 1, la loro somma è minore di quel valore».

«Perfetto: ora che sappiamo che quel valore esiste, ci basta un computer per calcolarlo. I matematici l'hanno fatto, naturalmente, e nel 2010 erano note 29844489545 cifre. Non so se il record sia stato superato ultimamente».

«Mica poche».

«Nonostante questo, ancora non si sa se sia un numero razionale o irrazionale».

«Ah».

«Intanto gli abbiamo dato un nome: si chiama costante di Eulero-Mascheroni, e vale circa 0.5772».

«Ok. E quindi possiamo usarla per il problema delle figurine?».

«Anche, sì. Ma non sarebbe quello lo scopo, insomma».

«Immagino, eh».

«Il fatto è che quella costante è legata alla funzione di Riemann, e quindi al problema dei numeri primi».

«Uno dei problemi del millennio?».

«Esattamente. Probabilmente dimostrare la sua irrazionalità potrebbe portare a fare passi avanti in quel senso, o addirittura a risolvere la congettura di Riemann. Si dice che Hardy abbia offerto la sua cattedra a Oxford a chi fosse riuscito a dimostrare l'irrazionalità della costante di Eulero-Mascheroni. Hilbert stesso considerò questo problema come inaffrontabile, un problema davanti al quale i Veri Matematici non sanno come muoversi, e se ne stanno lì sconsolati».

«Addirittura».

«Conway e Guy sono pronti a scommettere che sia trascendente, ma credono anche di non avere abbastanza tempo per riuscire a vedere la dimostrazione».

«Ma dai».

«Ed è stato dimostrato che se questa benedetta costante fosse davvero razionale, il suo denominatore dovrebbe essere maggiore di 10242080».

«Vabbé, dai, è irrazionale. Solo la mente malata dei Veri Matematici si può ostinare a cercare una dimostrazione che permetterebbe di dire qualcosa sulle cifre dopo la 29844489545esima».

«Eh».

«Alla fine, quante figurine dovremmo comprare per completare quel famoso album da 719 calciatori?».

«Allora, il calcolo esatto sarebbe dato dalla somma dei termini della serie armonica dal primo fino al 719-esimo, il tutto moltiplicato per 719:».

N = 719(1+1/2+1/3+…1/719).

«E per non fare tutto a mano, come si fa?».

«Si usa la relazione approssimata che abbiamo visto prima. Se indichiamo con γ la costante di Eulero-Mascheroni, abbiamo che».



«Vediamo un po', se = 719 mi viene 5145.5. Argh».

«Si fanno affari con le figurine, eh?».

lunedì 3 settembre 2012

Una misteriosa costante matematica — 1

Una nota marca di merendine per la prima colazione inserisce, in ogni scatola, una figurina di un matematico famoso. Il produttore sostiene che tutti i matematici sono distribuiti uniformemente, e che la serie completa è composta da 8 figurine (siamo solo alla prima edizione). Quante scatole ci aspettiamo di dover comprare per completare la collezione?

(Spoiler alert: se volete provare a risolverlo da soli, non andate oltre, tornate dopo)

Possiamo risolvere il quesito ragionando in questo modo: acquistando la prima scatola ci assicuriamo la prima figurina, fin qua è facile. Con la seconda scatola possiamo trovarci di fronte a due possibilità: siamo sfortunati e troviamo la figurina che abbiamo già, oppure siamo fortunati e troviamo una figurina che ci manca. Il primo caso si verifica con probabilità 1/8, il secondo invece con probabilità 7/8.

Dato che la probabilità di ottenere una nuova figurina è 7/8, dovremmo acquistare 8/7 di scatola per ottenerla.

«Certo, andiamo in negozio, prendiamo una scatola e poi seghiamo un pezzettino di un'altra scatola».

«Ma no, questo è un discorso di media, è chiaro che per avere la figurina o compri una scatola e sei fortunato, o sei meno fortunato e ne devi comprare due, o ancora meno fortunato e ne devi comprare tre, quattro, o di più».

«E allora cos'è questa faccenda degli 8/7 di scatola?».

«Significa che, se prendiamo tanti collezionisti, e facciamo la media sul numero di scatole che servono per ottenere due figurine, il risultato sarà vicino a 1+8/7 (più collezionisti ci sono, migliore sarà l'approssimazione)».

«Vabbé. E quindi, se vogliamo la terza figurina, dobbiamo ragionare allo stesso modo?».

«Sì, la terza figurina sarà diversa dalle prime due con probabilità 6/8, e quindi dovrai comprare 8/6 di scatola».

«Sempre in media».

«Certo. Poi ce ne vorranno 8/5, 8/4, e così via fino a 8/1».

«Quindi per ottenere l'ultima figurina devo comprare otto scatole?».

«Sì, hai una sola possibilità su otto di trovare quella giusta, quindi ti toccherà acquistarne proprio otto».

«Ho capito. Il risultato finale allora sarà 1+8/7+8/6+…+8/2+8/1. Cioè…».

«761/35».

«Eh, fammi fare il calcolo che capisco meglio… fa 21.7, circa».

«Quindi con 22 scatole hai buone probabilità di cavertela».

«Però, risulta quasi il triplo del numero iniziale. Comincio a capire come funzionano le raccolte di figurine».

«Eh, sì, pensa a quante figurine può contenere un album di calciatori, e fai qualche conto…».

«La regola per il calcolo mi sembra semplice».

«Sì, e se modifichi un po' la formula diventa ancora più chiara. Per esempio, nella formula che abbiamo usato per le otto figurine, prova a raccogliere a fattor comune tutti quegli otto che stanno al numeratore».

«Mi viene 8(1/8+1/7+1/6+…+1/2+1). Mh, mi ricorda qualcosa».

«Se li riordini, ti accorgerai che si tratta dei primi termini della serie armonica: 8(1+1/2+1/3+…+1/7+1/8), di cui si è già parlato in passato, anche in qualche vecchio Carnevale della Matematica [1][2]».

«Uh, vedo».

«Ti faccio vedere anche cosa significa che in media bisogna acquistare 21.7 scatole: ho scritto un programma che simula duemila collezionisti di figurine. Ognuno fa i suoi acquisti fino a che non ha ottenuto le otto figurine, poi alla fine viene fatta la media tra tutti. Eccolo qua:».

from random import randrange

N=8

#nella lista ci vanno i numeri da 0 a 7

def colleziona():

  conta=0
  lista=[]
  while 1:
    x=randrange(N)
    conta+=1
    if x not in lista:
      lista+=[x]
    if len(lista)==8:
      break

  return conta


media=0
for i in xrange(2000):
  media+=colleziona()
  #print float(media)/(i+1)

print "Media:", float(media)/2000


«Mi pare abbastanza chiaro».

«Ho fatto anche un paio di grafici per vedere che, all'aumentare del numero dei collezionisti, il valore medio si stabilizza sempre più verso il famoso 21.7».




«E come mai sono diversi?».

«Perché ogni prova è diversa dalle altre. La cosa importante è vedere che l'andamento si stabilizza, anche se nel secondo grafico si stabilizza più lentamente».

«Probabilmente 2000 prove sono ancora poche».

«Già. Devi pensare che 21.7 scatole sono, appunto, una media, ma ci possono essere collezionisti fortunati che se la cavano con 8 scatole e altri meno fortunati che ne devono acquistare ben più di 22. Anzi, mi basta aggiungere un paio di righe al programma per vedere qual è il record negativo di acquisto scatole:».

media=0
record=0
for i in xrange(2000):
  m=colleziona()
  if record < m:
    record = m
  media+=m
  print float(media)/(i+1)

print "Media:", float(media)/2000,record

«Ah, certo, così tieni in memoria il valore massimo di scatole da acquistare: quanto risulta?».

«Faccio girare il programma: ecco, 72».

«Però, sfortunato quel poveraccio che deve acquistare 72 scatole».

«Eh, già. E pensa a quelli che collezionano figurine di calciatori: nella collezione dell'anno scorso c'erano 690 figurine».

«Quante?!».

«Più altre 29 con un codice strano: in tutto 719».

«Santo cielo! Ma bisogna acquistarne un numero colossale».

«Quante?».

«Eh, mi tocca fare una somma lunghissima, non c'è un metodo migliore?».

«Se ti accontenti di un risultato approssimato (approssimato molto bene, eh), c'è».

martedì 3 aprile 2012

Snumeratezza

Si stava parlando, in seconda, di pi greco (ogni tanto capita, si vede che è un numero che attira la curiosità, non so) e uno studente ha domandato: ma è vero che qualcuno ha calcolato sei miliardi di cifre di pi greco?

Io ho risposto che, sì, certamente qualcuno le avrà calcolate; e ora scopro che il record attuale è di oltre mille miliardi, ma non è questo il punto. Il punto è che lo studente poi, stupito, si è chiesto quanto tempo ci avrà messo, questo pazzo furioso, a calcolarsi sei miliardi di cifre di pi greco a mano.

Allora io gli ho fatto notare che il pazzo furioso ha certamente usato un computer, che è impossibile che se le sia calcolate a mano, e gli ho chiesto di provare a calcolare quanti quaderni gli ci sarebbero voluti per contenere sei miliardi di cifre, utilizzando una cifra per ogni quadretto. E lui mi ha guardato strano, come se gli avessi assegnato un compito impossibile.

E l'ho invitato a provarci, partendo dai quadretti contenuti in un foglio. Aiutandosi magari con un righello (i quadretti sono da 4 millimetri, di solito) si trova che in un foglio ce ne stanno circa 52×73, cioè 3796. Un quaderno standard ha 20 fogli piegati a metà, cioè 40 fogli, 80 facciate, per un totale di 303680 quadretti.

I numeri cominciano a diventare grossi, e non è semplice immaginarseli; ora si può calcolare il numero di quaderni necessari per contenere sei miliardi di cifre di pi greco: una semplice divisione ci dà il risultato di 19757, facciamo 20000.

Quanto spazio occuperanno ventimila quaderni? Quanti ce ne stanno in questa stanza? Quanto è grande questa stanza? Ma come facciamo a calcolarlo, dobbiamo prendere un metro?

Ho risposto che non serviva una misura precisa, che sarebbe bastato dare un'occhiata alle mattonelle sul pavimento, che sono quadrati di circa 20 centimetri di lato. Per farla breve, è risultato che l'aula può contenere più di 400000 quaderni. È impossibile, ha esclamato qualcuno. Abbiamo sbagliato i conti! E allora io l'ho invitato a fare una stima più semplice, quella del numero di mattonelle presenti sul pavimento. E lui ha risposto che, boh, saranno state cinquanta, forse cento. In realtà con una divisione si è scoperto che sono 900. Così tante? Impossibile!

Poi è saltato fuori anche un altro argomento, classico quasi quanto il pi greco: quante volte si può piegare un foglio di carta. Ho iniziato con un problema noto (a quelli pratici dell'ambiente, naturalmente): se si potesse piegare un foglio di carta quante volte quante si vuole, quante pieghe si dovrebbero fare per arrivare fino alla Luna? Gli studenti hanno stimato a occhio che sarebbero serviti milioni di pieghe, mentre tutti sanno che la risposta è un semplice 42. Effettivamente è una risposta che ha dell'incredibile, ma è giusta.

Sembra che il record per la piegatura di un foglio di carta sia, attualmente, pari a 12 volte (quello di 13 pieghe non è stato omologato perché il malloppo risultante non stava in piedi da solo, ma aveva bisogno della stabilizzazione fornita dal peso di qualche studente). Qualcuno mi ha chiesto perché non si riesce a fare di più, in fondo basta avere a disposizione un foglio molto grande. L'ho invitato a fare il calcolo, prendendo ad esempio un foglio di carta grande quanto un campo da calcio (in ogni classe c'è sempre qualche studente che conosce le misure di un campo da calcio al millimetro).

Le misure di un campo da calcio sono variabili, per un'area che va dai 6400 agli 8250 metri quadrati: facciamo 8000. Dopo la prima piega diventano 4000, poi 2000, poi 1000, 500, 250, 125 (facciamo 128), 64, 32, 16, 8, 4, 2, 1. E siamo arrivati alla misura di un foglio A0. Dividiamo ancora una volta e otteniamo un A1, poi un A2, un A3 e infine un A4. Totale: 17 pieghe, che corrispondono a uno spessore di 217 pagine, cioè 131072. Piegando un foglio delle dimensioni di un campo da calcio si ottiene un libro di più di 130 mila pagine. Vedete, ho detto prendendo in mano un foglio A4, su un campo da calcio ci stanno centotrentamila fogli fatti così. E qualcuno, nonostante l'evidenza matematica, ha detto che era impossibile.

Ecco, tutto questo per dire che noi ci preoccupiamo di spiegare argomenti complicati come le disequazioni, i radicali o la geometria euclidea, usiamo l'algebra per astrarre sempre più, tendiamo a non eseguire più operazioni ma ci accontentiamo di indicarle, mentre chi ci sta davanti ha pochissima praticità già con i semplici numeri, quando sono un po' grandi (dove grande significa superiore a 20, di solito (le dita delle mani più quelle dei piedi, sì)).

E anche io, che ho scritto queste cose, ho un po' paura a schiacciare il bottone pubblica, perché potrei avere fatto qualche errore di calcolo. Sai che figura, dopo.

venerdì 9 dicembre 2011

Sigma

In attesa del seminario del 13 dicembre, che dovrebbe dirci qualcosa di più sul bosone di Higgs, eminenti fisici ci hanno spiegato come interpretare i risultati. Sia Amedeo Balbi che Peppe Liberti hanno parlato di significatività statistica, e Marco Delmastro ha promesso che cercherà di commentare in diretta i risultati (connessione permettendo).

Il numerino da controllare, quando arriverà la comunicazione ufficiale, sarà il famoso (per chi ha letto gli articoli linkati qua sopra) numero di sigma. Dice la teoria che il valore vero ha circa il 68% di probabilità di essere compreso  in un intervallo di più o meno un sigma attorno alla media dei dati. La domanda è: perché proprio il 68%? Da dove salta fuori questo numero?

Tutto nasce dai cosiddetti teoremi del limite centrale: essi dicono che la somma di un grande numero di variabili casuali ha una distribuzione ben nota, detta appunto normale, o standard. Questo significa, in pratica, che le misure effettuate potranno essere affette da errori accidentali, ma tutti questi errori riescono, in un certo senso, a compensarsi un po'.

Facciamo un esempio: il lancio di un dado.

Il risultato ottenuto lanciando un dado (a 6 facce) è una variabile casuale: se il dado non è truccato io non posso prevedere quale numero uscirà. Ma se lo lancio tante volte, so che le sue facce si presenteranno tutte con una probabilità pari a 1/6. Questo in teoria, perché il dado non ha memoria dei lanci precedenti e, quindi, non rispetterà alla lettera questa regola.

Se io lancio molte volte un dado, e faccio il rapporto tra il numero di volte in cui è uscito un certo numero (diciamo il numero 1) e il numero di lanci totali, mi aspetto che all'aumentare del numero dei lanci questo rapporto si avvicini al valore teorico di 1/6. Più lanci faccio, migliore sarà questa approssimazione.

Ecco un primo esperimento: un dado viene lanciato 1000 volte, e viene calcolato il rapporto tra numero di volte in cui è uscito 1 e numero di lanci totali (cioè 1000). Questa prova è stata ripetuta per mille volte (l'ha fatto il computer, eh), e i mille risultati sono stati rappresentati su questo grafico:


Come si può vedere, i valori si accumulano intorno al valore teorico di 1/6, cioè 1.(6). L'istogramma sembra avere una forma abbastanza regolare, ma siamo ancora molto lontani dalla curva teorica.

In questo secondo esperimento il dado viene lanciato 10000 volte. Ancora una volta la prova è stata ripetuta per mille volte, ed ecco il nuovo grafico:

I dati sono distribuiti in un intervallo più stretto, e la forma appare più regolare.

Un ultimo esperimento: 20000 lanci, e ancora mille ripetizioni. Ecco il grafico:


Leggermente più stretto del precedente, e ancora più regolare.

Ecco un altro grafico in cui i tre precedenti sono rappresentati contemporaneamente, per poterne apprezzare le differenze:



La teoria ci dice che la curva a cui questi istogrammi cercano di assomigliare, detta curva gaussiana, ha la seguente forma base: = e-x2. Ed ecco il suo grafico:


Il valore di sigma ha un significato geometrico: è l'ascissa del punto di flesso di destra (mentre sigma cambiato di segno è naturalmente l'ascissa del punto di flesso di sinistra). Dunque un valore compreso in un intervallo di ampiezza sigma attorno al valore medio si trova nella zona evidenziata da questo grafico:


Conoscere la probabilità di essere nella zona delimitata dalle due rette rosse significa conoscere il rapporto tra l'area della curva compresa nella suddetta zona e l'area totale. Questo non è un numero facile da calcolare, perché per calcolare le aree ci servirebbero gli integrali, ma l'integrale della gaussiana è difficilmente trattabile. Riusciamo a calcolare in maniera esatta soltanto l'area compresa sotto tutta la curva (che, in teoria, si estende all'infinito sia a destra che a sinistra), ma non riusciamo a calcolare l'area di una sua generica parte.

E allora ci affidiamo al computer, che ci dice che l'area che stiamo cercando è il 68.3%. Se allarghiamo la zona rossa, andando da -2σ a +2σ, otteniamo un'area pari a circa il 95.5% del totale. Con 3σ siamo al 99.7%. Ed ecco fatto.

Dimenticavo un'ultima cosa: l'area totale compresa dalla gaussiana e l'asse delle ascisse è uguale alla radice quadrata di pi greco, questo per confermare la prezzemolosità del nostro amico π.

[Edit: Marco Delmastro ha iniziato a parlare di statistica, e lo fa lanciando dei dadi. Dategli un'occhiata…]

martedì 6 dicembre 2011

Come il prezzemolo

«Se ti dico pi greco (o pi greca, come fanno gli snob), a cosa pensi?».

«A una circonferenza».

«Bene. È affascinante scoprire che π non salta fuori solo quando si parla di circonferenze».

«Per esempio?».

«Per esempio, può essere nascosto anche in domande innocenti riguardanti la probabilità, che mai farebbero pensare alle circonferenze».

«E cioè?».

«E cioè: qual è la probabilità che due numeri interi scelti a caso siano primi tra loro?».

«Boh?».

«Partiamo da un esempio finito. Consideriamo i numeri da 1 a 30».

«Bene».

«Quanti sono i numeri primi tra loro?».

«Non lo so, dobbiamo contarli?».

«Sì, in modo da ricavare una regola. Cominciamo osservando che 30 è uguale al prodotto di 2 per 3 per 5».

«Vero».

«Allora, costruiamo una matrice in cui inseriamo, nella riga i e nella colonna j, il Massimo Comun Divisore tra i e j, dove i e j sono numeri che variano da 1 fino a 30».

«Uhm, non so se ho capito bene».

«Ecco qua la matrice:».



«Che brutta».

«Eh, porta pazienza. Allora, quanti elementi contiene?».

«900».

«Bene. Quanti sono quelli multipli di 2?».

«Mh, direi tutti quelli per cui sia i che j sono numeri pari».

«Esatto. Dato che i e j rappresentano anche le righe e le colonne della matrice, possiamo dire che sono tutti i numeri che si trovano in una riga e in una colonna di indice pari».

«Ok. Ma allora possiamo dire che sono un quarto di tutti i numeri, perché gli elementi che stanno su una riga e una colonna pari sono un quarto del totale degli elementi».

«Esatto. Ci restano allora da esaminare 900(1-1/4) elementi».

«Cioè 675».

«Ora, quanti sono, tra questi 675, quelli che sono multipli di 3?».

«Uh, comincia a diventare difficile. Vediamo, sono i numeri che si trovano su una riga multipla di tre e anche su una colonna multipla di tre».

«Sì, vedi che non è difficile?».

«Ma non capisco come fare quando trovo sia numeri multipli di 2 che multipli di 3. Per esempio, quando arrivo a MCD(6,12), cosa succede?».

«Ricordati che i multipli di 2 li abbiamo eliminati, non dobbiamo più considerarli. Stiamo adesso analizzando i 675 numeri rimasti, quindi è come se avessimo tolto le posizioni in cui ci sono i multipli di 2».

«Ah, giusto. Allora mi pare che i multipli di 3 siano 1/9 del totale».

«Perché?».

«Perché si trovano in una posizione ogni 3 di una colonna ogni 3 (o di una riga ogni 3)».

«Perfetto. Quindi se eliminiamo anche questi multipli rimaniamo con 900(1-1/4)(1-1/9) = 600 numeri».

«Bene. Ora guardiamo i multipli di 5?».

«Ci sarebbero prima i multipli di 4, ma quelli sono già andati via quando abbiamo tolto i multipli di 2».

«Giusto».

«Allora, dei 600 numeri rimasti, quanti sono quelli multipli di 5?».

«Uno ogni 5 una riga ogni 5 (o una colonna ogni 5)».

«Quindi ci rimangono 900(1-1/4)(1-1/9)(1-1/25) = 576 numeri».

«E allora?».

«Allora nella matrice abbiamo 576 numeri uguali a 1 oppure coprimi con 2, 3 e 5».

«Giusto».

«Adesso generalizziamo, e passiamo a una matrice infinita».

«Uhm».

«Immaginiamo di non fermarci a = 30, ma vediamo che succede quando n diventa sempre più grande».

«Potremo continuare a eliminare multipli finché vogliamo».

«Certo, secondo una legge che abbiamo intuito».

«Sarebbe questa: n(1-1/4)(1-1/9)(1-1/25)…».

«Sì. Ricordati che i denominatori di quelle frazioni sono i quadrati dei numeri primi, quindi dopo la parentesi (1-1/25) avrai (1-1/49)».

«Ok».

«Allora, quando n diventa sempre più grande, il rapporto tra i valori uguali a 1 nella matrice e il totale dei valori diventerà sempre più vicino a questa espressione:».


«Dove pi è un numero primo».

«Esatto. Adesso consideriamo un fattore generico di questo prodotto».

«Una delle tante parentesi del tipo:».


«Esatto. Fai il reciproco».

«Vediamo, prima faccio il denominatore comune, poi capovolgo. Ecco:».


«Benissimo. Se io divido numeratore e denominatore per il quadrato di pi, ottengo:».


«Che orrore! Perché l'hai scritto così?».

«Non ti ricorda niente?».

«Ah! Ma è il risultato della serie geometrica!».

«Proprio quello. Quindi ognuno di quei fattori può essere scritto come serie geometrica, in questo modo:».


«Mamma mia che roba. Abbiamo trasformato un prodotto di infinite parentesi in un prodotto di infinite serie geometriche».

«Nel reciproco di un prodotto di infinite serie geometriche. E adesso lo calcoliamo».

«Ma dai…».

«Dico davvero. Se applichiamo a quel prodotto la proprietà distributiva…».

«Ma si può?».

«No».

«E allora?».

«E allora facciamo finta che si possa. I Veri Matematici hanno dimostrato che tutti questi passaggi hanno senso, e allora noi ci fidiamo e vediamo di intuire dove si va a finire, lasciando a loro i tediosi calcoli intermedi».

«Mi piace questo metodo».

«Quindi, attenzione: se svolgiamo tutti quei prodotti tra le varie serie geometriche, cosa otteniamo?».

«Un sacco di roba».

«Cominciamo: certamente otteniamo 1».

«Ok, il prodotto di tutti gli 1 che sono al primo posto nelle parentesi».

«Poi otteniamo delle frazioni del tipo 1/p2, per ogni numero primo p».

«Giusto».

«Poi frazioni del tipo 1/p4, 1/p6, eccetera».

«Ho capito: andando avanti le frazioni si complicano, e al denominatore potrò avere tutte le possibili combinazioni dei quadrati dei numeri primi».

«Esatto, ma non solo quadrati: qualunque potenza di quei quadrati».

«Perfetto, ci sono».

«E quindi, prima o poi ogni numero naturale comparirà, elevato al quadrato, al denominatore».

«Sicuramente, ogni numero naturale è scomponibile in fattori primi. Quindi prima o poi compariranno tutti: ho capito».

«Benissimo. Allora ti riordino i risultati che troveremo:».



«Ma no! Quella inutile formula che mi hai spiegato qualche giorno fa».

«VUOI SMETTERLA?».

«Scusa».

«Quanto risultava, quella importantissima formula?».

«Eh, risultava π2/6».

«E allora, riassumendo, la probabilità che in quella matrice ci siano degli 1 è il reciproco di questo numero».

«Quindi la probabilità che due numeri scelti a caso siano primi tra loro è 6/π2. Incredibile».

«Davvero incredibile. Per arrivare al risultato siamo passati attraverso i numeri primi, la serie di Taylor del seno, la serie geometrica, gli infiniti, la funzione zeta di Eulero».

«E abbiamo trovato pi greco».

venerdì 2 dicembre 2011

Le magie di Eulero

Prendiamo la funzione y = sin(x): bellina da disegnare, ma difficile da trattare. Va bene, pazienza, Taylor ha trovato una formula che permette di trasformare le funzioni difficili in polinomi. E allora possiamo scrivere che:

sin(x) = - x3/3! + x5/5! - x7/7! + …

«Bé, non è proprio un polinomio questo, eh. Si deve andare avanti all'infinito, non ci si può fermare».

«Lo so, ma Eulero vedeva molto lontano, e ai tempi l'infinito veniva gestito in modo molto sportivo».

«Andiamo bene. E cosa ha combinato, Eulero?».

«Per prima cosa ha calcolato il polinomio…».

«…infinito…».

«…infinito, va bene, di sin(x)/x».

«Basta dividere per x, no?».

«Sì, e si ottiene questo:».

P(x) = sin(x)/= 1 - x2/3! + x4/5! - x6/7! + …

«Questo era facile».

«Ora calcoliamo le radici di questo polinomio».

«Eh?».

«Vediamo in quali punti si annulla».

«Immagino che si annullerà quando è nullo il seno: in infiniti punti».

«Naturalmente. Quali sono?».

«Uhm, vediamo, π, 2π, 3π, …».

«Non dimenticare i valori negativi!».

«Ah, già, ci sono anche -π, -2π, eccetera. E anche lo zero».

«Eh, no, lo zero no».

«Perché?».

«Perché il dominio di sin(x)/x esclude lo zero, quello lo lasciamo fuori».

«Ah, giusto».

«Ora, un polinomio di qualsiasi grado può essere scomposto nel prodotto di tanti binomi del tipo (x-ri), dove gli ri sono le sue radici, moltiplicato per il coefficiente del termine di grado massimo».

«È vero, ma qui non c'è un grado massimo!».

«Infatti. Allora giriamo il problema, partiamo dal termine noto. Questo è, ehm, noto».

«Già, è uguale a 1».

«Allora esprimiamo questo polinomio come prodotto di tanti binomi del tipo (1-x/ri)».

«Uhm, fammi pensare… Certamente se svolgo i calcoli mi risulta un termine noto uguale a 1, ma non capisco bene il significato di quei binomi».

«Guarda bene: ognuno di loro si annulla se sostituisco al posto di x la radice ri».

«Ah, è vero. Quindi questo è un modo equivalente di scomporre, ho capito».

«Ottimo. Quindi il nostro P(x) è diventato questa espressione:».

P(x) = (1-x/r1)(1-x/r2)(1-x/r3)…

«Un prodotto infinito».

«Esatto. Ora ti ordino i vari valori di ri in modo da fare saltare fuori qualche prodotto notevole».

«Uh, quelli che si studiavano in prima superiore».

«Proprio loro. In particolare, userò la differenza tra due quadrati».

«Me la ricordo! Dice che (a+b)(a-b) è uguale a a2-b2».

«Perfetto. Guarda allora questa espressione di P(x) e prova a trasformarla:».

P(x) = (1-x/π)(1+x/π)(1-x/(2π))(1+x/(2π))…

«Ah, ho capito. A due a due le parentesi si moltiplicano, e ottengo questo:».

P(x) = (1-x22)(1-x2/(2π)2)(1-x2/(3π)2)…

«Benissimo. Ora calcoliamo il prodotto».

«Eh? Stai scherzando? Come si fa? È infinito!».

«Sì, hai ragione. Calcoliamoci solo il termine di secondo grado».

«E come facciamo?».

«Osserva che in ogni parentesi compare una x di secondo grado…».

«E quindi i termini di secondo grado si hanno solo quando prendo una delle x e la moltiplico per tutti gli 1 che compaiono nelle altre parentesi!».

«Esatto, altrimenti ottieni gradi più alti».

«Allora forse ce la faccio a fare il calcolo, vediamo: dalla prima parentesi ottengo 1/π2…».

«Attenzione al segno!».

«Vero, sono tutti termini negativi. Allora, raccolgo un segno meno e non ci penso più: quindi, a parte il segno, ottengo questi numeri».

1/π2, 1/(2π2), 1/(3π2), …

«Bene. Questi numeri sono tutti sommati tra di loro, vero?».

«Certo, l'espressione finale che ottengo è questa:».

- 1/π2 - 1/(2π2) - 1/(3π2) - …

«Che ti scriverò in questo modo:».



«Eh? Cos'è quella lettera?».

«Si chiama funzione zeta di Riemann, ζ è la lettera greca zeta».

«Quella dell'ipotesi di Riemann?».

«Proprio lei».

«E allora? Cosa abbiamo ottenuto?».

«Abbiamo calcolato il valore di -ζ(2)/π2».

«Davvero? E come abbiamo fatto? Non vedo il risultato, ma solo una lunga (e discutibile) trasformazione».

«Eh, ma guarda l'inizio della trasformazione: non dimenticarti il punto di partenza».

«Ti riferisci a P(x)? Cioè a sin(x)/x?».

«Certamente. Qual è il coefficiente del termine di secondo grado, nella prima espressione di P(x)?».

«È -1/3!, cioè -1/6».

«Perfetto, allora -ζ(2)/π2 = -1/6, quindi ζ(2) = π2/6».

«Uhm, vabbé, carino, ma non ho capito a cosa ci ser…».

«COSA?».

«Ehm, no, mi chiedevo l'util…».

«TU NON STAI PENSANDO DA VERO MATEMATICO!».

«Uh, ecco, non volevo…».

«TI SEMBRANO DOMANDE DA FARE?».

«Mi dispiace…».

«SARÀ MEGLIO!».

domenica 31 ottobre 2010

Gnuovità

GnuGnu ha modificato la sua dimostrazione senza parole relativa ai formati An, producendo infine questa immagine.


Essenziale e chiara.

mercoledì 27 ottobre 2010

Dimostrazione senza parole: ancora sui formati An

GnuGnu, che molti extramuros non conoscono perché è un avout centenariano del quale si sa poco, ha proposto un'altra dimostrazione senza parole relativa ai formati An della carta. Eccola qua:


Mi piace perché ci vedo il rettangolino rosso in movimento.

[Non sono impazzito, le parole strane derivano dalla mia attuale lettura, l'ultimo di Neal Stephenson (la descrizione del libro riportata su Anobii è uno spoiler dietro l'altro, non leggetela — appena finirò il libro mi premurerò di farne un elogio senza spoiler)]

martedì 26 ottobre 2010

Dimostrazione senza parole: i formati An

Prima di produrre la versione finale della sua dimostrazione senza parole relativa ai formati per la carta usati da noi europei, .mau. ha proposto un'altra versione della stessa dimostrazione, che non lo soddisfaceva molto. Io l'ho leggermente modificata e ve la propongo qua sotto, anche se non mi pare definitiva.

Insomma, non basta guardarla per comprendere la necessità del rapporto uno su radice di due nei formati An. Però è carina…

martedì 6 luglio 2010

La formula più bella della matematica



Ho trovato una presentazione che spiega la formula di Eulero (la cosiddetta formula più bella della matematica) in termini di rotazioni sul piano complesso.

Riassumendola:

— un numero complesso è un vettore nel piano di Gauss,

— la moltiplicazione di due numeri complessi produce una rotazione e un aumento (o diminuzione) della lunghezza del vettore,

— da qui si può passare al concetto di potenza a esponente naturale di un numero complesso,

— il tutto è legato alla costruzione di una serie di triangoli simili, sempre sul piano complesso,

— se il vettore ha modulo unitario, i triangoli sono isosceli,

— bene, facciamo diventare questi triangoli isosceli sempre più piccoli, e leghiamo il tutto con la definizione di e.

(via Wild About Math!)

sabato 19 giugno 2010

e

“Supponiamo di depositare un euro in banca a un interesse annuale del 100%…”.

“See, buonanotte”.

“È solo un esempio, lo so che non è realistico”.

“Ah, no, certo, nella classifica degli esempi poco realistici questo si trova al posto d'onore, con menzione speciale”.

“Vabbè, io vado avanti con l'esempio. A quanto ammonterà il capitale dopo un anno?”.

“Secondo le tue assurde ipotesi, alla fine dell'anno raddoppiamo il capitale, quindi due euro”.

“Esatto. Ora, non contenti del nostro interesse, andiamo alla banca e diciamo: senti, banca, ti dispiace farmi un interesse del 50% per i primi sei mesi, poi un interesse del 50% per gli altri sei mesi?”.

“E cosa cambia?”.

“Se facciamo i conti, dopo i primi sei mesi abbiamo un euro più la sua metà, che scriviamo in questo modo:”.



“E dopo gli altri sei mesi arriviamo a due euro”.

“Eh, no, ricordati che ora in banca c'è un capitale maggiore: devi fare i calcoli aumentando del 50% il capitale attuale”.

“Ah. Quindi devo calcolare il 50% di 1.5”.

“Sì. Te lo scrivo in questo modo:”.



“Sì, capisco, uno e mezzo più la metà di uno e mezzo. Perché non vuoi fare i calcoli?”.

“Perché ho uno scopo che ti apparirà chiaro tra un po'. Solite manie da matematici…”.

“Ah, ho capito, il solito sistema di complicare le cose semplici per stupire poi col gran finale”.

“Esattamente. Comunque, posso semplificare la formula un po': dato che la parentesi contenente uno e mezzo compare due volte, la prima con coefficiente uguale a uno, la seconda con coefficiente uguale a un mezzo, posso dire che alla fine ottengo una volta e mezzo quella parentesi. In formule:”.



“Che potrei anche scrivere così, a questo punto:”.



“Esatto. Anche se abbiamo scritto tutto in formule, possiamo comunque fare i calcoli: risulta che alla fine dell'anno otteniamo 2.25 euro”.

“La banca non sarà contenta”.

“Nemmeno noi, tant'è che torniamo allo sportello e domandiamo: cara banca, dato che aspettare sei mesi non mi piace molto, potresti farmi i conti degli interessi ogni quattro mesi? Quindi mi dai un terzo degli interessi dopo i primi quattro mesi, un altro terzo dopo otto mesi, e l'ultimo terzo alla fine dell'anno”.

“Vabbè, avevamo già rinunciato al realismo prima, andiamo pure avanti”.

“Se hai capito il ragionamento fatto prima, non ti è difficile seguire i calcoli adesso. Li faccio un po' più rapidamente. Dopo il primo periodo avremo in banca il seguente capitale:”.



“Sì, è come prima. Dopo il secondo dovremmo avere:”.



“Infatti. Alla fine dell'anno avremo questo risultato:”.



“Mi pare di intravedere una formula generale…”.

“Sì, esatto. Questo dovrebbe farti capire perché non ho fatto subito i calcoli, ma ho lasciato indicate le parentesi”.

“Sì, vedo. Comunque i calcoli li faccio: vediamo un po', questa volta il capitale alla fine dell'anno sarà uguale a 2.37 euro e rotti”.

“Sì, è aumentato rispetto a prima”.

“Ah, certo. Con questa faccenda dell'aumento dei periodi in cui si calcola l'interesse, possiamo diventare ricchi”.

“Siamo sicuri?”.

“Eh, bè, certo, accumuliamo denaro sempre di più, possiamo fare quello che vogliamo”.

“Facciamo una prova. Andiamo in banca ancora, e chiediamo se ci fanno il conto degli interessi ogni tre mesi, cioè quattro volte all'anno”.

“La formula dovrebbe essere questa:”.



“Sì, questa è quella finale. Se fai i conti, viene 2.44 e rotti”.

“È aumentato ancora”.

“Certo, questo è vero. Ma è aumentato di meno”.

“Insomma, o aumenta o non aumenta, no?”.

“Certo che aumenta, ma ci sono diversi modi di aumentare. Prova a chiedere alla banca se ti fa i conti una volta al mese, per esempio”.

“Sono dodici volte all'anno, dovrebbero essere tanti soldini. La formula è questa:”.



“Esatto. Risulta 2.613”.

“Uhm, mi aspettavo un aumento un po' più grosso”.

“Prova a sentire in banca se ti fanno il calcolo degli interessi una volta al giorno, allora”.

“Eh, magari. Vediamo, questo è il risultato:”.



“Bene, risulta 2.71457”.

“Comincio a capire: aumenta, ma aumenta sempre meno. Quanto ci metterà ad arrivare a 3?”.

“Forse in banca hanno tempo di farti i conti una volta ogni ora”.

“Ogni ora? Sarebbero 8760 calcoli all'anno!”.

“Che problema c'è? In banca hanno i computer, ci pensano loro a tenere il tuo conto aggiornato”.

“Ah, va bene. La formula diventa:”.



“E il risultato è 2.71813”.

“Niente, ancora non ci siamo. Faccio il calcolo una volta al minuto, allora. Ecco qua:”.



“Ancora troppo poco: risulta 2.71828”.

“Una volta al secondo! Sono preso dal sacro furore del ragioniere! Ecco qua:”.



“Purtoppo risulta 2.71828”.

“Come prima? Impossibile”.

“No, non proprio come prima: c'è stato un piccolo aumento nelle cifre che non ti ho detto, dopo la quinta decimale”.

“Ma allora quante volte devo calcolare gli interessi in un anno per avere il mio capitale triplicato?”.

“Il fatto è che non arriverai mai a 3. Il tuo capitale aumenta sempre, ma aumenta sempre di meno. Il risultato non si avvicina a 3, ma rimane minore”.

“Di quanto rimane minore? Cioè, a cosa si avvicina il risultato, alla fine?”.

“Il numero a cui si avvicina il tuo capitale, man mano che aumenti il numero di volte in cui fai il calcolo degli interessi, si avvicina a un numero irrazionale che i matematici indicano con e”.

“Una semplice e?”.

“Sì. La scrittura corretta che si usa è questa:”.



“lim?”.

“Sì, quel simbolo significa limite, ed è il modo matematico per dire quello che succede quando n diventa sempre più grande. Se tu chiedi alla banca di farti un calcolo degli interessi in ogni istante, o continuamente, il tuo capitale arriva fino a e, e non lo supera. Quindi questo non è un metodo per diventare ricchi”.

“Vabbè, già le ipotesi iniziali erano di pura fantasia, non esiste una banca che ti dà un interesse del cento per cento”.

“Non importa, io ho supposto un interesse del 100% per semplificare i calcoli, ma il numero e salta fuori anche se si fanno calcoli con dati reali”.

“Ah. Quindi è un numero molto importante?”.

“Eh, sì, ogni volta che si ha a che fare con fenomeni di accrescimento o decadimento, salta fuori e. Può trattarsi dell'accrescimento di un conto in banca, della crescita di una colonia batterica, del decadimento radioattivo, della scarica di un condensatore. Di esempi se ne possono fare tanti. Il numero e, detto anche numero di Nepero o di Eulero, è il numero più naturale che ci sia”.