martedì 13 marzo 2018

Insomma, pi greco

“Eccoci dunque al punto finale, la quadratura del cerchio”.

“Oh, bene”.

“Facciamo un riassunto di tutto quello che abbiamo detto finora”.

“Ottimo”.

“I numeri reali si dividono in due categorie: i numeri razionali, cioè le frazioni, e i numeri irrazionali”.

“Cioè tutti gli altri”.

“Esatto. Ora, anche gli irrazionali sono divisibili in due categorie: i numeri algebrici (di cui fanno parte anche i razionali) e i numeri trascendenti”.

“I numeri algebrici sono quelli che possono essere soluzioni di equazioni polinomiali, vero?”.

“Equazioni polinomiali a coefficienti interi, altrimenti tutti i numeri potrebbero essere soluzioni dell'equazione x = a, e fine della storia”.

“Giusto”.

“Invece i trascendenti non possono essere soluzioni di equazioni polinomiali a coefficienti interi”.

“E fin qua ci siamo”.

“Alcuni numeri algebrici, poi, sono costruibili”.

“Il che significa che sono costruibili con riga e compasso, vero?”.

“Sì. Con riga e compasso si possono costruire numeri che, a partire dall'unità, possono essere ottenuti con un numero finito di somme, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni, e estrazioni di radice quadrata”.

“E ora c'è pi greco”.

“Già. Il problema della quadratura del cerchio si traduce in questa domanda: usando solo riga e compasso è possibile costruire un quadrato avente la stessa area di un cerchio dato? Domanda che, in linguaggio aritmetico, diventa: pi greco è un numero costruibile?”.

“E la risposta è no”.

“La risposta è: pi greco è un numero trascendente, e quindi se non appartiene all'insieme dei numeri algebrici non può appartenere nemmeno all'insieme dei numeri costruibili, che è un sottoinsieme proprio degli algebrici. Ma la dimostrazione di questa affermazione è lunga e difficile”.

“Lo sospettavo”.

“Ricordi quando abbiamo dimostrato l'esistenza di un numero trascendente?”.

“Sì, abbiamo usato una proprietà dei trascendenti, se ben ricordo, che riguardava le approssimazioni che possiamo fare con le frazioni”.

“Esatto: il numero che abbiamo trovato può essere approssimato con frazioni del tipo m/n con precisione minore di 1/nk, per qualunque k”.

“Anche pi greco, quindi?”.

“Purtroppo no, per pi greco questo metodo non funziona. Bisogna generalizzarlo tanto”.

“Questo tanto mi inquieta”.

“Cominciamo con notare che π ed e, il numero di Nepero, sono strettamente legati”.

“Non sarà la solita storia della formula più bella della matematica?”.

“Eh, sì. Sappiamo che eiπ = −1”.

“Ok, e quindi?”.

“E quindi se riusciamo a dimostrare che ea, con a un qualunque numero algebrico, non può essere uguale a −1, siamo a posto”.

“Fammi capire”.

“Dato che sappiamo che eiπ è effettivamente uguale a −1, se riusciamo a dimostrare quel teorema possiamo concludere che iπ non è algebrico”.

“Quindi iπ è trascendente, ma come facciamo a togliere i?”.

“Beh, è facile, i è algebrico, perché è soluzione dell'equazione a coefficienti interi x+ 1=0, e quindi se il prodotto iπ è trascendente, significa che π deve esserlo”.

“Ah, ecco! Ottimo, quindi in effetti abbiamo spostato il problema dallo studio di pi greco allo studio della funzione esponenziale, vero?”.

“Proprio così. Ora, facciamo un passo più semplice di quello che vorremmo, giusto per capire come funzionano le cose: dimostriamo che e è irrazionale. Ci ricordiamo che per la funzione esponenziale esiste una serie di potenze che converge a essa”.

“Ed ecco che entra in campo l'analisi…”.

“Sì, una dimostrazione di teoria dei numeri fatta con l'analisi: bella roba. Ricordi quale serie di potenze converge all'esponenziale?”.

“Era una serie facile, mi pare 1 + x + x2/2! + x3/3! + …”.

“Esatto. Ora, supponiamo per assurdo che e sia razionale, cioè una frazione. Questo vuol dire che se moltiplico questa fantomatica frazione per un numero sufficientemente grande, ottengo un numero intero”.

“Certamente”.

“Allora calcolo n!e1, con n sufficientemente grande da fare in modo che il denominatore se ne vada. E uso proprio lo sviluppo in serie di ex”.

“Va bene, aspetta che provo a capire. Se prendo la serie dell'esponenziale vedo che si semplificano tanti denominatori”.

“Quanti?”.

“Beh, sicuramente quelli fino a xn/n!”.

“Giusto; e ricorda che abbiamo posto x = 1. Che succede dopo quel termine?”.

“Eh, mi sa che rimane una frazione: 1/(+ 1). Anzi, non solo una, poi c'è 1/(+ 1)(+ 2), e così via”.

“Esatto. E quindi n!e non può essere un intero”.

“E quindi e non può essere razionale! Molto bello”.

“E ora un altro passo di analisi: quello che abbiamo dimostrato non è che esiste soltanto un caso in cui, moltiplicando la frazione che dovrebbe essere uguale a e, si ottiene un assurdo. Di casi come quello che ne sono infiniti, basta prendere il moltiplicatore sempre più grande”.

“D'accordo”.

“Ogni volta che moltiplichiamo l'espansione in serie di e otteniamo una prima parte intera, e poi una coda composta da tante frazioni aventi il numeratore uguale a 1, e il denominatore che diventa sempre più grande.”.

“Immagino che il passo di analisi sia fare diventare infinitamente grande quel denominatore”.

“Immagini bene. Quello che abbiamo fatto, detto in altri termini, è questo: abbiamo trovato due successioni fn e gn tali che la differenza fnegn diventa sempre più piccola man mano che n diventa sempre più grande. Nel nostro caso, giusto per essere chiari, fn è uguale a n!, mentre gn è uguale a 1/(+ 1) + 1/(+ 1)(n + 2) + …”.

“Ok, ho capito”.

“Quindi questa è una tecnica per dimostrare che un numero è irrazionale: trovo due successioni con quelle proprietà, e sono a posto”.

“Bene”.

“Ora un altro passo: passiamo dalla dimostrazione di irrazionalità di e1 alla dimostrazione di irrazionalità di ea, con a razionale diverso da zero”.

“Procediamo sempre allo stesso modo, con quelle due successioni?”.

“Sì, ma ora dobbiamo farlo per il caso generale, dove l'esponente di e è variabile. E l'aiuto ci viene proprio dalle approssimazioni di Padé”.

“Oh”.

“Sì, dal fatto che ex può essere approssimata molto bene dal rapporto f(x)/g(x), eliminando il denominatore possiamo passare all'espressione g(x)ef(x), che diventa sempre più piccola all'aumentare del numero di termini con cui faccio l'approssimazione”.

“Mamma mia”.

“Uno studio super tecnico di come sono fatti i polinomi f(x) e g(x) porta alla dimostrazione dell'ultima affermazione”.

“Super tecnico?”.

“Sì, vengono espressi come funzioni integrali di altre funzioni, in modo da poter costruire delle disuguaglianze comode e utili”.

“Certo, comode e utili…”.

“L'analisi è la matematica delle disuguaglianze: tutto è stima”.

“Andiamo bene”.

“Ti faccio solo un esempio, giusto per darti un'idea del livello: l'approssimazione di Padé di ordine 8 per la funzione esponenziale è questa: ”.

(x8 − 72x7 + 2520x6 − 55440x5 + 831600x4 − 8648640x3 + 60540480x2 − 259459200x + 518918400) / (x8 + 72x7 + 2520x6 + 55440x5 + 831600x4 + 8648640x3 + 60540480x2 + 259459200x + 518918400)

“Argh”.

“Che corrisponde a questa bella formuletta:”.



“Orrore”.

“Dove f(x) è il denominatore della frazione enorme che ho scritto prima, e g(x) il numeratore”.

“Che roba. Ehi, però c'è un'esponenziale con esponente −x, come mai?”.

“L'abbiamo fatto solo per comodità, invece di avere l'esponenziale con esponente x che moltiplica g, abbiamo diviso tutto per ex per ottenere quell'integrale, che ci piace molto perché ha un fattoriale al denominatore. E quando nei denominatori ci sono di mezzo i fattoriali sappiamo che tutto diventa piccolo molto in fretta”.

“Già, il fattoriale diventa enorme molto in fretta”.

“E allora, se immaginiamo che π possa essere una frazione N/D, moltiplicandolo per D dovremmo ottenere un intero, e quindi anche l'espressione f(iDπ) − eiDπg(iDπ) sarà un intero, perché la formula più bella della matematica ci dice che eiπ è uguale a 1, mentre f(x) e g(x) sono polinomi”.

“Siii, e quindi?”.

“E quindi avremmo un intero positivo minore di un numero piccolo quanto vogliamo. Minore di 1, ad esempio”.

“Ma non esistono interi positivi minori di 1, no?”.

“Appunto: è assurdo. Quindi π non può essere una frazione”.

“Ah! Ecco la dimostrazione!”.

“Noi però vogliamo dimostrare che π è trascendente, non ci basta che sia irrazionale”.

“Oh, no, è vero! Per un attimo avevo avuto l'illusione di aver finito”.

“Eh, no. Questo era solo riscaldamento. La strada per dimostrare che π è trascendente segue, però, quella che abbiamo percorso adesso, con ulteriori complicazioni”.

“Capirai”.

“Per prima cosa, si prendono in considerazioni delle approssimazioni di Padé simultanee”.

“Ossignore”.

“Significa semplicemente che approssimano bene non solo in un punto, ma in tanti punti. In quell'integrale che ho scritto sopra, invece di avere una sola parentesi del tipo (x) ce ne saranno tante diverse”.

“Mah”.

“Avremo quindi polinomi f e g che non dipendono solo da una x, ma da tante x diverse”.

“Cioè avremo x1, x2, e così via?”.

“Esatto”.

“Ma tutto questo perché?”.

“Eh, prima non ne abbiamo avuto bisogno perché abbiamo supposto che π fosse una frazione, e ci è bastata una approssimazione di Padé normale”.

Normale”.

“Ora, invece, se vogliamo dimostrare che π è trascendente, l'assurdo dovrebbe partire dalla supposizione che π sia algebrico. E non tutti i numeri algebrici sono frazioni”.

“E allora come si fa?”.

“Se quei numeri algebrici li moltiplichiamo per opportuni altri numeri algebrici, però, diventano frazioni”.

“Uh, ma come? Fammi capire”.

“Prendi per esempio la radice di 2”.

“Ok”.

“Se la moltiplichi per radice di 2, ottieni 2, che è addirittura naturale”.

“Vabbé, così è facile”.

“Prendi allora l'espressione (3 − √2)”.

“Ok”.

“Se la moltiplichi per (3 + √2) ottieni 9 − 2 = 7”.

“Ah, vero. Funziona sempre questa cosa?”.

“Sì, per ogni numero algebrico esistono sempre altri numeri algebrici che, moltiplicati per il primo, mi danno un numero razionale. È legato al fatto che i numeri algebrici sono sempre soluzioni di polinomi con coefficienti interi: quindi dato il numero iniziale, prendo il polinomio di grado minimo di cui questo è soluzione. Questo avrà un certo numero di altre radici, e se le moltiplico tutte ottengo il termine noto di quel polinomio, che è un numero intero”.

“Forse ho capito, posso provare un esempio?”.

“Certo!”.

“Se prendo la radice cubica di 3, so che questa è soluzione di x3 − 3=0”.

“Giusto”.

“Quindi se prendo le tre soluzioni dell'equazione x3 − 3 = 0, e le moltiplico tra loro… cosa ottengo?”.

“Pensaci bene: se le tre soluzioni sono x1, x2 e x3, l'equazione x− 3 = 0 può anche essere scritta come (x1)(x2)(x3) = 0”.

“Vero”.

“E allora se svolgi tutto dove va a finire il prodotto x1x2x3?”.

“Ah! Nel termine noto, che è 3! Molto bene, funziona davvero”.

“E funziona anche con la somma: quanto fa x1 + x2 + x3?”.

“Vediamo, devo sempre prendere in considerazione quel prodotto di tre parentesi?”.

“Sì: dove salta fuori la somma delle tre soluzioni?”.

“Mi pare che si possa trovare nel coefficiente del termine di secondo grado: quando faccio tutti i possibili prodotti, posso raccogliere x2 e ottenere, come coefficiente, la somma x1 + x2 + x3”.

“Per essere più precisi, la somma cambiata di segno, ma non è molto importante. Il fatto importante è che la somma sia il coefficiente del termine di secondo grado, quindi ancora una volta un numero intero”.

“Ah, bene”.

“Dato che questi numeri che servono per avere somma e prodotto interi sono molto importanti in questo campo, i Veri Matematici hanno creato una definizione apposta per loro: si chiamano coniugati della radice del polinomio che abbiamo preso in considerazione”.

“Ok”.

“Ecco allora come funziona il giochino delle approssimazioni di Padé: vogliamo dimostrare che ea non può essere uguale a −1, qualunque sia a, algebrico. Si prendono allora tutti i coniugati di a, e si considerano i prodotti aventi come fattori (ea+ 1), in cui i termini ai sono, appunti, i coniugati”.

“Le cose si complicano”.

“Già. Poi si considerano le approssimazioni di Padé simultanee, cioè quelle approssimazioni che approssimano bene tutti i termini del tipo eb che saltano fuori svolgendo i prodotti appena fatti”.

“Oh, mamma”.

“Ancora una volta salta fuori un integrale con un bel fattoriale al denominatore”.

“E i fattoriali ci piacciono”.

“Esatto. Così risulta un numero naturale che può essere minore di 1”.

“E questo è impossibile”.

“Purché non sia zero…”.

“Santo cielo! Ma non c'è mai fine!”.

“La dimostrazione del fatto che quel numero che salta fuori non è zero ha bisogno delle congruenze, ma non mi azzardo a scrivere tutti i passaggi: ti dico solo che si riesce a vedere che comunque noi scegliamo un numero primo p quel numero è congruente a una certa espressione positiva modulo p. Se quindi prendiamo un numero primo p abbastanza grande, quel numero è positivo”.

“E dato che i numeri primi sono infiniti…”.

“Un numero primo abbastanza grande lo troviamo sempre, e qui la dimostrazione finisce davvero”.

“Gulp. Comincio a capire perché è una dimostrazione del 1882”.

“Eh, sì. Sviluppi in serie, formula di Eulero, integrali, approssimazioni, infinità dei numeri primi: contiene di tutto.”.

“Che fatica! Non oso pensare alla fatica che hanno fatto quelli che sono arrivati alla dimostrazione per primi”.

“Eh, erano bravi”.