Lo sapete, vero, che questa notte il Vero Matematico, partecipando al conto alla rovescia per gli auguri di capodanno (ammesso che un Vero Matematico partecipi a questi eventi mondani), dovrà contare fino a -1?
(Un Vero Matematico che si trovi nel fuso orario di Greenwich, naturalmente)
mercoledì 31 dicembre 2008
La biblioteca di Babele
Scopro, attraverso FriendFeed, un meraviglioso studio sulla architettura della Biblioteca di Babele. Da leggere, per capire fino a dove può arrivare un matematico...
giovedì 25 dicembre 2008
Sliding doors
Nella vita di una persona capitano eventi speciali, che dopo anni vengono ricordati ancora come se fossero accaduti solo pochi minuti prima, e che segnano momenti importanti.
Per esempio, se qualcuno mi domandasse quando ho cominciato ad apprezzare i giochi matematici, io non avrei dubbi a rispondere. È successo mentre leggevo un libro. Questo libro:
Adesso non ridete, dico davvero, i manuali delle Giovani Marmotte sono cose serie. Guardate un po' cosa si trova alle pagine 44-45:
Un giochetto semplice, che mi aprì un mondo. Ho sempre associato l'immagine dei pozzi scavati dalla talpa con il concetto di gioco bello. Anni dopo ho scoperto che il gioco si chiama Sprouts, ed è stato inventato da Conway. Nel tempo, ho iniziato a incontrare il nome di Conway ogni volta che scoprivo un argomento interessante: leggo Le Scienze, vedo che si parla di uno strano gioco senza giocatori, che si fa bene sui computer; dico bello, devo aver visto qualche salvaschermo, come si chiama questo gioco? Life. Chi lo ha inventato? Conway.
All'università mi parlano di teoria dei gruppi, mi spiegano che i gruppi semplici finiti sono i mattoni che formano tutti i gruppi, così come i numeri primi formano tutti i numeri, e mi raccontano che il teorema di classificazione di tutti i gruppi semplici finiti è un'opera colossale composta da più di 500 articoli, scritti da un centinaio di autori tra il 1955 e il 1983. Alcuni gruppi, pur essendo finiti, sono giganteschi. Uno di questi è composto da 4,157,776,806,543,360,000 elementi, e — guarda un po' — si chiama gruppo di Conway.
Insomma, per farla breve, ho ritrovato Conway un po' ovunque, durante il mio cammino all'interno della matematica. È l'autore della più bella dimostrazione della matematica (eh, prima o poi la racconterò), ha studiato il decadimento audioattivo, è lo scopritore dei numeri surreali. Insomma, si dice che i matematici siano specializzatissimi nel loro campo, che studino solo le loro cose e non sappiano niente del resto. Per il matematico medio questo è certamente vero, ma ci sono alcuni geni che, ancor oggi, riescono ad avere visioni più ampie. Conway è uno di questi.
L'ultimo libro che ho letto è Rudi Ludi, scritto dal trio dei Rudi Mathematici. Parla di giochi, sia nel senso della teoria dei giochi di Nash (sì, quello di A Beautiful Mind), sia nel senso della teoria dei giochi di Conway. Spiega come si possano analizzare i giochi, come possa fare per cercare una strategia vincente, come si possa fare della matematica seria divertendosi. Le ultime pagine contengono un breve elenco di giochi da giocare, che non sono stati spiegati, analizzati e smontati nelle pagine precedenti. Indovinate un po' cosa ho ritrovato in questo elenco?
Sì, il giochino della talpa.
Per esempio, se qualcuno mi domandasse quando ho cominciato ad apprezzare i giochi matematici, io non avrei dubbi a rispondere. È successo mentre leggevo un libro. Questo libro:
Adesso non ridete, dico davvero, i manuali delle Giovani Marmotte sono cose serie. Guardate un po' cosa si trova alle pagine 44-45:
Un giochetto semplice, che mi aprì un mondo. Ho sempre associato l'immagine dei pozzi scavati dalla talpa con il concetto di gioco bello. Anni dopo ho scoperto che il gioco si chiama Sprouts, ed è stato inventato da Conway. Nel tempo, ho iniziato a incontrare il nome di Conway ogni volta che scoprivo un argomento interessante: leggo Le Scienze, vedo che si parla di uno strano gioco senza giocatori, che si fa bene sui computer; dico bello, devo aver visto qualche salvaschermo, come si chiama questo gioco? Life. Chi lo ha inventato? Conway.
All'università mi parlano di teoria dei gruppi, mi spiegano che i gruppi semplici finiti sono i mattoni che formano tutti i gruppi, così come i numeri primi formano tutti i numeri, e mi raccontano che il teorema di classificazione di tutti i gruppi semplici finiti è un'opera colossale composta da più di 500 articoli, scritti da un centinaio di autori tra il 1955 e il 1983. Alcuni gruppi, pur essendo finiti, sono giganteschi. Uno di questi è composto da 4,157,776,806,543,360,000 elementi, e — guarda un po' — si chiama gruppo di Conway.
Insomma, per farla breve, ho ritrovato Conway un po' ovunque, durante il mio cammino all'interno della matematica. È l'autore della più bella dimostrazione della matematica (eh, prima o poi la racconterò), ha studiato il decadimento audioattivo, è lo scopritore dei numeri surreali. Insomma, si dice che i matematici siano specializzatissimi nel loro campo, che studino solo le loro cose e non sappiano niente del resto. Per il matematico medio questo è certamente vero, ma ci sono alcuni geni che, ancor oggi, riescono ad avere visioni più ampie. Conway è uno di questi.
L'ultimo libro che ho letto è Rudi Ludi, scritto dal trio dei Rudi Mathematici. Parla di giochi, sia nel senso della teoria dei giochi di Nash (sì, quello di A Beautiful Mind), sia nel senso della teoria dei giochi di Conway. Spiega come si possano analizzare i giochi, come possa fare per cercare una strategia vincente, come si possa fare della matematica seria divertendosi. Le ultime pagine contengono un breve elenco di giochi da giocare, che non sono stati spiegati, analizzati e smontati nelle pagine precedenti. Indovinate un po' cosa ho ritrovato in questo elenco?
Sì, il giochino della talpa.
Tortellini natalizi
Allora, la soluzione al problema dei tortellini scomparsi è stata fornita da mia suocera, abile tortellinatrice di provata esperienza: i tortellini freschi, lasciati in freezer, si seccano perdendo circa un 10% del loro peso.
venerdì 19 dicembre 2008
Tortellini e cocomeri
Il problema dei tortellini scomparsi mi ha fatto venire in mente un altro problema, presentato alle olimpiadi della matematica qualche tempo fa.
Un coltivatore ha immagazzinato 200 kg di cocomeri, pronti per la vendita. La giornata è molto calda e i cocomeri, che inizialmente contenevano il 99% d'acqua, ora ne contengono soltanto il 98%. Quanto è ora il loro peso?
Provate a risolverlo, la soluzione è inaspettata.
Un coltivatore ha immagazzinato 200 kg di cocomeri, pronti per la vendita. La giornata è molto calda e i cocomeri, che inizialmente contenevano il 99% d'acqua, ora ne contengono soltanto il 98%. Quanto è ora il loro peso?
Provate a risolverlo, la soluzione è inaspettata.
giovedì 18 dicembre 2008
L'Illuminazione
La differenza fondamentale tra l'uomo e la donna sta nel fatto che per l'uomo zero per infinito fa zero, per la donna invece fa infinito.
martedì 16 dicembre 2008
Proporzioni
Ieri è finito il terzo volume di Heroes, di cui non dico nulla se non che Heroes sta a Suresh come Star Wars sta a Jar Jar Binks.
Nel quarto volume compare Obama.
Nel quarto volume compare Obama.
Fisica applicata nel modenese
Durante una interessantissima lezione sui limiti, due studenti in prima fila stanno sviluppando una teoria rivoluzionaria:
“Oh, ma te lo sai che i tortellini in freezer pesano meno?”.
“Cosa?”.
“...ed ecco che abbiamo ricavato un nuovo limite notevole...”.
“Ma sì, ieri mia mamma ha fatto i tortellini, e li abbiamo pesati”.
“E allora?”.
“...cercate di capire lo scopo dei limiti notevoli: perché li usiamo?...”.
“E allora dopo averli messi in freezer li abbiamo pesati di nuovo, e pesavano 35 grammi di meno”.
“Ma dai!”.
“...abbiamo un limite notevole per ogni funzione che conosciamo...”.
“Boh, non capisco. Ho pensato che il ghiaccio ha una densità diversa rispetto all'acqua”.
“Vabbè, ma non credo che c'entri”.
“...e comunque, se non siamo interessati ai limiti notevoli, ricordiamoci che la massa si conserva!”.
“Vabbè, prof, ma la bilancia misura il peso, non la massa”.
“Senti, se non ti sposti sulla luna o comunque in un posto dove la gravità è diversa, la tua bilancia va benissimo”.
“Ma allora?”.
“Allora i casi sono due: o hai dei tortellini relativistici, oppure hai dei tortellini radioattivi”.
“Oh, ma te lo sai che i tortellini in freezer pesano meno?”.
“Cosa?”.
“...ed ecco che abbiamo ricavato un nuovo limite notevole...”.
“Ma sì, ieri mia mamma ha fatto i tortellini, e li abbiamo pesati”.
“E allora?”.
“...cercate di capire lo scopo dei limiti notevoli: perché li usiamo?...”.
“E allora dopo averli messi in freezer li abbiamo pesati di nuovo, e pesavano 35 grammi di meno”.
“Ma dai!”.
“...abbiamo un limite notevole per ogni funzione che conosciamo...”.
“Boh, non capisco. Ho pensato che il ghiaccio ha una densità diversa rispetto all'acqua”.
“Vabbè, ma non credo che c'entri”.
“...e comunque, se non siamo interessati ai limiti notevoli, ricordiamoci che la massa si conserva!”.
“Vabbè, prof, ma la bilancia misura il peso, non la massa”.
“Senti, se non ti sposti sulla luna o comunque in un posto dove la gravità è diversa, la tua bilancia va benissimo”.
“Ma allora?”.
“Allora i casi sono due: o hai dei tortellini relativistici, oppure hai dei tortellini radioattivi”.
Etichette:
gastronomia,
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Ubicazione:
Modena MO, Italia
domenica 14 dicembre 2008
Carnevale della matematica - ottava edizione
È uscita oggi, presso Matematica 2005, l'ottava edizione del carnevale della matematica. Andate a dare un'occhiata perché ci sono cose interessanti.
venerdì 12 dicembre 2008
Gibellina
Ho visitato Gibellina qualche anno fa: è un luogo che ti lascia emozioni opposte. In ogni incrocio puoi trovare un'opera d'arte moderna. Sculture in pietra, in metallo, architetture. La chiesa è una sfera, bellissima: la sua costruzione venne iniziata nel 1985, e nel 1989 fu aperta al culto. Nel 1994 crollò la copertura del tetto.
Wikipedia dice che nel 2002 sono iniziati i lavori di restauro, ancora in corso. Quando l'ho vista io (dopo il 2002, mia moglie saprà indicare certamente la data esatta) era abbandonata, nessuno stava lavorando a niente. L'impressione che hai, entrando nel paese, è quello di desolazione. Se fai domande alla gente sulla chiesa, sulla ricostruzione, sulla valorizzazione del loro paese, vedi la rassegnazione.
Stiamo parlando di Gibellina Nuova, cioè il paese costruito negli anni successivi al terremoto del Belice. Della Gibellina vecchia (che si trova ad alcuni chilometri dalla nuova, in una zona collinare) sono rimasti alcuni ruderi di case semidistrutte dal terremoto.
E poi c'è il cretto di Burri. Nella zona centrale del vecchio paese c'è un monumento: una immensa colata di cemento che ripercorre le vie della vecchia Gibellina. Agghiacciante e meraviglioso allo stesso tempo.
Visualizzazione ingrandita della mappa
Wikipedia dice che nel 2002 sono iniziati i lavori di restauro, ancora in corso. Quando l'ho vista io (dopo il 2002, mia moglie saprà indicare certamente la data esatta) era abbandonata, nessuno stava lavorando a niente. L'impressione che hai, entrando nel paese, è quello di desolazione. Se fai domande alla gente sulla chiesa, sulla ricostruzione, sulla valorizzazione del loro paese, vedi la rassegnazione.
Stiamo parlando di Gibellina Nuova, cioè il paese costruito negli anni successivi al terremoto del Belice. Della Gibellina vecchia (che si trova ad alcuni chilometri dalla nuova, in una zona collinare) sono rimasti alcuni ruderi di case semidistrutte dal terremoto.
E poi c'è il cretto di Burri. Nella zona centrale del vecchio paese c'è un monumento: una immensa colata di cemento che ripercorre le vie della vecchia Gibellina. Agghiacciante e meraviglioso allo stesso tempo.
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giovedì 11 dicembre 2008
Trovate una definizione migliore
Il telegiornale parla di Facebook.
“Babbo, ma cos'è Facebook?”.
“Eh, uhm, è... sì, cioè, tu... ehm. È un social network!”.
“Eeh?”.
“Ma sì, tu ti colleghi, hai degli amici, li vedi, loro ti vedono, scrivi delle cose...”.
“Ah, ho capito! È come aNobii, ma senza libri!”.
“Babbo, ma cos'è Facebook?”.
“Eh, uhm, è... sì, cioè, tu... ehm. È un social network!”.
“Eeh?”.
“Ma sì, tu ti colleghi, hai degli amici, li vedi, loro ti vedono, scrivi delle cose...”.
“Ah, ho capito! È come aNobii, ma senza libri!”.
sabato 6 dicembre 2008
Kenissuaq!
Pare che Berardi e Milazzo stiano progettando di lavorare alla storia finale della saga di Ken Parker. Incrocio le dita e spero che il fumetto più bello dell'universo (già) trovi davvero una degna conclusione.
martedì 2 dicembre 2008
Oops!... They did it again
.mau., che legge un libro ogni due giorni, l'ha già finito; io ne ho sfogliato solo qualche pagina (oltre ad averne letto un capitolo, presentato sull'ultimo numero di RM): la prima impressione è positiva, e l'argomento è interessante.
I Rudi Mathematici hanno pubblicato un secondo libro, Rudi Ludi, dedicato ai giochi. Si parla (anche) di Nash, di Conway e di numeri surreali. Mi basta questo per buttarmi nella lettura.
I Rudi Mathematici hanno pubblicato un secondo libro, Rudi Ludi, dedicato ai giochi. Si parla (anche) di Nash, di Conway e di numeri surreali. Mi basta questo per buttarmi nella lettura.
sabato 29 novembre 2008
Questa è meravigliosa
Un numero infinito di matematici entra in un bar.
Il primo ordina una birra.
Il secondo ordina mezza birra.
Il terzo ordina un quarto di birra.
Il barista dice “siete degli idioti” e serve due birre.
(Via phonkmeister)
Il primo ordina una birra.
Il secondo ordina mezza birra.
Il terzo ordina un quarto di birra.
Il barista dice “siete degli idioti” e serve due birre.
(Via phonkmeister)
giovedì 27 novembre 2008
I sette messaggeri
Avete mai letto “I sette messaggeri”, di Dino Buzzati? No? E cosa fate ancora qua? Andate a leggerlo, via.
“Fatto. Carino, un po' angosciante, eh”.
“Un pochino, in effetti”.
“Certo che tutti quei conti...”
“Cos'hanno?”.
“Insomma, Buzzati voleva un po' tirarsela, ecco”.
“Guarda che non sono mica conti messi a caso”.
“No? Cioè, vuoi dire che sono... giusti?”.
“Eh sì”.
“E come fai a saperlo?”.
“Bè, dico, son domande da fare queste?”.
“Naa, hai fatto i conti?”.
“Già”.
“Ma sei un nerd totale”.
“Preferirei essere considerato un Vero Matematico”.
“Come vuoi, contento tu”.
“E non sei curioso di vedere i calcoli?”.
“Mh. Un pochino, solo perché il racconto mi è piaciuto”.
“Pronti. Allora, la carovana del figlio del re procede a 40 leghe al giorno; invece i messaggeri viaggiano una volta e mezzo più veloci, cioè 60 leghe al giorno”.
“Ok, questo lo dice anche il racconto, quindi è vero”.
“Allora, supponiamo che in un certo istante un messaggero decida di partire. La carovana ha già percorso una certa distanza, che indichiamo con x”.
“Bene. Non sappiamo quanto è, e quindi la indichiamo con x? Non potremmo fare un esempio?”.
“Se lasciamo x troviamo una legge generale”.
“Va bene”.
“Quanto tempo è passato?”.
“E come faccio a saperlo, se non conosco x?”.
“Sapendo che la carovana fa 40 leghe al giorno, se ha percorso x leghe quanti giorni sono passati?”.
“Uhm, se non sbaglio vale la relazione spazio uguale velocità per tempo”.
“Esatto. Quindi, se indichiamo con t0 il tempo trascorso, possiamo scrivere x = 40t0”.
“Ho capito. E adesso?”.
“Ora ci chiediamo dopo quanti giorni tornerà il messaggero: dobbiamo uguagliare lo spazio percorso dalla carovana, che indichiamo con 40t, con lo spazio percorso dal messaggero, che indichiamo con 60t - 2x”.
“Perché devi togliere 2x?”.
“Perché prima il messaggero deve tornare indietro, percorrendo una lunghezza x. Poi deve tornare al punto da cui era partito, percorrendo nuovamente x. Finalmente può cominciare a percorrere della strada nuova, al ritmo di 60 leghe al giorno”.
“Ho capito: dobbiamo risolvere l'equazione 40t = 60t - 2x”.
“Sì, prova a ricavare t”.
“Risulta 20t = 2x, quindi t = x/10”.
“Ricordando che x è uguale a 40t0 cosa ottieni?”.
“Ottengo che t = 4t0”.
“E dunque possiamo dire che se il messaggero parte al tempo t0, tornerà dopo 4t0, e cioè tornerà al tempo 4t0 + t0 = 5t0”.
“Ah, ma è vero! Lo dice anche il testo: Ben presto constatai che bastava moltiplicare per cinque i giorni fin lì impiegati per sapere quando il messaggero ci avrebbe ripresi”.
“Visto? Buzzati non ha sbagliato i calcoli”.
“Ma poi ne fa anche degli altri. Per esempio, calcola il distacco tra due messaggeri”.
“Possiamo farlo anche noi, con la legge appena trovata. Il racconto ci dice che il primo messaggero parte il giorno 2, il secondo il giorno 3, e così via fino al settimo, che parte il giorno 8. Ora, utilizzando la formula che abbiamo appena trovato, dimmi quando torneranno i sette messaggeri”.
“La formula ci dice che devo moltiplicare per cinque i giorni impiegati, quindi il primo messaggero torna il giorno 5×2=10, il secondo torna il giorno 5×3=15, fino al settimo che torna il giorno 5×8=40. Ognuno riparte subito, giusto?”.
“Ecco, in effetti riparte la mattina dopo, dopo essersi riposato. Ma anche la carovana è stata ferma durante la notte, quindi dovremmo considerare, come giorno di partenza di ogni messaggero, lo stesso giorno di arrivo. La carovana si mette in moto dopo, per percorrere le sue 40 leghe giornaliere”.
“Allora se il primo messaggero riparte il giorno 5×2, tornerà il giorno 52×2”.
“Bravo, e il secondo tornerà il giorno 52×3, e cioè dopo 25 giorni”.
“Ah, anche il testo lo dice! Dopo cinquanta giorni di cammino, l'intervallo fra un arrivo e l'altro dei messaggeri cominciò a spaziarsi sensibilmente; mentre prima ne vedevo arrivare al campo uno ogni cinque giorni, questo intervallo divenne di venticinque”.
“Esatto. Anche qui possiamo ricavare una legge: prova a considerare la successione dei giorni di arrivo:”.
2, 3, ..., 8,
5×2, 5×3, ..., 5×8,
52×2, 52×3, ..., 52×8,
53×2, 53×3, ..., 53×8,
...
“Uhm, mi sembra difficile”.
“Ragioniamo in questo modo: indichiamo con n la posizione di un valore all'interno della successione. Cioè, per n uguale a 0 abbiamo il primo valore, che è 2. Per n uguale a 1 abbiamo il secondo, che è 3, eccetera”.
“Uff, questa mania dei Veri Matematici di cominciare a contare da zero. Va bene, e poi?”.
“Vedi che il valore dell'esponente del 5 cambia dopo 7 passi: da 0 a 6 l'esponente è zero, da 7 a 13 invece vale 1, poi 2, 3, e così via. Ci basta fare la divisione di n per 7 per trovare l'esponente del 5”.
“E come facciamo coi numeri con la virgola?”.
“No, niente virgola. Devi considerare la divisione con resto: per esempio, per trovare il valore che occupa la decima posizione devi calcolare 10/7, che fa 1 con il resto di 3”.
“Questo significa che l'esponente vale 1? Ah, sì, vedo che in effetti è così”.
“Esattamente. Se poi prendi il resto della divisione, e lo aumenti di 2, ottieni il fattore moltiplicativo. In pratica alla posizione 10 troverai 5×5”.
“Giusto anche questo. Un po' macchinoso, ma funziona. Provo a scrivere una formula generale: a(n) = 5n div 7(n mod 7 + 2)”.
“Molto bene, vedo che hai usato un linguaggio da informatico: div sarebbe il quoziente della divisione, mentre con mod ottieni il resto. Bravo; ora puoi anche verificare l'affermazione che dice che dopo 50 giorni si vede arrivare un messaggero ogni 25 giorni”.
“E come faccio?”.
“Puoi provare a esprimere 50 nella forma 5n×m”.
“Bè, è facile, 50 è 52×2. Ah, ho capito: dopo avremo 52×3, e il distacco è di 25 giorni”.
“Giusto, in pratica dato un certo numero di giorni devi trasformarlo nella forma che meglio approssima 5n×m e guardare quanto vale l'esponente del 5”.
“Vediamo: il testo dice che dopo 6 mesi l'intervallo tra un messaggero e l'altro è di 4 mesi. Allora, 6 mesi sono 180 giorni...”.
“Anche un po' di più, qualche mese è di 31 giorni”.
“Giusto. Non posso però esprimere 180 come 5n×m”.
“Non importa: tieni presente che 180 è un valore poco preciso, e poi hai un certo periodo durante il quale i messaggeri arrivano sempre con la stessa cadenza. In pratica il settimo messaggero arriva il giorno 52×7 = 175, poi l'ottavo arriva il giorno 52×8 = 200, poi ritorna il primo il giorno 53×2=250. A questo punto comincia la cadenza di 125 giorni, che sono circa quattro mesi”.
“Ci sono, e provo ad andare avanti. Il testo dice che dopo 4 anni i messaggeri arrivano ogni 20 mesi. Quattro anni sono 1460 giorni (volendo fare i Veri Matematici, sono 1461): siamo nell'ordine di 54, cioè 625 giorni di intervallo. È giusto, sono circa 20 mesi”.
“Perfetto. Ora andiamo al finale: sono trascorsi otto anni e mezzo, cioè circa 3100 giorni. Il quarto messaggero, Domenico, è appena entrato nella tenda: i calcoli ci dicono che Domenico dovrebbe presentarsi il giorno 54×5, cioè 3125”.
“Praticamente perfetto”.
“Domenico era arrivato all'accampamento l'ultima volta sette anni fa”.
“Vediamo, la volta precedente era la numero 53×5, cioè 625. È stato 2500 giorni prima. Quasi sette anni, giusto”.
“Dovrebbe ritornare dopo 34 anni, quando chi scrive ne avrà 72”.
“Uh, qua possiamo fare un po' di considerazioni. Verifichiamo se è vero che tornerà tra 34 anni: dovrebbe tornare al giorno 55×5, cioè 15625. Passano 12500 giorni, fanno giusto 34 anni e rotti”.
“Bene. E quali altre considerazioni vuoi fare?”.
“Per prima cosa, l'età del figlio del re, quello che scrive. Se tra 34 anni ne avrà 72, ora ne ha 38; se sono trascorsi otto anni e mezzo da quando è partito, significa che quando è partito ne aveva circa 30”.
“E infatti il testo dice che è partito poco più che trentenne”.
“Bello. Chissà quanta strada ha fatto”.
“Puoi calcolare facilmente anche questo”.
“Ah, già. Percorrendo 40 leghe al giorno, la carovana ha fatto 124600 leghe circa. Quant'è, poi, una lega?”.
“Wikipedia dice circa 5 chilometri”.
“Allora sono 623000 chilometri”.
“E questo dimostra che il regno percorso in lungo e in largo dai sette messaggeri non si trova sulla nostra terra”.
“Fatto. Carino, un po' angosciante, eh”.
“Un pochino, in effetti”.
“Certo che tutti quei conti...”
“Cos'hanno?”.
“Insomma, Buzzati voleva un po' tirarsela, ecco”.
“Guarda che non sono mica conti messi a caso”.
“No? Cioè, vuoi dire che sono... giusti?”.
“Eh sì”.
“E come fai a saperlo?”.
“Bè, dico, son domande da fare queste?”.
“Naa, hai fatto i conti?”.
“Già”.
“Ma sei un nerd totale”.
“Preferirei essere considerato un Vero Matematico”.
“Come vuoi, contento tu”.
“E non sei curioso di vedere i calcoli?”.
“Mh. Un pochino, solo perché il racconto mi è piaciuto”.
“Pronti. Allora, la carovana del figlio del re procede a 40 leghe al giorno; invece i messaggeri viaggiano una volta e mezzo più veloci, cioè 60 leghe al giorno”.
“Ok, questo lo dice anche il racconto, quindi è vero”.
“Allora, supponiamo che in un certo istante un messaggero decida di partire. La carovana ha già percorso una certa distanza, che indichiamo con x”.
“Bene. Non sappiamo quanto è, e quindi la indichiamo con x? Non potremmo fare un esempio?”.
“Se lasciamo x troviamo una legge generale”.
“Va bene”.
“Quanto tempo è passato?”.
“E come faccio a saperlo, se non conosco x?”.
“Sapendo che la carovana fa 40 leghe al giorno, se ha percorso x leghe quanti giorni sono passati?”.
“Uhm, se non sbaglio vale la relazione spazio uguale velocità per tempo”.
“Esatto. Quindi, se indichiamo con t0 il tempo trascorso, possiamo scrivere x = 40t0”.
“Ho capito. E adesso?”.
“Ora ci chiediamo dopo quanti giorni tornerà il messaggero: dobbiamo uguagliare lo spazio percorso dalla carovana, che indichiamo con 40t, con lo spazio percorso dal messaggero, che indichiamo con 60t - 2x”.
“Perché devi togliere 2x?”.
“Perché prima il messaggero deve tornare indietro, percorrendo una lunghezza x. Poi deve tornare al punto da cui era partito, percorrendo nuovamente x. Finalmente può cominciare a percorrere della strada nuova, al ritmo di 60 leghe al giorno”.
“Ho capito: dobbiamo risolvere l'equazione 40t = 60t - 2x”.
“Sì, prova a ricavare t”.
“Risulta 20t = 2x, quindi t = x/10”.
“Ricordando che x è uguale a 40t0 cosa ottieni?”.
“Ottengo che t = 4t0”.
“E dunque possiamo dire che se il messaggero parte al tempo t0, tornerà dopo 4t0, e cioè tornerà al tempo 4t0 + t0 = 5t0”.
“Ah, ma è vero! Lo dice anche il testo: Ben presto constatai che bastava moltiplicare per cinque i giorni fin lì impiegati per sapere quando il messaggero ci avrebbe ripresi”.
“Visto? Buzzati non ha sbagliato i calcoli”.
“Ma poi ne fa anche degli altri. Per esempio, calcola il distacco tra due messaggeri”.
“Possiamo farlo anche noi, con la legge appena trovata. Il racconto ci dice che il primo messaggero parte il giorno 2, il secondo il giorno 3, e così via fino al settimo, che parte il giorno 8. Ora, utilizzando la formula che abbiamo appena trovato, dimmi quando torneranno i sette messaggeri”.
“La formula ci dice che devo moltiplicare per cinque i giorni impiegati, quindi il primo messaggero torna il giorno 5×2=10, il secondo torna il giorno 5×3=15, fino al settimo che torna il giorno 5×8=40. Ognuno riparte subito, giusto?”.
“Ecco, in effetti riparte la mattina dopo, dopo essersi riposato. Ma anche la carovana è stata ferma durante la notte, quindi dovremmo considerare, come giorno di partenza di ogni messaggero, lo stesso giorno di arrivo. La carovana si mette in moto dopo, per percorrere le sue 40 leghe giornaliere”.
“Allora se il primo messaggero riparte il giorno 5×2, tornerà il giorno 52×2”.
“Bravo, e il secondo tornerà il giorno 52×3, e cioè dopo 25 giorni”.
“Ah, anche il testo lo dice! Dopo cinquanta giorni di cammino, l'intervallo fra un arrivo e l'altro dei messaggeri cominciò a spaziarsi sensibilmente; mentre prima ne vedevo arrivare al campo uno ogni cinque giorni, questo intervallo divenne di venticinque”.
“Esatto. Anche qui possiamo ricavare una legge: prova a considerare la successione dei giorni di arrivo:”.
2, 3, ..., 8,
5×2, 5×3, ..., 5×8,
52×2, 52×3, ..., 52×8,
53×2, 53×3, ..., 53×8,
...
“Uhm, mi sembra difficile”.
“Ragioniamo in questo modo: indichiamo con n la posizione di un valore all'interno della successione. Cioè, per n uguale a 0 abbiamo il primo valore, che è 2. Per n uguale a 1 abbiamo il secondo, che è 3, eccetera”.
“Uff, questa mania dei Veri Matematici di cominciare a contare da zero. Va bene, e poi?”.
“Vedi che il valore dell'esponente del 5 cambia dopo 7 passi: da 0 a 6 l'esponente è zero, da 7 a 13 invece vale 1, poi 2, 3, e così via. Ci basta fare la divisione di n per 7 per trovare l'esponente del 5”.
“E come facciamo coi numeri con la virgola?”.
“No, niente virgola. Devi considerare la divisione con resto: per esempio, per trovare il valore che occupa la decima posizione devi calcolare 10/7, che fa 1 con il resto di 3”.
“Questo significa che l'esponente vale 1? Ah, sì, vedo che in effetti è così”.
“Esattamente. Se poi prendi il resto della divisione, e lo aumenti di 2, ottieni il fattore moltiplicativo. In pratica alla posizione 10 troverai 5×5”.
“Giusto anche questo. Un po' macchinoso, ma funziona. Provo a scrivere una formula generale: a(n) = 5n div 7(n mod 7 + 2)”.
“Molto bene, vedo che hai usato un linguaggio da informatico: div sarebbe il quoziente della divisione, mentre con mod ottieni il resto. Bravo; ora puoi anche verificare l'affermazione che dice che dopo 50 giorni si vede arrivare un messaggero ogni 25 giorni”.
“E come faccio?”.
“Puoi provare a esprimere 50 nella forma 5n×m”.
“Bè, è facile, 50 è 52×2. Ah, ho capito: dopo avremo 52×3, e il distacco è di 25 giorni”.
“Giusto, in pratica dato un certo numero di giorni devi trasformarlo nella forma che meglio approssima 5n×m e guardare quanto vale l'esponente del 5”.
“Vediamo: il testo dice che dopo 6 mesi l'intervallo tra un messaggero e l'altro è di 4 mesi. Allora, 6 mesi sono 180 giorni...”.
“Anche un po' di più, qualche mese è di 31 giorni”.
“Giusto. Non posso però esprimere 180 come 5n×m”.
“Non importa: tieni presente che 180 è un valore poco preciso, e poi hai un certo periodo durante il quale i messaggeri arrivano sempre con la stessa cadenza. In pratica il settimo messaggero arriva il giorno 52×7 = 175, poi l'ottavo arriva il giorno 52×8 = 200, poi ritorna il primo il giorno 53×2=250. A questo punto comincia la cadenza di 125 giorni, che sono circa quattro mesi”.
“Ci sono, e provo ad andare avanti. Il testo dice che dopo 4 anni i messaggeri arrivano ogni 20 mesi. Quattro anni sono 1460 giorni (volendo fare i Veri Matematici, sono 1461): siamo nell'ordine di 54, cioè 625 giorni di intervallo. È giusto, sono circa 20 mesi”.
“Perfetto. Ora andiamo al finale: sono trascorsi otto anni e mezzo, cioè circa 3100 giorni. Il quarto messaggero, Domenico, è appena entrato nella tenda: i calcoli ci dicono che Domenico dovrebbe presentarsi il giorno 54×5, cioè 3125”.
“Praticamente perfetto”.
“Domenico era arrivato all'accampamento l'ultima volta sette anni fa”.
“Vediamo, la volta precedente era la numero 53×5, cioè 625. È stato 2500 giorni prima. Quasi sette anni, giusto”.
“Dovrebbe ritornare dopo 34 anni, quando chi scrive ne avrà 72”.
“Uh, qua possiamo fare un po' di considerazioni. Verifichiamo se è vero che tornerà tra 34 anni: dovrebbe tornare al giorno 55×5, cioè 15625. Passano 12500 giorni, fanno giusto 34 anni e rotti”.
“Bene. E quali altre considerazioni vuoi fare?”.
“Per prima cosa, l'età del figlio del re, quello che scrive. Se tra 34 anni ne avrà 72, ora ne ha 38; se sono trascorsi otto anni e mezzo da quando è partito, significa che quando è partito ne aveva circa 30”.
“E infatti il testo dice che è partito poco più che trentenne”.
“Bello. Chissà quanta strada ha fatto”.
“Puoi calcolare facilmente anche questo”.
“Ah, già. Percorrendo 40 leghe al giorno, la carovana ha fatto 124600 leghe circa. Quant'è, poi, una lega?”.
“Wikipedia dice circa 5 chilometri”.
“Allora sono 623000 chilometri”.
“E questo dimostra che il regno percorso in lungo e in largo dai sette messaggeri non si trova sulla nostra terra”.
sabato 22 novembre 2008
Nerditudine allo stato puro
Si chiamano rep-tiles quei poligoni che possono essere suddivisi in un certo numero di poligoni aventi la stessa forma. Ecco qualche esempio:
Quattro è un numero naturale per questo tipo di suddivisioni: è il numero di pezzi che servono per crearne uno grande il doppio di quello di partenza (raddoppiando le dimensioni, infatti, si quadruplicano le aree).
Ci sono anche esempi classificati come noiosi: per esempio, un quadrato può essere diviso in quattro quadrati più piccoli (o nove, o sedici, eccetera), ma quelli sono meno interessanti.
Ebbene, tanti anni fa un amico matematico ci fece un'avventura di D&D con una mappa basata su questo:
E per fortuna si è fermato qua. I Veri Matematici si sono invece chiesti se esistono rep-tiles composti da un numero qualunque di pezzi. Scopro oggi che esistono solo quattro tipi di rep-tiles non noiosi che possono essere suddivisi in due parti aventi la stessa forma: si chiamano Levy dragon, Twindragon, Heighway dragon e Tame twindragon. Dite voi se il titolo di questo post non è azzeccato...
(Le figure provengono da un post del 44-esimo carnevale della matematica in lingua inglese, dove potete anche trovare le immagini dei quattro draghi suddivisibili in due parti)
Quattro è un numero naturale per questo tipo di suddivisioni: è il numero di pezzi che servono per crearne uno grande il doppio di quello di partenza (raddoppiando le dimensioni, infatti, si quadruplicano le aree).
Ci sono anche esempi classificati come noiosi: per esempio, un quadrato può essere diviso in quattro quadrati più piccoli (o nove, o sedici, eccetera), ma quelli sono meno interessanti.
Ebbene, tanti anni fa un amico matematico ci fece un'avventura di D&D con una mappa basata su questo:
E per fortuna si è fermato qua. I Veri Matematici si sono invece chiesti se esistono rep-tiles composti da un numero qualunque di pezzi. Scopro oggi che esistono solo quattro tipi di rep-tiles non noiosi che possono essere suddivisi in due parti aventi la stessa forma: si chiamano Levy dragon, Twindragon, Heighway dragon e Tame twindragon. Dite voi se il titolo di questo post non è azzeccato...
(Le figure provengono da un post del 44-esimo carnevale della matematica in lingua inglese, dove potete anche trovare le immagini dei quattro draghi suddivisibili in due parti)
venerdì 21 novembre 2008
La fine dell'eternità
L'ho letto tanti anni fa e ne ho un vago ricordo, l'impressione che mi è rimasta è stata “ecco un bel modo di risolvere il paradosso dei viaggi nel tempo”. Devo rileggerlo prima che lo distruggano con un film.
mercoledì 19 novembre 2008
Snumeratezza
“Prof, ha detto che questa formula si può applicare solo se qua viene un quadrato perfetto. A me viene 2232, non è un quadrato, come faccio?”.
venerdì 14 novembre 2008
Carnevale della matematica 7
Ci siamo, anche per questo mese: marcellosblog celebra il settimo carnevale della matematica. Accorrete numerosi!
mercoledì 12 novembre 2008
Solidi platonici
Vediamo di utilizzare la formula di Eulero, che non si dica che le cose che fanno i matematici non servono mai a niente.
“Uh, è la prima volta che sento un matematico preoccuparsi dell'utilità della matematica”.
“No, in realtà volevo darmi un po' di tono. In effetti i Veri Matematici non si preoccupano affatto delle applicazioni che possono avere le loro scoperte”.
“Ah, ecco, mi sembrava. E per cosa, allora, vorresti usare la formula di Eulero?”.
“Per analizzare i poliedri convessi regolari, cioè i poliedri convessi che hanno le facce tutte congruenti tra loro. Inoltre, le facce devono essere poligoni regolari”.
“Ah, ok, quindi diciamo che sono i solidi più regolari che ci siano”.
“Già. Ti avverto che dobbiamo usare un po' di formule, ma sono formule semplici”.
“Va bene, sono pronto”.
“Per prima cosa, indichiamo con n il numero di spigoli per ciascuna faccia. Quindi, se le facce saranno tutte dei triangoli equilateri, avremo n = 3; se saranno quadrati, avremo n = 4, e così via”.
“Quanto si può andare avanti?”.
“Poco. Lo vediamo tra un momento”.
“Bene. Poi?”.
“Poi indichiamo con m il numero di spigoli incidenti in ciascun vertice. Data la regolarità della figura, m deve essere costante per ogni vertice”.
“Giusto”.
“Ora cominciamo con qualche calcolo. Con nF abbiamo indicato il numero di spigoli per ciascuna faccia, moltiplicato per il totale delle facce. Siccome due facce si incontrano sempre in uno spigolo, questa moltiplicazione ci darà il doppio del totale degli spigoli, cioè 2S”.
“Ok, ogni spigolo viene contato 2 volte perché compare sempre in due facce che si toccano”.
“Perfetto. Ora, con mV indichiamo la moltiplicazione del numero di spigoli incidenti in ciascun vertice per il totale dei vertici. Anche qui ogni spigolo viene contato due volte, perché ogni spigolo ha due estremi: dunque anche con questa moltiplicazione otteniamo il doppio del totale degli spigoli, cioè 2S”.
“Va bene. Direi che possiamo riassumere il tutto con la seguente uguaglianza:”.
nF = 2S = mV.
“Giusto. Quindi V è uguale a nF/m e S invece è uguale a nF/2”.
“Fin qua ci sono”.
“Ora ci ricordiamo di fatti vedere sabato alle 2”.
“Ok, quindi F + V - S = 2. Cosa devo fare?”.
“Devi sostituire al posto di V e S le due espressioni che hai trovato prima”.
“Bene: viene F + nF/m - nF/2 = 2”.
“Ora togliamo i denominatori, moltiplicando a destra e a sinistra per 2m”.
“Per ora è facile, viene 2mF + 2nF - mnF = 4m”.
“Ora, per semplicità, raccogliamo a fattore comune F”.
“Ecco: F(2m + 2n - mn) = 4m”.
“Benissimo. Naturalmente 4m è un numero positivo, giusto?”.
“Certamente: m è il numero di spigoli incidenti in ciascun vertice”.
“Molto bene. Anche F è positivo, perché rappresenta il numero di facce”.
“Certo. Ah, ho capito dove vuoi arrivare: l'espressione tra parentesi, cioè (2m + 2n - mn), è positiva pure lei”.
“Bravo. Aggiungiamo il fatto che n deve essere maggiore o uguale di 3, sei d'accordo anche su questo?”.
“Certo, una faccia deve essere almeno un triangolo, quindi almeno tre lati deve averli”.
“Allora cominciamo con un po' di passaggi”.
2m + 2n - mn > 0,
2m > mn -2n = n(m - 2)
“Fin qua ci sono: hai portato dall'altra parte l'espressione mn - 2n e hai raccolto a fattore comune n”.
“Bene. Ora, ricordandoci che n deve essere maggiore o uguale di 3, possiamo andare avanti così”.
2m > n(m - 2) ≥ 3(m - 2) = 3m - 6,
cioè
2m > 3m - 6
e quindi
m < 6.
“Ah, ci sono. Abbiamo trovato una limitazione per m, bello”.
“Sì, e poi ce n'è un'altra: m deve essere come minimo uguale 3, perché in ogni vertice devono congiungersi almeno 3 spigoli, altrimenti non ottieni un solido. In pratica abbiamo 4 casi da provare: m = 3, 4, 5, 6”.
“Va bene. Cominciamo da m = 3?”.
“Sì. Teniamo sempre in mente l'uguaglianza F(2m + 2n - mn) = 4m”.
“Ok. Se provo a sostituire m = 3, risulta F(6 + 2n - 3n) = 12”.
“Semplificando, F(6 - n) = 12. Ora proviamo a sostituire i possibili valori di n e vediamo che succede”.
“Se provo con n = 3, ottengo 3F = 12, quindi F = 4”.
“Giusto, hai trovato un caso accettabile. Quanto risulta V?”.
“Avevamo detto che V = nF/m, quindi viene V = 4”.
“E quanto risulta S?”.
“Dalla formula S = nF/2 ottengo S = 6”.
“Giusto. Quindi il primo solido che abbiamo trovato ha 4 facce triangolari, 4 vertici, 6 spigoli che si incontrano a 3 a 3 sui vertici. Si chiama tetraedro”.
“Wow. Ora devo provare con n = 4?”.
“Sì”.
“Vediamo: da F(6 - n) = 12 ottengo, questa volta, 2F = 12, quindi F = 6. Allora V = 8 e S = 12”.
“Bene, ecco il secondo solido: ha 6 facce quadrate, 8 vertici, 12 spigoli che si incontrano a 3 a 3 sui vertici. Questo è facile: è un cubo (o anche esaedro, se vogliamo mantenere la nomenclatura in -edro)”.
“Giusto. Vado avanti, provo con n = 5, che è anche l'ultimo valore accettabile, perché con n = 6 la parentesi (6 - n) diventa 0”.
“Benissimo, vai”.
“Questa volta da F(6 - n) = 12 ricavo F = 12. Dunque V = 20 e S = 30”.
“Si tratta di un solido con 12 facce pentagonali, 20 vertici e 30 spigoli che si incontrano a 3 a 3 sui vertici. Si chiama dodecaedro”.
“Bene, ora abbiamo finito?”.
“Abbiamo finito il caso m = 3. Ora dovresti provare m = 4”.
“Ok, riparto dalla formula iniziale: F(2m + 2n -mn) = 4m. Con m = 4 viene F(8 + 2n - 4n) = 16, cioè F(8 - 2n) = 16”.
“Puoi semplificare tutto per 2”.
“Ah, giusto, allora viene F(4 - n) = 8. Uh, posso provare solo n = 3, perché già con n = 4 si azzera la parentesi, e poi aumentando n ottengo numeri negativi”.
“Bene. Vai avanti”.
“Allora, con n = 3 risulta F = 8. Quindi V = 6 e S = 12”.
“Bene, questo è un solido con 8 facce triangolari, 6 vertici, 12 spigoli che si incontrano a 4 a 4 sui vertici. Si chiama ottaedro”.
“A questo punto devo già passare a m = 5, mi sa”.
“Sì, non hai altri casi per m = 4”.
“Allora vado. Questa volta la formula F(2m + 2n - mn) = 4m diventa F(10 + 2n - 5n) = 20, cioè F(10 - 3n) = 20”.
“Giusto”.
“Allora anche qua posso provare solo il valore di n = 3”.
“Vero. Vai pure”.
“Mi viene F = 20, quindi V = 12 e S = 30”.
“Bene, un solido con 20 facce triangolari, 12 vertici, 30 spigoli che si incontrano 5 a 5 sui vertici. Si chiama icosaedro”.
“Rimane... ehi, non rimane più niente, abbiamo provato tutti i possibili valori di m!”.
“Giusto, quindi non ci sono altri solidi, sono tutti qua, sono solo questi cinque”.
“E l'utilità pratica di questa classificazione?”.
“Eccola qua”.
“Uh, è la prima volta che sento un matematico preoccuparsi dell'utilità della matematica”.
“No, in realtà volevo darmi un po' di tono. In effetti i Veri Matematici non si preoccupano affatto delle applicazioni che possono avere le loro scoperte”.
“Ah, ecco, mi sembrava. E per cosa, allora, vorresti usare la formula di Eulero?”.
“Per analizzare i poliedri convessi regolari, cioè i poliedri convessi che hanno le facce tutte congruenti tra loro. Inoltre, le facce devono essere poligoni regolari”.
“Ah, ok, quindi diciamo che sono i solidi più regolari che ci siano”.
“Già. Ti avverto che dobbiamo usare un po' di formule, ma sono formule semplici”.
“Va bene, sono pronto”.
“Per prima cosa, indichiamo con n il numero di spigoli per ciascuna faccia. Quindi, se le facce saranno tutte dei triangoli equilateri, avremo n = 3; se saranno quadrati, avremo n = 4, e così via”.
“Quanto si può andare avanti?”.
“Poco. Lo vediamo tra un momento”.
“Bene. Poi?”.
“Poi indichiamo con m il numero di spigoli incidenti in ciascun vertice. Data la regolarità della figura, m deve essere costante per ogni vertice”.
“Giusto”.
“Ora cominciamo con qualche calcolo. Con nF abbiamo indicato il numero di spigoli per ciascuna faccia, moltiplicato per il totale delle facce. Siccome due facce si incontrano sempre in uno spigolo, questa moltiplicazione ci darà il doppio del totale degli spigoli, cioè 2S”.
“Ok, ogni spigolo viene contato 2 volte perché compare sempre in due facce che si toccano”.
“Perfetto. Ora, con mV indichiamo la moltiplicazione del numero di spigoli incidenti in ciascun vertice per il totale dei vertici. Anche qui ogni spigolo viene contato due volte, perché ogni spigolo ha due estremi: dunque anche con questa moltiplicazione otteniamo il doppio del totale degli spigoli, cioè 2S”.
“Va bene. Direi che possiamo riassumere il tutto con la seguente uguaglianza:”.
nF = 2S = mV.
“Giusto. Quindi V è uguale a nF/m e S invece è uguale a nF/2”.
“Fin qua ci sono”.
“Ora ci ricordiamo di fatti vedere sabato alle 2”.
“Ok, quindi F + V - S = 2. Cosa devo fare?”.
“Devi sostituire al posto di V e S le due espressioni che hai trovato prima”.
“Bene: viene F + nF/m - nF/2 = 2”.
“Ora togliamo i denominatori, moltiplicando a destra e a sinistra per 2m”.
“Per ora è facile, viene 2mF + 2nF - mnF = 4m”.
“Ora, per semplicità, raccogliamo a fattore comune F”.
“Ecco: F(2m + 2n - mn) = 4m”.
“Benissimo. Naturalmente 4m è un numero positivo, giusto?”.
“Certamente: m è il numero di spigoli incidenti in ciascun vertice”.
“Molto bene. Anche F è positivo, perché rappresenta il numero di facce”.
“Certo. Ah, ho capito dove vuoi arrivare: l'espressione tra parentesi, cioè (2m + 2n - mn), è positiva pure lei”.
“Bravo. Aggiungiamo il fatto che n deve essere maggiore o uguale di 3, sei d'accordo anche su questo?”.
“Certo, una faccia deve essere almeno un triangolo, quindi almeno tre lati deve averli”.
“Allora cominciamo con un po' di passaggi”.
2m + 2n - mn > 0,
2m > mn -2n = n(m - 2)
“Fin qua ci sono: hai portato dall'altra parte l'espressione mn - 2n e hai raccolto a fattore comune n”.
“Bene. Ora, ricordandoci che n deve essere maggiore o uguale di 3, possiamo andare avanti così”.
2m > n(m - 2) ≥ 3(m - 2) = 3m - 6,
cioè
2m > 3m - 6
e quindi
m < 6.
“Ah, ci sono. Abbiamo trovato una limitazione per m, bello”.
“Sì, e poi ce n'è un'altra: m deve essere come minimo uguale 3, perché in ogni vertice devono congiungersi almeno 3 spigoli, altrimenti non ottieni un solido. In pratica abbiamo 4 casi da provare: m = 3, 4, 5, 6”.
“Va bene. Cominciamo da m = 3?”.
“Sì. Teniamo sempre in mente l'uguaglianza F(2m + 2n - mn) = 4m”.
“Ok. Se provo a sostituire m = 3, risulta F(6 + 2n - 3n) = 12”.
“Semplificando, F(6 - n) = 12. Ora proviamo a sostituire i possibili valori di n e vediamo che succede”.
“Se provo con n = 3, ottengo 3F = 12, quindi F = 4”.
“Giusto, hai trovato un caso accettabile. Quanto risulta V?”.
“Avevamo detto che V = nF/m, quindi viene V = 4”.
“E quanto risulta S?”.
“Dalla formula S = nF/2 ottengo S = 6”.
“Giusto. Quindi il primo solido che abbiamo trovato ha 4 facce triangolari, 4 vertici, 6 spigoli che si incontrano a 3 a 3 sui vertici. Si chiama tetraedro”.
“Wow. Ora devo provare con n = 4?”.
“Sì”.
“Vediamo: da F(6 - n) = 12 ottengo, questa volta, 2F = 12, quindi F = 6. Allora V = 8 e S = 12”.
“Bene, ecco il secondo solido: ha 6 facce quadrate, 8 vertici, 12 spigoli che si incontrano a 3 a 3 sui vertici. Questo è facile: è un cubo (o anche esaedro, se vogliamo mantenere la nomenclatura in -edro)”.
“Giusto. Vado avanti, provo con n = 5, che è anche l'ultimo valore accettabile, perché con n = 6 la parentesi (6 - n) diventa 0”.
“Benissimo, vai”.
“Questa volta da F(6 - n) = 12 ricavo F = 12. Dunque V = 20 e S = 30”.
“Si tratta di un solido con 12 facce pentagonali, 20 vertici e 30 spigoli che si incontrano a 3 a 3 sui vertici. Si chiama dodecaedro”.
“Bene, ora abbiamo finito?”.
“Abbiamo finito il caso m = 3. Ora dovresti provare m = 4”.
“Ok, riparto dalla formula iniziale: F(2m + 2n -mn) = 4m. Con m = 4 viene F(8 + 2n - 4n) = 16, cioè F(8 - 2n) = 16”.
“Puoi semplificare tutto per 2”.
“Ah, giusto, allora viene F(4 - n) = 8. Uh, posso provare solo n = 3, perché già con n = 4 si azzera la parentesi, e poi aumentando n ottengo numeri negativi”.
“Bene. Vai avanti”.
“Allora, con n = 3 risulta F = 8. Quindi V = 6 e S = 12”.
“Bene, questo è un solido con 8 facce triangolari, 6 vertici, 12 spigoli che si incontrano a 4 a 4 sui vertici. Si chiama ottaedro”.
“A questo punto devo già passare a m = 5, mi sa”.
“Sì, non hai altri casi per m = 4”.
“Allora vado. Questa volta la formula F(2m + 2n - mn) = 4m diventa F(10 + 2n - 5n) = 20, cioè F(10 - 3n) = 20”.
“Giusto”.
“Allora anche qua posso provare solo il valore di n = 3”.
“Vero. Vai pure”.
“Mi viene F = 20, quindi V = 12 e S = 30”.
“Bene, un solido con 20 facce triangolari, 12 vertici, 30 spigoli che si incontrano 5 a 5 sui vertici. Si chiama icosaedro”.
“Rimane... ehi, non rimane più niente, abbiamo provato tutti i possibili valori di m!”.
“Giusto, quindi non ci sono altri solidi, sono tutti qua, sono solo questi cinque”.
Poliedro | Vertici | Spigoli | Facce | n | m |
---|---|---|---|---|---|
tetraedro | 4 | 6 | 4 | 3 | 3 |
cubo | 8 | 12 | 6 | 4 | 3 |
ottaedro | 6 | 12 | 8 | 3 | 4 |
dodecaedro | 20 | 30 | 12 | 5 | 3 |
icosaedro | 12 | 30 | 20 | 3 | 5 |
“Eccola qua”.
lunedì 10 novembre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - la raccolta
Loro dicono che ho generosamente accettato di veder pubblicato sulle loro pagine la saga Verso l'infinito, ma con calma, in realtà sono stati loro ad essere generosi e ad aver accolto la mia richiesta di pubblicazione sulla prestigiosa rivista di matematica ricreativa.
Comunque sia, è tutto raccolto in un unico pdf, con tanto di appendice inedita.
Comunque sia, è tutto raccolto in un unico pdf, con tanto di appendice inedita.
domenica 9 novembre 2008
La seconda più bella formula della matematica
Della più bella formula della matematica non ne parliamo nemmeno. La seconda, invece, è questa:
“Uh, sì, bella formula davvero”.
“È solo un sistema mnemonico che i matematici usano per ricordarsi la formula giusta”.
“Ah, avevo dimenticato lo humor da Vero Matematico. La formula, allora quale sarebbe?”.
“Questa: F + V = S + 2”.
“È decisamente meglio la frase, in effetti”.
“Se tu hai un poliedro semplice con F facce, V vertici e S spigoli, allora vale quella formula, che si chiama formula di Eulero, o relazione di Eulero”.
“Carina. Cosa sarebbe un poliedro semplice?”.
“Un poliedro senza buchi, cioè una figura come questa”.
“Essere senza buchi è una definizione matematica?”.
“Sì, anche se i Veri Matematici lo dicono in un modo un po' diverso. Dicono che la figura può essere deformata con continuità, cioè senza tagli o strappi, in una sfera”.
“Come se fosse un oggetto di gomma?”.
“Esattamente. Per ogni poliedro vale la formula di Eulero, indipendentemente dal numero di facce e dal numero di lati per faccia. È una formula assolutamente generica”.
“E, data la sua genericità, avrà una dimostrazione complicatissima”.
“No, anzi, la dimostrazione è semplice ed è anche istruttiva, perché spiega un concetto molto importante utilizzato in matematica, il concetto di invariante”.
“E cosa sarebbe?”.
“Te lo spiego subito. Partiamo dall'inizio, esprimendo la formula di Eulero in questo modo: F + V - S = 2”.
“Va bene, hai portato a sinistra la S, è semplice”.
“Adesso ci concentriamo sull'espressione F + V - S”.
“Va bene. Che dobbiamo fare?”.
“Prendiamo il nostro poliedro generico, per esempio quello della figura di prima, e ne togliamo una faccia, per esempio quella che nella figura è indicata con AGF”.
“Ok, quella che nella figura è dietro”.
“Dobbiamo immaginare il nostro poliedro come se fosse vuoto”.
“Ok, togliendo una faccia possiamo vedere il suo interno, come se fosse una scatola con un buco”.
“Ottimo. Ora immaginiamo che questa scatola sia fatta di gomma. La possiamo deformare e stendere su un piano”.
“Va bene, ma non cambiano le cose?”.
“Guarda, deformando e stendendo su un piano si ottiene questa figura. Il numero di facce, di vertici oppure di spigoli è cambiato?”.
“Uhm, sembra di no. No, in effetti no, i segmenti che vedevo prima ci sono ancora tutti”.
“Molto bene. Quindi l'espressione F + V - S, rispetto a prima, non è cambiata”.
“No, è sempre la stessa”.
“Bene. Adesso osserviamo che nella nostra figura non tutti i poligoni che si vedono sono triangoli”.
“Ah, no. La figura iniziale era un poliedro, non avevi specificato che le facce dovevano essere triangolari”.
“Infatti. Allora facciamo in questo modo: tracciamo vari segmenti fino a che non otteniamo solo triangoli. Possiamo farlo come vogliamo, per esempio così”.
“Ok, ora ci sono solo triangoli, ma la figura è diversa”.
“È vero che è diversa, ma concentrati su F + V - S. Ogni volta che tracciamo un segmento, cosa succede alla figura?”
“Bè, abbiamo un segmento in più, quindi S aumenta di 1”.
“Certo. Ma tracciando un segmento in più, abbiamo anche una faccia in più, quindi anche F aumenta di 1. Mentre non cambiamo il numero di vertici”.
“Uhm, quindi passiamo da F + V - S a (F + 1) + V - (S + 1). Ehi, rimane uguale!”.
“Bravo. I Veri Matematici dicono che l'espressione F + V - S è un invariante: tracciando i segmenti che servono per ottenere solo triangoli il suo valore non cambia”.
“Bello! E adesso che facciamo?”.
“Adesso cominciamo a cancellare qualche triangolo, seguendo alcune regole. Per prima cosa, osserviamo che i triangoli presenti nella figura possono avere un solo lato oppure due verso l'esterno”.
“Bè, no. In questa figura tutti i triangoli che formano il bordo esterno hanno un solo lato che sta sul bordo”.
“Hai detto bene: in questa figura. In generale però non è detto che sia così, dobbiamo tener presente anche l'altra possibilità”.
“Ah, va bene”.
“A questo punto, cancelliamo un triangolo togliendo un lato che si affaccia all'esterno. Per esempio, cancelliamo il lato AG. Ecco la figura”.
“Allora, provo a fare i conti. Abbiamo perso un lato, quindi S diminuisce di 1. Ma abbiamo anche perso una faccia, quindi F diminuisce di 1. Il tuo invariante diventa (F - 1) + V - (S - 1). Ehi, non è cambiato nemmeno questa volta”.
“Già. Ora vado avanti un altro po' per mostrarti un triangolo con due lati affacciato sul bordo: cancello prima il lato DG poi il lato DE. Ecco qua”.
“Ah, ecco come si fa ad avere triangoli che hanno sul bordo due lati! E adesso come facciamo a eliminarlo?”.
“Nel caso di triangoli con due lati sul bordo, dobbiamo eliminare entrambi i lati”.
“Va bene. In questo caso allora perdiamo una faccia e due lati, quindi F diminuisce di 1 mentre S dimiuisce di 2”.
“Non ti dimenticare del punto D”.
“Ah, giusto. Perdiamo anche un punto. Quindi abbiamo (F - 1) + (V - 1) - (S - 2)... anche in questo caso rimane uguale a F + V - S. La figura dovrebbe essere questa”.
“Esatto. Ora possiamo andare avanti, eliminando triangoli su triangoli. In questo procedimento perderemo spigoli, facce e vertici, ma il valore di F + V - S non cambierà mai”.
“E fino a che punto andiamo avanti?”.
“Fino a che non rimarrà un solo triangolo. A questo punto, quanto vale l'espressione F + V - S?”.
“Bè, un triangolo ha una faccia, tre vertici e tre spigoli, quindi F + V - S = 1+3-3 = 1. Il tuo invariante vale 1”.
“E quindi valeva uno anche all'inizio”.
“Ma allora la formula che mi hai detto è sbagliata. Dicevi che doveva risultare 2!”.
“Hai dimenticato il primo triangolo, quello che abbiamo tolto per poter schiacciare la figura su un piano. Il poliedro iniziale ha una faccia in più”.
“Uh, è vero. Inizialmente allora F + V - S valeva 2. Quindi la formula è giusta”.
“Già. C.V.D.”.
“C'è una battuta sulla sigla C.V.D.”.
“Ah sì? Non la conosco”.
“Sai cosa significa per un ingegnere C.V.D.?”.
“Cosa?”.
“Cazzo, Viene Diverso!”.
(questa deve essere la prima parolaccia che scrivo sul blog: sono un po' turbato)
Fatti vedere sabato alle 2.
“Uh, sì, bella formula davvero”.
“È solo un sistema mnemonico che i matematici usano per ricordarsi la formula giusta”.
“Ah, avevo dimenticato lo humor da Vero Matematico. La formula, allora quale sarebbe?”.
“Questa: F + V = S + 2”.
“È decisamente meglio la frase, in effetti”.
“Se tu hai un poliedro semplice con F facce, V vertici e S spigoli, allora vale quella formula, che si chiama formula di Eulero, o relazione di Eulero”.
“Carina. Cosa sarebbe un poliedro semplice?”.
“Un poliedro senza buchi, cioè una figura come questa”.
“Essere senza buchi è una definizione matematica?”.
“Sì, anche se i Veri Matematici lo dicono in un modo un po' diverso. Dicono che la figura può essere deformata con continuità, cioè senza tagli o strappi, in una sfera”.
“Come se fosse un oggetto di gomma?”.
“Esattamente. Per ogni poliedro vale la formula di Eulero, indipendentemente dal numero di facce e dal numero di lati per faccia. È una formula assolutamente generica”.
“E, data la sua genericità, avrà una dimostrazione complicatissima”.
“No, anzi, la dimostrazione è semplice ed è anche istruttiva, perché spiega un concetto molto importante utilizzato in matematica, il concetto di invariante”.
“E cosa sarebbe?”.
“Te lo spiego subito. Partiamo dall'inizio, esprimendo la formula di Eulero in questo modo: F + V - S = 2”.
“Va bene, hai portato a sinistra la S, è semplice”.
“Adesso ci concentriamo sull'espressione F + V - S”.
“Va bene. Che dobbiamo fare?”.
“Prendiamo il nostro poliedro generico, per esempio quello della figura di prima, e ne togliamo una faccia, per esempio quella che nella figura è indicata con AGF”.
“Ok, quella che nella figura è dietro”.
“Dobbiamo immaginare il nostro poliedro come se fosse vuoto”.
“Ok, togliendo una faccia possiamo vedere il suo interno, come se fosse una scatola con un buco”.
“Ottimo. Ora immaginiamo che questa scatola sia fatta di gomma. La possiamo deformare e stendere su un piano”.
“Va bene, ma non cambiano le cose?”.
“Guarda, deformando e stendendo su un piano si ottiene questa figura. Il numero di facce, di vertici oppure di spigoli è cambiato?”.
“Uhm, sembra di no. No, in effetti no, i segmenti che vedevo prima ci sono ancora tutti”.
“Molto bene. Quindi l'espressione F + V - S, rispetto a prima, non è cambiata”.
“No, è sempre la stessa”.
“Bene. Adesso osserviamo che nella nostra figura non tutti i poligoni che si vedono sono triangoli”.
“Ah, no. La figura iniziale era un poliedro, non avevi specificato che le facce dovevano essere triangolari”.
“Infatti. Allora facciamo in questo modo: tracciamo vari segmenti fino a che non otteniamo solo triangoli. Possiamo farlo come vogliamo, per esempio così”.
“Ok, ora ci sono solo triangoli, ma la figura è diversa”.
“È vero che è diversa, ma concentrati su F + V - S. Ogni volta che tracciamo un segmento, cosa succede alla figura?”
“Bè, abbiamo un segmento in più, quindi S aumenta di 1”.
“Certo. Ma tracciando un segmento in più, abbiamo anche una faccia in più, quindi anche F aumenta di 1. Mentre non cambiamo il numero di vertici”.
“Uhm, quindi passiamo da F + V - S a (F + 1) + V - (S + 1). Ehi, rimane uguale!”.
“Bravo. I Veri Matematici dicono che l'espressione F + V - S è un invariante: tracciando i segmenti che servono per ottenere solo triangoli il suo valore non cambia”.
“Bello! E adesso che facciamo?”.
“Adesso cominciamo a cancellare qualche triangolo, seguendo alcune regole. Per prima cosa, osserviamo che i triangoli presenti nella figura possono avere un solo lato oppure due verso l'esterno”.
“Bè, no. In questa figura tutti i triangoli che formano il bordo esterno hanno un solo lato che sta sul bordo”.
“Hai detto bene: in questa figura. In generale però non è detto che sia così, dobbiamo tener presente anche l'altra possibilità”.
“Ah, va bene”.
“A questo punto, cancelliamo un triangolo togliendo un lato che si affaccia all'esterno. Per esempio, cancelliamo il lato AG. Ecco la figura”.
“Allora, provo a fare i conti. Abbiamo perso un lato, quindi S diminuisce di 1. Ma abbiamo anche perso una faccia, quindi F diminuisce di 1. Il tuo invariante diventa (F - 1) + V - (S - 1). Ehi, non è cambiato nemmeno questa volta”.
“Già. Ora vado avanti un altro po' per mostrarti un triangolo con due lati affacciato sul bordo: cancello prima il lato DG poi il lato DE. Ecco qua”.
“Ah, ecco come si fa ad avere triangoli che hanno sul bordo due lati! E adesso come facciamo a eliminarlo?”.
“Nel caso di triangoli con due lati sul bordo, dobbiamo eliminare entrambi i lati”.
“Va bene. In questo caso allora perdiamo una faccia e due lati, quindi F diminuisce di 1 mentre S dimiuisce di 2”.
“Non ti dimenticare del punto D”.
“Ah, giusto. Perdiamo anche un punto. Quindi abbiamo (F - 1) + (V - 1) - (S - 2)... anche in questo caso rimane uguale a F + V - S. La figura dovrebbe essere questa”.
“Esatto. Ora possiamo andare avanti, eliminando triangoli su triangoli. In questo procedimento perderemo spigoli, facce e vertici, ma il valore di F + V - S non cambierà mai”.
“E fino a che punto andiamo avanti?”.
“Fino a che non rimarrà un solo triangolo. A questo punto, quanto vale l'espressione F + V - S?”.
“Bè, un triangolo ha una faccia, tre vertici e tre spigoli, quindi F + V - S = 1+3-3 = 1. Il tuo invariante vale 1”.
“E quindi valeva uno anche all'inizio”.
“Ma allora la formula che mi hai detto è sbagliata. Dicevi che doveva risultare 2!”.
“Hai dimenticato il primo triangolo, quello che abbiamo tolto per poter schiacciare la figura su un piano. Il poliedro iniziale ha una faccia in più”.
“Uh, è vero. Inizialmente allora F + V - S valeva 2. Quindi la formula è giusta”.
“Già. C.V.D.”.
“C'è una battuta sulla sigla C.V.D.”.
“Ah sì? Non la conosco”.
“Sai cosa significa per un ingegnere C.V.D.?”.
“Cosa?”.
“Cazzo, Viene Diverso!”.
(questa deve essere la prima parolaccia che scrivo sul blog: sono un po' turbato)
sabato 8 novembre 2008
Il dubbio, il dubbio
Se, dopo aver finito di leggere un romanzo, ti domandi: “e se capitasse a me, che farei?”, allora il romanzo smette di essere una semplice storia e diventa un Romanzo.
Soprattutto se te l'ha regalato tua moglie per il tuo compleanno. E non sei più un picciotto vintino.
martedì 4 novembre 2008
Io e Obama
Diciamo le stesse cose:
“Vietare le braghe calate sarebbe una sciocchezza, abbiamo cose più importanti di cui occuparci. Detto questo, ragazzi: tiratevi su i calzoni. State camminando al fianco di vostra madre, di vostra nonna, e vi si vedono le mutande. Voi dite, che c’è di male? Dai, per favore. Ci sono questioni che non si regolano per legge, ma c’è anche una questione di rispetto per quelli che non vogliono vedere le vostre mutande. E io sono uno di quelli”.
(via Wittgenstein)
“Vietare le braghe calate sarebbe una sciocchezza, abbiamo cose più importanti di cui occuparci. Detto questo, ragazzi: tiratevi su i calzoni. State camminando al fianco di vostra madre, di vostra nonna, e vi si vedono le mutande. Voi dite, che c’è di male? Dai, per favore. Ci sono questioni che non si regolano per legge, ma c’è anche una questione di rispetto per quelli che non vogliono vedere le vostre mutande. E io sono uno di quelli”.
(via Wittgenstein)
martedì 28 ottobre 2008
Quarantadue
Credevo di essere stato attento a non inserire in nessun luogo internettiano la mia data di nascita, ma facebook mi ha fregato. Per dare la definitiva mazzata alla mia psiche già in crisi per l'avanzamento inesorabile del tempo, oggi Ronkas si è presentato con un pacchettino regalo per me. E che regalo: una fantastica maglietta di xkcd.
C'era anche un bigliettino, di quelli che ti fanno pensare di aver fatto qualcosa di buono nella vita.
C'era anche un bigliettino, di quelli che ti fanno pensare di aver fatto qualcosa di buono nella vita.
venerdì 24 ottobre 2008
Speriamo bene
Scopro adesso che Ridley Scott girerà un film tratto da uno dei più bei romanzi di fantascienza dell'universo (ehm): Guerra Eterna. Se avete presente Fanteria dello Spazio di Heinlein, ecco, questo è il suo duale: in grado di fare cambiare opinione anche al più guerrafondaio dei lettori.
domenica 19 ottobre 2008
Per l'astrofisico che è in voi
C'è un giochino online sul problema degli n corpi: orbitrunner. Voi siete un sole (ehm) e non dovete farvi sfuggire i pianeti...
sabato 18 ottobre 2008
Alla riunione di prima elementare
Le maestre di mio figlio si sono lamentate del fatto che, spesso, i bambini copiano dalla lavagna e non ascoltano. Alla mattina io mi ero lamentato della stessa cosa con i miei studenti di quinta. Superiore.
giovedì 16 ottobre 2008
Teoria del mondo piccolo
In classe con mio figlio piccolo, prima elementare, ci sono la figlia di una mia compagna di classe delle elementari (eravamo sempre in quella scuola elementare) e il figlio di uno dei miei primi studenti; per non parlare della figlia di un mio amico di gioventù.
Praticamente la stessa probabilità che si formi un buco nero dalle parti di Ginevra.
Praticamente la stessa probabilità che si formi un buco nero dalle parti di Ginevra.
martedì 14 ottobre 2008
Carnevale della Matematica #6
Con un florilegio di contributi, ecco il carnevale della matematica che corrisponde al primo numero perfetto.
sabato 11 ottobre 2008
Si fa presto a dire cittadino del mondo
Se poi trovi un elenco di tutto ciò che fa di te un modenese... (non tutto nell'elenco è puro modenese, ma è comunque un'ottima approssimazione).
Colgo l'occasione per domandare: ma voi stranieri capite quello che dice Schumacher alla fine di Cars?
Colgo l'occasione per domandare: ma voi stranieri capite quello che dice Schumacher alla fine di Cars?
giovedì 9 ottobre 2008
Forse devo donare il mio sangue alla scienza
Io, durante l'afosa estate ricca di zanzare che si è appena conclusa, non sono mai stato punto.
mercoledì 8 ottobre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - epilogo
È finita, eh. Grazie per essere arrivati fino in fondo...
Questa saga è nata grazie a vari stimoli che ho ricevuto nel corso dei miei studi matematici, che pian piano si sono accumulati in un angolino della mia testa e hanno prodotto tutto ciò.
La prima volta in cui ho sentito parlare di cardinali transfiniti è stata durante il primo anno di matematica, nel corso di algebra. Il prof (buonanima) era un vero barone universitario, uno che prima di ogni lezione si faceva lavare dai bidelli la lavagna (cosa che piacerebbe tantissimo anche a me — ma se lo chiedo ai bidelli della mia scuola come minimo mi sparano), uno che scriveva una formula ogni cinque minuti, e per il resto del tempo parlava, e noi dovevamo arrangiarci con gli appunti. Uno che una volta si è fermato nel mezzo di una lezione per sgridare una ragazza che era di fianco a me perché aveva sbadigliato senza mettersi la mano davanti alla bocca, per dire. Uno sul quale si narravano leggende metropolitane, come quella che raccontava che lui scrivesse anche i voti minori di 18 sul libretto. Nonostante il terrore misto a odio che provavo nei suoi confronti e nei confronti dell'algebra, sono rimasto affascinato dai numeri cardinali.
Lo stile a dialogo è nato un po' per caso. Inizialmente avevo pensato di inserire qualche dialogo qua e là, ma poi ho visto che quella forma mi permetteva di capire meglio gli argomenti di cui parlavo... e quindi l'ho adottata. Gran parte delle definizioni e dei teoremi di cui ho scritto mi sono diventati più chiari mentre cercavo di far sì che il Vero Matematico rispondesse in modo semplice. Tanti grandi scrittori hanno usato questo stile, ma l'ispirazione maggiore mi è venuta dai dialoghi del professor Apotema: si trovano sul mensile il Leonardo, pubblicato dall'ITI Vinci di Carpi, leggeteli perché sono bellissimi (può darsi che il link cambi nel tempo, comunque dalla home page del sito ci si arriva sempre). Invece di due interlocutori, in quei dialoghi c'è una classe intera.
Poi c'è la parte sugli ordinali. Avrete visto che è meno rigorosa, senza teoremi. Quella non l'ho studiata per l'esame di algebra, e non ho nemmeno un libro di testo con le dimostrazioni. Me la sono guardata per conto mio, utilizzando libri più o meno divulgativi sull'argomento, e traducendo dall'inglese l'omonima pagina di wikipedia...
Tutto questo è rimasto a lievitare in silenzio per un po' di tempo, fino a quando un amico (un filosofo appassionato di Cantor) non mi ha chiesto: “ma come si dimostra che la cardinalità dei reali è maggiore di ℵ0?”. La risposta che diedi a lui stava su due o tre pagine. Qui ho ampliato un po'...
Questa saga è nata grazie a vari stimoli che ho ricevuto nel corso dei miei studi matematici, che pian piano si sono accumulati in un angolino della mia testa e hanno prodotto tutto ciò.
La prima volta in cui ho sentito parlare di cardinali transfiniti è stata durante il primo anno di matematica, nel corso di algebra. Il prof (buonanima) era un vero barone universitario, uno che prima di ogni lezione si faceva lavare dai bidelli la lavagna (cosa che piacerebbe tantissimo anche a me — ma se lo chiedo ai bidelli della mia scuola come minimo mi sparano), uno che scriveva una formula ogni cinque minuti, e per il resto del tempo parlava, e noi dovevamo arrangiarci con gli appunti. Uno che una volta si è fermato nel mezzo di una lezione per sgridare una ragazza che era di fianco a me perché aveva sbadigliato senza mettersi la mano davanti alla bocca, per dire. Uno sul quale si narravano leggende metropolitane, come quella che raccontava che lui scrivesse anche i voti minori di 18 sul libretto. Nonostante il terrore misto a odio che provavo nei suoi confronti e nei confronti dell'algebra, sono rimasto affascinato dai numeri cardinali.
Lo stile a dialogo è nato un po' per caso. Inizialmente avevo pensato di inserire qualche dialogo qua e là, ma poi ho visto che quella forma mi permetteva di capire meglio gli argomenti di cui parlavo... e quindi l'ho adottata. Gran parte delle definizioni e dei teoremi di cui ho scritto mi sono diventati più chiari mentre cercavo di far sì che il Vero Matematico rispondesse in modo semplice. Tanti grandi scrittori hanno usato questo stile, ma l'ispirazione maggiore mi è venuta dai dialoghi del professor Apotema: si trovano sul mensile il Leonardo, pubblicato dall'ITI Vinci di Carpi, leggeteli perché sono bellissimi (può darsi che il link cambi nel tempo, comunque dalla home page del sito ci si arriva sempre). Invece di due interlocutori, in quei dialoghi c'è una classe intera.
Poi c'è la parte sugli ordinali. Avrete visto che è meno rigorosa, senza teoremi. Quella non l'ho studiata per l'esame di algebra, e non ho nemmeno un libro di testo con le dimostrazioni. Me la sono guardata per conto mio, utilizzando libri più o meno divulgativi sull'argomento, e traducendo dall'inglese l'omonima pagina di wikipedia...
Tutto questo è rimasto a lievitare in silenzio per un po' di tempo, fino a quando un amico (un filosofo appassionato di Cantor) non mi ha chiesto: “ma come si dimostra che la cardinalità dei reali è maggiore di ℵ0?”. La risposta che diedi a lui stava su due o tre pagine. Qui ho ampliato un po'...
Verso l'infinito, ma con calma - così tanto da dire, così poco per dire
Utilizzando un numero finito di somme, moltiplicazioni e potenze di ordinali, possiamo esprimere “solo” ordinali nella forma normale di Cantor. La potenza, che è l'operazione che ci permette di esprimere in modo conciso gli ordinali più grandi, ci ha condotti alla scrittura di una torre di potenze di ω:
ω, ωω, ωωω, ωωωω, ..., ωωωω....
Ora la domanda è: possiamo continuare all'infinito? E, se sì (ed è certamente sì, i passaggi all'infinito ormai non ci spaventano più), cosa otteniamo?
Partiamo dall'inizio, definendo una successione di potenze:
a1=1,
an+1=ωan.
“Uhm, vediamo... a2 dovrebbe essere ω, giusto?”.
“Giusto”.
“Poi a3 dovrebbe essere ωω”.
“Giusto anche questo”.
“Ok, ci sono, ogni volta che aumenta n aumenta di un piano la torre di potenze”.
“Perfetto. Ora indichiamo con x l'estremo superiore dell'insieme di tutti gli ai. In formule: x = sup{ai : i < ω}”.
“Ok, fin qua ci sono, ma non esagerare con le formule”.
“Va bene, ormai ci siamo. Ora calcoliamo ωx”.
“Uhm, come si fa?”.
“Ricordi la definizione? Dobbiamo prendere ωα per tutti gli ordinali α minori di x”.
“Quindi dovrei prendere... un momento! Tutti gli ordinali minori di x sono tutti quelli che abbiamo considerato finora, perché x è l'estremo superiore dell'insieme che contiene tutte le potenze di base ω. In pratica dobbiamo prendere di nuovo x”.
“Giusto. Detto in termini poco rigorosi ma più chiari, se hai una torre infinita di potenze di ω e aggiungi un altro esponente ω, non cambia nulla”.
“E quindi cosa abbiamo ottenuto?”.
“Abbiamo ottenuto un x tanto grande che ωx = x”.
“Sembra un'equazione”.
“È un'equazione. Noi abbiamo ottenuto il più piccolo x che la soddisfa, che Cantor ha chiamato ε0. Oltre a indicarlo con una torre di potenze infinita, possiamo anche indicarlo in questo modo:”.
ε0 = 1+ω+ωω+ωωω+...
“Ohi ohi”.
“Che c'è?”.
“Quell'indice 0...”.
“Sì?”.
“Vuol forse dire che ce ne sono altri?”.
“Naturalmente. Sempre soluzioni di ωx = x. Il prossimo si chiama ε1”.
“Ci avrei scommesso”.
“Eccolo qua:”.
ε1=(ε0+1)+ωε0+1+ωωε0+1+...
“Gulp”.
“Poi ci sono ε2, ε3, ..., εω”.
“Argh”.
“Poi εω2, ..., εωω”.
“Ma no, si ricomincia!”.
“E guarda questa sequenza:”.
εε0, εεε0, ..., εεεε....
“Ma non si finisce mai!”.
“Mai. Osserva che l'ultimo numero è la prima soluzione di εx = x”.
“Non oso pensare a quello che viene dopo”.
“Il fatto è che possiamo giusto solo pensarci”.
“Perché?”.
“Perché possiamo andare avanti quanto vogliamo, all'infinito, e definire nuovi numeri. Ma non avremo mai abbastanza parole per farlo”.
“In che senso?”.
“Nel senso che con le lettere dell'alfabeto possiamo formare soltanto un insieme finito di parole. Al limite possiamo immaginare un dizionario infinito di parole, anche se non potremo mai leggerle tutte. Ma se anche le usassimo tutte per dare un nome ai nuovi numeri che definiremo, avremo comunque un'infinità numerabile di nomi a disposizione. Cioè ne avremo ℵ0”.
“Ah”.
“Mentre di ordinali ne possiamo definire molti di più. Ma anche se ci limitiamo ai soli numeri reali, non avremo mai parole a sufficienza per dare un nome ad ognuno. Figuriamoci dare un nome a tutti gli ordinali”.
“E quindi?”.
“E quindi ci fermiamo qui, immaginando tutto il resto solo con il pensiero, senza usare altre parole”.
“Peccato, mi dispiace che il cammino verso l'infinito finisca qua. Avrei però un'ultima domanda”.
“Quale?”.
“Il fatto che questo post venga pubblicato l'otto ottobre duemilaeotto alle otto e otto è un caso?”.
“Questo te lo lascio come esercizio”.
ω, ωω, ωωω, ωωωω, ..., ωωωω....
Ora la domanda è: possiamo continuare all'infinito? E, se sì (ed è certamente sì, i passaggi all'infinito ormai non ci spaventano più), cosa otteniamo?
Partiamo dall'inizio, definendo una successione di potenze:
a1=1,
an+1=ωan.
“Uhm, vediamo... a2 dovrebbe essere ω, giusto?”.
“Giusto”.
“Poi a3 dovrebbe essere ωω”.
“Giusto anche questo”.
“Ok, ci sono, ogni volta che aumenta n aumenta di un piano la torre di potenze”.
“Perfetto. Ora indichiamo con x l'estremo superiore dell'insieme di tutti gli ai. In formule: x = sup{ai : i < ω}”.
“Ok, fin qua ci sono, ma non esagerare con le formule”.
“Va bene, ormai ci siamo. Ora calcoliamo ωx”.
“Uhm, come si fa?”.
“Ricordi la definizione? Dobbiamo prendere ωα per tutti gli ordinali α minori di x”.
“Quindi dovrei prendere... un momento! Tutti gli ordinali minori di x sono tutti quelli che abbiamo considerato finora, perché x è l'estremo superiore dell'insieme che contiene tutte le potenze di base ω. In pratica dobbiamo prendere di nuovo x”.
“Giusto. Detto in termini poco rigorosi ma più chiari, se hai una torre infinita di potenze di ω e aggiungi un altro esponente ω, non cambia nulla”.
“E quindi cosa abbiamo ottenuto?”.
“Abbiamo ottenuto un x tanto grande che ωx = x”.
“Sembra un'equazione”.
“È un'equazione. Noi abbiamo ottenuto il più piccolo x che la soddisfa, che Cantor ha chiamato ε0. Oltre a indicarlo con una torre di potenze infinita, possiamo anche indicarlo in questo modo:”.
ε0 = 1+ω+ωω+ωωω+...
“Ohi ohi”.
“Che c'è?”.
“Quell'indice 0...”.
“Sì?”.
“Vuol forse dire che ce ne sono altri?”.
“Naturalmente. Sempre soluzioni di ωx = x. Il prossimo si chiama ε1”.
“Ci avrei scommesso”.
“Eccolo qua:”.
ε1=(ε0+1)+ωε0+1+ωωε0+1+...
“Gulp”.
“Poi ci sono ε2, ε3, ..., εω”.
“Argh”.
“Poi εω2, ..., εωω”.
“Ma no, si ricomincia!”.
“E guarda questa sequenza:”.
εε0, εεε0, ..., εεεε....
“Ma non si finisce mai!”.
“Mai. Osserva che l'ultimo numero è la prima soluzione di εx = x”.
“Non oso pensare a quello che viene dopo”.
“Il fatto è che possiamo giusto solo pensarci”.
“Perché?”.
“Perché possiamo andare avanti quanto vogliamo, all'infinito, e definire nuovi numeri. Ma non avremo mai abbastanza parole per farlo”.
“In che senso?”.
“Nel senso che con le lettere dell'alfabeto possiamo formare soltanto un insieme finito di parole. Al limite possiamo immaginare un dizionario infinito di parole, anche se non potremo mai leggerle tutte. Ma se anche le usassimo tutte per dare un nome ai nuovi numeri che definiremo, avremo comunque un'infinità numerabile di nomi a disposizione. Cioè ne avremo ℵ0”.
“Ah”.
“Mentre di ordinali ne possiamo definire molti di più. Ma anche se ci limitiamo ai soli numeri reali, non avremo mai parole a sufficienza per dare un nome ad ognuno. Figuriamoci dare un nome a tutti gli ordinali”.
“E quindi?”.
“E quindi ci fermiamo qui, immaginando tutto il resto solo con il pensiero, senza usare altre parole”.
“Peccato, mi dispiace che il cammino verso l'infinito finisca qua. Avrei però un'ultima domanda”.
“Quale?”.
“Il fatto che questo post venga pubblicato l'otto ottobre duemilaeotto alle otto e otto è un caso?”.
“Questo te lo lascio come esercizio”.
martedì 7 ottobre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - forma normale di Cantor
Le operazioni di somma, prodotto e potenza di ordinali ci permettono di costruire numeri sempre più grandi. Esiste un modo standard per esprimerli, che potremmo considerare come una specie di numerazione posizionale in base ω.
“Eh?”.
“Sai cos'è un sistema di numerazione posizionale?”.
“Ehm...”.
“Allora prova a calcolare XXIII×XLII”.
“Roba da matti, adesso scrivi in numeri romani. Questi li conosco, sai? Devo calcolare 23×42. Posso usare la calcolatrice?”.
“Non se ne parla neanche. Non puoi usare la calcolatrice, puoi usare carta e penna, non puoi usare cifre arabe”.
“Come sarebbe? E allora come faccio?”.
“Preferiresti usare le cifre arabe?”.
“Certo”.
“Perché?”.
“Perché se non mi lasci usare la calcolatrice mi metto a fare i conti a mano. Le moltiplicazioni in colonna dovrei ricordarmele ancora”.
“E non puoi usare i numeri romani?”.
“Eh, no. Non funziona, non si riesce a incolonnare, non si fanno i riporti”.
“Perfetto. Per incolonnare e fare i riporti serve un sistema di numerazione posizionale”.
“Mmh...”.
“Un sistema che ti permetta di usare pochi simboli (noi ne usiamo dieci), di distinguere tra unità, decine, centinaia, e così via. E di fare quindi i riporti”.
“Ah, ho capito”.
“Quando noi scriviamo 42 intendiamo 4 decine e 2 unità. Cioè 4×10+2”.
“Ah, ok, questo lo sapevo. Avevamo parlato anche della numerazione binaria, tempo fa. In quel caso è tutto basato sulle potenze di 2. Bene, ora ricordo tutto. E con gli ordinali dici che si fa un sistema in base ω?”.
“Sì. Se ripensi a tutti i calcoli che abbiamo fatto, noterai che un numero ordinale può contenere una parte finita, poi una parte che contiene ω, una parte che contiene ω2, e così via. Puoi andare avanti quanto vuoi e costruire una torre di potenze di ω. Eccoti un esempio di un numero ordinale abbastanza complicato da scrivere:”.
ωωω×7+42×272+ω3+84×4+ωωω×6+3141.
“Ok, ci sono. Sommando, moltiplicando e facendo potenze possiamo ottenere tutti gli ordinali, e li possiamo scrivere in questo modo”.
“No, non è così, non tutti gli ordinali”.
“No? Eppure... se facendo qualunque operazione otteniamo un ordinale di quel tipo, cosa non riusciamo a scrivere?”.
“Noi riusciamo a scrivere in quel modo, che si chiama forma normale di Cantor, solo gli ordinali che si ottengono facendo un numero finito di somme, prodotti e potenze”.
“Ah, perché, possiamo farne anche un numero infinito?”.
“Stiamo o non stiamo parlando di infinito?”.
“Eh?”.
“Sai cos'è un sistema di numerazione posizionale?”.
“Ehm...”.
“Allora prova a calcolare XXIII×XLII”.
“Roba da matti, adesso scrivi in numeri romani. Questi li conosco, sai? Devo calcolare 23×42. Posso usare la calcolatrice?”.
“Non se ne parla neanche. Non puoi usare la calcolatrice, puoi usare carta e penna, non puoi usare cifre arabe”.
“Come sarebbe? E allora come faccio?”.
“Preferiresti usare le cifre arabe?”.
“Certo”.
“Perché?”.
“Perché se non mi lasci usare la calcolatrice mi metto a fare i conti a mano. Le moltiplicazioni in colonna dovrei ricordarmele ancora”.
“E non puoi usare i numeri romani?”.
“Eh, no. Non funziona, non si riesce a incolonnare, non si fanno i riporti”.
“Perfetto. Per incolonnare e fare i riporti serve un sistema di numerazione posizionale”.
“Mmh...”.
“Un sistema che ti permetta di usare pochi simboli (noi ne usiamo dieci), di distinguere tra unità, decine, centinaia, e così via. E di fare quindi i riporti”.
“Ah, ho capito”.
“Quando noi scriviamo 42 intendiamo 4 decine e 2 unità. Cioè 4×10+2”.
“Ah, ok, questo lo sapevo. Avevamo parlato anche della numerazione binaria, tempo fa. In quel caso è tutto basato sulle potenze di 2. Bene, ora ricordo tutto. E con gli ordinali dici che si fa un sistema in base ω?”.
“Sì. Se ripensi a tutti i calcoli che abbiamo fatto, noterai che un numero ordinale può contenere una parte finita, poi una parte che contiene ω, una parte che contiene ω2, e così via. Puoi andare avanti quanto vuoi e costruire una torre di potenze di ω. Eccoti un esempio di un numero ordinale abbastanza complicato da scrivere:”.
ωωω×7+42×272+ω3+84×4+ωωω×6+3141.
“Ok, ci sono. Sommando, moltiplicando e facendo potenze possiamo ottenere tutti gli ordinali, e li possiamo scrivere in questo modo”.
“No, non è così, non tutti gli ordinali”.
“No? Eppure... se facendo qualunque operazione otteniamo un ordinale di quel tipo, cosa non riusciamo a scrivere?”.
“Noi riusciamo a scrivere in quel modo, che si chiama forma normale di Cantor, solo gli ordinali che si ottengono facendo un numero finito di somme, prodotti e potenze”.
“Ah, perché, possiamo farne anche un numero infinito?”.
“Stiamo o non stiamo parlando di infinito?”.
lunedì 6 ottobre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - torri di potenze
Abbiamo visto un esempio di potenza tra numeri ordinali: ωω. In generale la potenza di numeri ordinali può essere definita per induzione, ma dobbiamo ricordarci che si sta parlando di induzione transfinita, cioè di un procedimento tra numeri ordinali, e non “semplici” naturali.
“Poveri naturali, ridotti al rango di numeri semplici...”.
“Hai ragione, anche se la struttura degli ordinali è certamente più ricca e complessa”.
“Anche questo è vero. Ma cosa sarebbe questa induzione transfinita?”.
“Ricordi che abbiamo già parlato dell'induzione?”.
“Sì. Dicevamo che se una proprietà è vera per 0, e che se l'essere vera per un certo n implica che sia vera anche per n+1, allora la proprietà è vera sempre. Una specie di effetto domino”.
“Proprio così. Si basava sul concetto di successore di un numero: la proprietà valida per n si trasferisce su n+1, e così via. Possiamo formulare una proprietà analoga per gli ordinali”.
“Sì, in effetti anche per gli ordinali abbiamo il concetto di successore”.
“Giusto, ma ricordati che non tutti gli ordinali sono successori di qualche ordinale”.
“Ah, è vero. Mi avevi già fatto l'esempio di ω: non è successore di nessun numero”.
“Bravo. L'avevamo chiamato ordinale limite”.
“E come facciamo in questo caso?”.
“Dobbiamo formulare il principio di induzione in modo un po' diverso: per ogni ordinale b, se la proprietà P(a) vale per tutti gli ordinali a minori di b, allora vale anche P(b)”.
“Uhm”.
“Pensa a ω. Ricordi che ω è uguale a {0,1,2,...}?”.
“Sì, è la definizione”.
“E quali sono tutti gli ordinali minori di ω?”.
“Sono tutti i numeri naturali”.
“Bene. Dunque, se dimostri che una certa proprietà è vera per tutti i naturali, allora puoi dire che è vera anche per ω. Poi puoi continuare normalmente con ω+1, ω+2, e così via. Ogni volta che vuoi passare a un ordinale limite, devi considerare tutti gli ordinali minori”.
“Ok, ho capito”.
“Bene, ora possiamo parlare della definizione di potenza. Prima di tutto, diciamo che α0=1”.
“Ok, questo mi pare ragionevole”.
“Poi, sistemiamo tutti i successori: αβ+1=αβα”.
“Ok. Per quanto riguarda i numeri naturali, questa è la solita regola”.
“Giusto. Ora il passo riguardante gli ordinali limite: se δ è un ordinale limite, allora αδ è l'ordinale limite che si ottiene prendendo tutti gli αβ per tutti i β minori di δ”.
“Credo di aver capito. Come diventa, nel caso di ωω?”.
“Siccome ω è un ordinale limite, devi considerare tutti gli ωβ per tutti i β minori di ω, cioè per tutti i β naturali”.
“E quindi dovrei considerare l'ordinale limite che si ottiene prendendo tutte le potenze di ω una dopo l'altra?”.
“Sì: ωω = 1 + ω + ω2 + ω3 + ...”.
“Ah, ora capisco meglio quella figura a spirale che mi hai fatto vedere. E adesso che abbiamo definito la potenza, possiamo naturalmente andare avanti quanto vogliamo?”.
“Certo. Ormai dovresti aver capito che con gli ordinali si può sempre andare avanti. Ecco una prima sequenza di ordinali:”.
ωω+1, ωω+2, ωω+3, ..., ωω+ω.
“Ah, l'ultimo è un nuovo ordinale limite”.
“Poi saliamo ancora:”.
ωω+ω×2, ωω+ω×3, ..., ωω+ω2.
“Hai passato un altro limite”.
“E poi ancora:”.
ωω+ω2+1, ..., ωω+ω2+ω.
“Sempre più grande”.
“Ora vado un po' più in fretta:”.
ωω+ω3, ..., ωω+ωω = ωω×2, ωω×2+1, ..., ωω×3, ..., ωω×4, ..., ωω×ω=ωω+1.
“Wow, sei andato decisamente in fretta”.
“E poi ancora:”.
ωω+1+1, ..., ωω+1+ω, ... ωω+1+ω2, ..., ωω+1+ωω, ..., ωω+2, ..., ωω+3, ..., ωω×2, ..., ωω×3, ..., ωω2.
“Anche le doppie potenze?”.
“Non solo doppie:”.
ωω2, ..., ωω3, ..., ωω4, ..., ωωω, ..., ωωω+1, ..., ωωωω, ..., ωωωωω.
“Mamma mia, e io che pensavo che ω fosse già abbastanza grande...”.
“Poveri naturali, ridotti al rango di numeri semplici...”.
“Hai ragione, anche se la struttura degli ordinali è certamente più ricca e complessa”.
“Anche questo è vero. Ma cosa sarebbe questa induzione transfinita?”.
“Ricordi che abbiamo già parlato dell'induzione?”.
“Sì. Dicevamo che se una proprietà è vera per 0, e che se l'essere vera per un certo n implica che sia vera anche per n+1, allora la proprietà è vera sempre. Una specie di effetto domino”.
“Proprio così. Si basava sul concetto di successore di un numero: la proprietà valida per n si trasferisce su n+1, e così via. Possiamo formulare una proprietà analoga per gli ordinali”.
“Sì, in effetti anche per gli ordinali abbiamo il concetto di successore”.
“Giusto, ma ricordati che non tutti gli ordinali sono successori di qualche ordinale”.
“Ah, è vero. Mi avevi già fatto l'esempio di ω: non è successore di nessun numero”.
“Bravo. L'avevamo chiamato ordinale limite”.
“E come facciamo in questo caso?”.
“Dobbiamo formulare il principio di induzione in modo un po' diverso: per ogni ordinale b, se la proprietà P(a) vale per tutti gli ordinali a minori di b, allora vale anche P(b)”.
“Uhm”.
“Pensa a ω. Ricordi che ω è uguale a {0,1,2,...}?”.
“Sì, è la definizione”.
“E quali sono tutti gli ordinali minori di ω?”.
“Sono tutti i numeri naturali”.
“Bene. Dunque, se dimostri che una certa proprietà è vera per tutti i naturali, allora puoi dire che è vera anche per ω. Poi puoi continuare normalmente con ω+1, ω+2, e così via. Ogni volta che vuoi passare a un ordinale limite, devi considerare tutti gli ordinali minori”.
“Ok, ho capito”.
“Bene, ora possiamo parlare della definizione di potenza. Prima di tutto, diciamo che α0=1”.
“Ok, questo mi pare ragionevole”.
“Poi, sistemiamo tutti i successori: αβ+1=αβα”.
“Ok. Per quanto riguarda i numeri naturali, questa è la solita regola”.
“Giusto. Ora il passo riguardante gli ordinali limite: se δ è un ordinale limite, allora αδ è l'ordinale limite che si ottiene prendendo tutti gli αβ per tutti i β minori di δ”.
“Credo di aver capito. Come diventa, nel caso di ωω?”.
“Siccome ω è un ordinale limite, devi considerare tutti gli ωβ per tutti i β minori di ω, cioè per tutti i β naturali”.
“E quindi dovrei considerare l'ordinale limite che si ottiene prendendo tutte le potenze di ω una dopo l'altra?”.
“Sì: ωω = 1 + ω + ω2 + ω3 + ...”.
“Ah, ora capisco meglio quella figura a spirale che mi hai fatto vedere. E adesso che abbiamo definito la potenza, possiamo naturalmente andare avanti quanto vogliamo?”.
“Certo. Ormai dovresti aver capito che con gli ordinali si può sempre andare avanti. Ecco una prima sequenza di ordinali:”.
ωω+1, ωω+2, ωω+3, ..., ωω+ω.
“Ah, l'ultimo è un nuovo ordinale limite”.
“Poi saliamo ancora:”.
ωω+ω×2, ωω+ω×3, ..., ωω+ω2.
“Hai passato un altro limite”.
“E poi ancora:”.
ωω+ω2+1, ..., ωω+ω2+ω.
“Sempre più grande”.
“Ora vado un po' più in fretta:”.
ωω+ω3, ..., ωω+ωω = ωω×2, ωω×2+1, ..., ωω×3, ..., ωω×4, ..., ωω×ω=ωω+1.
“Wow, sei andato decisamente in fretta”.
“E poi ancora:”.
ωω+1+1, ..., ωω+1+ω, ... ωω+1+ω2, ..., ωω+1+ωω, ..., ωω+2, ..., ωω+3, ..., ωω×2, ..., ωω×3, ..., ωω2.
“Anche le doppie potenze?”.
“Non solo doppie:”.
ωω2, ..., ωω3, ..., ωω4, ..., ωωω, ..., ωωω+1, ..., ωωωω, ..., ωωωωω.
“Mamma mia, e io che pensavo che ω fosse già abbastanza grande...”.
sabato 4 ottobre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - Telegraph Road
Come moltiplicare i numeri ordinali? Partiamo da ordinali finiti: che significa la scrittura 3×2? Dobbiamo leggerla in questo modo: tre per due volte. E cioè, dobbiamo mettere due copie di 3 una di fianco all'altra:
{0,1,2}+{0,1,2}={0,1,2,0,1,2}.
Se ricontiamo, otteniamo {0,1,2,3,4,5}, cioè 6.
Se invece calcoliamo 2×3, dobbiamo mettere tre copie di 2 una di fianco all'altra:
{0,1}+{0,1}+{0,1}={0,1,0,1,0,1}.
Anche in questo caso, dopo aver ricontato, si ottiene 6.
“Sembra commutativa”.
“Certo, con gli ordinali finiti tutto è normale.”.
“Vuoi dire che con quelli infiniti le cose cambiano?”.
“Sì. Prova a calcolare 2×ω”.
“Uhm, 2 per ω volte. Vediamo, dovrei scrivere una cosa del genere:”.
{0,1,0,1,0,1,...}
“Giusto. Se riconti, ti accorgi subito che ottieni ω”.
“È vero. Dici che se provo a calcolare ω×2 ottengo un risultato diverso?”.
“Prova”.
“Allora, in questo caso ho due copie di ω, quindi posso scrivere così:”.
{0,1,2,...,0,1,2,...}
“Giusto. Ti sembra ancora uguale a ω?”.
“Eh, no, qui ci sono due numeri che non sono successori di nessun numero, cioè i due zeri. Questo è ω+ω”.
“Ottimo. Quindi ω×2 = ω+ω”.
“Ho capito. Allora potrei calcolare anche ω×3, poi ω×4, e così via. Posso calcolare anche ω×ω?”.
“Sì. Prova a scriverlo”.
“Uh, qui servono tanti puntini. Vediamo, posso scrivere così:”.
{0,1,2,...,0,1,2,...,0,1,2,...,...}
“Non sono tanto belli quei puntini finali”.
“Lo so, ma se non li scrivo non si capisce che l'insieme è diverso da ω×3”.
“Hai ragione. Ti mostro un sistema alternativo per rappresentare questo numero:”.
“Wow, ma che roba è?”.
“Immagina che il primo segmento verticale sia lo 0 iniziale”.
“Bene”.
“Il secondo è il primo 1”.
“Vedo che è un po' più corto del primo”.
“Sì, è una specie di rappresentazione in prospettiva. Se noti, ogni segmento è più corto del precedente. I vari segmenti si rimpiccioliscono e si infittiscono, come se andassero verso l'infinito”.
“Ah, ora vedo! Come i pali del telegrafo che corrono a fianco di una strada”.
“Proprio così. E in questa figura sono rappresentate ω linee del telegrafo, sempre più lontane. Questo è ω×ω, cioè ω2”.
“E dopo avremo anche ω3, suppongo?”.
“Supponi bene. Poi ω4, ω5, e così via”.
“Fino a ωω?”.
“Fino a quello, e oltre”.
“Fermiamoci un attimo a quello, che mi sembra già abbastanza grande. Come potremmo rappresentarlo?”.
“È ancora più difficile, perché comprende troppi livelli di infinito per poterlo rappresentare ancora come un insieme di pali del telegrafo. Un modo è quello di rappresentare una spirale. Ad ogni giro hai una potenza di ω, quindi ad ogni giro i segmenti si avvicinano sempre più in fretta”.
“Mamma mia”.
“Sì, fa girare la testa... ωω si ottiene affiancando tutti gli schemi per 1, ω, ω2, ω3,...”.
“Basta, basta, fa girare la testa davvero. Mi piacerebbe vedere la figura”.
“Eccola”.
{0,1,2}+{0,1,2}={0,1,2,0,1,2}.
Se ricontiamo, otteniamo {0,1,2,3,4,5}, cioè 6.
Se invece calcoliamo 2×3, dobbiamo mettere tre copie di 2 una di fianco all'altra:
{0,1}+{0,1}+{0,1}={0,1,0,1,0,1}.
Anche in questo caso, dopo aver ricontato, si ottiene 6.
“Sembra commutativa”.
“Certo, con gli ordinali finiti tutto è normale.”.
“Vuoi dire che con quelli infiniti le cose cambiano?”.
“Sì. Prova a calcolare 2×ω”.
“Uhm, 2 per ω volte. Vediamo, dovrei scrivere una cosa del genere:”.
{0,1,0,1,0,1,...}
“Giusto. Se riconti, ti accorgi subito che ottieni ω”.
“È vero. Dici che se provo a calcolare ω×2 ottengo un risultato diverso?”.
“Prova”.
“Allora, in questo caso ho due copie di ω, quindi posso scrivere così:”.
{0,1,2,...,0,1,2,...}
“Giusto. Ti sembra ancora uguale a ω?”.
“Eh, no, qui ci sono due numeri che non sono successori di nessun numero, cioè i due zeri. Questo è ω+ω”.
“Ottimo. Quindi ω×2 = ω+ω”.
“Ho capito. Allora potrei calcolare anche ω×3, poi ω×4, e così via. Posso calcolare anche ω×ω?”.
“Sì. Prova a scriverlo”.
“Uh, qui servono tanti puntini. Vediamo, posso scrivere così:”.
{0,1,2,...,0,1,2,...,0,1,2,...,...}
“Non sono tanto belli quei puntini finali”.
“Lo so, ma se non li scrivo non si capisce che l'insieme è diverso da ω×3”.
“Hai ragione. Ti mostro un sistema alternativo per rappresentare questo numero:”.
“Wow, ma che roba è?”.
“Immagina che il primo segmento verticale sia lo 0 iniziale”.
“Bene”.
“Il secondo è il primo 1”.
“Vedo che è un po' più corto del primo”.
“Sì, è una specie di rappresentazione in prospettiva. Se noti, ogni segmento è più corto del precedente. I vari segmenti si rimpiccioliscono e si infittiscono, come se andassero verso l'infinito”.
“Ah, ora vedo! Come i pali del telegrafo che corrono a fianco di una strada”.
“Proprio così. E in questa figura sono rappresentate ω linee del telegrafo, sempre più lontane. Questo è ω×ω, cioè ω2”.
“E dopo avremo anche ω3, suppongo?”.
“Supponi bene. Poi ω4, ω5, e così via”.
“Fino a ωω?”.
“Fino a quello, e oltre”.
“Fermiamoci un attimo a quello, che mi sembra già abbastanza grande. Come potremmo rappresentarlo?”.
“È ancora più difficile, perché comprende troppi livelli di infinito per poterlo rappresentare ancora come un insieme di pali del telegrafo. Un modo è quello di rappresentare una spirale. Ad ogni giro hai una potenza di ω, quindi ad ogni giro i segmenti si avvicinano sempre più in fretta”.
“Mamma mia”.
“Sì, fa girare la testa... ωω si ottiene affiancando tutti gli schemi per 1, ω, ω2, ω3,...”.
“Basta, basta, fa girare la testa davvero. Mi piacerebbe vedere la figura”.
“Eccola”.
venerdì 3 ottobre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - somme non commutative
Con i numeri ordinali la proprietà commutativa non vale più. Abbiamo visto che 1+ω è uguale ancora a ω, mentre ω+1 è un numero diverso. Più precisamente, ω+1 è il successore di ω: avevamo infatti detto che ogni ordinale è l'insieme di tutti gli ordinali che lo precedono, e che quindi il successore di ogni ordinale α è α ∪ {α}. Come 3 è uguale a 2 ∪ {2}, cioè {0,1} ∪ {2} = {0,1,2}, così ω+1 è uguale a ω ∪ {ω}, cioè {1,2,...,ω}.
“Ma allora come dobbiamo fare se vogliamo calcolare una somma un po' più complicata di ω+1?”.
“Ci aiutiamo con le parentesi, e stiamo attenti all'ordine. Per esempio, supponiamo di voler calcolare la somma tra ω+ω+1 e ω+4”.
“Ok. La facciamo nei due modi possibili?”.
“Sì. Cominciamo da (ω+ω+1)+(ω+4)”.
“Va bene. Allora, io scriverei una cosa del genere:”.
{0,1,...,0,1,...,0}+{0,1,...,0,1,2,3}
“E quanto fa?”.
“Boh? Come faccio a saperlo?”.
“Devi ricontare tutto, per vedere se puoi semplificare qualcosa”.
“Allora forse è meglio se prima metto tutto in fila, togliendo le parentesi intermedie”.
{0,1,...,0,1,...,0,0,1,...,0,1,2,3}
“Perfetto. Ricordati che i simboli uguali devono essere sempre considerati diversi, e che al posto dei puntini ci sono infiniti numeri. Ora prova a ricontare”.
“Dunque, vediamo: il primo pezzo 0,1,... corrisponde a ω”.
“Giusto”.
“Anche il secondo pezzo 0,1,... corrisponde a un altro ω”.
“Bene”.
“Poi c'è 0,0,1,... Però, se riconto, anche questo corrisponde a ω. È analogo all'albergo di Hilbert: ho aggiunto un elemento all'inizio, spostando di un posto tutti gli altri”.
“Perfetto”.
“Rimane 0,1,2,3. Bé, questo è facile, è uguale a 4”.
“Giusto. Riassumendo?”.
“Riassumendo: (ω+ω+1)+(ω+4) = ω+ω+ω+4”.
“Ottimo. Ora prova a calcolare (ω+4)+(ω+ω+1)”.
“Ok, vado. Il risultato si dovrebbe scrivere così”.
{1,2,...,0,1,2,3,0,1,...,0,1,...,0}
“Giusto. Ricontando come diventa?”.
“Allora, abbiamo un ω all'inizio, poi la sequenza 0,1,2,3,0,1,... è un altro ω, poi un terzo ω e infine un 1. Se ho fatto bene i conti, risulta ω+ω+ω+1. Diverso dal risultato precedente”.
“Proprio così. In generale, due numeri ordinali possono essere sommati in due modi diversi”.
“Ho capito. Tre ordinali potranno essere sommati in sei modi diversi, quattro in ventiquattro, eccetera”.
“Invece no”.
“Ho sbagliato i calcoli? Eppure, non mi sembra...”.
“No, i calcoli in sé vanno bene. Il fatto è che con gli ordinali alcuni risultati coincidono. Per esempio, quando sommi tre ordinali non hai sei possibilità, ma solo cinque, perché due di queste possibilità coincideranno sempre”.
“Uhm”.
“La dimostrazione del caso generale è complicata, sta in un articolo di 13 pagine pubblicato dalla rivista scientifica Fundamenta Mathematicae”.
“Wow. Cosa dice il caso generale?”.
“Dice che il numero più grande possibile di somme distinte di n numeri ordinali, per n che va da 1 in poi, segue questa successione:”.
1, 2, 5, 13, 33
81, 193, 449, 332, 33×81,
812, 81×193, 1932, 332×81, 33×812,
813, 812×193, 81×1932, 1933, 33×813,
e da qui in poi moltiplichi per 81 la riga precedente:
814, 813×193, 812×1932, 81×1933, 33×814, ...
“Posso permettermi un commento?”.
“Lo so, è una schifezza”.
“Ma allora come dobbiamo fare se vogliamo calcolare una somma un po' più complicata di ω+1?”.
“Ci aiutiamo con le parentesi, e stiamo attenti all'ordine. Per esempio, supponiamo di voler calcolare la somma tra ω+ω+1 e ω+4”.
“Ok. La facciamo nei due modi possibili?”.
“Sì. Cominciamo da (ω+ω+1)+(ω+4)”.
“Va bene. Allora, io scriverei una cosa del genere:”.
{0,1,...,0,1,...,0}+{0,1,...,0,1,2,3}
“E quanto fa?”.
“Boh? Come faccio a saperlo?”.
“Devi ricontare tutto, per vedere se puoi semplificare qualcosa”.
“Allora forse è meglio se prima metto tutto in fila, togliendo le parentesi intermedie”.
{0,1,...,0,1,...,0,0,1,...,0,1,2,3}
“Perfetto. Ricordati che i simboli uguali devono essere sempre considerati diversi, e che al posto dei puntini ci sono infiniti numeri. Ora prova a ricontare”.
“Dunque, vediamo: il primo pezzo 0,1,... corrisponde a ω”.
“Giusto”.
“Anche il secondo pezzo 0,1,... corrisponde a un altro ω”.
“Bene”.
“Poi c'è 0,0,1,... Però, se riconto, anche questo corrisponde a ω. È analogo all'albergo di Hilbert: ho aggiunto un elemento all'inizio, spostando di un posto tutti gli altri”.
“Perfetto”.
“Rimane 0,1,2,3. Bé, questo è facile, è uguale a 4”.
“Giusto. Riassumendo?”.
“Riassumendo: (ω+ω+1)+(ω+4) = ω+ω+ω+4”.
“Ottimo. Ora prova a calcolare (ω+4)+(ω+ω+1)”.
“Ok, vado. Il risultato si dovrebbe scrivere così”.
{1,2,...,0,1,2,3,0,1,...,0,1,...,0}
“Giusto. Ricontando come diventa?”.
“Allora, abbiamo un ω all'inizio, poi la sequenza 0,1,2,3,0,1,... è un altro ω, poi un terzo ω e infine un 1. Se ho fatto bene i conti, risulta ω+ω+ω+1. Diverso dal risultato precedente”.
“Proprio così. In generale, due numeri ordinali possono essere sommati in due modi diversi”.
“Ho capito. Tre ordinali potranno essere sommati in sei modi diversi, quattro in ventiquattro, eccetera”.
“Invece no”.
“Ho sbagliato i calcoli? Eppure, non mi sembra...”.
“No, i calcoli in sé vanno bene. Il fatto è che con gli ordinali alcuni risultati coincidono. Per esempio, quando sommi tre ordinali non hai sei possibilità, ma solo cinque, perché due di queste possibilità coincideranno sempre”.
“Uhm”.
“La dimostrazione del caso generale è complicata, sta in un articolo di 13 pagine pubblicato dalla rivista scientifica Fundamenta Mathematicae”.
“Wow. Cosa dice il caso generale?”.
“Dice che il numero più grande possibile di somme distinte di n numeri ordinali, per n che va da 1 in poi, segue questa successione:”.
1, 2, 5, 13, 33
81, 193, 449, 332, 33×81,
812, 81×193, 1932, 332×81, 33×812,
813, 812×193, 81×1932, 1933, 33×813,
e da qui in poi moltiplichi per 81 la riga precedente:
814, 813×193, 812×1932, 81×1933, 33×814, ...
“Posso permettermi un commento?”.
“Lo so, è una schifezza”.
giovedì 2 ottobre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - somme di ordinali
Per poter parlare di somme di ordinali serve una semplice definizione: diciamo che C è il concatenamento dei due insiemi bene ordinati A e B se C è ottenuto unendo A e B in modo tale che all'interno di A e di B sia mantenuto l'ordinamento che già avevano prima, che tutti gli elementi di A siano minori di tutti gli elementi di B, e che gli elementi di A e di B vengano considerati distinti.
“Mamma mia, questa è una definizione da Vero Matematico”.
“Ma no, è semplice, con un esempio si capisce subito”.
“Sarà. Vediamo l'esempio”.
“Cominciamo da due insiemi finiti: A = {1,2,3} e B = {a,b,c,d}. L'insieme C è semplicemente {1,2,3,a,b,c,d}”.
“Tutto qua?”.
“Ti avevo pur detto che è semplice. Nota che tutti gli elementi di A e di B hanno mantenuto il loro ordine iniziale, in più ogni elemento di A è minore di ogni elemento di B”.
“Va bene, è facile. Noi però vogliamo parlare di somme di ordinali”.
“Vero. Prendiamo allora due ordinali finiti, per esempio 3 = {0,1,2} e 4 = {0,1,2,3}”.
“Mh, questa volta se facciamo l'unione otteniamo {0,1,2,0,1,2,3}, che però sarebbe uguale a {0,1,2,3}”.
“Infatti così non va bene. Devi ragionare immaginando un'operazione preliminare: bisogna cambiare nome agli elementi di B, anche solo mettendo un segno ad ognuno. Per esempio, prova con questi due insiemi: 3 = {0,1,2} e 4 = {0',1',2',3'}”.
“Ah, ok, in questo modo ottengo {0,1,2,0',1',2',3'}. Assomiglia all'esempio che hai fatto prima con {1,2,3} e {a,b,c,d}”.
“Infatti è lo stesso esempio, in cui abbiamo cambiato nome agli elementi dell'insieme. Noterai anche che l'insieme che abbiamo ottenuto è bene ordinato, ed è quindi in corrispondenza con un ordinale”.
“Ma i Veri Matematici fanno così? Perché non mi sembra una definizione da Vero Matematico, questa”.
“Bé, non fanno proprio così. Volendo essere più rigorosi, invece di rinominare gli elementi del secondo insieme quando sono uguali a quelli del primo, considerano due nuovi insiemi: il primo formato da coppie del tipo (a,0), dove a è un elemento di A. Il secondo formato da coppie del tipo (b,1), dove b è in B. In questo modo tutti gli elementi del primo tipo sono certamente diversi da quelli del secondo tipo”.
“Ho capito. In questo caso otterremmo un insieme fatto così: {(0,0),(1,0),(2,0),(0,1),(1,1),(2,1),(3,1)}. È vero che è bene ordinato, come dicevi prima, ma non è un ordinale nella sua forma standard”.
“Puoi convertirlo nella forma standard rinominando i suoi elementi ancora una volta, partendo da 0 e andando avanti. In questo modo ottieni {0,1,2,3,4,5,6}”.
“Che sarebbe l'ordinale 7”.
“Perfetto, questa è la somma: hai dimostrato che 3+4=7”.
“Va bene, ma questi giochini funzionano con gli ordinali finiti. Se invece li prendiamo infiniti?”.
“Se invece li prendiamo infiniti le cose si complicano un po'”.
“Capirai”.
“Per esempio, proviamo a calcolare 1+ω. Concordiamo di non rinominare gli elementi, in questo modo la scrittura è più semplice, va bene?”.
“Ok, se vedo qualche numero che si ripete so che va considerato come un elemento diverso dai precedenti”.
“Bene. Allora, 1 = {0}, mentre ω = {0,1,2,...}. Quindi come risulterebbe l'insieme somma?”.
“Facile: {0,0,1,2,...}”.
“Bene. Con quale insieme è in corrispondenza biunivoca? Attenzione che deve essere una corrispondenza che conserva l'ordine”.
“Facile anche questo, perché è l'esempio dell'albergo di Hilbert. Se riconto tutto, è in corrispondenza con {0,1,2,...}”.
“Perfetto. Dunque 1+ω=ω”.
“Come con i cardinali?”.
“Esatto: 1+ℵ0=ℵ0. Ma prova ora a calcolare ω+1”.
“Non l'abbiamo appena fatto?”.
“No, abbiamo fatto 1+ω, e sai che i Veri Matematici sono molto pignoli su queste cose. Se c'è scritto ω+1, calcola ω+1 secondo la definizione”.
“Vabbé, anche se non capisco l'utilità. Dovrebbe risultare {0,1,2,...,0}. Uhm...”.
“Cominci a capire?”.
“Già. Mi ricorda l'esempio che avevi fatto con {0,1,2,...,Gigante}”.
“Esatto. Ricordi che non si riesce a fare una corrispondenza biunivoca tra quell'insieme e {0,1,2,...}? O meglio, non si riesce a fare una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine”.
“È vero. Il secondo 0 dovrebbe essere un elemento maggiore di tutti gli altri, ma non riesco a metterlo in corrispondenza biunivoca con nessun elemento di {0,1,2,...}, perché quest'ultimo insieme non contiene un elemento con quella caratteristica”.
“E dunque ω+1 è diverso da ω”.
“Già”.
“Volendo essere più precisi, ω+1 è maggiore di ω: lo avevamo notato quando abbiamo parlato dell'ordinamento degli ordinali”.
“Giusto. E quindi... oh oh”.
“Che succede?”.
“Stavo pensando... ma allora possiamo fare anche ω+2, ω+3, e possiamo andare avanti sempre...”.
“Vedo che ti si è accesa una lampadina”.
“E allora potremmo anche scrivere ω+ω!”.
“Fattoriale?”.
“No, stupore!”.
“Mamma mia, questa è una definizione da Vero Matematico”.
“Ma no, è semplice, con un esempio si capisce subito”.
“Sarà. Vediamo l'esempio”.
“Cominciamo da due insiemi finiti: A = {1,2,3} e B = {a,b,c,d}. L'insieme C è semplicemente {1,2,3,a,b,c,d}”.
“Tutto qua?”.
“Ti avevo pur detto che è semplice. Nota che tutti gli elementi di A e di B hanno mantenuto il loro ordine iniziale, in più ogni elemento di A è minore di ogni elemento di B”.
“Va bene, è facile. Noi però vogliamo parlare di somme di ordinali”.
“Vero. Prendiamo allora due ordinali finiti, per esempio 3 = {0,1,2} e 4 = {0,1,2,3}”.
“Mh, questa volta se facciamo l'unione otteniamo {0,1,2,0,1,2,3}, che però sarebbe uguale a {0,1,2,3}”.
“Infatti così non va bene. Devi ragionare immaginando un'operazione preliminare: bisogna cambiare nome agli elementi di B, anche solo mettendo un segno ad ognuno. Per esempio, prova con questi due insiemi: 3 = {0,1,2} e 4 = {0',1',2',3'}”.
“Ah, ok, in questo modo ottengo {0,1,2,0',1',2',3'}. Assomiglia all'esempio che hai fatto prima con {1,2,3} e {a,b,c,d}”.
“Infatti è lo stesso esempio, in cui abbiamo cambiato nome agli elementi dell'insieme. Noterai anche che l'insieme che abbiamo ottenuto è bene ordinato, ed è quindi in corrispondenza con un ordinale”.
“Ma i Veri Matematici fanno così? Perché non mi sembra una definizione da Vero Matematico, questa”.
“Bé, non fanno proprio così. Volendo essere più rigorosi, invece di rinominare gli elementi del secondo insieme quando sono uguali a quelli del primo, considerano due nuovi insiemi: il primo formato da coppie del tipo (a,0), dove a è un elemento di A. Il secondo formato da coppie del tipo (b,1), dove b è in B. In questo modo tutti gli elementi del primo tipo sono certamente diversi da quelli del secondo tipo”.
“Ho capito. In questo caso otterremmo un insieme fatto così: {(0,0),(1,0),(2,0),(0,1),(1,1),(2,1),(3,1)}. È vero che è bene ordinato, come dicevi prima, ma non è un ordinale nella sua forma standard”.
“Puoi convertirlo nella forma standard rinominando i suoi elementi ancora una volta, partendo da 0 e andando avanti. In questo modo ottieni {0,1,2,3,4,5,6}”.
“Che sarebbe l'ordinale 7”.
“Perfetto, questa è la somma: hai dimostrato che 3+4=7”.
“Va bene, ma questi giochini funzionano con gli ordinali finiti. Se invece li prendiamo infiniti?”.
“Se invece li prendiamo infiniti le cose si complicano un po'”.
“Capirai”.
“Per esempio, proviamo a calcolare 1+ω. Concordiamo di non rinominare gli elementi, in questo modo la scrittura è più semplice, va bene?”.
“Ok, se vedo qualche numero che si ripete so che va considerato come un elemento diverso dai precedenti”.
“Bene. Allora, 1 = {0}, mentre ω = {0,1,2,...}. Quindi come risulterebbe l'insieme somma?”.
“Facile: {0,0,1,2,...}”.
“Bene. Con quale insieme è in corrispondenza biunivoca? Attenzione che deve essere una corrispondenza che conserva l'ordine”.
“Facile anche questo, perché è l'esempio dell'albergo di Hilbert. Se riconto tutto, è in corrispondenza con {0,1,2,...}”.
“Perfetto. Dunque 1+ω=ω”.
“Come con i cardinali?”.
“Esatto: 1+ℵ0=ℵ0. Ma prova ora a calcolare ω+1”.
“Non l'abbiamo appena fatto?”.
“No, abbiamo fatto 1+ω, e sai che i Veri Matematici sono molto pignoli su queste cose. Se c'è scritto ω+1, calcola ω+1 secondo la definizione”.
“Vabbé, anche se non capisco l'utilità. Dovrebbe risultare {0,1,2,...,0}. Uhm...”.
“Cominci a capire?”.
“Già. Mi ricorda l'esempio che avevi fatto con {0,1,2,...,Gigante}”.
“Esatto. Ricordi che non si riesce a fare una corrispondenza biunivoca tra quell'insieme e {0,1,2,...}? O meglio, non si riesce a fare una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine”.
“È vero. Il secondo 0 dovrebbe essere un elemento maggiore di tutti gli altri, ma non riesco a metterlo in corrispondenza biunivoca con nessun elemento di {0,1,2,...}, perché quest'ultimo insieme non contiene un elemento con quella caratteristica”.
“E dunque ω+1 è diverso da ω”.
“Già”.
“Volendo essere più precisi, ω+1 è maggiore di ω: lo avevamo notato quando abbiamo parlato dell'ordinamento degli ordinali”.
“Giusto. E quindi... oh oh”.
“Che succede?”.
“Stavo pensando... ma allora possiamo fare anche ω+2, ω+3, e possiamo andare avanti sempre...”.
“Vedo che ti si è accesa una lampadina”.
“E allora potremmo anche scrivere ω+ω!”.
“Fattoriale?”.
“No, stupore!”.
mercoledì 1 ottobre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - ordinali in ordine
Sembra un gioco di parole, ma è possibile stabilire un ordinamento tra gli ordinali. Per farlo, occorre una definizione preliminare: dato un insieme bene ordinato A, si chiama segmento iniziale di un elemento x appartenente ad A l'insieme di tutti gli elementi che precedono x nell'ordinamento stabilito su A, e lo si indica con s(x).
Per esempio, se A è l'insieme dei numeri naturali, s(3)={0,1,2}.
A questo punto possiamo definire l'ordinamento tra gli ordinali. Dati i due ordinali α e β, se esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine tra α e un segmento iniziale di β, diciamo che α è minore di β. Viceversa, se esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine tra un segmento iniziale di α e β, allora diciamo che β è minore di α. Se poi esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine tra α e β, allora α è uguale a β.
“Non ci ho mica capito molto, sai?”.
“Esempio facile: sono dati i due ordinali 3 e 5. Ricordi che sono insiemi, vero?”.
“Sì, 3 è uguale a {0,1,2} mentre 5 è uguale a {0,1,2,3,4}”.
“Ottimo. È vero che esiste una corrispondenza biunivoca tra i due?”.
“No”.
“Ed è vero che puoi mettere in corrispondenza biunivoca uno dei due con un segmento dell'altro?”.
“Sì: in pratica il primo insieme è un segmento del secondo. Metto in corrispondenza lo 0 del primo insieme con lo 0 del secondo, poi 1 del primo insieme con 1 del secondo, poi 2 del primo col 2 del secondo. Rimangono fuori, dal secondo, 3 e 4”.
“Bene, secondo la definizione allora 3 è minore di 5”.
“Ah, certo. Non è che prima non lo sapessi, eh”.
“Lo so, ma questo era un esempio semplice, per capire. Ora prendi questi due insiemi:”.
{0,1,2,...}
{0,1,2,...,Gigante}
“Ah, me li ricordo. Avevamo detto che non si riesce a metterli in corrispondenza biunivoca se si vuole mantenere l'ordine”.
“Esatto. Ma prova a considerare questo segmento iniziale del secondo: s(Gigante)”.
“Uhm, è formato da tutti gli elementi minori di Gigante”.
“Giusto, quindi?”.
“Quindi è l'insieme dei naturali. Ah! Ci sono: esiste una corrispondenza biunivoca che mantiene l'ordine tra il primo insieme e un segmento del secondo”.
“Allora, se li vediamo come ordinali, il primo è minore del secondo”.
“Il primo l'abbiamo chiamato ω, ma il secondo?”.
“Daremo un nome al secondo quando impareremo a fare le operazioni”.
“Uffa”.
“Per adesso, ragiona su questo tipo di ordinamento”.
“Che ragionamenti devo fare?”.
“Per prima cosa, dato un ordinale, possiamo dire che esiste sempre il successivo”.
“Uhm, con i numeri naturali è ovvio, ma con gli ordinali transfiniti come si fa?”.
“Devi tener presente che ogni ordinale è l'insieme di tutti gli ordinali che lo precedono. Ad esempio, 4 = {0,1,2,3}. Ma il successivo di 4 è 5, e 5 è uguale a {0,1,2,3,4}. Dunque potresti scrivere che 5 = 4 ∪ {4}”.
“Aspetta, aspetta: qui stai facendo operazioni tra insiemi?”.
“Esatto, non pensare a 4 come a un numero, ma come all'insieme {0,1,2,3}”.
“Ah, allora vuoi dire che 5 è uguale all'unione di {0,1,2,3} con {4}. Ok, così torna”.
“Bene, allora per ogni numero ordinale possiamo fare questo giochetto: il successivo di α è α ∪ {α}”.
“Mh, allora il successivo di ω cosa sarebbe? ω unito con {ω}?”.
“Esatto. Il successivo di ω è uguale a ω ∪ {ω}, cioè {0,1,2,...,ω}”.
“Questo mi ricorda l'insieme di prima, {0,1,2,...,Gigante}”.
“Effettivamente è lui. Ma prima che ti torni in mente di chiedermi come si chiama, ti faccio notare che sebbene ogni ordinale ammetta un successore, non è vero il contrario”.
“Cioè?”.
“Cioè non tutti gli ordinali sono successori di qualche altro ordinale”.
“Non è possibile! Se il successore di 4 è 5, allora 5 è successore di 4, no?”.
“Senza dubbio. Ma puoi dirmi di quale ordinale è successore ω?”.
“...”.
“Di nessuno, vero?”.
“Già”.
“E allora lo chiamiamo ordinale limite. Vedi, gli ordinali sono insiemi bene ordinati, e quindi hanno sempre un minimo. Ma non è detto che abbiano un massimo. Se ce l'hanno, allora sono successori di qualche ordinale. Per esempio, 4 = {0,1,2,3}. Il massimo è 3, dunque 4 è successore di 3. Ma ω = {0,1,2,...} non ha massimo, e quindi non è successore di nessun ordinale”.
“Ok, va bene. Mi è venuto in mente che anche 0 non è successore di nessun ordinale”.
“Giusto, però lo escludiamo dalla definizione di ordinale limite. L'insieme vuoto è sempre un po' speciale”.
Per esempio, se A è l'insieme dei numeri naturali, s(3)={0,1,2}.
A questo punto possiamo definire l'ordinamento tra gli ordinali. Dati i due ordinali α e β, se esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine tra α e un segmento iniziale di β, diciamo che α è minore di β. Viceversa, se esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine tra un segmento iniziale di α e β, allora diciamo che β è minore di α. Se poi esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine tra α e β, allora α è uguale a β.
“Non ci ho mica capito molto, sai?”.
“Esempio facile: sono dati i due ordinali 3 e 5. Ricordi che sono insiemi, vero?”.
“Sì, 3 è uguale a {0,1,2} mentre 5 è uguale a {0,1,2,3,4}”.
“Ottimo. È vero che esiste una corrispondenza biunivoca tra i due?”.
“No”.
“Ed è vero che puoi mettere in corrispondenza biunivoca uno dei due con un segmento dell'altro?”.
“Sì: in pratica il primo insieme è un segmento del secondo. Metto in corrispondenza lo 0 del primo insieme con lo 0 del secondo, poi 1 del primo insieme con 1 del secondo, poi 2 del primo col 2 del secondo. Rimangono fuori, dal secondo, 3 e 4”.
“Bene, secondo la definizione allora 3 è minore di 5”.
“Ah, certo. Non è che prima non lo sapessi, eh”.
“Lo so, ma questo era un esempio semplice, per capire. Ora prendi questi due insiemi:”.
{0,1,2,...}
{0,1,2,...,Gigante}
“Ah, me li ricordo. Avevamo detto che non si riesce a metterli in corrispondenza biunivoca se si vuole mantenere l'ordine”.
“Esatto. Ma prova a considerare questo segmento iniziale del secondo: s(Gigante)”.
“Uhm, è formato da tutti gli elementi minori di Gigante”.
“Giusto, quindi?”.
“Quindi è l'insieme dei naturali. Ah! Ci sono: esiste una corrispondenza biunivoca che mantiene l'ordine tra il primo insieme e un segmento del secondo”.
“Allora, se li vediamo come ordinali, il primo è minore del secondo”.
“Il primo l'abbiamo chiamato ω, ma il secondo?”.
“Daremo un nome al secondo quando impareremo a fare le operazioni”.
“Uffa”.
“Per adesso, ragiona su questo tipo di ordinamento”.
“Che ragionamenti devo fare?”.
“Per prima cosa, dato un ordinale, possiamo dire che esiste sempre il successivo”.
“Uhm, con i numeri naturali è ovvio, ma con gli ordinali transfiniti come si fa?”.
“Devi tener presente che ogni ordinale è l'insieme di tutti gli ordinali che lo precedono. Ad esempio, 4 = {0,1,2,3}. Ma il successivo di 4 è 5, e 5 è uguale a {0,1,2,3,4}. Dunque potresti scrivere che 5 = 4 ∪ {4}”.
“Aspetta, aspetta: qui stai facendo operazioni tra insiemi?”.
“Esatto, non pensare a 4 come a un numero, ma come all'insieme {0,1,2,3}”.
“Ah, allora vuoi dire che 5 è uguale all'unione di {0,1,2,3} con {4}. Ok, così torna”.
“Bene, allora per ogni numero ordinale possiamo fare questo giochetto: il successivo di α è α ∪ {α}”.
“Mh, allora il successivo di ω cosa sarebbe? ω unito con {ω}?”.
“Esatto. Il successivo di ω è uguale a ω ∪ {ω}, cioè {0,1,2,...,ω}”.
“Questo mi ricorda l'insieme di prima, {0,1,2,...,Gigante}”.
“Effettivamente è lui. Ma prima che ti torni in mente di chiedermi come si chiama, ti faccio notare che sebbene ogni ordinale ammetta un successore, non è vero il contrario”.
“Cioè?”.
“Cioè non tutti gli ordinali sono successori di qualche altro ordinale”.
“Non è possibile! Se il successore di 4 è 5, allora 5 è successore di 4, no?”.
“Senza dubbio. Ma puoi dirmi di quale ordinale è successore ω?”.
“...”.
“Di nessuno, vero?”.
“Già”.
“E allora lo chiamiamo ordinale limite. Vedi, gli ordinali sono insiemi bene ordinati, e quindi hanno sempre un minimo. Ma non è detto che abbiano un massimo. Se ce l'hanno, allora sono successori di qualche ordinale. Per esempio, 4 = {0,1,2,3}. Il massimo è 3, dunque 4 è successore di 3. Ma ω = {0,1,2,...} non ha massimo, e quindi non è successore di nessun ordinale”.
“Ok, va bene. Mi è venuto in mente che anche 0 non è successore di nessun ordinale”.
“Giusto, però lo escludiamo dalla definizione di ordinale limite. L'insieme vuoto è sempre un po' speciale”.
martedì 30 settembre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - omega
Ogni ordinale è dunque l'insieme che contiene tutti gli ordinali minori di esso, e questo insieme è bene ordinato. Inoltre gli ordinali finiti corrispondono ai numeri naturali. Poi ci sono gli ordinali transfiniti.
“Esistono anche quelli?”.
“Certo. Dato che esistono insiemi infiniti e dato che ogni insieme è bene ordinabile, a ogni insieme dotato di ordinamento puoi associare un ordinale, così come abbiamo fatto con i cardinali”.
“Ah. E quindi anche in questo caso dovremo usare simboli che non sono numeri?”.
“Eh sì. Ora definiamo un ordinale transfinito, il più semplice. Associato all'insieme infinito più semplice, quello dei numeri naturali”.
“Sono pronto”.
“Ricorderai questa serie di definizioni:”.
0 = {}
1 = {0}
2 = {0,1}
3 = {0,1,2}
...
“Sì, certo. Ogni ordinale è l'insieme di tutti gli ordinali che lo precedono”.
“Bene. Ora, l'insieme dei numeri naturali può essere visto come un insieme di ordinali”.
“Sì, direi l'insieme di tutti gli ordinali finiti”.
“Ok. Allora definiamo l'ordinale ω in questo modo: ω = {0,1,2,3,...}”.
“Bé, mi pare di capire che questo ordinale sia l'insieme dei numeri naturali”.
“È così, come l'ordinale 4 è l'insieme {0,1,2,3}”.
“Va bene, ma non lo avevamo chiamato ℵ0?”.
“Oh, no. Con ℵ0 avevamo indicato solo la cardinalità dell'insieme dei naturali, non abbiamo mai parlato dell'ordinamento. Esistono insiemi di cardinalità ℵ0 che però corrispondono a un ordinale diverso da ω”.
“Uh? Vorrei un esempio”.
“Va bene, ma prima ti farò un esempio di un insieme diverso da quello dei naturali che corrisponde sempre allo stesso numero ordinale”.
“Va bene, vai”.
“Considera questo insieme: {Piccolino, 0,1,2,...}”.
“Carino, è l'insieme dei numeri naturali ai quali hai aggiunto Piccolino. Ma ha sempre cardinalità ℵ0, come insegna il paradosso dell'albergo di Hilbert”.
“Giusto. Devi però osservare che ho aggiunto un elemento all'interno di un insieme ordinato, e quindi ho specificato anche come funziona l'ordinamento per questo nuovo elemento: in pratica, Piccolino è minore di tutti gli altri numeri”.
“Va bene, avresti potuto chiamarlo -1, però”.
“Certo, ma preferisco così per analogia con l'esempio che ti farò dopo”.
“Allora ok, chiamiamolo Piccolino”.
“Questo insieme, allora, è in corrispondenza biunivoca con quello dei naturali?”.
“Sì, certo, come con l'albergo di Hilbert. Basta spostare tutti i numeri di una posizione per fare posto a Piccolino. In questo modo mantengo anche l'ordinamento”.
“E quindi, anche questo insieme corrisponde al numero ordinale ω”
“Sì, giusto”.
“Ora considera quest'altro insieme: {0,1,2,...,Gigante}”.
“Uhm, cosa c'è al posto di quei puntini?”.
“L'elenco di tutti i numeri naturali. Prevengo la tua obiezione: avere scritto Gigante dopo infiniti numeri significa che Gigante, nell'ordinamento dei naturali, è maggiore di qualunque altro numero”.
“Uhm, mi pare di capire. Anche questo insieme ha cardinalità ℵ0, però...”.
“Però?”.
“Però non riesco più a fare una corrispondenza biunivoca che mantiene l'ordine”.
“Perché no?”.
“Perché non so dove sistemare quel Gigante. Se devo mantenere l'ordine, dovrei farlo corrispondere con un numero naturale maggiore di tutti gli altri. Solo che questo numero non esiste”.
“Bravo. Hai capito che questo insieme non corrisponde all'ordinale ω”.
“E a quale ordinale corrisponde?”.
“Te lo dico dopo che avremo imparato a fare le operazioni”.
“Esistono anche quelli?”.
“Certo. Dato che esistono insiemi infiniti e dato che ogni insieme è bene ordinabile, a ogni insieme dotato di ordinamento puoi associare un ordinale, così come abbiamo fatto con i cardinali”.
“Ah. E quindi anche in questo caso dovremo usare simboli che non sono numeri?”.
“Eh sì. Ora definiamo un ordinale transfinito, il più semplice. Associato all'insieme infinito più semplice, quello dei numeri naturali”.
“Sono pronto”.
“Ricorderai questa serie di definizioni:”.
0 = {}
1 = {0}
2 = {0,1}
3 = {0,1,2}
...
“Sì, certo. Ogni ordinale è l'insieme di tutti gli ordinali che lo precedono”.
“Bene. Ora, l'insieme dei numeri naturali può essere visto come un insieme di ordinali”.
“Sì, direi l'insieme di tutti gli ordinali finiti”.
“Ok. Allora definiamo l'ordinale ω in questo modo: ω = {0,1,2,3,...}”.
“Bé, mi pare di capire che questo ordinale sia l'insieme dei numeri naturali”.
“È così, come l'ordinale 4 è l'insieme {0,1,2,3}”.
“Va bene, ma non lo avevamo chiamato ℵ0?”.
“Oh, no. Con ℵ0 avevamo indicato solo la cardinalità dell'insieme dei naturali, non abbiamo mai parlato dell'ordinamento. Esistono insiemi di cardinalità ℵ0 che però corrispondono a un ordinale diverso da ω”.
“Uh? Vorrei un esempio”.
“Va bene, ma prima ti farò un esempio di un insieme diverso da quello dei naturali che corrisponde sempre allo stesso numero ordinale”.
“Va bene, vai”.
“Considera questo insieme: {Piccolino, 0,1,2,...}”.
“Carino, è l'insieme dei numeri naturali ai quali hai aggiunto Piccolino. Ma ha sempre cardinalità ℵ0, come insegna il paradosso dell'albergo di Hilbert”.
“Giusto. Devi però osservare che ho aggiunto un elemento all'interno di un insieme ordinato, e quindi ho specificato anche come funziona l'ordinamento per questo nuovo elemento: in pratica, Piccolino è minore di tutti gli altri numeri”.
“Va bene, avresti potuto chiamarlo -1, però”.
“Certo, ma preferisco così per analogia con l'esempio che ti farò dopo”.
“Allora ok, chiamiamolo Piccolino”.
“Questo insieme, allora, è in corrispondenza biunivoca con quello dei naturali?”.
“Sì, certo, come con l'albergo di Hilbert. Basta spostare tutti i numeri di una posizione per fare posto a Piccolino. In questo modo mantengo anche l'ordinamento”.
“E quindi, anche questo insieme corrisponde al numero ordinale ω”
“Sì, giusto”.
“Ora considera quest'altro insieme: {0,1,2,...,Gigante}”.
“Uhm, cosa c'è al posto di quei puntini?”.
“L'elenco di tutti i numeri naturali. Prevengo la tua obiezione: avere scritto Gigante dopo infiniti numeri significa che Gigante, nell'ordinamento dei naturali, è maggiore di qualunque altro numero”.
“Uhm, mi pare di capire. Anche questo insieme ha cardinalità ℵ0, però...”.
“Però?”.
“Però non riesco più a fare una corrispondenza biunivoca che mantiene l'ordine”.
“Perché no?”.
“Perché non so dove sistemare quel Gigante. Se devo mantenere l'ordine, dovrei farlo corrispondere con un numero naturale maggiore di tutti gli altri. Solo che questo numero non esiste”.
“Bravo. Hai capito che questo insieme non corrisponde all'ordinale ω”.
“E a quale ordinale corrisponde?”.
“Te lo dico dopo che avremo imparato a fare le operazioni”.
lunedì 29 settembre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - numeri ordinali
Avevamo accennato a due modi di contare: i numeri cardinali tengono conto della grandezza di un insieme, mentre i numeri ordinali tengono conto dell'ordine con cui compaiono gli elementi che voglio contare.
La cardinalità, abbiamo visto, è una proprietà degli insiemi. Con i numeri ordinali, invece, vogliamo tenere conto anche delle relazioni d'ordine che sono definite sugli insiemi che stiamo considerando.
È necessaria, ed importante, una prima definizione: un insieme si dice bene ordinato se ogni suo sottoinsieme ammette un primo elemento.
“Cominciamo con gli esempi?”.
“Ok. Prendi l'insieme dei numeri naturali, con l'ordinamento usuale”.
“Bene. Poi?”.
“Poi prendi un qualunque suo sottoinsieme, finito o infinito, non importa”.
“Ok. Prendiamo {42,272,314}”.
“Domanda: è vero che ammette un primo elemento? Cioè, è vero che ha minimo?”.
“Certo: 42”.
“Ed è vero che questa proprietà è valida per ogni sottoinsieme, anche se infinito?”.
“Direi di sì, se è infinito contiene elementi sempre più grandi, ma un minimo c'è”.
“Perfetto. Quindi diciamo che l'insieme dei numeri naturali, dotato dell'ordinamento usuale, è bene ordinato”.
“Ok. E se cambio insieme?”.
“Se ricordi, ne avevamo già parlato. Se ammettiamo come vero l'assioma della scelta, ogni insieme è bene ordinabile”.
“Mh, è vero. Avevi anche detto che nessuno è riuscito a trovare un buon ordinamento per i numeri reali”.
“Esatto”.
“Però nemmeno i numeri interi sono bene ordinabili. Se prendo un insieme che contiene infiniti numeri negativi, questo non ha minimo”.
“Vero, ma questo non significa che gli interi non sono bene ordinabili, ma solo che l'ordinamento che stai considerando non è un buon ordinamento”.
“In che senso? Potrei cambiarlo?”.
“Certo. Prova a considerare questo nuovo ordinamento degli interi: {0,1,-1,2,-2,3,-3,...}”.
“Ah! Vedo, questo è un buon ordinamento, a sinistra mi fermo”.
“Perfetto. Ora facciamo un passo avanti. Ricordi le funzioni biunivoche?”.
“Certo, allora la matematica mi sembrava più semplice”.
“Bene, quando parliamo di insiemi ordinati, potremmo desiderare che una funzione biunivoca tra due insiemi preservi l'ordine”.
“Uhm, servirebbe un altro esempio”.
“Prendiamo due insiemi ordinati, per esempio {1,2,3} e {Qua, Paperino, Paperone}”.
“Ehm, capisco l'ordinamento del primo insieme, ma non capisco bene quello del secondo...”.
“Diciamo che è quello dell'età. I tre personaggi sono ordinati in base alla loro età”.
“Va bene. Secondo quanto ho imparato, sono due insiemi di cardinalità 3, ed esiste una corrispondenza biunivoca tra uno e l'altro”.
“Ottimo. Ora ti propongo questa corrispondenza:”.
“Certamente è biunivoca”.
“Infatti. Però non preserva l'ordine. Puoi vedere che 2 è minore di 3, ma f(2), cioè Paperone, non è minore di f(3), cioè Paperino”.
“Ho capito, ora è chiaro. Se vuoi fare una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine devi scrivere questo:”.
“Bene. Ora, se ricordi, avevamo definito i numeri cardinali con le relazioni di equivalenza”.
“È vero. In un delirio di onnipotenza avevi anche raccontato la parabola dei Lego, per spiegare il concetto di classe di equivalenza”.
“Perfetto. Ora facciamo la stessa cosa: definiamo numero ordinale una classe di equivalenza di una relazione molto simile a quella usata per i numeri cardinali”.
“Allora avevamo detto che due insiemi erano in relazione se esiste una corrispondenza biunivoca tra loro”.
“Giusto. Ora modifichiamo la relazione leggermente: due insiemi bene ordinati sono in relazione se esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine tra loro”.
“Ah. Quindi abbiamo una informazione in più, l'ordinamento tra gli elementi di un insieme. Anzi, ne avremmo due in più: gli insiemi devono essere anche bene ordinati”.
“Sì, ma ammettendo l'assioma della scelta, tutti lo sono”.
“E quindi, ora abbiamo preso gli insiemi bene ordinati e li abbiamo raggruppati secondo il loro ordinamento?”.
“No, li abbiamo raggruppati secondo la loro cardinalità e il loro ordinamento”.
“Ah, già, devono avere la stessa cardinalità, perché comunque abbiamo una funzione biunivoca tra uno e l'altro”.
“Esattamente. Ora, ogni classe di equivalenza contiene infiniti insiemi: sarebbe bene trovare un modo per scegliere, in maniera standard, un rappresentante”.
“E questo modo esiste?”.
“Certo, e l'abbiamo anche già visto, quando abbiamo definito i numeri naturali a partire dall'insieme vuoto”.
“Uhm, come funzionerebbe?”.
“L'insieme vuoto è il rappresentante della classe degli insiemi con zero elementi (l'unica classe che contiene solo un elemento, cioè l'insieme vuoto stesso). Insomma, di insiemi vuoti ce n'è uno solo”.
“D'accordo”.
“Diciamo allora che l'insieme vuoto è l'ordinale che chiamiamo zero: {} = 0”.
“Ah, ora ricordo qualcosa”.
“Il secondo ordinale, quello che corrisponde agli insiemi con un elemento, è l'insieme che contiene l'insieme vuoto, cioè l'insieme che contiene lo zero. Lo chiamiamo 1: {{}} = {0} = 1”.
“Ho capito. Poi indichiamo con 2 l'insieme che contiene 0 e 1: {0,1} = 2”.
“Sì, volendo espandere tutti i simboli dovremmo scrivere {{},{{}}} = {0,{0}} = {0,1} = 2”.
“Va bene, ho capito. In pratica ogni nuovo numero è l'insieme di tutti i vecchi numeri”.
“Giustissimo, è proprio così”.
“Ma quindi tutti i numeri naturali sono ordinali?”.
“Già”.
“E sono anche cardinali, però”.
“Vero”.
“Quindi, se non c'è differenza tra ordinali e cardinali, perché li abbiamo definiti?”.
“Perché la differenza ci sarà, ma più avanti”.
“Quanto più avanti?”.
“Tanto”.
La cardinalità, abbiamo visto, è una proprietà degli insiemi. Con i numeri ordinali, invece, vogliamo tenere conto anche delle relazioni d'ordine che sono definite sugli insiemi che stiamo considerando.
È necessaria, ed importante, una prima definizione: un insieme si dice bene ordinato se ogni suo sottoinsieme ammette un primo elemento.
“Cominciamo con gli esempi?”.
“Ok. Prendi l'insieme dei numeri naturali, con l'ordinamento usuale”.
“Bene. Poi?”.
“Poi prendi un qualunque suo sottoinsieme, finito o infinito, non importa”.
“Ok. Prendiamo {42,272,314}”.
“Domanda: è vero che ammette un primo elemento? Cioè, è vero che ha minimo?”.
“Certo: 42”.
“Ed è vero che questa proprietà è valida per ogni sottoinsieme, anche se infinito?”.
“Direi di sì, se è infinito contiene elementi sempre più grandi, ma un minimo c'è”.
“Perfetto. Quindi diciamo che l'insieme dei numeri naturali, dotato dell'ordinamento usuale, è bene ordinato”.
“Ok. E se cambio insieme?”.
“Se ricordi, ne avevamo già parlato. Se ammettiamo come vero l'assioma della scelta, ogni insieme è bene ordinabile”.
“Mh, è vero. Avevi anche detto che nessuno è riuscito a trovare un buon ordinamento per i numeri reali”.
“Esatto”.
“Però nemmeno i numeri interi sono bene ordinabili. Se prendo un insieme che contiene infiniti numeri negativi, questo non ha minimo”.
“Vero, ma questo non significa che gli interi non sono bene ordinabili, ma solo che l'ordinamento che stai considerando non è un buon ordinamento”.
“In che senso? Potrei cambiarlo?”.
“Certo. Prova a considerare questo nuovo ordinamento degli interi: {0,1,-1,2,-2,3,-3,...}”.
“Ah! Vedo, questo è un buon ordinamento, a sinistra mi fermo”.
“Perfetto. Ora facciamo un passo avanti. Ricordi le funzioni biunivoche?”.
“Certo, allora la matematica mi sembrava più semplice”.
“Bene, quando parliamo di insiemi ordinati, potremmo desiderare che una funzione biunivoca tra due insiemi preservi l'ordine”.
“Uhm, servirebbe un altro esempio”.
“Prendiamo due insiemi ordinati, per esempio {1,2,3} e {Qua, Paperino, Paperone}”.
“Ehm, capisco l'ordinamento del primo insieme, ma non capisco bene quello del secondo...”.
“Diciamo che è quello dell'età. I tre personaggi sono ordinati in base alla loro età”.
“Va bene. Secondo quanto ho imparato, sono due insiemi di cardinalità 3, ed esiste una corrispondenza biunivoca tra uno e l'altro”.
“Ottimo. Ora ti propongo questa corrispondenza:”.
1 - Qua 2 - Paperone 3 - Paperino
“Certamente è biunivoca”.
“Infatti. Però non preserva l'ordine. Puoi vedere che 2 è minore di 3, ma f(2), cioè Paperone, non è minore di f(3), cioè Paperino”.
“Ho capito, ora è chiaro. Se vuoi fare una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine devi scrivere questo:”.
1 - Qua 2 - Paperino 3 - Paperone
“Bene. Ora, se ricordi, avevamo definito i numeri cardinali con le relazioni di equivalenza”.
“È vero. In un delirio di onnipotenza avevi anche raccontato la parabola dei Lego, per spiegare il concetto di classe di equivalenza”.
“Perfetto. Ora facciamo la stessa cosa: definiamo numero ordinale una classe di equivalenza di una relazione molto simile a quella usata per i numeri cardinali”.
“Allora avevamo detto che due insiemi erano in relazione se esiste una corrispondenza biunivoca tra loro”.
“Giusto. Ora modifichiamo la relazione leggermente: due insiemi bene ordinati sono in relazione se esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l'ordine tra loro”.
“Ah. Quindi abbiamo una informazione in più, l'ordinamento tra gli elementi di un insieme. Anzi, ne avremmo due in più: gli insiemi devono essere anche bene ordinati”.
“Sì, ma ammettendo l'assioma della scelta, tutti lo sono”.
“E quindi, ora abbiamo preso gli insiemi bene ordinati e li abbiamo raggruppati secondo il loro ordinamento?”.
“No, li abbiamo raggruppati secondo la loro cardinalità e il loro ordinamento”.
“Ah, già, devono avere la stessa cardinalità, perché comunque abbiamo una funzione biunivoca tra uno e l'altro”.
“Esattamente. Ora, ogni classe di equivalenza contiene infiniti insiemi: sarebbe bene trovare un modo per scegliere, in maniera standard, un rappresentante”.
“E questo modo esiste?”.
“Certo, e l'abbiamo anche già visto, quando abbiamo definito i numeri naturali a partire dall'insieme vuoto”.
“Uhm, come funzionerebbe?”.
“L'insieme vuoto è il rappresentante della classe degli insiemi con zero elementi (l'unica classe che contiene solo un elemento, cioè l'insieme vuoto stesso). Insomma, di insiemi vuoti ce n'è uno solo”.
“D'accordo”.
“Diciamo allora che l'insieme vuoto è l'ordinale che chiamiamo zero: {} = 0”.
“Ah, ora ricordo qualcosa”.
“Il secondo ordinale, quello che corrisponde agli insiemi con un elemento, è l'insieme che contiene l'insieme vuoto, cioè l'insieme che contiene lo zero. Lo chiamiamo 1: {{}} = {0} = 1”.
“Ho capito. Poi indichiamo con 2 l'insieme che contiene 0 e 1: {0,1} = 2”.
“Sì, volendo espandere tutti i simboli dovremmo scrivere {{},{{}}} = {0,{0}} = {0,1} = 2”.
“Va bene, ho capito. In pratica ogni nuovo numero è l'insieme di tutti i vecchi numeri”.
“Giustissimo, è proprio così”.
“Ma quindi tutti i numeri naturali sono ordinali?”.
“Già”.
“E sono anche cardinali, però”.
“Vero”.
“Quindi, se non c'è differenza tra ordinali e cardinali, perché li abbiamo definiti?”.
“Perché la differenza ci sarà, ma più avanti”.
“Quanto più avanti?”.
“Tanto”.
domenica 28 settembre 2008
Outing
Ho cambiato la mia firma, visto che in altre parti del mondo mi firmo zar e che lo pseudonimo anonimo che mi ero scelto aveva lo scopo di non farmi riconoscere dai miei studenti — riconoscimento che è prontamente avvenuto dopo pochi mesi di post...
sabato 27 settembre 2008
Verso l'infinito, ma con calma - l'ipotesi del continuo
Esistono insiemi più infiniti dei numeri naturali e meno infiniti dei numeri reali? Usando termini un po' più rigorosi, esistono cardinali maggiori di ℵ0 e minori di 2ℵ0? Cantor era convinto che la risposta fosse no, ma non riuscì a dimostrare questa sua affermazione, che diventò nota con il nome di ipotesi del continuo.
Il giorno 8 agosto 1900 il matematico David Hilbert tenne una conferenza al congresso internazionale dei matematici, svoltasi quell'anno a Parigi. In quel suo discorso di inizio secolo, Hilbert propose alla comunità matematica una lista di problemi che riteneva fondamentali.
Il primo della lista era l'ipotesi del continuo.
“E dopo tutto questo tempo è stato risolto?”.
“Ecco, non esattamente”.
“Quindi non si sa ancora se l'ipotesi del continuo è vera oppure no?”.
“No, no, si sa tutto, ma la risposta non risolve il problema”.
“Come è possibile?”.
“Il primo ad occuparsi della dimostrazione fu Kurt Gödel, che nel 1940 riuscì a dimostrare che non si può dimostrare che l'ipotesi del continuo sia falsa”.
“Oh povero me. Ha dimostrato che non si può fare una dimostrazione?”.
“Sì, Gödel era un maestro della metamatematica”.
“Mamma mia. Quindi se non si può dimostrare che è falsa, sarà vera?”.
“Eh, no. Il fatto che non si possa dimostrare che l'ipotesi del continuo sia falsa significa che gli assiomi della teoria degli insiemi sono compatibili con essa. Immaginare che sia vera non produce contraddizioni, ma ancora non abbiamo dimostrato che lo è davvero”.
“Va bene. Ma visto che una affermazione può essere vera o falsa, se non è falsa allora è vera”.
“Ecco, il fatto è che nel 1963 Paul Cohen dimostrò che non si può dimostrare nemmeno che l'ipotesi del continuo sia vera”.
“Eh?”.
“Sì, hai capito bene. Se immagini che sia vera, non hai contraddizioni. Se immagini che sia falsa, non hai contraddizioni”.
“Quindi può essere sia vera che falsa? Non ha senso!”.
“Invece un senso c'è. Queste due dimostrazioni fanno vedere che l'ipotesi del continuo è indecidibile, cioè gli assiomi non sono sufficienti per dimostrarla o per negarla”.
“E quindi gli assiomi sono incompleti?”.
“Esattamente. Puoi farti una teoria degli insiemi in cui l'ipotesi del continuo è vera, e un'altra teoria in cui è falsa. Tutte e due stanno in piedi”.
“Ma ce ne sarà una più giusta dell'altra”.
“Questa volta sono io che mi avvalgo della facoltà di non rispondere”.
“Perché?”.
“Cantor pensava che fosse vera, provò a dimostrarla ma non ci riuscì. Gödel era convinto che fosse falsa, invece”.
“E però avevano ragione tutti e due”.
“Sì, ma Gödel era una testa dura, e pensava che l'impossibilità di dimostrare la sua tesi fosse colpa soltanto del sistema di assiomi, che non era stato scelto in modo corretto”.
“Bella forza! Modifichi le regole e poi dimostri quello che vuoi”.
“Bè, non puoi proprio dimostrare quello che vuoi, perché le regole devono essere comunque consistenti. Comunque Gödel credeva nell'esistenza degli oggetti matematici in modo indipendente dalla loro dimostrazione. Insomma, l'ipotesi del continuo per lui era falsa perché secondo lui la matematica è fatta così. Se non è riuscito a dimostrarlo vuol dire che non ha usato gli strumenti giusti per osservare una realtà che comunque è lì ed esiste, prima ancora che tu la scopra”.
“Wow, ma questa è matematica o teologia?”.
“C'è chi dice che, a questi livelli, non ci sia molta differenza”.
“Comincio a rendermene conto...”.
“C'è una frase emblematica a riguardo, pronunciata da Hilbert. Dice: Nessuno potrà cacciarci dal Paradiso che Cantor ha creato”.
“Bella”.
“Nello stesso periodo Leopold Kronecker, un matematico al quale non piacevano le idee di Cantor, pronunciò questa: Dio fece i numeri naturali; tutto il resto è opera dell'uomo”.
“Ah, ma litigavano pure?”.
“Eh sì. E, per concludere, ti ricordi dell'insieme di tutti gli insiemi?”.
“Quello innominabile?”.
“Quello. Cantor lo chiamava Infinito Assoluto”.
“E allora?”.
“Bé, per lui l'Infinito Assoluto era Dio”.
Il giorno 8 agosto 1900 il matematico David Hilbert tenne una conferenza al congresso internazionale dei matematici, svoltasi quell'anno a Parigi. In quel suo discorso di inizio secolo, Hilbert propose alla comunità matematica una lista di problemi che riteneva fondamentali.
Il primo della lista era l'ipotesi del continuo.
“E dopo tutto questo tempo è stato risolto?”.
“Ecco, non esattamente”.
“Quindi non si sa ancora se l'ipotesi del continuo è vera oppure no?”.
“No, no, si sa tutto, ma la risposta non risolve il problema”.
“Come è possibile?”.
“Il primo ad occuparsi della dimostrazione fu Kurt Gödel, che nel 1940 riuscì a dimostrare che non si può dimostrare che l'ipotesi del continuo sia falsa”.
“Oh povero me. Ha dimostrato che non si può fare una dimostrazione?”.
“Sì, Gödel era un maestro della metamatematica”.
“Mamma mia. Quindi se non si può dimostrare che è falsa, sarà vera?”.
“Eh, no. Il fatto che non si possa dimostrare che l'ipotesi del continuo sia falsa significa che gli assiomi della teoria degli insiemi sono compatibili con essa. Immaginare che sia vera non produce contraddizioni, ma ancora non abbiamo dimostrato che lo è davvero”.
“Va bene. Ma visto che una affermazione può essere vera o falsa, se non è falsa allora è vera”.
“Ecco, il fatto è che nel 1963 Paul Cohen dimostrò che non si può dimostrare nemmeno che l'ipotesi del continuo sia vera”.
“Eh?”.
“Sì, hai capito bene. Se immagini che sia vera, non hai contraddizioni. Se immagini che sia falsa, non hai contraddizioni”.
“Quindi può essere sia vera che falsa? Non ha senso!”.
“Invece un senso c'è. Queste due dimostrazioni fanno vedere che l'ipotesi del continuo è indecidibile, cioè gli assiomi non sono sufficienti per dimostrarla o per negarla”.
“E quindi gli assiomi sono incompleti?”.
“Esattamente. Puoi farti una teoria degli insiemi in cui l'ipotesi del continuo è vera, e un'altra teoria in cui è falsa. Tutte e due stanno in piedi”.
“Ma ce ne sarà una più giusta dell'altra”.
“Questa volta sono io che mi avvalgo della facoltà di non rispondere”.
“Perché?”.
“Cantor pensava che fosse vera, provò a dimostrarla ma non ci riuscì. Gödel era convinto che fosse falsa, invece”.
“E però avevano ragione tutti e due”.
“Sì, ma Gödel era una testa dura, e pensava che l'impossibilità di dimostrare la sua tesi fosse colpa soltanto del sistema di assiomi, che non era stato scelto in modo corretto”.
“Bella forza! Modifichi le regole e poi dimostri quello che vuoi”.
“Bè, non puoi proprio dimostrare quello che vuoi, perché le regole devono essere comunque consistenti. Comunque Gödel credeva nell'esistenza degli oggetti matematici in modo indipendente dalla loro dimostrazione. Insomma, l'ipotesi del continuo per lui era falsa perché secondo lui la matematica è fatta così. Se non è riuscito a dimostrarlo vuol dire che non ha usato gli strumenti giusti per osservare una realtà che comunque è lì ed esiste, prima ancora che tu la scopra”.
“Wow, ma questa è matematica o teologia?”.
“C'è chi dice che, a questi livelli, non ci sia molta differenza”.
“Comincio a rendermene conto...”.
“C'è una frase emblematica a riguardo, pronunciata da Hilbert. Dice: Nessuno potrà cacciarci dal Paradiso che Cantor ha creato”.
“Bella”.
“Nello stesso periodo Leopold Kronecker, un matematico al quale non piacevano le idee di Cantor, pronunciò questa: Dio fece i numeri naturali; tutto il resto è opera dell'uomo”.
“Ah, ma litigavano pure?”.
“Eh sì. E, per concludere, ti ricordi dell'insieme di tutti gli insiemi?”.
“Quello innominabile?”.
“Quello. Cantor lo chiamava Infinito Assoluto”.
“E allora?”.
“Bé, per lui l'Infinito Assoluto era Dio”.
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