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lunedì 28 aprile 2014
Ella
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12037 Saluzzo, Cuneo, Italy
domenica 27 aprile 2014
Mai
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venerdì 27 aprile 2012
Qui si fanno regali un po' nerd
giovedì 12 aprile 2012
Steampunk
Se il Nautilus fosse un essere vivente, invece che un sottomarino, secondo me potrebbe avere dei figli fatti così:
Questo cosino si chiama disfenoide camuso, ha 12 facce triangolari, ed è molto simpatico.
Questo cosino si chiama disfenoide camuso, ha 12 facce triangolari, ed è molto simpatico.
mercoledì 11 aprile 2012
È una specie di magia
Il divertimento nel costruire poliedri col Geomag non consiste soltanto nel soddisfare la fame della propria sindrome di Peter Pan (cosa che, comunque, dà una certa soddisfazione): c'è anche qualcosa di più. Il fatto è che tu sei lì, con mille magnetini in mano che ti scappano da tutte le parti, cerchi di fare stare insieme l'aggeggio che stai costruendo puntellando un po' qua, un po' là e, quando metti l'ultimo pezzo, tac, ecco la magia: ci sta! La figura si chiude perfettamente, ti accorgi che è giusta così, e a volte ti chiedi come sia possibile che tutto si combini.
Poi, magari, ti chiedi anche come hanno fatto a studiarli e a capire che mettendo insieme un po' di quadrati e di triangoli si sarebbe ottenuta una figura stabile e chiusa. E ti immagini che salti di gioia avrebbero fatto Euclide o Archimede con in mano una scatola di Geomag, o con l'accesso a un computer con un software di geometria dinamica.
Comunque sia, non ho abbastanza pezzi per costruire altri solidi archimedei (accidenti, non riesco a fare il pallone da calcio). Alcuni solidi hanno poi facce troppo grandi (ottagoni, o decagoni) che andrebbero sostenute con un interno rigido, che non esiste in commercio. E allora ho provato a costruire qualche poliedro ancora più strano.
Questo piccolino qui, ad esempio:
si chiama ebesfenomegacorona e, sì, l'ho scelto principalmente per il nome. Wikipedia riporta l'etimologia: hebes sta per ottuso, in latino, sphenós sta per cuneo, in greco, mégas sta per grande, sempre in greco, e corona è corona sia in latino che in italiano. Quindi potremmo chiamarlo anche grande corona ottusa cuneiforme. Tre quadrati e diciotto triangoli che magicamente stanno insieme.
Poi, magari, ti chiedi anche come hanno fatto a studiarli e a capire che mettendo insieme un po' di quadrati e di triangoli si sarebbe ottenuta una figura stabile e chiusa. E ti immagini che salti di gioia avrebbero fatto Euclide o Archimede con in mano una scatola di Geomag, o con l'accesso a un computer con un software di geometria dinamica.
Comunque sia, non ho abbastanza pezzi per costruire altri solidi archimedei (accidenti, non riesco a fare il pallone da calcio). Alcuni solidi hanno poi facce troppo grandi (ottagoni, o decagoni) che andrebbero sostenute con un interno rigido, che non esiste in commercio. E allora ho provato a costruire qualche poliedro ancora più strano.
Questo piccolino qui, ad esempio:
si chiama ebesfenomegacorona e, sì, l'ho scelto principalmente per il nome. Wikipedia riporta l'etimologia: hebes sta per ottuso, in latino, sphenós sta per cuneo, in greco, mégas sta per grande, sempre in greco, e corona è corona sia in latino che in italiano. Quindi potremmo chiamarlo anche grande corona ottusa cuneiforme. Tre quadrati e diciotto triangoli che magicamente stanno insieme.
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martedì 10 aprile 2012
Chiralità
Questo poliedro apparentemente poco regolare
è uno dei tredici poliedri archimedei. La sua particolarità (oltre al nome, naturalmente: si chiama cubo camuso oppure cubo simo) è quella di essere chirale: questo significa che se lo mettiamo davanti a uno specchio, l'immagine che vediamo non è identica a quella reale — un po' come quando osserviamo una nostra mano allo specchio.
Dunque esistono due versioni di cubo simo: una destrogira e una levogira. Quella che vedete è quelladestr levog è una delle due.
è uno dei tredici poliedri archimedei. La sua particolarità (oltre al nome, naturalmente: si chiama cubo camuso oppure cubo simo) è quella di essere chirale: questo significa che se lo mettiamo davanti a uno specchio, l'immagine che vediamo non è identica a quella reale — un po' come quando osserviamo una nostra mano allo specchio.
Dunque esistono due versioni di cubo simo: una destrogira e una levogira. Quella che vedete è quella
Nomi fantastici
Se si prende un cubo e si troncano sia i vertici che gli spigoli (cosa che non si riesce a fare con Geomag, purtroppo, questa volta le misure dei magneti non si adattano al troncamento) si ottiene una figura che si chiama rombicubottaedro, che già di per sé è un nome importante.
Se osserviamo bene, possiamo notare una specie di cintura fatta di quadrati (costruita con magneti blu), sui cui bordi sono appoggiate due scodelle, una con la concavità verso l'alto e una con la concavità verso il basso (costruite con magneti rossi). Bene, questa constatazione ci permette di chiamare questo solido anche col meraviglioso nome di ortobicupola quadrata elongata.
E non è finita qui: se allineiamo le due scodelle in modo che a un quadrato della parte superiore corrisponda un triangolo della parte inferiore, e viceversa, otteniamo un nuovo poliedro, che non è più un solido archimedeo:
Se osserviamo bene, possiamo notare una specie di cintura fatta di quadrati (costruita con magneti blu), sui cui bordi sono appoggiate due scodelle, una con la concavità verso l'alto e una con la concavità verso il basso (costruite con magneti rossi). Bene, questa constatazione ci permette di chiamare questo solido anche col meraviglioso nome di ortobicupola quadrata elongata.
E non è finita qui: se allineiamo le due scodelle in modo che a un quadrato della parte superiore corrisponda un triangolo della parte inferiore, e viceversa, otteniamo un nuovo poliedro, che non è più un solido archimedeo:
e che viene detto girobicupola quadrata elongata.
lunedì 9 aprile 2012
Il tetraedro troncato
A partire da un tetraedro,
eliminando i quattro piccoli tetraedri ai vertici si ottiene il tetraedro troncato, composto da quattro esagoni e quattro triangoli (qui gli esagoni sono stati riempiti da triangoli, altrimenti la figura non sta in piedi)
eliminando i quattro piccoli tetraedri ai vertici si ottiene il tetraedro troncato, composto da quattro esagoni e quattro triangoli (qui gli esagoni sono stati riempiti da triangoli, altrimenti la figura non sta in piedi)
Ed ecco il cubottaedro
A partire da un ottaedro un po' grosso,
tagliando le sei piramidi a base quadrata, si ottiene un bel cubottaedro, composto da otto triangoli e sei quadrati.
tagliando le sei piramidi a base quadrata, si ottiene un bel cubottaedro, composto da otto triangoli e sei quadrati.
venerdì 6 aprile 2012
Babbo, ma quando posso giocare io?
Il figlio piccolo ha tirato fuori la scatola dei Geomag, e io non ho potuto resistere. Volevo costruire una struttura autoportante, ma non il solito icosaedro. E allora ho costruito un icosaedro più grande…
La struttura è solidissima, e mette in evidenza le sotto-strutture pentagonali che non appaiono quando si costruisce un icosaedro più piccolo.
E allora, rimuovendo le piramidi a basi pentagonali e sostituendole con pentagoni di plastica che hanno lo scopo di rendere la struttura più solida, e aggiungendo poi qualche triangolino, si può costruire anche un fantastico icosidodecaedro:
Dodici pentagoni e venti triangoli, sessanta spigoli e venti vertici: uno dei tredici poliedri archimedei.
A me pare bellissimo.
La struttura è solidissima, e mette in evidenza le sotto-strutture pentagonali che non appaiono quando si costruisce un icosaedro più piccolo.
E allora, rimuovendo le piramidi a basi pentagonali e sostituendole con pentagoni di plastica che hanno lo scopo di rendere la struttura più solida, e aggiungendo poi qualche triangolino, si può costruire anche un fantastico icosidodecaedro:
Dodici pentagoni e venti triangoli, sessanta spigoli e venti vertici: uno dei tredici poliedri archimedei.
A me pare bellissimo.
domenica 12 giugno 2011
venerdì 21 gennaio 2011
Assistenza remota
Sono stato a una conferenza di Massimo Ferri, intitolata Ma i robot sanno la matematica?
Massimo Ferri è quel signore qua; chi bazzicava Fidonet negli anni '90 se lo ricorda come Max Ferri: un insegnante universitario di matematica al quale si fa risalire l'invenzione del termine vampiration.
Bene, nella sua conferenza ha parlato di vari argomenti legati alla robotica, ha raccontato quanta e quale matematica sia necessaria per permettere a un robot di muoversi, di riconoscere ostacoli, persone, di stare in equilibrio, di trovare strade; insomma, di fare quello che di solito i robot fanno (almeno nella nostra immaginazione).
Non posso non raccontare il fatto che nei primi tre minuti è riuscito a citare Deep Thought e Douglas Adams, ma vorrei soffermarmi su una piccola parte della sua presentazione, quella relativa alle sonde Voyager.
Fino al loro arrivo dalle parti di Saturno le sonde spedivano a terra immagini in formato bitmap non compresso (800×800, 8 pixel di profondità, cioè 256 livelli di grigio): il problema per le Voyager non era quello di scattare foto, ma di avere tempo per spedirle a terra. Man mano che la distanza aumenta, infatti, l'efficienza della trasmissione dei dati decresce.
Allora i tecnici a terra hanno pensato di fare un upgrade software, realizzando così il più grande intervento di assistenza remota nella storia dell'informatica (almeno considerando la distanza tra tecnici e computer da sistemare): i programmatori hanno spedito un aggiornamento al programma di trasmissione immagini, aggiornamento che è stato caricato su un computer di bordo di riserva per la gestione del sottosistema dei dati di volo e che consisteva nel fare trasmettere alla sonda non tutta l'immagine completa, ma soltanto le differenze di livello di grigio tra un pixel e i pixel adiacenti. Insomma, invece di trasmettere 8 bit per pixel, ne venivano trasmessi molti meno, dato che le foto spaziali hanno spesso molti pixel simili tra loro (e perlopiù neri). In questo modo le immagini venivano ridotte del 60 per cento circa, e noi abbiamo avuto la possibilità di vederne di più.
Una delle ultime immagini che abbiamo ricevuto è quella intitolata Pale Blue Dot, in cui la terra è un piccolo, pallido puntino blu.
La storia di questa fotografia è raccontata su wikipedia, e potete andarla a leggere là. Io qui mi limito a citare una frase di Carl Sagan, che mi pare possa costituire una degna conclusione di questo post:
Massimo Ferri è quel signore qua; chi bazzicava Fidonet negli anni '90 se lo ricorda come Max Ferri: un insegnante universitario di matematica al quale si fa risalire l'invenzione del termine vampiration.
Bene, nella sua conferenza ha parlato di vari argomenti legati alla robotica, ha raccontato quanta e quale matematica sia necessaria per permettere a un robot di muoversi, di riconoscere ostacoli, persone, di stare in equilibrio, di trovare strade; insomma, di fare quello che di solito i robot fanno (almeno nella nostra immaginazione).
Non posso non raccontare il fatto che nei primi tre minuti è riuscito a citare Deep Thought e Douglas Adams, ma vorrei soffermarmi su una piccola parte della sua presentazione, quella relativa alle sonde Voyager.
Fino al loro arrivo dalle parti di Saturno le sonde spedivano a terra immagini in formato bitmap non compresso (800×800, 8 pixel di profondità, cioè 256 livelli di grigio): il problema per le Voyager non era quello di scattare foto, ma di avere tempo per spedirle a terra. Man mano che la distanza aumenta, infatti, l'efficienza della trasmissione dei dati decresce.
Allora i tecnici a terra hanno pensato di fare un upgrade software, realizzando così il più grande intervento di assistenza remota nella storia dell'informatica (almeno considerando la distanza tra tecnici e computer da sistemare): i programmatori hanno spedito un aggiornamento al programma di trasmissione immagini, aggiornamento che è stato caricato su un computer di bordo di riserva per la gestione del sottosistema dei dati di volo e che consisteva nel fare trasmettere alla sonda non tutta l'immagine completa, ma soltanto le differenze di livello di grigio tra un pixel e i pixel adiacenti. Insomma, invece di trasmettere 8 bit per pixel, ne venivano trasmessi molti meno, dato che le foto spaziali hanno spesso molti pixel simili tra loro (e perlopiù neri). In questo modo le immagini venivano ridotte del 60 per cento circa, e noi abbiamo avuto la possibilità di vederne di più.
Una delle ultime immagini che abbiamo ricevuto è quella intitolata Pale Blue Dot, in cui la terra è un piccolo, pallido puntino blu.
La storia di questa fotografia è raccontata su wikipedia, e potete andarla a leggere là. Io qui mi limito a citare una frase di Carl Sagan, che mi pare possa costituire una degna conclusione di questo post:
Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto.
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martedì 11 gennaio 2011
Dimostrazioni senza parole: un paio di prodotti notevoli
Una dimostrazione bidimensionale:
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2.
E una tridimensionale:
(a + b)3 = a3 + 3a2b + 3ab2 + b3.
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2.
E una tridimensionale:
(a + b)3 = a3 + 3a2b + 3ab2 + b3.
mercoledì 22 dicembre 2010
Our whole universe was in a hot dense state
Le (più di cento) immagini che compongo la sigla iniziale di The Big Bang Theory.
mercoledì 1 settembre 2010
lunedì 30 agosto 2010
domenica 31 gennaio 2010
Modena si è svegliata sotto una coltre di neve
giovedì 31 dicembre 2009
Buon inizio decennio
Per fare gli auguri di buon anno volevo scrivere una cosa che tirava in ballo creazionismo, evoluzionismo, Dio (che vide che era cosa molto buona) e la materia oscura.
Poi ho pensato che questa foto fosse più indicata.
sabato 12 settembre 2009
Monodialogo, ovvero: sottile è la linea che ci separa dalla follia
“Cosa fai?”.
“Preparo lo zaino”.
“Lo sai che nostra moglie ci ha detto che è meglio se non andiamo in montagna da soli”.
“Oh, senti, dobbiamo andare in montagna perché lei ha lasciato dell'insalata nel frigo?”.
“Sì”.
“E allora questo non ci consente di godere di punti-moglie illimitati, almeno per oggi?”.
“Mh, sarà. E allora perché non ci vestiamo con gli abiti che stai infilando dentro allo zaino, come se tu volessi tenerli nascosti?”.
“Perché non so bene cosa faremo: andiamo su, vuotiamo il frigo, poi vediamo che tempo fa”.
...
“Bene, ora che abbiamo disinnescato la bomba all'insalata, possiamo tornare a casa?”.
“A casa? Mi piacerebbe andare a vedere com'è il tempo al Lago Santo”.
“Come vuoi che sia? Il cielo è tutto nuvoloso, non potrà essere molto diverso da quello che c'è qui”.
“Vabbè, io vado a vedere lo stesso”.
“Non è che poi vuoi salire da qualche parte, vero? Vogliamo solo andare a vedere, no?”.
“Certamente”.
...
“Ecco, visto che nuvole? Non è proprio il caso di salire”.
“Forse è vero. Mettiamoci i vestiti da montagna”.
“E cosa ce ne facciamo?”.
“Qua ci sono molti alberi, non si vede bene il cielo; metti che dal lago vediamo che c'è bel tempo: possiamo fare un giretto”.
“Figurati”.
...
“Visto? Nuvole”.
“Vedo. Andiamo dentro al rifugio”.
“A far cosa?”.
“Non abbiamo da mangiare, io prenderei qualcosa. Un gelatino”.
“Va bene”.
...
“Andiamo?”.
“Aspetta che guardo la cartina”.
“Perché?”.
“Voglio chiedere un'informazione al rifugiaio: — Scusi? Per andare al passo Boccaia si prende il sentiero 529? Bene, grazie”.
“Non andiamo a casa, suppongo”.
“Dai, il passo Boccaia è vicino. Aspetta — Senta, cosa dicono le previsioni? Pioverà oggi? Solo se smette il vento? Bene, grazie”.
“Quindi?”.
“Senti che vento? Possiamo andare”.
...
“Ecco il passo Boccaia, bello, freddo, andiamo”.
“Andiamo”.
“No, ma, non di là”.
“Il Giovo è di là”.
“Andiamo sul Giovo?”.
“Mi piacerebbe”.
“Era la tua intenzione fin da quando siamo partiti, eh?”.
“Ehm”.
...
“Senti, quelle persone che abbiamo incrociato poco fa hanno detto che su c'è un vento fortissimo e gelido. Siamo sicuri di aver preso vestiti abbastanza pesanti?”.
“Direi di sì, mal che vada si torna giù”.
“Sì, figuriamoci. Saresti capace di salire anche con un costume da bagno. Ma non ti inquieta un po' salire da solo?”.
“Un po', sì. Ho sempre il terrore di incrociare un cinghiale”.
“Ma qui è alto, e c'è freddo, figuriamoci se ci sono cinghiali”.
“E se ce n'è uno? Che faccio? Mi ci vorrebbe la valigetta dei coltelli di Locke. Ma poi, non mi ci vedo mica tanto a usare un coltello contro a un cinghiale”.
“No, decisamente no. Soprattutto perché ci fanno paura persino le cavallette”.
“Bleah, le cavallette. Piuttosto un cinghiale”.
...
“Uno dei vantaggi a salire da soli è il silenzio. Che bello”.
“Appunto”.
“Ehm”.
...
“Il fatto che stiamo camminando inclinati non ci preoccupa?”.
“Ma no, il vento tiene lontana la pioggia, siamo tranquilli”.
“Freddino però”.
“Già. Eccoci al crinale finale”.
“E adesso? Da che parte andiamo? Dov'è la vetta?”.
“Ehm, non si vede bene”.
“Non si vede niente, siamo in mezzo alle nuvole”.
“Proviamo di qua”.
...
“Legge di Murphy?”.
“Esatto. Torniamo indietro, la vetta è dall'altra parte”.
...
“Secondo me il fatto che non ci sia nessuno quassù ha un qualche significato. Perché ce ne stiamo seduti qui, sotto la croce, con il vento che ci gela la schiena, invece di scendere?”.
“Perché è bello. Quando ci ricapiterà di essere completamente soli con i nostri pensieri?”.
“Ma cosa stai facendo?”.
“Attivo fring, tramite l'interfaccia per gtalk aggiorno il mio stato su pingdotfm che automaticamente aggiorna twitter e facebook”.
“Non parlavi di solitudine?”.
“Sì, bé, questo è per tranquillizzare nostra moglie, così sa dove siamo”.
“Tranquillizzare o fare inferocire?”.
“Bello questo silenzio, vero?”.
...
“Oh, adesso che siamo scesi un po' c'è meno freddo, si sta meglio”.
“Sì, il vento si è calmato un po'”.
“Oh-oh...”.
“Sta piovendo”.
“Per fortuna manca poco”.
“E abbiamo questo giacchino impermeabile”.
“Questa pioggia mi fa venire in mente quella volta alle elementari in cui ho scritto l'unico tema decente di tutta la mia carriera scolastica”.
“Eh, ricordo. Che tristezza la nostra capacità di scrivere”.
“Mai stati capaci”.
“Eppure, quel tema... Parlava della bellezza della pioggia”.
“Più precisamente, della bellezza di uscire di casa con l'ombrello quando piove”.
“Sì, l'ombrello è come uno scudo, che ti difende dal bagnato e ti consente di camminare tra la pioggia”.
“Che bello. E pensare che fino a che non abbiamo conosciuto nostra moglie pensavamo che fosse Male uscire senza ombrello”.
“E bagnarsi? Figuriamoci. Contro natura”.
“È stata lei a farci capire la bellezza di... faccio ancora fatica a dirlo... andare sotto la pioggia senza ombrello”.
“Ma tu guarda come corre la mente quando si è completamente soli”.
“Ormai siamo arrivati: là c'è il rifugio, c'è della gente, fine del giro”.
“Peccato”.
“Già”.
Bé, insomma, sono stato a fare un giretto in montagna, in una giornata non proprio consigliabile dal punto di vista meteorologico. Qui c'è qualche foto.
“Preparo lo zaino”.
“Lo sai che nostra moglie ci ha detto che è meglio se non andiamo in montagna da soli”.
“Oh, senti, dobbiamo andare in montagna perché lei ha lasciato dell'insalata nel frigo?”.
“Sì”.
“E allora questo non ci consente di godere di punti-moglie illimitati, almeno per oggi?”.
“Mh, sarà. E allora perché non ci vestiamo con gli abiti che stai infilando dentro allo zaino, come se tu volessi tenerli nascosti?”.
“Perché non so bene cosa faremo: andiamo su, vuotiamo il frigo, poi vediamo che tempo fa”.
...
“Bene, ora che abbiamo disinnescato la bomba all'insalata, possiamo tornare a casa?”.
“A casa? Mi piacerebbe andare a vedere com'è il tempo al Lago Santo”.
“Come vuoi che sia? Il cielo è tutto nuvoloso, non potrà essere molto diverso da quello che c'è qui”.
“Vabbè, io vado a vedere lo stesso”.
“Non è che poi vuoi salire da qualche parte, vero? Vogliamo solo andare a vedere, no?”.
“Certamente”.
...
“Ecco, visto che nuvole? Non è proprio il caso di salire”.
“Forse è vero. Mettiamoci i vestiti da montagna”.
“E cosa ce ne facciamo?”.
“Qua ci sono molti alberi, non si vede bene il cielo; metti che dal lago vediamo che c'è bel tempo: possiamo fare un giretto”.
“Figurati”.
...
“Visto? Nuvole”.
“Vedo. Andiamo dentro al rifugio”.
“A far cosa?”.
“Non abbiamo da mangiare, io prenderei qualcosa. Un gelatino”.
“Va bene”.
...
“Andiamo?”.
“Aspetta che guardo la cartina”.
“Perché?”.
“Voglio chiedere un'informazione al rifugiaio: — Scusi? Per andare al passo Boccaia si prende il sentiero 529? Bene, grazie”.
“Non andiamo a casa, suppongo”.
“Dai, il passo Boccaia è vicino. Aspetta — Senta, cosa dicono le previsioni? Pioverà oggi? Solo se smette il vento? Bene, grazie”.
“Quindi?”.
“Senti che vento? Possiamo andare”.
...
“Ecco il passo Boccaia, bello, freddo, andiamo”.
“Andiamo”.
“No, ma, non di là”.
“Il Giovo è di là”.
“Andiamo sul Giovo?”.
“Mi piacerebbe”.
“Era la tua intenzione fin da quando siamo partiti, eh?”.
“Ehm”.
...
“Senti, quelle persone che abbiamo incrociato poco fa hanno detto che su c'è un vento fortissimo e gelido. Siamo sicuri di aver preso vestiti abbastanza pesanti?”.
“Direi di sì, mal che vada si torna giù”.
“Sì, figuriamoci. Saresti capace di salire anche con un costume da bagno. Ma non ti inquieta un po' salire da solo?”.
“Un po', sì. Ho sempre il terrore di incrociare un cinghiale”.
“Ma qui è alto, e c'è freddo, figuriamoci se ci sono cinghiali”.
“E se ce n'è uno? Che faccio? Mi ci vorrebbe la valigetta dei coltelli di Locke. Ma poi, non mi ci vedo mica tanto a usare un coltello contro a un cinghiale”.
“No, decisamente no. Soprattutto perché ci fanno paura persino le cavallette”.
“Bleah, le cavallette. Piuttosto un cinghiale”.
...
“Uno dei vantaggi a salire da soli è il silenzio. Che bello”.
“Appunto”.
“Ehm”.
...
“Il fatto che stiamo camminando inclinati non ci preoccupa?”.
“Ma no, il vento tiene lontana la pioggia, siamo tranquilli”.
“Freddino però”.
“Già. Eccoci al crinale finale”.
“E adesso? Da che parte andiamo? Dov'è la vetta?”.
“Ehm, non si vede bene”.
“Non si vede niente, siamo in mezzo alle nuvole”.
“Proviamo di qua”.
...
“Legge di Murphy?”.
“Esatto. Torniamo indietro, la vetta è dall'altra parte”.
...
“Secondo me il fatto che non ci sia nessuno quassù ha un qualche significato. Perché ce ne stiamo seduti qui, sotto la croce, con il vento che ci gela la schiena, invece di scendere?”.
“Perché è bello. Quando ci ricapiterà di essere completamente soli con i nostri pensieri?”.
“Ma cosa stai facendo?”.
“Attivo fring, tramite l'interfaccia per gtalk aggiorno il mio stato su pingdotfm che automaticamente aggiorna twitter e facebook”.
“Non parlavi di solitudine?”.
“Sì, bé, questo è per tranquillizzare nostra moglie, così sa dove siamo”.
“Tranquillizzare o fare inferocire?”.
“Bello questo silenzio, vero?”.
...
“Oh, adesso che siamo scesi un po' c'è meno freddo, si sta meglio”.
“Sì, il vento si è calmato un po'”.
“Oh-oh...”.
“Sta piovendo”.
“Per fortuna manca poco”.
“E abbiamo questo giacchino impermeabile”.
“Questa pioggia mi fa venire in mente quella volta alle elementari in cui ho scritto l'unico tema decente di tutta la mia carriera scolastica”.
“Eh, ricordo. Che tristezza la nostra capacità di scrivere”.
“Mai stati capaci”.
“Eppure, quel tema... Parlava della bellezza della pioggia”.
“Più precisamente, della bellezza di uscire di casa con l'ombrello quando piove”.
“Sì, l'ombrello è come uno scudo, che ti difende dal bagnato e ti consente di camminare tra la pioggia”.
“Che bello. E pensare che fino a che non abbiamo conosciuto nostra moglie pensavamo che fosse Male uscire senza ombrello”.
“E bagnarsi? Figuriamoci. Contro natura”.
“È stata lei a farci capire la bellezza di... faccio ancora fatica a dirlo... andare sotto la pioggia senza ombrello”.
“Ma tu guarda come corre la mente quando si è completamente soli”.
“Ormai siamo arrivati: là c'è il rifugio, c'è della gente, fine del giro”.
“Peccato”.
“Già”.
Bé, insomma, sono stato a fare un giretto in montagna, in una giornata non proprio consigliabile dal punto di vista meteorologico. Qui c'è qualche foto.
lunedì 31 agosto 2009
Tuoni e fulmini!
Ho provato a fare un paio di foto a qualche fulmine. Erano fulmini tra nuvole, e quindi un po' nascosti, e il bagliore riflesso dalle nuvole non ha certo aiutato. Comunque, eccoli qua.
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