giovedì 9 marzo 2023

Inferno, canto XV

Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
temendo ’l fiotto che ’nver lor s’avventa,
fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia;

e quali Padoan lungo la Brenta,
per difender lor ville e lor castelli,
anzi che Carentana il caldo senta:

a tale imagine eran fatti quelli,
tutto che né sì alti né sì grossi,
qual che si fosse, lo maestro felli.

“Eccoci”.

“Siamo nel canto XV, quello completamente dedicato a Brunetto Latini e all'ingrato popolo dei fiorentini”.

“Poveri fiorentini”.

“Ma non parliamo di questo: è difficile trovare qualche aspetto scientifico in questo canto, che è tutto un celebrare l'antico maestro e un profetizzare a Dante qualche sventura. Ci salva però la breve parte iniziale, in cui Dante spiega che il percorso che sta seguendo con Virgilio ora percorre un argine del Flegetonte, di cui osserva la forma”.

“Ah, un argine come quelli fiamminghi”.

“Sì. Dante cita Guizzante, che è Wissant, in Francia, e Bruggia, che è Bruges, in Belgio”.

“Vedo che cita anche il Brenta”.

“Sì, gli argini che i padovani hanno costruito lungo il Brenta. Così sono gli argini del Flegetonte, sul quale stanno camminando Dante e Virgilio, anche se non così alti e così grossi. E qui arriviamo al punto: perché gli argini devono essere alti e grossi?”.

“Beh, per evitare che l'acqua passi dall'altra parte”.

“O il sangue, nel caso del Flegetonte”.

“Va bene”.

“E perché anche grossi?”.

“Perché l'acqua spinge con forza”.

“Ma se hai presente come sono fatti gli argini e le dighe, non sono costruiti con uno spessore costante: sono più grossi in fondo”.

“Vero. Sarà perché l'acqua spinge con più forza in fondo?”.

“Esatto. La legge fisica di cui stiamo parlando si chiama legge di Stevino”.

“Mi pare di ricordare qualcosa”.

“Il nome è una italianizzazione, come al solito. Il nome originale è Simon Stevin e, guarda un po', era un matematico nato a Bruges”.

“Che, del resto, non è il vero nome della città”.

“Esatto, in olandese è Brugge”.

“Che assomiglia un po' di più al dantesco Bruggia”.

“E il cerchio si chiude. Ora, la legge di Stevino/Stevin dice che la pressione in un liquido incomprimibile è direttamente proporzionale alla profondità”.

“Più vai sotto, più c'è pressione”.

“Esatto. La pressione è proporzionale anche alla densità del liquido e all'accelerazione di gravità. Questo è il motivo per cui le dighe sono più larghe in fondo: devono sopportare una pressione maggiore”.

“Mi sembra una legge abbastanza semplice da capire”.

“Sì. Sarebbe diverso se il liquido (o, per meglio dire, il fluido) fosse comprimibile, come l'aria. In quel caso non avremmo più una legge lineare, perché il peso della colonna di fluido comprime il fluido stesso aumentandone la densità: è quello che succede con l'atmosfera terrestre, per esempio”.

“Quindi se noi saliamo in montagna misuriamo un calo di pressione che però non varia linearmente con l'altitudine?”.

“No, in quel caso c'è una legge esponenziale. Un altro aspetto di cui tenere conto, poi, è che la pressione dipende anche dalla densità del liquido: se ti immergi nel mercurio subisci un aumento di pressione maggiore”.

“Certo, se mi immergo nel mercurio forse devo preoccuparmi di qualcos'altro”.

“Sì, vero, l'esempio del mercurio era legato al barometro a mercurio”.

“Ah”.

“Che misura la pressione atmosferica con una colonna di mercurio: la colonna d'aria, fluido a bassa densità, è equilibrata da una colonna di mercurio non esageratamente alta: 760 millimetri”.

“Ah, vero, un tempo la pressione si misurava in millimetri di mercurio!”.

“Esatto. Se volessimo costruire un barometro ad acqua, dovremmo fare una colonna d'acqua alta 10.33 metri”.

“Un po' scomodo”.

“E se invece avessimo un lago di mercurio, dovremmo costruire delle dighe molto più larghe, sul fondo, rispetto alle nostre, altrimenti verrebbero travolte”.

“Per fortuna non abbiamo laghi di mercurio. Nemmeno a Dante è venuto in mente un Inferno con laghi di mercurio”.

“No, lui aveva un fiume di sangue. Ma, per fortuna, la densità del sangue è simile a quella dell'acqua, e quindi le dighe degli olandesi funzionerebbero bene”.

“Per fortuna, non mi piacerebbe assistere a uno tsunami di sangue”.

“Già, la scena di Shining è stata sufficiente”.

sabato 4 febbraio 2023

Inferno, canto XIV

“Ed eccoci al canto dove piovono fuoco e fiamme”.

“Chi sono i poveretti che subiscono questa pena?”.

“Sono i violenti contro Dio. Siamo in una zona sabbiosa, simile a un deserto; i violenti sono sdraiati, seduti o camminano a seconda del loro specifico peccato”.

“In che senso?”.

“Puoi essere violento contro Dio perché sei un bestemmiatore, e in quel caso sarai sdraiato. Oppure puoi essere violento contro Dio perché sei un usuraio…”.

“Cosa c'entra Dio con gli usurai?”.

“Ne parleremo approfonditamente più avanti. Per ora diciamo solo che un usuraio non lavora per guadagnare, mentre Dio ha fornito l'uomo dell'operosità perché con essa si guadagni da vivere. Dunque, se ti arricchisci tramite il denaro e non tramite il lavoro, hai peccato contro Dio”.

“Non so se scuotere la testa o applaudire”.

“Eh. E poi ci sono i sodomiti, peccatori contro Natura e quindi contro Dio”.

“Poveracci”.

“Su tutti, piove fuoco”.

Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,
piovean di foco dilatate falde,
come di neve in alpe sanza vento.

“Una bella nevicata calda”.

“E qui abbiamo una prima osservazione naturale: la caduta della neve è più lenta della caduta della pioggia. Verticale, perché non c'è vento, e inesorabile”.

“Quell'ultimo verso descrive bene tutto. Ma, invece della pace della neve, c'è il tormento del fuoco”.

“Esatto. Ma andiamo avanti: dopo un incontro con Capaneo, uno dei sette re che assediarono Tebe, superbo odiatore di Dio, i due poeti incontrano un ruscello”.

Tacendo divenimmo là ’ve spiccia
fuor de la selva un picciol fiumicello,
lo cui rossore ancor mi raccapriccia.

Quale del Bulicame esce ruscello
che parton poi tra lor le peccatrici,
tal per la rena giù sen giva quello.

“Acqua rossa?”.

“Sangue”.

“Ah, certo. E il Bulicame cos'è?”.

“Una fonte d'acqua sulfurea che si trova vicino a Viterbo. Mi piace molto il verso successivo, che sembra una annotazione inutile: quell'acqua veniva suddivisa tra le peccatrici, cioè le prostitute, che la usavano per lavarsi”.

“Perché ti piace?”.

“Perché anche qua con una riga in più riusciamo a visualizzare la scena, e poi perché tra tutti gli esempi che Dante avrebbe potuto trovare, ha scelto proprio le peccatrici, come se fosse loro affezionato. E non sto facendo allusioni, dico davvero. E infine perché questo è un ottimo servizio antibufala nei confronti di chi dice che nel medioevo erano tutti sporchi e non si lavavano mai”.

“Benissimo”.

“Segue poi una spiegazione tutt'altro che scientifica sulle origini dei fiumi infernali”.

“Inventata? Sbagliata?”.

“Richiama un passo della Bibbia, ma non ha nulla di scientifico. Si tratta di mitologia, insomma, ma leggiamo lo stesso. Virgilio comincia la spiegazione così:”.

«In mezzo mar siede un paese guasto»,
diss’elli allora, «che s’appella Creta,
sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto.

Una montagna v’è che già fu lieta
d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida:
or è diserta come cosa vieta.

Rea la scelse già per cuna fida
del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
quando piangea, vi facea far le grida.

“Parla di Creta?”.

“Sì. Ora Creta è andata in rovina, ma anticamente era casta, o innocente, o perfetta e paradisiaca, se vogliamo. Sull'isola c'è una montagna, Ida, che un tempo era ricca di corsi d'acqua e di boschi, e Rea la scelse come nascondiglio per suo figlio Giove. Ma andiamo avanti, perché dentro al monte Ida c'era qualcosa”.

Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
che tien volte le spalle inver’ Dammiata
e Roma guarda come suo speglio.

La sua testa è di fin oro formata,
e puro argento son le braccia e ’l petto,
poi è di rame infino a la forcata;

da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che ’l destro piede è terra cotta;
e sta ’n su quel più che ’n su l’altro, eretto.

“Un vecchio”.

“Un vecchio che guarda Roma, la cui testa è fatta d'oro, braccia e petto d'argento, rame fino all'inguine, e sotto è tutta di ferro, tranne il piede destro che è di terracotta”.

“Che delirio”.

“Ed ecco da dove nascono i fiumi:”.

Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
d’una fessura che lagrime goccia,
le quali, accolte, foran quella grotta.

Lor corso in questa valle si diroccia:
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
poi sen van giù per questa stretta doccia

infin, là ove più non si dismonta,
fanno Cocito; e qual sia quello stagno
tu lo vedrai, però qui non si conta».

“Mamma mia”.

“La statua è tutta crepata, e dalle fessure escono lacrime che si raccolgono alla base e formano i fiumi: l'Acheronte, lo Stige e il Flegetonte. Le acque scendono per un canale fino al punto in cui non scendono più”.

“Eh, a un certo punto si fermeranno”.

“E laggiù formeranno il Cocito, ma per quello c'è tempo, bisogna arrivare fino al fondo dell'Inferno. E Dante, che ogni tanto fa delle domande da tontolone, ma diciamo pure che le fa per ragioni didattiche, chiede a Virgilio come mai quel fiume che hanno davanti lo incontrano soltanto adesso, quando invece esso nasce dalla statua, molto più in alto”.

“Santo cielo”.

“Eh, Virgilio infatti gli spiega che stanno girando intorno al bordo di una voragine, ma non l'hanno ancora percorso tutto, quindi è normale che non abbiano ancora visto tutto:”.

Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo;
e tutto che tu sie venuto molto,
pur a sinistra, giù calando al fondo,

non se’ ancor per tutto il cerchio vòlto:
per che, se cosa n’apparisce nova,
non de’ addur maraviglia al tuo volto»

“Benissimo. Abbiamo letto tanto, ma qua non c'è nulla di scientifico”.

“Lo so. L'osservazione scientifica la facciamo quindi noi, a partire dalla spiegazione di Virgilio e dall'osservazione che l'acqua, come tutte le cose pesanti, cade verso il basso”.

“Sai che osservazione”.

“Eppure, soltanto nel 1847 il matematico Cauchy ha sfruttato questa osservazione per risolvere un problema che, altrimenti, non avrebbe saputo risolvere”.

“Uh, Cauchy non era mica l'ultimo arrivato”.

“Eh, no. Il problema era quello di determinare l'orbita di un corpo celeste a partire dalle sue equazioni del moto. Le equazioni di quel tipo sono molto complicate, e una risoluzione esatta spesso è impraticabile: ci sono troppe incognite da gestire e non è facile ridurle”.

“E quindi?”.

“Per semplificare le idee, supponiamo che le incognite siano solo due. Poi Cauchy dirà che anche se sono n va bene lo stesso, ma limitiamoci a due così vediamo le cose”.

“Speriamo di vederle”.

“Una funzione in una variabile è una curva (se non ci si mettono di mezzo gli analisti a inventarsi funzioni patologiche): assegni dei valori alla variabile, trovi il risultato, metti tutto su un piano cartesiano, ed ecco la curva”.

“Fin qua direi che ci siamo, sono le cose che si fanno a scuola”.

“Sì. Ora, se di variabili ne hai due, devi scegliere due valori, darli in pasto alla funzione e ottenere il risultato. I due valori li scegli su un piano, e il risultato lo puoi visualizzare come un'altezza. Insomma, una funzione in due variabili puoi immaginartela come una superficie, un lenzuolo lanciato per aria che sta per adagiarsi sul letto”.

“Uh, che immagine”.

“O, se vogliamo, una montagna”.

“Ah”.

“Ora Cauchy dice: supponiamo di essere sempre al di sopra del livello del mare, tranne che in un punto in cui arriviamo a quota zero”.

“Quel punto è la soluzione dell'equazione”.

“Esatto. Come facciamo a trovarlo?”.

“Se non sappiamo risolvere le equazioni, non saprei”.

“Facciamo come i fiumi di Dante: facciamo scorrere dell'acqua, e vediamo dove va a finire”.

“Ma dai”.

“Certo. C'è un modo semplice per calcolare la direzione di massima pendenza, che i Veri Matematici chiamano gradiente: punto per punto il gradiente è un vettore che ci indica la direzione di massima discesa (o salita, dipende dal segno che si sceglie). Seguendo le indicazioni date dal gradiente, siamo in grado di arrivare in fondo e di trovare dove la montagna arriva al livello del mare”.

“Cioè sappiamo risolvere l'equazione”.

“Esatto. Anche se bisogna sistemare un po' di cose: che succede se, invece di arrivare al mare, finiamo sul fondo di un laghetto di montagna?”.

“Uh, non va mica bene”.

“Eh, no. La soluzione consiste nello spostarsi un po' e continuare a provare a scendere. Questo metodo si chiama proprio metodo della discesa del gradiente: è come guardare una carta geografica e scendere perpendicolarmente alle isoipse”.

“Hai detto questa frase solo perché volevi dire isoipse, vero?”.

“Lo confesso. Avrei voluto dire Qual è il geometra che scende il gradiente, ma mi sembrava irrispettoso”.

mercoledì 11 gennaio 2023

Inferno, canto XIII

“Siamo al canto tredicesimo, quello di Pier della Vigna”.

“Uh, triste argomento, i suicidi”.

“Già. Non c'è molta scienza, questa volta, ma c'è molta retorica”.

“Che a noi non interessa”.

“Potrebbe interessarci, invece. Ma prima sottolineiamo l'unica osservazione sperimentale che fa Dante, che è questa:”.

Come d’un stizzo verde ch’arso sia
da l’un de’capi, che da l’altro geme
e cigola per vento che va via,

sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond’io lasciai la cima
cadere, e stetti come l’uom che teme.

“Cosa succede qui?”.

“Succede che a Dante sembra di sentire dei lamenti ma non capisce da dove vengano, e allora Virgilio gli consiglia di strappare un ramoscello, così si chiariranno tutti i dubbi”.

“E Dante strappa il ramoscello?”.

“Sì, solo che qui i cespugli sono le anime dei dannati, e strappare un ramoscello provoca loro dolore”.

“Ma santo cielo”.

“Eh. Quindi Dante strappa il ramoscello, e osserva che sta succedendo qualcosa di simile a quando si mette un pezzo di legno verde in un fuoco, in modo che uno solo dei due estremi del pezzo sia tra le fiamme. Dall'altro estremo dopo poco cominciano a uscire acqua e vapore, a volte con un fischio”.

“Ah, vero, il fuoco trasforma i liquidi ancora contenuti nel ramo in vapore, e la pressione li fa uscire”.

“Esatto. In questo caso dal ramoscello rotto escono parole e sangue”.

“Ma povere anime”.

“E qui finisce l'osservazione scientifica. Poi ci sarebbe un altro aspetto, anche se non è molto chiaro”.

“Cioè?”.

“L'anima a cui Dante ha strappato un ramoscello si presenta con queste parole:”.

Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi,

che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:
fede portai al glorioso offizio,
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.

“E chi è, quindi? Colui che tenne entrambe le chiavi del cuore di Federico?”.

“Chi parla è Pier della Vigna, segretario dell'imperatore Federico II di Svevia. Lui conservava entrambe le chiavi del cuore di Federico, appunto”.

“Ma cosa significa? Due chiavi? Del cuore?”.

“Questo è il mio dubbio, infatti. Ho trovato scritto in un solo sito che qui Dante fa riferimento a forzieri sofisticati che avevano una serratura che doveva essere aperta con una chiave e chiusa con un'altra, ma non so se sia vero, non ho trovato altri riferimenti a riguardo. Mi dicono che forse si riferisce a forzieri che avevano una chiave che serviva per il deposito, e non per il prelievo, e una seconda chiave che serviva solo per prelevare, un po' come le casse continue delle banche di oggi. Ma, ancora una volta, non ho riferimenti certi. Se fosse così, sarebbe molto bello”.

“Perché?”.

“Perché ricorda un meccanismo usato nelle attuali reti informatiche”.

“Ah”.

“Io devo mandarti uno scrigno contenente un documento segreto, e non voglio che nessuno lo legga”.

“Metti un lucchetto”.

“Ma poi a te serve la chiave”.

“E allora mandamela”.

“Ma se la rubano?”.

“Mettila dentro a uno scrigno… oh”.

“Non funziona, come vedi. O ci vediamo di persona e ti passo la chiave, oppure questo sistema è poco sicuro”.

“Vediamoci di persona, allora”.

“E se non potessimo? Tu vai di persona presso tutte le sedi fisiche alle quali farai prelevare soldi dalla tua carta di credito?”.

“Eh, no”.

“Ma non tutto è perduto: io metto il documento dentro allo scrigno e lo chiudo col mio lucchetto, di cui solo io possiedo la chiave, e poi ti mando tutto”.

“Ma così non riesco ad aprirlo”.

“No, tu al momento non vuoi aprirlo, anzi. Accanto al mio lucchetto, ce ne metti uno anche tu, di cui questa volta tu hai la chiave”.

“E poi?”.

“E poi mi rimandi lo scrigno”.

“E cosa te ne fai, ora che ha due lucchetti?”.

“Ora tolgo io mio lucchetto, e ti rimando il tutto”.

“Ah! Geniale! C'è ancora il mio lucchetto, quindi nessuno può sbirciare il documento segreto. Poi io lo tolgo e, finalmente, posso leggere quello che voglio. Ma questo metodo esiste davvero?”.

Certo”.

“Che meraviglia”.

“Chissà se Dante quando parlava di entrambe le chiavi parlava di un vero scrigno con due chiavi. Comunque, questo è quello che mi è venuto in mente. Per concludere, poi, c'è un terzo aspetto interessante di questo canto”.

“Quale? La retorica?”.

“Sì, ci sono alcune figure retoriche che sfruttano un po' di matematica, o di geometria”.

“Ma dai”.

“Ci vuole un po' di fantasia, ma non solo ai matematici piacciono le simmetrie, per esempio”.

“Ci sono figure retoriche che hanno a che fare con le simmetrie?”.

“Sì, per esempio quando Pier della Vigna chiede un po' di rispetto a Dante, spiega che le anime in questa parte dell'Inferno sono state tramutate in cespugli, così:”.

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi

“E questa è una figura retorica?”.

“Un chiasmo: nella prima parte ci sono due termini, uomini e fummo, e nella seconda parte ci sono altri due termini simmetrici di questi due, cioè con i ruoli invertiti, che sono fatti e sterpi. Lo schema qui è sostantivo-verbo seguito da verbo-sostantivo. Potremmo dire SVVS, una sigla palindroma”.

“Benissimo”.

“E ai matematici le simmetrie piacciono, perché permettono di risparmiare un po' di fatica”.

“Capirai”.

“Poco prima, Dante dice”.

Cred’io ch’ei credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi
da gente che per noi si nascondesse

“Io credevo che lui credesse che io credessi? Si diverte, Dante”.

“Vero? Gioca coi suoni, li ripete. Scopro anche che questa figura si chiama polipototo: una parola ripetuta, mutando il genere o il caso”.

“E anche questo piace ai matematici?”.

“Se le parole fossero ripetute identiche a sé stesse, in matematica si parlerebbe di periodicità. Qui ci sono delle modifiche, delle perturbazioni, direbbero i matematici”.

“Esistono anche le perturbazioni matematiche?”.

“Certo. Si parte da una cosa nota, facile da studiare, e la si modifica un pochino in modo da non distruggerne la struttura, e si cercano le proprietà che non variano. Ma questa l'ho citata soltanto perché mi piace molto il verso Cred’io ch’ei credette ch’io credesse”.

“Eh eh”.

“C'è anche un'altra ripetizione, un altro poliptoto, qui:”.

La meretrice che mai da l’ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio,

infiammò contra me li animi tutti;
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.

“Un sacco di fiamme. Ma chi è questa meretrice?”.

“Sta parlando dell'invidia, che non distolse mai gli occhi disonesti dalla reggia dell'imperatore. L'invidia è morte di tutti e vizio delle corti (anzi, morte di tutti e delle corti vizio - un altro chiasmo, oserei dire), e infiammò gli animi di tutti quanti contro di me (cioè contro Pier della Vigna), e a loro volta essi infiammarono l'imperatore, tanto che i miei onori si trasformarono in tristi lutti. Insomma, Pier della Vigna è caduto in disgrazia a causa dell'odio dei cortigiani”.

“Un po' come certe comari di un paesino”.

“Esatto. Ma tutto questo canto è pieno di figure retoriche, perché Pier della Vigna si meritava un registro elevato. Subito dopo questi versi, infatti Pier della Vigna spiega di aver cercato di sfuggire il disonore con la morte, e questo fatto lo ha reso ingiusto contro sé stesso:”.

L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.

“Un altro chiasmo”.

“Esatto. Dopodiché Dante incontra due scialacquatori, Lano da Siena e Iacopo da Sant'Andrea. Ecco come li introduce:”.

Noi eravamo ancora al tronco attesi,
credendo ch’altro ne volesse dire,
quando noi fummo d’un romor sorpresi,

similemente a colui che venire
sente ’l porco e la caccia a la sua posta,
ch’ode le bestie, e le frasche stormire.

Ed ecco due da la sinistra costa,
nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
che de la selva rompieno ogni rosta.

“Uh, quanti versi”.

“E guarda tutte quelle ripetizioni, guarda quante s-t: ”.

“Esse ti?”.

similemente, sente, posta, bestie, frasche, stormire, sinistra costa, sì forte, selva, rosta”.

“Ah, capito”.

“E insomma, anche se non è esattamente periodicità in senso matematico, potremmo dire che è quasi periodicità”.

“E non dirmi che i matematici sono riusciti a dare un significato a una quasi proprietà?”.

Ovviamente”.

“Ci rinuncio. Anzi, cado come corpo morto cade.”.