martedì 16 settembre 2008

Verso l'infinito, ma con calma - l'insieme delle parti

Per salire verso cardinalità sempre più grandi dobbiamo introdurre un nuovo oggetto: l'insieme delle parti. La definizione è semplice: si chiama insieme delle parti di un insieme A l'insieme che contiene tutti i sottoinsiemi di A. Il suo simbolo è P(A) (in realtà la P andrebbe scritta in corsivo, ma non stiamo a sottilizzare).

“Facciamo qualche esempio?”.

“Ok, partiamo dall'insieme più semplice: l'insieme vuoto. L'insieme delle parti è...”.

“Vuoto pure lui”.

“No. L'insieme delle parti contiene un elemento, l'insieme vuoto”.

“Eeeh?”.

“Prova a pensare a cosa significa sottoinsieme”.

“Un sottoinsieme S di A contiene alcuni elementi dell'insieme A”.

“Circa. La definizione corretta è: se x appartiene a S, allora x appartiene anche ad A”.

“Va bene. Possiamo dire che tutti gli elementi di S sono contenuti in A?”.

“Certo. Allora vedi che l'insieme vuoto è sottoinsieme dell'insieme vuoto”.

“Veramente non vedo un bel niente”.

“È vero o no che tutti gli elementi dell'insieme vuoto sono contenuti nell'insieme vuoto, o in qualunque altro insieme?”.

“Ma l'insieme vuoto non ha elementi!”.

“Appunto. Esiste forse qualche elemento dell'insieme vuoto che non è contenuto in qualche insieme?”.

“No, certo, non esistono proprio elementi”.

“Dunque è vero il contrario, tutti gli elementi dell'insieme vuoto sono contenuti in qualunque insieme”.

“Mamma mia, che sofismi. Va bene, ho capito: se A=∅, allora P(A)={∅}”.

“Perfetto. Parlando di cardinalità, Card(∅)=0, Card(P(A))=1”.

“Ok. Possiamo prendere un insieme un pochino più grosso?”.

“Prendiamo A={a}. Quali sono i suoi sottoinsiemi?”.

“Allora, ho capito che c'è l'insieme vuoto, quello è dappertutto”.

“Poi?”.

“Ce ne sono ancora?”.

“Sì”.

“Forse A stesso?”.

“Molto bene: ogni insieme è sottoinsieme di sé stesso. È un concetto analogo a quello di essere minore o uguale tra due numeri. Accettiamo anche l'uguaglianza”.

“Ho capito. Quindi, se A={a}, P(A)={∅,{a}}”.

“Parlando di cardinalità: Card(A)=1, Card(P(A))=2”.

“Ok, ora provo con un insieme di due elementi: A={a,b}. Se non sbaglio, P(A)={∅,{a},{b},{a,b}}. Card(A)=2, Card(P(A))=4”.

“Bene. Facciamo un ultimo esempio con tre elementi: A={a,b,c}. L'insieme delle parti è fatto in questo modo:

P(A)={∅,{a},{b},{c},{a,b},{a,c},{b,c},{a,b,c}}.

Quindi Card(A)=3, mentre Card(P(A))=8”.

“Uhm, mi pare che ci sia una regola sotto”.

“Quale?”.

“Se la cardinalità di A è uguale a n, la cardinalità di P(A) è uguale a 2n”.

“È vero”.

“E si dimostra?”.

“Certo. Per gli insiemi finiti è semplice, per quelli infiniti più complicato, ma la formula vale sempre”.

“Cioè, mi stai dicendo che si può calcolare 20?”.

“Già”.

“E immagino che faccia sempre ℵ0?”.

“No. Questa volta fa di più”.

“Ah, quanto?”.

c gotico”.

“Eh?”.

“I Veri Matematici scrivono una lettera c minuscola in caratteri gotici”.

“Cioè, mi stai dicendo che prima vanno a scomodare l'alfabeto ebraico, prendono la prima lettera e ci aggiungono un indice, come a dire state a vedere quanti numeri tiriamo fuori, poi per un po' temono che quella sia l'unica lettera che mai useranno, e alla fine, quando scoprono che ne possono usare un'altra, scrivono c gotico?”.

“Ehm”.

4 commenti:

.mau. ha detto...

A parte che il povero Georg C. era abituato a usare i caratteri gotici, i Veri Matematici quando sono alla lavagna scrivono spesso c e basta; e quando non hanno TeX a disposizione, stampano c in corsivo e/o grassetto.

zar ha detto...

Eh, qui sono stato traviato dai miei vecchi insegnanti di algebra, che non pronunciavano mai "c" senza accompagnarlo da "gotico", e anche alla lavagna cercavano di scrivere in gotico. Roba da matti.

Annarita ha detto...

Ehm...quoto .mau.!

A parte questa considerazione, professore, è un altro pezzo avvincente! bello, bello, bello...

giovanna ha detto...

letto e sottoscritto!
ops ...salvato!:-)
grazie prof!