sabato 22 maggio 2021

La nonna Giulia

Cento anni fa, il 22 maggio 1921, giorno di Santa Rita, come lei amava sempre ricordare, nasceva mia nonna, la persona nota a tutti come la nonna Giulia.

Ha vissuto la guerra, è stata sfollata, ha visto l'aeroplano Pippo sganciare bombe, una delle quali è caduta, inesplosa, nel cortile del gruppo di case in cui abitavano lei e alcuni fratelli. Suo marito, mio nonno, ha fatto la campagna di Russia, le ha raccontato come è sopravvissuto e come è riuscito a tornare a casa, concludendo: Giulia, se non sono morto là, non muoio più. Purtroppo non è stato così: pochi anni dopo, quando mia mamma faceva la terza media, forse il giorno prima dell'esame, non ricordo bene, il nonno è morto sul lavoro. Faceva il ferroviere, lavorava sui binari, conosceva gli orari dei treni a memoria, ha sentito il rumore del treno che doveva arrivare e si è spostato su un altro binario: purtroppo non ha sentito il rumore dell'altro treno che, fuori orario, stava passando su quel binario dove lui si era appena messo.

Dunque mia nonna non ha avuto una vita facile. Gliel'hanno resa meno pesante i nipoti, e io sono stato il primo, e per lei avevo un ruolo speciale. Mi ha fatto da mamma quando mia mamma non poteva esserci, perché aveva trovato da lavorare in un'altra città (alla banca d'Italia, quanto era orgogliosa mia nonna del fatto che sua figlia avesse vinto il concorso in un posto così prestigioso).

Mi salutava sempre allo stesso modo, anche quando ero ormai un distinto e rispettabile adulto al quale non si addiceva un saluto del genere: ciao, bella creatura! Nonna, dai, davanti a tutti. Beh, cosa c'è?

Andava tutte le domeniche in cimitero, a trovare suo marito. Una volta l'ho accompagnata (non mi piaceva molto visitare i cimiteri, quindi quella prima volta è stato un evento un po' speciale) e lei si è fermata davanti alla tomba e gli ha parlato, come se fosse lì. Guarda chi t'ho portato, ha detto.

Quando è diventata bisnonna è rinata. Quando è nato il mio primo figlio ha chiesto insistentemente di avere una foto con lei che lo teneva in braccio. Poi si è scusata della sua insistenza, e ci ha raccontato che voleva una foto che testimoniasse al primo bisnipote che lei c'era e l'aveva tenuto in braccio, dato che pensava che non sarebbe rimasta viva a lungo per poterlo vedere crescere e sentirlo parlare. E invece l'ha visto crescere per ventiquattro anni, e ne ha visti molti altri.

Si muoveva in bicicletta, sempre. Intorno ai novantaquattro anni è caduta, e mia mamma voleva impedirle di usarla ancora: lei l'ha presa malissimo, sembrava una condanna a morte. Allora è andata dal meccanico, gli ha detto oh, io devo andare in bicicletta ma qua non ci riesco più, è troppo alta e rischio di cadere, cum'a fàmia? Il meccanico ha capito, ha detto ci penso io, ha preso il flessibile e ha tagliato un pezzo di telaio, in modo da abbassare il seggiolino. Lei è tornata a casa ridendo come una bambina, e pedalando.

Spesso comandava, e per questo spesso litigava con mia mamma. Era una donna che ha vissuto da sola per la maggior parte della sua vita, la più grande di dodici fratelli, e che aveva la responsabilità di una figlia da educare e mantenere: non aveva un carattere facile, si doveva fare come diceva lei. Ma mi adorava.

Il regalo più grande che potevo farle era andarla a trovare e stare un po' con lei, e naturalmente ora penso che avrei potuto fare di più. Perché adesso la nonna non c'è più, è morta l'anno scorso poco prima di compiere novantanove anni, in piena pandemia, il cinque maggio. Ha avuto una polmonite, batterica, da cui si era ripresa, ma che l'aveva lasciata molto debilitata. Tanto che, una notte, ancora in ospedale, si è addormentata e non si è più svegliata.

Non è stato possibile celebrare il funerale: c'è stata solo una breve benedizione nel cortile davanti all'ospedale, con i nipoti e i bisnipoti. Il pomeriggio prima ero stato in visita alle camere ardenti: era tutto deserto, poteva entrare una sola persona alla volta, e mi sono trovato davanti all'ingresso assieme a un altro, evidentemente anche lui in visita. In attesa, ci siamo messi a leggere i mille cartelli che erano appesi all'entrata: uno di questi parlava delle "visite ai pazienti", e ci siamo messi a ridere di fronte alla definizione di "pazienti".

Qualche giorno fa l'ho finalmente sognata. Tutto, in quel sogno, era un simbolo che per me aveva un significato. Era a casa sua, seduta per terra tra la sala e la camera da letto. Questo mi ha ricordato quella volta in cui si è seduta per terra in mezzo ai bisnipotini, e noi le abbiamo detto nonna, cosa fai, adesso come fai a rialzarti? E lei, con un sorrisone, ha detto guarda, faccio così: ha piegato una gamba, appoggiato una mano, e si è alzata in un attimo. Me l'hanno insegnato a ginnastica, ha detto.

Era quindi tra la sala, dove stava sempre e dove tante volte ha fatto da mangiare per me, e la camera da letto, dove teneva la foto di suo marito. Tra le due stanze c'era un telo, un velo semitrasparente, e se vi viene in mente la scena della morte di Sirius Black, beh, era quel velo lì. Al di là del velo si vedeva in trasparenza il televisore, che era sempre acceso. Mi fa compagnia, diceva sempre.

Mi guardava, lì seduta per terra, e sorrideva. Mi sono svegliato, e sorridevo anche io.

domenica 9 maggio 2021

Capacità — 13. Compressione

La volta scorsa abbiamo visto cosa significa raggiungere il punto di massima entropia”.

“Sì, è quando tutto è inaspettato, equiprobabile, non puoi scommettere su niente”.

“Esatto, sì. Ma nei sistemi reali non sempre si raggiunge la massima entropia, a volte c'è qualche informazione più probabile”.

“Certo”.

“Per esempio, quando lanci due dadi e ne fai la somma”.

“Vero: non tutti i risultati sono equiprobabili. È più difficile fare 2 o 12 che non 7”.

“E quindi l'informazione sull'uscita del 7 porta con sé meno informazione rispetto a quella che ti dice che è uscito 12”.

“Se vogliamo metterla in questi termini, sì. Ma ancora non mi è del tutto chiaro il significato di questa affermazione”.

“Questo perché il concetto di entropia è difficile da digerire. Ma analizziamo l'esempio dei dadi: lanciando una coppia di dadi si possono avere 36 possibili risultati”.

“Questo se distingui il primo dal secondo, però”.

“Certo. Per ora distinguiamo tutto, poi mettiamo insieme. Per esempio, la somma 2 la puoi ottenere in un solo modo”.

“Quando il primo dado mi dà 1 e il secondo dado anche”.

“Sì. Invece 7 lo puoi ottenere in molti modi”.

“Già. Faccio uno schema:”.

 2: (1,1)
 3: (1,2), (2,1)
 4: (1,3), (2,2), (3,1)
 5: (1,4), (2,3), (3,2), (4,1)
 6: (1,5), (2,4), (3,3), (4,2), (5,1)
 7: (1,6), (2,5), (3,4), (4,3), (5,2), (6,1)
 8: (2,6), (3,5), (4,4), (5,3), (6,2)
 9: (3,6), (4,5), (5,4), (6,3)
10: (4,6), (5,5), (6,4)
11: (5,6), (6,5)
12: (6,6)

“Ottimo, guarda come si vede bene la struttura”.

“Vedo. Una volta su 36 ottengo 2, 6 volte su 36 ottengo 7”.

“E quindi l'uscita di un 7 ti stupirebbe di meno dell'uscita di un 2”.

“Sì, il 7 me l'aspetto di più.”.

“Questa è la tabella delle frequenze, e delle probabilità di uscita di ogni valore”.

 2: 1 — 0.028
 3: 2 — 0.056
 4: 3 — 0.083
 5: 4 — 0.111
 6: 5 — 0.139
 7: 6 — 0.167
 8: 5 — 0.139
 9: 4 — 0.111
10: 3 — 0.083
11: 2 — 0.056
12: 1 — 0.028

“Molto bene. E adesso?”.

“Adesso calcoliamo l'entropia: ricordi che per ogni valore bisogna calcolare il prodotto tra la probabilità di uscita e il logaritmo in base 2 del reciproco”.

plog2(1/p), ricordo. Faccio la tabella:”.

 2: 0.144
 3: 0.232
 4: 0.299
 5: 0.352
 6: 0.396
 7: 0.431
 8: 0.396
 9: 0.352
10: 0.299
11: 0.232
12: 0.144

“Bene, ora somma tutto”.

“Risulta 3.274. Cosa significa?”.

“Significa che, alla lunga, ti bastano 23.274 domande per sapere quale valore è uscito. O, in alternativa, la somma di due dadi può rappresentare 23.274 = 9.676 valori equiprobabili”.

“Uhm, vabbé”.

“Mettiamola così: i possibili valori che può assumere la somma di due dadi sono 11, ma sono troppi. Possiamo usarne meno, ma non per indovinare che valore è uscito una volta. Immagina di avere una sequenza molto lunga di lanci, diciamo un milione, e di doverla trasmettere. Come potresti fare?”.

“Beh, faccio un elenco e li trasmetto, no?”.

“Vorrei una descrizione più precisa: come è fatto l'elenco?”.

“Una roba del genere: 2, 5, 6, 12, 9, eccetera”.

“Così c'è un gran spreco di roba, però”.

“In che senso?”.

“Hai usato una virgola per separare ogni numero, e anche uno spazio”.

“Ah”.

“Puoi risparmiare spazio, poi la codifica decimale è esagerata”.

“Mh. Ho undici simboli, in qualche modo li devo scrivere”.

“Già, ma te ne bastano 11, non ne servono di più. Per esempio, potresti usare la base 11, e usare questi simboli: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, A”.

“Risparmio un carattere per il 10, l'11 e il 12”.

“Non solo, risparmi anche le virgole e gli spazi. Se scrivi una cosa tipo questa, 71264A03191A26A, non hai bisogno di separare le cifre”.

“Giusto. Ma allora potrei fare di meglio: questi caratteri vengono memorizzati dal computer in modo da sprecare spazio, perché uso un byte per ognuno di essi”.

“Forse anche di più, dipende dalla codifica. Una volta si usava la codifica ASCII a 7 bit, poi siamo passati a 8, poi con l'UNICODE possiamo arrivare a 32 bit”.

“Che spreco. Potrei allora creare una codifica apposta, e rimanere sui 7 bit”.

“Ma sono ancora tanti, no? Con 7 bit si possono codificare 128 simboli, a te ne bastano molti meno”.

“Fino a quanto posso scendere, quindi?”.

“Fino a una codifica di massima entropia”.

“Ah”.

“Qui sta il bello: la codifica migliore è quella che usa soltanto 9.676 simboli, e la puoi ottenere con 3.274 bit. Ovviamente questo è un valore teorico, ma più lunga è la sequenza che vuoi codificare, più vicino puoi arrivare a questo numero”.

“Oh, bello. Ma questo discorso c'entra forse qualcosa con la compressione dei dati?”.

“Certo: ti dice qual è il massimo teorico che puoi raggiungere comprimendo quei dati”.

“Ah. E come si fa a raggiungerlo, in generale? Prendendo una sequenza qualsiasi, voglio dire, non solo la sequenza dei lanci di due dadi”.

“Ah, boh. Il teorema di Shannon ti dice solo che si può fare, non ti dice mica come”.