Questa storia, che riguarda la scuola italiana, è suddivisa in varie parti che ripercorrono i contributi dati dai vari ministri allo scopo di renderla… bé, giudicate voi e completate la frase a vostro piacimento.
1. C'era una volta, ai tempi in cui io ero studente, il concetto di continuità didattica. Secondo tale ispirato principio, un insegnante avrebbe dovuto mantenere, in anni successivi, le classi avute in precedenza, fino al completamento del ciclo scolastico. Tradotto in parole povere: chi si prende la seconda, quest'anno? Chi ha insegnato in prima l'anno scorso, perché conosce gli studenti, può proseguire il programma, non deve ricominciare, e così via.
(per chi ha fretta e ha capito: potete saltare al punto 2)
Nella scuola in cui insegno le cattedre erano organizzate, quindi, nel modo seguente. In prima c'erano 5 ore di matematica, e così anche in seconda, in terza ce n'erano 4, in quarta 3 e in quinta ancora 3. Un insegnante si poteva prendere, per esempio, una prima, una seconda, una terza e una quarta (5+5+4+3=17), l'anno dopo una nuova prima, la seconda che aveva l'anno precedente quando era una prima, la quarta — che era la terza — e la quinta — che era la quarta — (5+5+3+3=16).
L'anno successivo quell'insegnante avrebbe avuto la prima, la seconda, la terza e la quinta (5+5+4+3=17), e poi il ciclo sarebbe ricominciato, mantenendo sempre la continuità didattica. Non ho specificato che, nella mia scuola, la terza è una classe nuova: dopo il biennio gli studenti vengono smistati nelle terze di indirizzo, quindi non si ha continuità sulla terza.
2. Come la mettiamo col fatto che gli insegnanti devono fare 18 ore di lezione? Negli esempi qui sopra questo non succede mai, si arriva a 17 o addirittura a 16 ore: e le altre? Bé, ai tempi esisteva un altro concetto importante: quello di ore a disposizione. Nell'orario dell'insegnante erano inserite alcune ore (dette, appunto, ore a disposizione) in cui si doveva essere a scuola, disponibili a sostituire colleghi assenti, oppure a fare assistenza agli alunni che non volevano avvalersi dell'insegnamento della religione. Poteva capitare, ogni tanto, di non avere lezione in una di quelle ore: bisognava comunque essere a scuola disponibili, in caso di imprevisti.
3. Venne un ministro che stabilì che le ore a disposizione dovessero essere abolite. Gli orari dovevano essere composti da 18 ore effettive di lezione. Come si poteva fare, nella nostra scuola? Gli insegnanti più anziani (quelli più avanti nella graduatoria, quelli che "scelgono per primi") potevano cavarsela con un (5+5+5+3), ma con qualche problema: non ci sarebbero state abbastanza classi da 5 ore per tutti. Qualcuno si sarebbe preso una 4+4+4+3+3, ad esempio (una classe in più significa più consigli, più compiti, più ricevimenti, ma pazienza: chi viene dopo in graduatoria è giovane e si arrangia, quando sarà vecchio e non ce la farà più potrà avere una classe in meno); ma il problema più grosso è che molte continuità didattiche sarebbero saltate. Gli studenti di terza non avrebbero avuto lo stesso insegnante in quarta e in quinta, ad esempio.
Con questo sistema il ministro ottenne un risparmio di denaro: le ore a disposizione non esistevano più e, quindi, non erano da pagare. Il rendimento di qualche insegnante, però, subì un certo calo: come pensate che sia insegnare gli stessi argomenti a sei classi uguali (6×3=18 — caro insegnante, quest'anno hai sei quinte, spieghi le stesse cose e poi le porti anche all'esame)?
E come si fa con le supplenze? Bé, qualche ora a disposizione rimane comunque: a volte i conti non tornano e rimane qualche cattedra a meno di 18 ore, e se non ci sono abbastanza insegnanti, bé, convinciamo gli studenti che non fanno religione a uscire dalla scuola, o mettiamoli tutti in un'aula senza nessuno che li controlli (come? attività alternative? non scherziamo, dai). E se non si riesce a sostituire l'insegnante ammalato, via, distribuiamo gli studenti nelle altre classi (come? più di 30 studenti in un'aula? in due in un banco? e la sicurezza? le norme? non scherziamo, dai). Se proprio è necessario, la scuola paghi pure qualche insegnante per le ore critiche (le prime, ad esempio), l'importante è che non le paghi il ministero.
Fino all'anno scorso le cose stavano così. Poi, per quanto riguarda matematica, c'è stata una novità. Visto che questo post è già esageratamente lungo, la racconto nel prossimo.
4 commenti:
La legge non dice che chi è più alto in graduatoria sceglie per primo. Dice solo che l'ultima parola spetta al DS, sulla base di criteri approvati dal Consiglio di Istituto, riapprovati dal collegio. Il DS, ha facoltà di non tenere conto di questi criteri, ma dovrebbe esplicitare in Collegio il suo dissenso. Se poi nelle scuole vige il nonnismo, è un altro problema...
Sì, vero, ma di solito i criteri si rifanno all'anzianità, e se tutto va bene il DS non ci mette becco.
Direi se tutto va male, se l'anzianità è il criterio. Se invece si segue il regolamento la regola la fa il C d'I., e l'anzianità diventa uno, ma non l'unico, né il primo, dei parametri possibili. Questo ovviamente può accadere se, e solo se, un dirigente competente ci mette il becco, la faccia e, ex lege, la responsabilità penale.
Da noi non credo che esistano regole stabilite dal consiglio di istituto... Di solito il DS dice "fatemi una proposta" (cioè: scannatevi tra di voi e poi mi dite il risultato). Tra noi matematici non ci scanniamo, ma ci mettiamo d'accordo abbastanza amorevolmente. Altre materie litigano di più...
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