(Via)
lunedì 25 giugno 2012
sabato 23 giugno 2012
Erone in corsa
Uno dei quesiti assegnati quest'anno all'esame di stato agli studenti del liceo scientifico riguardava il problema di Erone, che ora enuncio dandogli un'ambientazione sportiva (ehm).
Si tratta di un problema di corsa, per cui il nostro protagonista sarà, ovviamente, il piè veloce Achille. Egli dovrà percorrere, nel minor tempo possibile, la distanza tra un punto A e un punto B, e dovrà anche toccare con una mano un qualunque punto del muro rettilineo che corre a fianco della zona in cui si svolgerà la prova.
Il problema è il seguente: dove dovrà essere posizionato il punto C in modo tale che Achille perda il minor tempo possibile?
Se C si trova troppo vicino ad A, ad esempio, spostandolo un po' verso B otteniamo due risultati: la lunghezza di CB diminuisce, e quella di AC aumenta. Il fatto è che la diminuzione e l'aumento non si compensano: AC varia meno rispetto a CB, dato che CB forma un angolo piccolo col muro, mentre AC ne forma uno più grande. Ecco un disegno:
La differenza tra AC e AD (ciò che perdiamo) è minore rispetto alla differenza tra CB e DB (ciò che guadagniamo), quindi D risulta una posizione migliore rispetto a C: se Achille tocca il muro in D, invece che in C, guadagna un po' di strada.
Se invece C si trova troppo vicino a B, il problema si ribalta (ma rimane un problema):
Quello che succede in questo caso è che la differenza tra AC e AD è maggiore di quella tra BD e BC. Anche in questo caso ad Achille conviene toccare il punto D invece del punto C.
Dunque, nel primo caso conviene spostare D verso l'alto, nel secondo caso invece conviene spostarlo verso il basso. Esisterà dunque un punto giusto in cui tutto è in equilibrio e non conviene più spostarsi.
Come facciamo a trovarlo?
Facciamolo alla Newton, o alla Leibniz — insomma, senza gli strumenti standard dell'analisi.
Il punto C ideale sarà un punto tale per cui, se mi sposto di una quantità infinitesima verso l'alto o verso il basso, non trovo convenienza. Questo succede quando ciò che perdo nella variazione di una delle due lunghezze è uguale a ciò che guadagno nella variazione dell'altra: quando, insomma, c'è equilibrio.
Ora, per visualizzare uno spostamento infinitesimo, abbiamo bisogno di una lente di ingrandimento molto potente. Supponiamo quindi di disporre di un microscopio capace di infiniti ingrandimenti, e andiamo a vedere come stanno le cose intorno a questo misterioso punto di equilibrio.
Ecco, cosa vediamo in questa figura? Ci sono due punti C1 e C2 che, non dimentichiamo, sono infinitamente vicini. Riusciamo a risolverli perché stiamo utilizzando un microscopio capace di ingrandire all'infinito. I due segmenti che congiungono questi punti con A ci appaiono infinitamente lunghi (e perciò sono delle semirette), e ci appaiono anche paralleli, dato che il punto A si trova a distanza infinita. Stessa cosa per le due semirette blu che sono parallele e convergenti in B (convergenze parallele, roba da matti).
Se la posizione di C è quella giusta (come, quale delle due? Vanno bene tutte e due, sono a distanza infinitesima…), allora il passare da C1 a C2 farà aumentare un po' la lunghezza del segmento rosso, e farà diminuire della stessa lunghezza il segmento blu. Vediamo di mettere in evidenza queste due differenze.
Ecco, la differenza tra AC2 e AC1 è uguale alla lunghezza del segmento HC2, mentre la differenza tra BC1 e BC2 è pari alla lunghezza del segmento KC1. E noi abbiamo detto che questi due segmenti devono avere la stessa lunghezza. Ma allora siamo di fronte a due triangoli rettangoli aventi la stessa ipotenusa C1C2 e aventi anche due cateti di uguale misura: si tratta quindi di due triangoli rettangoli congruenti, e saranno congruenti anche i loro angoli acuti. In particolare, l'angolo che la semiretta rossa forma con il muro dovrà essere uguale all'angolo che la semiretta blu forma con il muro.
Il punto ideale, quello che farà perdere ad Achille la minor quantità di tempo possibile, sarà quel punto C del muro tale per cui AC e CB formano due angoli congruenti con il muro stesso.
Ed ecco fatto.
«Eppure, signor Achille, tutta questa fatica…».
«Ah, signorina Tartaruga, buonasera! Perché mi dice così?».
«Bé, perché ha fatto un sacco di calcoli, di figure, e poi ha usato dei concetti un po' strani».
«Dice?».
«Mah, parla di distanze infinitesime, di microscopi infiniti? Ma cosa sono questi infinitesimi? Mi paiono fantasmi di quantità defunte».
«Eh, ma allora come…».
«Ma proprio lei, un atleta, mi chiede come?».
«Mi scusi, ma cosa c'entra adesso il fatto che io sia un atleta?».
«So che voi atleti, nelle palestre, avete sempre degli specchi in cui ammirarvi, no?».
«In effetti».
«E, del resto, lei ha appena dimostrato, per così dire, che per correre il più veloce possibile dovrebbe arrivare verso il muro formando un angolo identico a quello che dovrà poi formare quando si dirigerà verso l'arrivo».
«Esattamente».
«Detto in altri termini, l'angolo di incidenza deve essere uguale all'angolo di riflessione».
«Ah, ma lei mi sta parlando del modo in cui gli specchi riflettono la luce».
«Proprio così. Se lei mettesse uno specchio sul muro, prima di partire per la corsa, avrebbe a disposizione un modo semplicissimo per trovare il suo famoso punto C».
«E quale sarebbe, questo modo?».
«Bé, le basterebbe dirigersi verso l'immagine riflessa del traguardo».
«Signorina Tartaruga, devo ammettere che lei è sempre un passo avanti rispetto a me».
«Signor Achille, lei ha la memoria corta: questo lo avevamo già stabilito ai tempi della nostra famosa corsa».
Si tratta di un problema di corsa, per cui il nostro protagonista sarà, ovviamente, il piè veloce Achille. Egli dovrà percorrere, nel minor tempo possibile, la distanza tra un punto A e un punto B, e dovrà anche toccare con una mano un qualunque punto del muro rettilineo che corre a fianco della zona in cui si svolgerà la prova.
Il problema è il seguente: dove dovrà essere posizionato il punto C in modo tale che Achille perda il minor tempo possibile?
Se C si trova troppo vicino ad A, ad esempio, spostandolo un po' verso B otteniamo due risultati: la lunghezza di CB diminuisce, e quella di AC aumenta. Il fatto è che la diminuzione e l'aumento non si compensano: AC varia meno rispetto a CB, dato che CB forma un angolo piccolo col muro, mentre AC ne forma uno più grande. Ecco un disegno:
La differenza tra AC e AD (ciò che perdiamo) è minore rispetto alla differenza tra CB e DB (ciò che guadagniamo), quindi D risulta una posizione migliore rispetto a C: se Achille tocca il muro in D, invece che in C, guadagna un po' di strada.
Se invece C si trova troppo vicino a B, il problema si ribalta (ma rimane un problema):
Quello che succede in questo caso è che la differenza tra AC e AD è maggiore di quella tra BD e BC. Anche in questo caso ad Achille conviene toccare il punto D invece del punto C.
Dunque, nel primo caso conviene spostare D verso l'alto, nel secondo caso invece conviene spostarlo verso il basso. Esisterà dunque un punto giusto in cui tutto è in equilibrio e non conviene più spostarsi.
Come facciamo a trovarlo?
Facciamolo alla Newton, o alla Leibniz — insomma, senza gli strumenti standard dell'analisi.
Il punto C ideale sarà un punto tale per cui, se mi sposto di una quantità infinitesima verso l'alto o verso il basso, non trovo convenienza. Questo succede quando ciò che perdo nella variazione di una delle due lunghezze è uguale a ciò che guadagno nella variazione dell'altra: quando, insomma, c'è equilibrio.
Ora, per visualizzare uno spostamento infinitesimo, abbiamo bisogno di una lente di ingrandimento molto potente. Supponiamo quindi di disporre di un microscopio capace di infiniti ingrandimenti, e andiamo a vedere come stanno le cose intorno a questo misterioso punto di equilibrio.
Ecco, cosa vediamo in questa figura? Ci sono due punti C1 e C2 che, non dimentichiamo, sono infinitamente vicini. Riusciamo a risolverli perché stiamo utilizzando un microscopio capace di ingrandire all'infinito. I due segmenti che congiungono questi punti con A ci appaiono infinitamente lunghi (e perciò sono delle semirette), e ci appaiono anche paralleli, dato che il punto A si trova a distanza infinita. Stessa cosa per le due semirette blu che sono parallele e convergenti in B (convergenze parallele, roba da matti).
Se la posizione di C è quella giusta (come, quale delle due? Vanno bene tutte e due, sono a distanza infinitesima…), allora il passare da C1 a C2 farà aumentare un po' la lunghezza del segmento rosso, e farà diminuire della stessa lunghezza il segmento blu. Vediamo di mettere in evidenza queste due differenze.
Ecco, la differenza tra AC2 e AC1 è uguale alla lunghezza del segmento HC2, mentre la differenza tra BC1 e BC2 è pari alla lunghezza del segmento KC1. E noi abbiamo detto che questi due segmenti devono avere la stessa lunghezza. Ma allora siamo di fronte a due triangoli rettangoli aventi la stessa ipotenusa C1C2 e aventi anche due cateti di uguale misura: si tratta quindi di due triangoli rettangoli congruenti, e saranno congruenti anche i loro angoli acuti. In particolare, l'angolo che la semiretta rossa forma con il muro dovrà essere uguale all'angolo che la semiretta blu forma con il muro.
Il punto ideale, quello che farà perdere ad Achille la minor quantità di tempo possibile, sarà quel punto C del muro tale per cui AC e CB formano due angoli congruenti con il muro stesso.
Ed ecco fatto.
«Eppure, signor Achille, tutta questa fatica…».
«Ah, signorina Tartaruga, buonasera! Perché mi dice così?».
«Bé, perché ha fatto un sacco di calcoli, di figure, e poi ha usato dei concetti un po' strani».
«Dice?».
«Mah, parla di distanze infinitesime, di microscopi infiniti? Ma cosa sono questi infinitesimi? Mi paiono fantasmi di quantità defunte».
«Eh, ma allora come…».
«Ma proprio lei, un atleta, mi chiede come?».
«Mi scusi, ma cosa c'entra adesso il fatto che io sia un atleta?».
«So che voi atleti, nelle palestre, avete sempre degli specchi in cui ammirarvi, no?».
«In effetti».
«E, del resto, lei ha appena dimostrato, per così dire, che per correre il più veloce possibile dovrebbe arrivare verso il muro formando un angolo identico a quello che dovrà poi formare quando si dirigerà verso l'arrivo».
«Esattamente».
«Detto in altri termini, l'angolo di incidenza deve essere uguale all'angolo di riflessione».
«Ah, ma lei mi sta parlando del modo in cui gli specchi riflettono la luce».
«Proprio così. Se lei mettesse uno specchio sul muro, prima di partire per la corsa, avrebbe a disposizione un modo semplicissimo per trovare il suo famoso punto C».
«E quale sarebbe, questo modo?».
«Bé, le basterebbe dirigersi verso l'immagine riflessa del traguardo».
«Signorina Tartaruga, devo ammettere che lei è sempre un passo avanti rispetto a me».
«Signor Achille, lei ha la memoria corta: questo lo avevamo già stabilito ai tempi della nostra famosa corsa».
martedì 12 giugno 2012
venerdì 8 giugno 2012
Brave maestre1
Sono stato assieme ai miei figli soltanto durante quattro delle varie scosse grosse di terremoto che sono capitate da queste parti.
La prima è capitata nel cuore della notte, e vabbé, io mi sono fiondato nella loro camera mentre stavano svegliandosi, ma durante le altre ho notato una assoluta lucidità nel loro comportamento. Mentre io sono ancora lì a chiedermi eh, ma questa è un'altra scossa o è solo un'impressione? Aspetta che cerco un lampadario. Ma sarà di quelle forti? O passa subito? Vediamo di capire che succede, loro sono già sotto al tavolo più vicino. Senza domande, senza storie, senza urla, via, la prima cosa da fare è ripararsi, al resto ci pensiamo dopo. E questo è merito delle maestre.
Ieri, dato che a Modena sono state dichiarate concluse le attività didattiche, le maestre della classe del mio figlio piccolo hanno invitato alunni e genitori al parco per un saluto. E lì mi hanno spiegato che loro fanno spesso esercitazioni, anche a sorpresa, in maniera seria. E se, fra qualche anno, anche alle superiori avremo ragazzi che imparano a mettere la testa sotto al banco senza storie, senza vergogna, senza ma prof come faccio che non ci sto?, senza quell'aria di superiorità che si trasforma in folle terrore e irrazionalità quando capita una scossa vera, bé, sapremo chi ringraziare.
1Anche bravi maestri, via (ma secondo me le maestre sono più brave, son più precise).
La prima è capitata nel cuore della notte, e vabbé, io mi sono fiondato nella loro camera mentre stavano svegliandosi, ma durante le altre ho notato una assoluta lucidità nel loro comportamento. Mentre io sono ancora lì a chiedermi eh, ma questa è un'altra scossa o è solo un'impressione? Aspetta che cerco un lampadario. Ma sarà di quelle forti? O passa subito? Vediamo di capire che succede, loro sono già sotto al tavolo più vicino. Senza domande, senza storie, senza urla, via, la prima cosa da fare è ripararsi, al resto ci pensiamo dopo. E questo è merito delle maestre.
Ieri, dato che a Modena sono state dichiarate concluse le attività didattiche, le maestre della classe del mio figlio piccolo hanno invitato alunni e genitori al parco per un saluto. E lì mi hanno spiegato che loro fanno spesso esercitazioni, anche a sorpresa, in maniera seria. E se, fra qualche anno, anche alle superiori avremo ragazzi che imparano a mettere la testa sotto al banco senza storie, senza vergogna, senza ma prof come faccio che non ci sto?, senza quell'aria di superiorità che si trasforma in folle terrore e irrazionalità quando capita una scossa vera, bé, sapremo chi ringraziare.
1Anche bravi maestri, via (ma secondo me le maestre sono più brave, son più precise).
lunedì 4 giugno 2012
Il problema dei corsi universitari di matematica
Il problema dei corsi universitari di matematica — che consistono quasi per intero di un processo ritmico di ingestione/rigurgito di informazioni astratte e sono strutturati in modo da massimizzare questo flusso di dati reciproco — è che la loro estrema difficoltà superficiale può indurci a pensare di sapere veramente qualcosa quando tutto ciò che davvero "sappiamo" sono formule astratte e regole per il loro utilizzo. Di rado i corsi di matematica ci dicono se una data formula è davvero significativa, o perché, o da dove è arrivata, o cosa c'era in gioco.
David Foster Wallace, Tutto, e di più. Storia compatta dell'∞.
sabato 2 giugno 2012
Di proporzionalità, logaritmi e argomenti affini
Succede che, a un certo punto, l'insegnante di matematica delle medie ti spiega la proporzionalità, e da quel momento in poi il tuo modo di pensare cambia. Se devi fare qualche calcolo, qualche stima, qualche analogia, appena puoi ci piazzi in mezzo una proporzione. E non ti rendi conto che non tutto il mondo funziona così.
Prendiamo per esempio un argomento molto attuale, almeno da queste parti: la scala Richter (prima di cominciare: i numerini che leggiamo con tanta apprensione in questi giorni e che misurano l'intensità dei terremoti non sono valori della scala Richter. Quella scala non esiste praticamente più, è stata modificata in modo da essere più precisa e ora si chiama scala di magnitudo del momento sismico, ma ai fini del discorso sulle proporzioni questo fatto non è importante).
La scala Richter funziona così: si prende un particolare strumento sensibile ai terremoti, con una lancetta mobile, ci si mette a 100 km dall'epicentro, e si guarda se la lancetta si sposta. Se si sposta di un micrometro (quindi di pochissimo), diciamo che abbiamo misurato una magnitudo di valore 0. In questo caso, i nostri piedi non sentono assolutamente nulla, il terreno ci pare bello stabile e solido. In realtà, nemmeno lo strumento legge nulla, non è possibile apprezzare un movimento di una lancetta pari a un milionesimo di metro. Questa definizione serve solo per fissare lo zero della scala.
Cosa succede coi terremoti veri? Che la lancetta si sposta anche di molti centimetri, fino a che non si arriva a fine scala. Già, perché i terremoti più grossi avrebbero la potenza sufficiente a spostare la lancetta di chilometri (!).
Molti centimetri significa moltissimi micrometri (per esempio, dieci centimetri sono centomila micrometri), e allora nasce il problema di rappresentare i dati in maniera chiara.
Ad esempio, prendiamo un po' di dati dal sito INGV (faccio finta che le magnitudini indicate siano nella scala Richter, per semplicità). Prima di mostrarli, li trasformo in spostamenti della lancetta di un sismografo (l'unità di misura è il millimetro):
E ora li metto su un grafico:
Per fortuna le scosse di oggi non sono state tanto grandi. Ora faccio una piccola modifica al grafico: assieme a questi dati aggiungo la scossa più forte di questi giorni, quella del 20 maggio.
Ecco, non è che le barre precedenti siano sparite; se guardate la scala sull'asse verticale si capisce dove sono andate a finire: tutte indistinguibili dallo zero, anche se non sono uguali a zero. In proporzione, sembra che la loro altezza sia quasi nulla. L'oscillazione della scossa più grande sarebbe di una cinquantina di metri (naturalmente in via teorica, in pratica non esistono strumenti così grandi).
Ora la domanda è: perché? E la risposta è che la natura è fatta così. La terra è grande.
Passiamo adesso, temporaneamente, ad un altro argomento: le bombe. Su wikipedia si trovano delle tabelle che mettono in corrispondenza l'energia sprigionata dai terremoti con quella prodotta dalle bombe.
Immaginiamo ad esempio una bomba a mano: questa fa un certo fracasso (anche se io non ne ho mai sentita scoppiare una) e produce un certo danno. Contiene circa 30 grammi di esplosivo (wikipedia usa il TNT, non so se nella realtà si usi questo materiale oppure qualcos'altro) e fa vibrare il terreno in un certo modo.
Ora, il genio umano ha costruito ordigni ben più letali. Un candelotto di dinamite contiene tanto esplosivo quanto 36 bombe a mano; una delle più potenti bombe non nucleari contiene 11 tonnellate di esplosivo, quanto diecimila candelotti di dinamite.
La prima bomba atomica utilizzata in guerra, Little Boy, pare che abbia sviluppato una potenza di 16 kilotoni, corrispondente quindi a una bomba ordinaria di 16000 tonnellate. Insomma, poco meno di 16 milioni di candelotti di dinamite. La più grande bomba all'idrogeno mai testata, la bomba Zar (ehm), è in grado di sviluppare un'energia corrispondente a 50 megatoni. Circa 3125 volte Hiroshima. Circa un terremoto di magnitudo 8.35.
Come possiamo rappresentare questi dati in modo da riuscire a vederli? Se vogliamo utilizzare la proporzionalità (una barra verticale rappresenta una bomba, una barra alta il doppio rappresenta una bomba di potenza doppia), non ce la facciamo: vedremmo solo la barra della bomba più potente, e ciao a tutto il resto. Stessa cosa per i terremoti.
È per questo che si usano i logaritmi: per riuscire a vedere in maniera chiara tutta questa gamma di valori. Il logaritmo funziona in questo modo: considera il numero che vogliamo rappresentare, lo trasforma in una potenza di 10, e prende solo l'esponente. Quindi 10 diventa 1, 100 diventa 2, un miliardo diventa 9: riusciamo a vedere bene nel piccolo quanto nel grande. Il prezzo da pagare è che la proporzionalità non funziona più. La magnitudo Richter, infatti, corrisponde al logaritmo della misura in micrometri dello spostamento dell'ago dello strumento. Si sposta di un micrometro? Bene, siccome 1 è come dire 10 elevato alla 0, ecco che 1 micrometro corrisponde a 0 Richter. Si sposta di un centimetro? Allora, un centimetro corrisponde a 10000 micrometri, cioè a 10 elevato alla 4, e dunque la magnitudo è 4.
Si può andare anche all'indietro: a quanto corrisponde una magnitudo 3? Corrisponde a 10 elevato alla 3 micrometri, cioè 1000 micrometri, cioè 1 millimetro. Ecco, qua si vede come la proporzionalità non funzioni per nulla: se magnitudo 3 corrisponde a 1 millimetro, allora magnitudo 6 dovrebbe corrispondere a 2 millimetri. Invece no: magnitudo 6 è pari a 106 micrometri, cioè 1000 millimetri, cioè 1 metro, e tanti saluti al fondo scala.
Proporzionalità significa che il rapporto tra due grandezze è costante. Detto in altri termini, se una grandezza varia in progressione aritmetica, anche l'altra varia in progressione aritmetica. Una cosa del genere:
In questo esempio sull'asse orizzontale ci si sposta di passo 1, su quello verticale di passo 2. Se prendiamo un valore qualsiasi sull'asse orizzontale e lo raddoppiamo, triplichiamo, eccetera, anche sull'asse verticale il valore corrispondente raddoppia, triplica, eccetera.
I logaritmi, invece, godono di un'altra proprietà: trasformano progressioni geometriche in progressioni aritmetiche. Ecco un grafico:
Non fate caso alle scale, non ho usato il logaritmo in base 10 perché altrimenti la figura sarebbe risultata ancora più schiacciata. La cosa importante da notare è che a uno spostamento sempre più grande (in progressione geometrica) sull'asse orizzontale corrisponde uno spostamento di entità costante (in progressione aritmetica) sull'asse verticale.
Il discorso vale anche al contrario: a spostamenti costanti in verticale corrispondono spostamenti sempre più grandi in orizzontale. Ecco perché nei giorni scorsi abbiamo letto paragoni che non stavano molto in piedi tra il sisma dell'Emilia e quello dell'Aquila. Qui in Emilia la magnitudo momento (una delle nuove scale utilizzate al posto della Richter) ha raggiunto il valore di 5.9, all'Aquila invece 6.3.
La formula per il calcolo di questo valore di magnitudo contiene il logaritmo in base 10 moltiplicato per 2/3. Se, dunque, la differenza tra le magnitudo dei due sismi è uguale a 0.4, questo significa che la differenza tra i logaritmi dei due valori misurati (che non corrispondono più ai valori di spostamento di un ago, ma che comunque sono legati all'energia sprigionata) è uguale ai 3/2 di 0.4, cioè 0.6. E questo, infine, significa che il rapporto tra le energie in gioco nei due sismi è pari a 10 elevato a 0.6, cioè circa 4 volte tanto. Da noi c'è stata una bomba, da loro ce ne sono state quattro.
Prendiamo per esempio un argomento molto attuale, almeno da queste parti: la scala Richter (prima di cominciare: i numerini che leggiamo con tanta apprensione in questi giorni e che misurano l'intensità dei terremoti non sono valori della scala Richter. Quella scala non esiste praticamente più, è stata modificata in modo da essere più precisa e ora si chiama scala di magnitudo del momento sismico, ma ai fini del discorso sulle proporzioni questo fatto non è importante).
La scala Richter funziona così: si prende un particolare strumento sensibile ai terremoti, con una lancetta mobile, ci si mette a 100 km dall'epicentro, e si guarda se la lancetta si sposta. Se si sposta di un micrometro (quindi di pochissimo), diciamo che abbiamo misurato una magnitudo di valore 0. In questo caso, i nostri piedi non sentono assolutamente nulla, il terreno ci pare bello stabile e solido. In realtà, nemmeno lo strumento legge nulla, non è possibile apprezzare un movimento di una lancetta pari a un milionesimo di metro. Questa definizione serve solo per fissare lo zero della scala.
Cosa succede coi terremoti veri? Che la lancetta si sposta anche di molti centimetri, fino a che non si arriva a fine scala. Già, perché i terremoti più grossi avrebbero la potenza sufficiente a spostare la lancetta di chilometri (!).
Molti centimetri significa moltissimi micrometri (per esempio, dieci centimetri sono centomila micrometri), e allora nasce il problema di rappresentare i dati in maniera chiara.
Ad esempio, prendiamo un po' di dati dal sito INGV (faccio finta che le magnitudini indicate siano nella scala Richter, per semplicità). Prima di mostrarli, li trasformo in spostamenti della lancetta di un sismografo (l'unità di misura è il millimetro):
1.7 9.6 1.7 1.0 4.1 9.6 2.7 1.7 2.7 4.1 2.7 6.3 9.5 6.3 4.1 1.0 112.6
E ora li metto su un grafico:
Per fortuna le scosse di oggi non sono state tanto grandi. Ora faccio una piccola modifica al grafico: assieme a questi dati aggiungo la scossa più forte di questi giorni, quella del 20 maggio.
Ecco, non è che le barre precedenti siano sparite; se guardate la scala sull'asse verticale si capisce dove sono andate a finire: tutte indistinguibili dallo zero, anche se non sono uguali a zero. In proporzione, sembra che la loro altezza sia quasi nulla. L'oscillazione della scossa più grande sarebbe di una cinquantina di metri (naturalmente in via teorica, in pratica non esistono strumenti così grandi).
Ora la domanda è: perché? E la risposta è che la natura è fatta così. La terra è grande.
Passiamo adesso, temporaneamente, ad un altro argomento: le bombe. Su wikipedia si trovano delle tabelle che mettono in corrispondenza l'energia sprigionata dai terremoti con quella prodotta dalle bombe.
Immaginiamo ad esempio una bomba a mano: questa fa un certo fracasso (anche se io non ne ho mai sentita scoppiare una) e produce un certo danno. Contiene circa 30 grammi di esplosivo (wikipedia usa il TNT, non so se nella realtà si usi questo materiale oppure qualcos'altro) e fa vibrare il terreno in un certo modo.
Ora, il genio umano ha costruito ordigni ben più letali. Un candelotto di dinamite contiene tanto esplosivo quanto 36 bombe a mano; una delle più potenti bombe non nucleari contiene 11 tonnellate di esplosivo, quanto diecimila candelotti di dinamite.
La prima bomba atomica utilizzata in guerra, Little Boy, pare che abbia sviluppato una potenza di 16 kilotoni, corrispondente quindi a una bomba ordinaria di 16000 tonnellate. Insomma, poco meno di 16 milioni di candelotti di dinamite. La più grande bomba all'idrogeno mai testata, la bomba Zar (ehm), è in grado di sviluppare un'energia corrispondente a 50 megatoni. Circa 3125 volte Hiroshima. Circa un terremoto di magnitudo 8.35.
Come possiamo rappresentare questi dati in modo da riuscire a vederli? Se vogliamo utilizzare la proporzionalità (una barra verticale rappresenta una bomba, una barra alta il doppio rappresenta una bomba di potenza doppia), non ce la facciamo: vedremmo solo la barra della bomba più potente, e ciao a tutto il resto. Stessa cosa per i terremoti.
È per questo che si usano i logaritmi: per riuscire a vedere in maniera chiara tutta questa gamma di valori. Il logaritmo funziona in questo modo: considera il numero che vogliamo rappresentare, lo trasforma in una potenza di 10, e prende solo l'esponente. Quindi 10 diventa 1, 100 diventa 2, un miliardo diventa 9: riusciamo a vedere bene nel piccolo quanto nel grande. Il prezzo da pagare è che la proporzionalità non funziona più. La magnitudo Richter, infatti, corrisponde al logaritmo della misura in micrometri dello spostamento dell'ago dello strumento. Si sposta di un micrometro? Bene, siccome 1 è come dire 10 elevato alla 0, ecco che 1 micrometro corrisponde a 0 Richter. Si sposta di un centimetro? Allora, un centimetro corrisponde a 10000 micrometri, cioè a 10 elevato alla 4, e dunque la magnitudo è 4.
Si può andare anche all'indietro: a quanto corrisponde una magnitudo 3? Corrisponde a 10 elevato alla 3 micrometri, cioè 1000 micrometri, cioè 1 millimetro. Ecco, qua si vede come la proporzionalità non funzioni per nulla: se magnitudo 3 corrisponde a 1 millimetro, allora magnitudo 6 dovrebbe corrispondere a 2 millimetri. Invece no: magnitudo 6 è pari a 106 micrometri, cioè 1000 millimetri, cioè 1 metro, e tanti saluti al fondo scala.
Proporzionalità significa che il rapporto tra due grandezze è costante. Detto in altri termini, se una grandezza varia in progressione aritmetica, anche l'altra varia in progressione aritmetica. Una cosa del genere:
In questo esempio sull'asse orizzontale ci si sposta di passo 1, su quello verticale di passo 2. Se prendiamo un valore qualsiasi sull'asse orizzontale e lo raddoppiamo, triplichiamo, eccetera, anche sull'asse verticale il valore corrispondente raddoppia, triplica, eccetera.
I logaritmi, invece, godono di un'altra proprietà: trasformano progressioni geometriche in progressioni aritmetiche. Ecco un grafico:
Non fate caso alle scale, non ho usato il logaritmo in base 10 perché altrimenti la figura sarebbe risultata ancora più schiacciata. La cosa importante da notare è che a uno spostamento sempre più grande (in progressione geometrica) sull'asse orizzontale corrisponde uno spostamento di entità costante (in progressione aritmetica) sull'asse verticale.
Il discorso vale anche al contrario: a spostamenti costanti in verticale corrispondono spostamenti sempre più grandi in orizzontale. Ecco perché nei giorni scorsi abbiamo letto paragoni che non stavano molto in piedi tra il sisma dell'Emilia e quello dell'Aquila. Qui in Emilia la magnitudo momento (una delle nuove scale utilizzate al posto della Richter) ha raggiunto il valore di 5.9, all'Aquila invece 6.3.
La formula per il calcolo di questo valore di magnitudo contiene il logaritmo in base 10 moltiplicato per 2/3. Se, dunque, la differenza tra le magnitudo dei due sismi è uguale a 0.4, questo significa che la differenza tra i logaritmi dei due valori misurati (che non corrispondono più ai valori di spostamento di un ago, ma che comunque sono legati all'energia sprigionata) è uguale ai 3/2 di 0.4, cioè 0.6. E questo, infine, significa che il rapporto tra le energie in gioco nei due sismi è pari a 10 elevato a 0.6, cioè circa 4 volte tanto. Da noi c'è stata una bomba, da loro ce ne sono state quattro.
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