“Cominci con i numeri reali, allora?”.
“Mah...”.
“Cosa?”.
“Che bisogno c'è?”.
“Eh?”.
“Voglio dire: a cosa ci serve? Hai mai visto un numero reale?”.
“Se è per questo non ho mai visto nemmeno un numero naturale”.
“No? Guardati la mano?”.
“Cos'ha?”.
“Quante dita ci sono?”.
“Cinque”.
“Ecco. Un numero naturale”.
“No, un momento, non è un numero naturale. È un insieme di oggetti reali, tangibili, composto da cinque elementi. Cinque rappresenta solo la quantità di elementi”.
“Quindi tu sostieni che un numero esiste solo se puoi in qualche modo toccarlo? Altrimenti non esiste?”.
“Bé, sì”.
“Chiedi a uno studente che ha avuto un cinque in pagella se quel cinque è reale oppure no”.
“Ma dai, cosa c'entra?”.
“C'entra eccome: un cinque in pagella, un simbolo intangibile e, per te, non esistente, ha degli effetti (di solito negativi) sulla vita del povero studente. Per lui è certamente reale. A volte prendere un cinque comporta una diminuzione negli introiti di denaro dello studente, altre volte comporta arrossamenti dei glutei, privazioni di qualche libertà, mancanza di banda nella connessione a internet, improvvise sparizioni di modem, isolamento dalle comunicazioni telefoniche, lavoro estivo. Tutto realissimo”.
“Vabbé. Quindi? I numeri naturali esistono, i reali no?”.
“Proprio così. Prendi questo tavolo, se lo tagli a metà cosa ottieni?”.
“Due mezzi tavoli”.
“Per quanto tu voglia tagliarlo, otterrai sempre parti misurabili con frazioni. Poi a un certo punto ti fermi, non puoi certo andare avanti all'infinito”.
“Va bene, ma il tavolo è un oggetto reale”.
“Certo che è reale. E per misurare un oggetto reale non servono i numeri reali. Ti pare logico?”.
“Effettivamente...”.
“La favola della continuità è una invenzione. Non esiste la continuità, tutto è discreto. A chi servono i numeri reali?”.
“Mamma mia, ma ti senti bene?”.
“Mai stato meglio! Abbiamo visto che con i numeri naturali possiamo definire gli interi e i razionali. Tutto è misurabile con i razionali, non ci serve altro!”.
“Ma allora, la faccenda della diagonale del quadrato...”.
“Cosacosacosa?”.
“Ma sì, dai, il fatto che la diagonale di un quadrato non si può esprimere in nessun modo come frazione del lato”.
“Mmmmh”.
“Cosa?”.
“Tra un po' vai in vacanza, vero?”.
“Eh? Sì, ma cosa c'entra?”.
“E come vai? In nave?”.
“Sì, ma... Sicuro di stare bene?”.
“Sì, sì, non ti preoccupare. Ecco, più o meno è andata così”.
“Cosa?”.
“La vicenda della scoperta dei numeri irrazionali, che ha portato alla consapevolezza che i numeri razionali non sono sufficienti. La scoperta, insomma, del fatto che anche se i numeri razionali riempiono una retta in modo denso, rimangono comunque di buchi”.
“Sai, per un attimo ho pensato che tu fossi impazzito”.
“Ho solo fatto finta di essere Pitagora. La leggenda narra che il divulgatore di questa notizia abbia fatto una brutta fine”.
“L'hanno ammazzato?”.
“Diciamo che la sua nave è naufragata. Almeno questa è la versione ufficiale”.
“Anche Pitagora non era sano di mente, allora”.
“Il fatto è che in un certo senso aveva ragione: i numeri reali non servirebbero per descrivere la natura. E nonostante questo li chiamiamo reali: sembra una presa in giro”.
“E allora perché li definiamo?”.
“L'hai detto tu: se ammetti l'esistenza di un quadrato ideale, hai bisogno di definire la radice di due. È necessario. E anche su questo termine ci sarebbe molto da discutere”.
“Sì, è vero. Basta anche solo parlare di numeri naturali per dare avvio a qualche discussione filosofica”.
“Infatti. Eppure, se ammettiamo l'esistenza dei numeri naturali, necessariamente dobbiamo arrivare a definire i numeri reali: è una questione di completezza. Se sulla retta dei numeri (razionali) ci sono ancora dei buchi, vuole dire che esistono altri numeri. Sono già lì, aspettano solo di essere scoperti ”.
“Ma allora, li costruiamo o li scopriamo?”.
“O li descriviamo? Questo è pane per i filosofi”.
“Mi viene in mente una storiella, sui matematici e i filosofi...”.
“Quale?”.
“Un fisico sperimentale, per lavorare, ha bisogno di carta, penna, di un cestino per buttare via i conti sbagliati, e di un acceleratore di particelle. Un fisico teorico, invece, ha bisogno di carta, penna, un cestino, e un terminale col quale poter accedere alle risorse di qualche supercomputer. Un matematico ha bisogno solo di carta, penna e cestino. Coi filosofi puoi risparmiare il prezzo del cestino”.
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