sabato 7 marzo 2020

Capacità — 2. Δ

“Siamo arrivati a scrivere la formula di Fibonacci in questo modo:”.

ΔFn = Fn-1.

“Sì, ma non capisco bene perché”.

“Proviamo a studiare il funzionamento di questo Δ, così poi si capirà qualcosa di più”.

“Proviamo”.

“Quanto vale, per esempio, Δ42?”.

“Non capisco proprio la domanda”.

“La possiamo tradurre così: di quanto varia la successione an = 42, ogni volta che n aumenta di 1?”.

“Ma non varia!”.

“Esatto. Quindi Δ42 = 0”.

“Tutto qua?”.

“Tutto qua. Adesso: quanto vale Δn?”.

“Aspetta che provo a tradurre: di quanto varia la successione an= n, ogni volta che n aumenta di 1?”.

“Giusto, hai tradotto bene”.

“Mi piacerebbe di più girare la domanda in questo modo: quanto vale an+1 an?”.

“Sì, è la stessa cosa”.

“Allora il calcolo è facile: (n+1) − n fa 1. Ogni volta che n aumenta di 1, an aumenta di 1, perché è la stessa cosa.”.

“Certo, è una cosa ovvia. Se mettiamo nella prima riga di una tabella i valori di n, e nella seconda i valori che si ottengono facendo la differenza tra i termini di due caselle consecutive, otteniamo una tabella come questa:”.

1 2 3 4 5
1 1 1 1 //

“Sì, è decisamente ovvio. 2 − 1 fa 1, 3 − 2 fa 1, e così via”.

“Ottimo. Altra domanda: quanto fa Δn2?”.

“Provo a giocare un po' con la tabella:”.

0 1 4 9 16
1 3 5 7 //

“Esatto”.

“Nella riga delle differenze ci sono i numeri dispari, direi”.

“Diresti bene, ma come puoi dimostrarlo?”.

“Forse dovrei fare il calcolo algebrico”.

“Prova”.

“Vediamo: Δn= (+ 1)n2, vero?”.

“Vero. Ora svolgi i calcoli”.

“Ecco: (+ 1)n2 = n2 + 2n + 1 − n2 = 2+ 1. È corretto, 2n + 1 è sempre un numero dispari”.

“Benissimo”.

“Mi sembra anche di cogliere un legame con le derivate: se ben ricordo, anche loro fanno abbassare il grado”.

“Solo dei polinomi!”.

“Ah, io ricordo quelle, ehm”.

“Uff. Comunque, sì, l'operatore Δ fa sempre abbassare il grado di una potenza: quando calcoli Δnp ti risulta (n + 1)p np…”.

“… e quando svolgo la potenza di (n + 1) ottengo sempre, come primo termine, np, che si semplifica con il − np che si trova alla fine. Ho capito, ma allora…”.

“Cosa succede?”.

“Eh, se il grado cala sempre, come è possibile che l'equazione di Fibonacci sia vera? Come è possibile che ΔFn abbia lo stesso grado di Fn-1? L'equazione dice anzi molto di più, e cioè che ΔFn deve essere uguale a Fn-1, ma se non possono avere nemmeno lo stesso grado…”.

“Vorrà dire che Fn non è un polinomio”.

“Ah”.

“Vedi come all'improvviso si aprono nuovi mondi”.

“Eh. Ma se non è un polinomio, allora, cosa può essere?”.

“Guarda questa tabella”.

1 2 4 8 16
1 2 4 8 //

“Hai sbagliato qualcosa? Hai ricopiato la riga di sopra su quella di sot… oh”.

“Visto?”.

“Vedo! Non hai ricopiato, hai calcolato le differenze, che sono uguali alla successione di partenza”.

“Esatto. Riconosci la successione di partenza? Puoi scriverne l'espressione e verificare che tutto sia corretto?”.

“Vediamo. Mi pare che la successione di partenza sia quella delle potenze di 2, quindi a= 2n”.

“Ok”.

“Quindi Δ2n = 2n+1 − 2n. E adesso?”.

“Adesso prova a scrivere 2n+1 come 2×2n”.

“Provo: Δ2n = 2×2− 2n. Risulta proprio 2n, è corretto”.

“Quindi vedi che esiste una funzione che non cambia anche se a essa viene applicato l'operatore Δ”.

“Vedo. Vale per tutte le funzioni esponenziali?”.

“Prova con la base 3, per esempio”.

“Provo: Δ3n = 3n+1 − 3n = 3×3n − 3= 2×3n. No, non funziona”.

“Non funziona del tutto: il Δ di un'esponenziale è ancora un'esponenziale, però moltiplicata per una costante. Ma la base dell'esponenziale non cambia”.

“Giusto. Però, uhm, non mi pare di aver risolto l'equazione di Fibonacci. Cioè, se fosse ΔFn = Fn, allora potrei dire che Fn = 2n”.

“Sì, quasi. Quella è una delle possibili soluzioni, ma ce ne sono altre”.

“Ma come?”.

“Guarda, se al posto di 2n consideri c×2n i calcoli non cambiano di molto”.

“Ah, giusto, quella costante c si raccoglie e non dà fastidio: Δc×2n = c×(2n+1 − 2n) = c×2n”.

“Però hai ragione, l'equazione di Fibonacci non è ΔFn = Fn, ma ΔFn = Fn-1”.

“E quindi?”.

“E quindi la soluzione non sarà data dalla funzione esponenziale di base 2, ma magari sarà data da un'altra funzione esponenziale che soddisfa a quella proprietà”.

“Ah. E come facciamo a trovarla?”.

“Cercando”.

lunedì 3 febbraio 2020

Capacità — 1. Come conigli

“Allora, vediamo: un coniglio giovane alla prima generazione, un coniglio maturo alla seconda, e così alla terza avrò un coniglio maturo e suo figlio giovane, e alla quarta uno maturo che lo era già, uno che lo è diventato, e il figlio di quello che lo era già, quindi…”.

“Cosa fai?”.

“Sto cercando di capire il legame tra i numeri di Fibonacci e i conigli”.

“Molto bene”.

“Non è mica una cosa ovvia”.

“Non lo sono mai, fino a che non le capisci”.

“Ottimo”.

“Quindi, hai capito?”.

“Credo di sì. Mi sono fatto questo schemino, dove la c minuscola rappresenta un coniglio giovane, e la C maiuscola un coniglio maturo, che produrrà un figlio alla generazione successiva:”.

c
C
Cc
CcC
CcCCc
CcCCcCcC

“Non è chiarissimo, ma è giusto”.

“Eh, lo so che non è chiaro, ma anche i disegni a albero non sono chiarissimi”.

“Guarda, qua ce n'è uno bello”.

“Ohh, sì, bello, e bello anche l'articolo. Almeno fino a che non comincia a parlare di autovalori e autovettori”.

“Non c'è bisogno di arrivare fino a lì, anche se quella con le matrici è una trattazione molto elegante”.

“Già mi basterebbe aver capito bene la relazione di ricorrenza”.

“E quella è chiara?”.

“Mi pare di sì: data una certa generazione, i conigli adulti sono quelli che erano vivi due generazioni prima”.

“Esatto”.

“E i conigli adulti sono quelli che fanno figli, quindi i figli che nascono in ogni generazione sono tanti quanti erano tutti i conigli di due generazioni prima”.

“Giusto. A questi figli bisogna aggiungere tutti quelli che c'erano già, cioè quelli di una generazione prima”.

“Ed ecco la formula Fn = Fn−1 + Fn−2”.

“Perfetto”.

“Invece quella faccenda degli autovettori e della sezione aurea mi pare incomprensibile. Sarebbe bello capire come trovare una formula chiusa per la successione di Fibonacci senza tutta quella teoria”.

“Si può, si può”.

“E come si fa?”.

“Si comincia da questa tabella”.

1  4  9 16 25 36
3  5  7  9 11 --

“Cosa sto guardando?”.

“Dimmelo tu: cosa c'è nella prima riga?”.

“Vedo i quadrati dei numeri naturali”.

“Ottimo. E nella seconda?”.

“I numeri dispari a partire da 3”.

“Oppure?”.

“Come oppure?”.

“Eh, io non ho scritto i numeri dispari a partire da 3, ho fatto un altro calcolo. Se avessi voluto scrivere i numeri dispari a partire da 3 non avrei lasciato vuota l'ultima casella, avrei scritto 13”.

“Giusto. Allora, uhm. Ah! Ogni numero scritto nella seconda riga è la differenza tra i due numeri che gli stanno sopra nella prima riga”.

“Esatto. E così si spiega perché manca l'ultimo numero: servirebbe un altro numero a destra di 36”.

“Vero. Quindi potrei scrivere la tabella in questo modo:”.

  1    4     9      6     25    36
4-1  9-4  16-9  25-16  36-25  ----


“Sì, esatto”.

“Non capisco bene cosa c'entra tutto questo con i numeri di Fibonacci”.

“Porta pazienza. Per ora prova a analizzare questo problema: è vero che nella seconda riga della tabella compaiono tutti i numeri dispari? Come lo si potrebbe dimostrare?”.

“Oh, dovrei usare un po' di algebra, vediamo. Se nella prima riga ci sono i quadrati, potrei indicare un generico termine con n2”.

“Bene. E il successivo, quindi?”.

“Il successivo sarà (+ 1)2”.

“Ora puoi calcolare la differenza”.

“(n + 1)2n2 = n2 + 2n + 1 − n2. Risulta 2n + 1”.

“Bene. Cosa puoi dire di questo numero?”.

“Che è certamente dispari. E, dato che n parte da 1, il primo numero che ottengo è proprio 3”.

“Perfetto. Ora indichiamo con un simbolo il calcolo che hai fatto: se il generico termine di una successione è an, il calcolo che si fa per riempire la seconda riga della tabella è an+1an, che indichiamo con Δan”.

“Oh, delta”.

“Sì, delta, che si chiama, semplicemente, differenza”.

“Quindi io avrei calcolato Δn2?”.

“Sì, hai trovato che Δn2 = 2+ 1”.

“Ok. A cosa mi serve questo delta?”.

“Tra un po' ci arriviamo. Per ora, scriviamo ancora una volta la relazione di Fibonacci, calcolata però in Fn+1”.

“Così?”.

Fn+1 = Fn + Fn−1

“Sì. Ora porta a sinistra il primo termine che si trova a destra dell'uguale”.

“Ecco:”.

Fn+1Fn = Fn−1

“Benissimo. Ora, riscrivila usando il delta che abbiamo definito prima”.

“Ah, ecco perché la differenza. Ecco qua:”.

ΔFn = Fn−1

“Ok. Ora, ragioniamo: è possibile che un polinomio soddisfi quella relazione?”.

“Boh, e come faccio a saperlo?”.

“Prima hai visto un esempio con un polinomio molto semplice, cioè n3”.

“Sì, in quel caso il delta risultava 2n2 + 1”.

“E, dunque, si passa da grado 3 a grado 2”.

“Sì, vero, ma non capisco bene cosa implichi questo fatto”.

“La proprietà che hai osservato, e cioè che l'operatore Δ prende un polinomio di grado n e ne restituisce uno di grado n − 1, è universale, non vale solo per la potenza 3”.

“Questo lo capisco: nel calcolo il termine di grado massimo si semplifica”.

“Ok. Ora, se un polinomio di grado n fosse soluzione dell'equazione ΔFn = Fn−1, vorrebbe dire che l'espressione a sinistra dell'uguale dovrebbe essere di grado n − 1, e quella a destra dell'uguale di grado n”.

“Ma questo è impossibile, no?”.

“Esatto: se due polinomi sono uguali, devono certamente avere lo stesso grado”.

“Bene, ho capito che un polinomio non può essere soluzione di quella equazione, e che, quindi, la successione di Fibonacci non è un polinomio. Questo non mi aiuta molto a capire come esprimerla in forma chiusa, però”.

“Un pochino sì, dai. Abbiamo capito che serve una espressione che rimane sufficientemente simile a sé stessa anche quando l'operatore delta agisce su di essa”.

“Ancora non vedo la soluzione. L'unica cosa che mi viene in mente è che questa roba sembra simile a un argomento che ho studiato a scuola”.

“Quale”.

“Le derivate. Ma forse mi sbaglio”.

“E invece no”.

martedì 14 gennaio 2020

Carnevale della Matematica #136

Un gruppo di infiniti matematici entra in un bar. Il primo ordina una birra, il secondo due birre, il terzo tre birre. Dopo aver servito il sedicesimo, il barista si ferma dicendo: “Siete sempre degli idioti. Finitela con queste barzellette che fanno ridere solo i matematici!”. Quante birre ha servito?

“Scusi, signor barista?”.
“Cosa c'è ancora? Basta birre, eh?”.
“No, no, basta birre, vorremmo qualcosa di meno leggero”.
“Mh, non so se sia il caso”.
“Vedo lassù una discreta collezione di grappe”.
“Sì, è una specialità del nostro locale, ne abbiamo diciassette tipi”.
“E noi siamo rimasti in quindici. Vede, quello che prima ha preso sedici birre si è dovuto assentare un momento”.
“Immagino”.
“Mi chiedevo, lei ha idea di quanti modi ci siano, per noi che siamo rimasti qua, di scegliere quindici delle sue diciassette grappe, giusto per fare un assaggino?”.
“Via! Via, fuori di qua!”.


“Ehi, ci hanno cacciati dal bar”.
“Già”.
“Io stavo giocando con i tappini delle bottiglie di birra, adesso come faccio?”.
“Che gioco stavi facendo?”.
“Ho messo un tappino al centro del tavolo, e ho immaginato che fosse un poligono di 24 lati”.
“Complimenti per la fantasia”.
“Poi ho allungato il lato del mio poligono, facendo in modo che risultasse lungo due tappini”.
“Ah, quindi hai messo 24 tappini”.
“Ne ho aggiunti 23, per la precisione, in modo da arrivare a 24”.
“Certo”.
“Poi ho allungato ancora il lato, in modo che fosse composto da tre tappini”.
“E hai sempre costruito un poligono di 24 lati?”.
“Sì. E poi ho allungato il lato un'altra volta, in modo da farlo lungo quattro tappini”.
“Ah, però. Quanti tappini hai usato in tutto?”.

“Ehi, guardate, un ingegnere!”.
“È da solo?”.
“Sembra di sì, proprio al centro di quella piazza”.
“Vai, andiamo a fare un po' di bullismo”.
“Mah, non so se sia il caso”.
“Perché?”.
“Anche se è da solo, un ingegnere è sempre pericoloso. Loro sanno usare le pinze”.
“Oh”.
“Addirittura i cacciavite”.
“Ooh!”.
“Una volta ne ho visto uno piantare un chiodo in un muro!”.
“Un bruto, orrore!”.
“Però potremmo dileggiarlo usando la nostra conoscenza superiore”.
“In che modo?”.
“Senti che idea: nove di noi lo accerchiano, in silenzio”.
“Perché proprio nove?”.
“Perché gli ingegneri pensano che nove sia un numero primo”.
“Ah ah, che scherzone!”.
“Ma non è finita! Chiamiamo i nostri amici, e ne mettiamo 18 intorno ai nove di prima”.
“E poi?”.
“E poi altri ventisette”.
“Che sagoma!”.
“Poi ancora, altri due giri di multipli di nove”.
“Chissà quante persone riempiranno la piazza, alla fine”.

“Ehi, cosa stai leggendo?”.
PlayMath, la rivista per Veri Matematici”.
“Ooh”.
“Guarda qui, c'è un articolo su un informatico…”.
“Bleah”.
“No, aspetta. C'è questo informatico, Simon Colton, che ha scritto un software che inventa definizioni matematiche e poi le studia”.
“Ma dai, sul serio?”.
“Sì, sì. Il programma si chiama Hardy Ramanujan”.
“Capirai”.
“Eh. Guarda cosa dice l'autore: The research of the author includes understanding and automating the processes at work when mathematicians invent new concepts, specifically in finite group theory. This has culminated in the HR system, named after Hardy and Ramanujan, to emphasize both a theory-driven and a data-driven approach to concept formation. HR starts with only the axioms of group theory and ends with definitions and models of concepts it has derived, such Abelian groups, cyclic groups, orders of elements and so on”.
“Roba da matti. E funziona?”.
“Sì. Leggi qua: The first time HR was tried in number theory, it invented the refactorable numbers. When we first saw this sequence, we did not know how it was found, but it looked interesting - it had a mix of odd and even numbers, sufficiently many terms between one and a hundred, and no obvious pattern. Therefore we looked it up in the Online Encyclopedia, and were surprised to find that it was not listed. Only then did we look at the output from HR to see its definition (expecting an unintuitive, complicated explanation), and were then even more surprised that this sequence was missing from the Encyclopedia”.
“Sono Pazzi Questi Matematici. Un numero sufficiente di termini compresi tra uno e cento? Tra un po' troveremo un trattato sulle successioni interessanti”.
A meno che non esista già”.
“Argh”.
“Beh, comunque sia, la definizione di numero rifattorizzabile è questa: si tratta di quei numeri che sono divisibili per la somma dei loro divisori”.
“Una interessantissima e utilissima definizione, vedo”.
“…”.
“Dai, su, ammettiamolo”.
“Non lo ammetterò mai, naturalmente. Comunque, questo è l'elenco dei primi numeri rifattorizzabili: 1, 2, 8, 9, 12, 18, 24, 36, 40, 56, 60, 72, 80, 84, 88, 96, 104, 108, 128, 132”.
“Ah. E cosa viene dopo?”.

“Questa piazza mi sembra un po' strana”.
“Sarà colpa delle birre, o delle grappe”.
“O dell'ingegnere che ci ha minacciati con quel compasso che aveva in tasca”.
“Non credevo che esistessero compassi veri, pensavo che fossero soltanto idee astratte di Euclide”.
“Santo cielo. Beh, non sembra strana anche a voi, la piazza? Ci sono delle decorazioni a forma di triangolo rettangolo, vero? O sono mie allucinazioni?”.
“No, no, è vero. Ma ce ne sono di varie forme. Vedo che i lati sono costruiti con delle tessere da mosaico, aspetta che provo a cercare di fare qualche misura”.
“Sì, dai, vediamo di smaltire un po' di alcool. Questo triangolo ha l'ipotenusa lunga 170 tessere e un cateto lungo 102”.
“Questo invece ha l'ipotenusa lunga 289 e un cateto lungo 255”.
“Questo 305 e 273”.
“Questo invece 586 e 570”.
“Questo è ancora più grande: 1160 e 1152”.
“Questo ancora di più: 2314 e 2310”.
“Questo è il più grande: 4625 e 4623”.

“Mi hanno regalato questo ottimo libro motivazionale”.
“Uh, che libro è?”.
Parlare con qualcuno guardandogli le scarpe: storie di persone che ci sono riuscite”.
“Ah, interessante. Te l'hanno regalato per Natale?”.
“Sì”.
“Quindi il 31 OCT”.
“Eh?”.
“31 OCT = 25 DEC”.
“Santo cielo, una battuta sui cambiamenti di base. Tanto vale aggiungere 19 HEX”.
“Ma così non fa ridere!”.
“Ah perché l'altra battuta fa ridere?”.
“Ehm. Stavo pensando, però, che ci si possono porre delle interessantissime domande sui cambiamenti di base”.
“Per esempio?”.
“Per esempio, oggi è il 14 gennaio, che potremmo scrivere 141”.
“Volendo”.
“E 141 è un numero palindromo, in base 10”.
“Certo”.
“E se cambiamo base? Quanto valgono i numeri che sono palindromi in una base diversa da 10 quando li convertiamo in base 10?”.
“Per esempio?”.
“Per esempio, 161 in base 9 come diventa, se lo converto in base 10? Oppure 88 in base 16?”.


“Bene, finiamola con questa farsa, stanno finalmente arrivando i contributi per il Carnevale della Matematica”.
“Molto bene”.
“Il verso della poesia gaussiana di questo Carnevale è: canta, canta, canta zampettando”.
“Certo”.
“E questa, invece, è la cellula melodica:”.



“Ovviamente”.
“Un intervallo piuttosto moderno e dissonante. Direi un po' da café chantant: la settima maggiore.”.
“Ma infatti”.
“Ora siamo pronti per il Carnevale”.
“Finalmente”.
“E cominciamo con un ospite speciale”.
“Una guest star?”.
“Sì, un fisico”.
“Ehi, attenzione, non sarà pericoloso?”.
“No, no, di solito no. Ha scritto molte cose in giro per l'internet, ma poi le ha cancellate, le ha riscritte, le ha sistemate, le ha ricancellate”.
“E perché?”.
“Mah, è inquieto. Sai, i fisici”.
“Ah, capisco”.
“Beh, questa volta gli ho estorto un po' di cose che ha scritto e le ho messe in un posto sicuro”.
“Uh, non si arrabbierà?”.
“Direi di no, mi ha proprio detto fanne quello che vuoi”.
“Benissimo, allora. Chi è questo fisico un po' Scrooge?”.
Peppe Liberti”.
“Ahh, benissimo!”.
“E cosa ha scritto?”.
Piccole storie di fisici”.
“Molto bene”.
“Molto molto bene”.

“Adesso c'è Annalisa Santi, che propone un contributo legato al vino”.
“E questa sarebbe matematica?”.
“Beh, il vino va bene con tutto, se facciamo finta di niente per quanto riguarda le birre e le grappe di prima”.
“Senza dubbio”.
“E noi siamo del partito di Goethe”.
“Ovviamente”.
“Che diceva: La vita è troppo breve per bere vini mediocri”.
“Ah, ma guarda. Dovrei rivalutarlo, allora”.
“Ed ecco qua: Il vino perfetto… matematico?”.

“E ora arriva .mau.”.
“Pronti!”.
“Guarda che elenco, a partire da quello che ha scritto sul Post:”.
“Filosofie, certo”.
“Sai com'è, anche i matematici non sono tutti d'accordo su alcune cose”.
“Certo”.
“Ed ecco la lista dei contributi sulle Notiziole. Prima i quizzini:”.

“Molto bene”.
“Poi ci sono due recensioni, accompagnate da due commenti al volo”.
“Vediamo”.
“E infine un articolo di Povera matematica: I biscotti Misura e le tabelline”.
“Tabelline e biscotti, ottimo”.
“A furia di mettere informazioni non troppo utili nella confezione, dice .mau., sono riusciti a dimostrare di non saper fare le divisioni”.
“Ahia”.

“Ora c'è Davide Passaro, che ci manda un po' di cose pubblicate su Math is in the Air”.
“Avanti!”.
“E adesso c'è un elenco enorme”.
“Oh, e chi lo manda?”.
Roberto Natalini, con tutti i contributi di MaddMaths! Guarda qua:”.
  • I 10 post più letti su MaddMaths! nel 2019.
    Finisce il 2019, ed è il momento di tirare le somme di un anno pieno di notizie guardando quali sono i 10 post più letti tra quelli apparsi nel 2019 (ci sono alcuni evergreen degli anni precedenti, cherimangono molto alti in classifica, a partire dal n. 1 in assoluto il post sul metodo analogico di Bortolato con oltre 50.000 visitatori e il solito "Una versione elementare della congettura di Riemann" di Alessandro Zaccagnini, che ha superato i 28.000 lettori). E come ogni top 10 che si rispetti, partiamo dal numero 10 (e attenzione, seguono un paio di “bonus” ripescati dalla redazione!).
  • Buon 2020 con l’Almanacco MaddMaths!
    Con questo Almanacco MaddMaths! 2019 continuiamo una tradizione che ci sta accompagnando da qualche anno, tanto che oramai abbiamo persino una pagina in cui potete trovare tutti gli Almanacchi fino al 2010. Come ogni anno, vi proponiamo una piccola selezione degli articoli che riteniamo siamo particolarmente significativi di come abbiamo provato a fare MaddMaths! in questo anno appena trascorso. Gli articoli sono stati scelti dalla redazione e non sono necessariamente i più visti dai lettori.
  • Dai poligoni alle funzioni… e ritorno.
    Con il nuovo anno ritorna la rubrica Esperienze Transdisciplinari di Matematica curata da Gianluigi Boccalon. In questa nuova puntata, Gianluigi ci propone, attraverso gli appunti dei suoi studenti, un percorso di introduzione alle funzioni a partire dall'osservazione delle proprietà dei poligoni regolari.
  • Psico-Analisi 1-3.
    A inizio settembre 2019, Nicola Arcozzi, analista dell’Università di Bologna, ha iniziato a pubblicare su Facebook una serie di post pubblici, dal titolo Psico-Analisi. Il sottotitolo del primo post recitava Appunti per una “Psicopatologia del tuo docente di analisi matematica”, rivolto agli studenti del primo anno dei corsi STEM. I vari post, via via più elaborati, psicoanalizzano le idiosincrasie del docente di analisi (ma più in generale di matematica) così come appare agli studenti delle materie scientifiche. In questo modo Nicola Arcozzi, in maniera molto auto-ironica, spiega tutti i retroscena che spesso portano noi docenti di matematica a comportarci in un certo modo. Li stiamo riproponendo a puntate su MaddMaths!
  • Riflessioni sui risultati OCSE-PISA 2018
    Lo scorso 3 dicembre si è svolto a Roma il seminario di presentazione dei risultati dell’indagine internazionale OCSE-PISA 2018 sulle competenze in Lettura, Matematica, Scienze e ambito Finanziario di 600 mila quindicenni di 79 Paesi del mondo. Vi proponiamo una riflessione di Stefania Pozio, prima ricercatrice dell’INVALSI, sull'utilità dei risultati di questo tipo di indagine. Stefania conosce bene le prove OCSE PISA in quanto, oltre a lavorare per l’INVALSI, ha fatto parte tra le altre cose della commissione che ha costruito le prove del prossimo PISA 2021, quello dedicato alla matematica.
  • Proud of You – L’educazione matematica contro la dispersione scolastica: intervista a Maria Mellone.
    Pochi giorni fa, in concomitanza con la presentazione del progetto alla cittadinanza, alcuni quotidiani (La Repubblica, Il Mattino), hanno dato ampio spazio alla seconda edizione del progetto “Proud of You”, un progetto educativo con un obiettivo inclusivo particolarmente significativo, sviluppato in aree urbane ad alto rischio di dispersione, in scuole che spesso vengono denominate “di frontiera” perché incluse in contesti socio-culturali di forte disagio. Pietro Di Martino ha intevistato per MaddMaths! la coordinatrice scientifica del progetto Maria Mellone.
  • La grande sfida della Matematica per il clima: intervista con Anne-Laure Dalibard e Sabrina Speich.
    Dal 9 settembre al 13 dicembre 2019, l’Istitut Henri Poincaré (IHP) di Parigi ha organizzato un programma eccezionale di tre mesi sulla matematica del clima e dell’ambiente. Vi proponiamo un’intervista realizzata da Adrien Rossille con Anne-Laure Dalibard e Sabrina Speich, e pubblicata il 18 dicembre scorso sul sito Images des Mathématiques, e qui riproposto con il permesso del sito e degli autori nella traduzione di Roberto Natalini.
  • Algoritmi di Machine Learning: guardiamoci dentro!
    Marco Verani, professore associato di Analisi Numerica presso il Laboratorio MOX del Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano, ha recensito per MaddMaths! il volume L’Algoritmo Definitivo di Pedro Domingos, che tratta un argomento che è di estrema attualità per la comunità matematica, ma non solo.
  • Intervista a Giulio Sandini, il papà di iCub.
    Giulio Sandini è Direttore di Ricerca presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) – dove ha fondato il dipartimento di Robotics, Brain and Cognitive Sciences – e professore ordinario di Bioingegneria all’Università di Genova. Ha coordinato diversi progetti internazionali nelle aree della visione artificiale, delle scienze cognitive e della robotica e in particolare lo sviluppo della piattaforma umanoide iCub. Lo intervista per noi Massimo Ferri.
  • Esce il terzo volume di “La matematica e la sua storia” di Bruno D’Amore e Silvia Sbaragli.
    Dal 2017 è iniziata la pubblicazione, presso le Edizioni Dedalo, dell’opera in quattro volumi di Bruno D’Amore e Silvia Sbaragli “La matematica e la sua storia“. Il primo volume, uscito appunto nel 2017, narrava le vicende matematiche, dalle origini della disciplina fino al periodo greco (con prefazione di Umberto Bottazzini). L’anno successivo è continuato questo avvincente viaggio nella storia, giungendo alle soglie del Rinascimento, con il volume che trattava del periodo dal tramonto greco al Medioevo (con prefazione di Paolo Freguglia). Ora è uscito il terzo volume, dedicato al periodo che va dal Rinascimento al XVIII secolo. Il prossimo volume, l’ultimo della quadrilogia, uscirà a ottobre 2020. Per l’occasione vi proponiamo, con il permesso degli autori, la prefazione al volume terzo, scritta da Luigi Pepe.
  • Archimedia 3/2019: “D’amore, di pesci e altre sciocchezze”
    A cominciare dalla sua prima uscita del 2016, Archimede ospita Archimedia, una rubrica di fumetti e altri media curata da Andrea Plazzi. Nel n. 3/2019 trovate “D’amore, di pesci e altre sciocchezze”, un fumetto di Dario Grillotti in cui si riparla di Vito Volterra immaginando la sua conversazione con il cognato Umberto D’Ancona a proposito dei pesci dell’Adriatico. Sul sito presentiamo come al solito la prefazione di Andrea Plazzi accompagnata da alcune belle immagini.
“Quanta roba. E adesso?”.
“Adesso c'è Gianluigi Filippelli, con contributi da due diversi blog”.
“Uno dei due è Dropsea, vero?”.
“Esatto, ecco qua:”.
  • Per la serie de Le grandi domande della vita, Speciale astronomo risponde 2019 c'è questo, con un paio di risposte su un viaggio interstellare sulla stella più grande dell'universo conosciuto
  • Il ritratto di Carl Ludwig Siegel, matematico tedesco che sognava di fare l'astronomo, e quello di  Walther Bothe, fisico tedesco che costruì il primo ciclotrone della Germania.
  • In più Il volo dei corvi di Odino dove, partendo da una canzone del gruppo death metal Amon Amarth, Gianluigi racconta un paio di cose sul paradosso logico del corvo.

“Molto bene. E l'altro blog?”.
“È Al Caffè del Cappellaio Matto, in cui ha scritto Il coding a Paperopoli, recensione/approfondimento di una storia tratta da Topolino #3345 e dedicata al coding.

“Ora abbiamo finito?”.
“Sembra di sì”.
“Non manca qualcuno?”.
“Uhm, credo di no”.
“Eppure, mi sembra che manchi qualcuno”.
“Controllo meglio… Ah!”.
“Cosa?”.
Piotr”.
“Ecco!”.
“Mi ha mandato un po' di cose solo adesso”.
“Capirai”.
“Profondendosi in profonde scuse”.
“Ottimo”.
“Ecco qua, senti cosa scrive:”.
  • Uno dei soliti problemi classici, di sezionamento geometrico, ma con un titolo che doveva essere abbastanza complicato ai tempi delle crociate (e pure adesso, mah…).
  • Un brillante Paraphernalia Mathematica del GC, e pure questo che – tra citazioni vanvogtiane e commenti, rischia il politically uncorrect (e noi manco ce ne eravamo accorti).
  • Un compleannuccio che, originariamente, si intitolava “Etimologia particolare”, perché aveva l’intenzione di fare l’appello etimologico dei nomi delle particelle (più o meno) elementari. Nasceva, più che altro, dalla constatazione che quasi tutti parlavano del “Bosone di Higgs” parlando di Higgs, e quasi nessuno sembrava far caso al poveretto che aveva dato origine alla parola “bosone”.
  • Un Quick&Dirty non fa mai male, specie se di tratta di ingannevole cinematica.
“Oh, bene. Non c'è anche il nuovo numero di Rudi Mathematici?”.
“Ancora no. Ci sarà, ma avrà (cito) un ritardo fantasmagorico. Quando uscirà, se mai uscirà, sarà a questo indirizzo”.
“Quindi abbiamo finito davvero?”.
“Sì. Appuntamento al mese prossimo, col Carnevale numero 137, dai Rudi Mathematici”.
“137, un numero primo”.
“Sì”.
“Chissà a quale verso della poesia Gaussiana corrisponde”.
“Chissà”.

martedì 10 dicembre 2019

Giochi proiettivi — 7. Dobble (finalmente)

“E quindi possiamo creare un gioco di carte usando i piani proiettivi?”.

“Sì. E l'abbiamo già fatto, in una versione semplice”.

“Quella del piano proiettivo con sette punti?”.

“Proprio quella. Riguardiamo la figura”.



“Vedo che hai preso la figura duale rispetto alla prima che avevamo disegnato”.

“Solo perché in questa si leggono già le carte da gioco, ma le due versioni sono equivalenti”.

“Come si fa a leggere già le carte? Dove sono, queste carte?”.

“Le carte sono i punti di questa figura, ogni carta contiene tre simboli. Guarda, te le elenco:”.

123
145
167

“Queste hanno tutte il numero 1 in comune”.

“Mentre gli altri simboli sono tutti diversi: potremmo dire che sono tre punti appartenenti alla retta 1”.

“Sì, quello che abbiamo fatto la volta scorsa. Poi ci sono queste:”.

256
247

“Che, assieme a 123, formano la retta 2, e così via. Guardiamo l'elenco completo:”.

123
145
167
256
247
346
357


“Sette carte, sette simboli diversi, tre simboli per carta”.

“Esatto. E due carte qualsiasi hanno un solo simbolo in comune”.

“Perché per due punti passa una sola retta, vero?”.

“Esatto. O, anche, perché due rette si intersecano in un sol punto”.

“Ah, certo, sempre grazie alla dualità”.

“Già. Ora, per ogni piano proiettivo potresti costruire un mazzo di carte da gioco riportanti un certo numero di simboli, con la certezza che due carte qualsiasi hanno sempre un solo simbolo in comune”.

“Ed esistono giochi di questo tipo?”.

“Sì, ce n'è uno che si chiama Dobble, e che ha un mazzo con più di 50 carte”.

“Ah. Che piano proiettivo è stato usato?”.

“Il piano di ordine 7”.

“Oh. Secondo quanto abbiamo detto, ogni carta dovrebbe contenere 8 simboli”.

“Proprio così”.

“E ci dovrebbero essere 72 + 7 + 1 = 57 simboli diversi”.

“Giusto”.

“E anche 57 carte”.

“Purtroppo no”.

“Ma come?”.

“Eh, per motivi che non sono noti ci sono solo 55 carte”.

“Ma che senso ha?”.

“Qualcuno dice che sia per ragioni di stampa: 55 carte le puoi stampare su un foglio che ha 11 righe e 5 colonne, 57 invece potresti farlo solo con un foglio 19 × 3, e forse le macchine che vengono usate per la stampa non permettono di farlo”.

“Peccato, però”.

“Eh, sì. Guarda, questo sarebbe l'elenco completo di tutte le 57 carte, in cui i simboli sono i numeri che vanno da 0 a 56”.

0  1  2  3  4  5  6  7
0  8  9 10 11 12 13 14
0 15 26 27 28 29 30 31
0 16 21 32 41 42 43 44
0 17 22 36 40 50 54 56
0 18 23 33 37 46 51 55
0 19 24 34 38 45 49 53
0 20 25 35 39 47 48 52
1  8 15 16 17 18 19 20
1  9 26 32 33 34 35 36
1 10 22 27 41 45 46 47
1 11 21 31 39 50 53 55
1 12 23 28 38 43 52 54
1 13 25 29 37 42 49 56
1 14 24 30 40 44 48 51
2  8 27 32 37 38 39 40
3  8 23 26 41 48 49 50
4  8 21 30 34 46 52 56
5  8 22 29 35 43 51 53
6  8 24 28 36 42 47 55
7  8 25 31 33 44 45 54
2  9 15 21 22 23 24 25
2 11 17 26 42 45 51 52
2 12 18 29 34 44 47 50
2 10 16 30 35 49 54 55
2 14 20 28 33 41 53 56
2 13 19 31 36 43 46 48
4  9 18 27 42 48 53 54
5  9 17 28 39 44 46 49
3  9 16 31 38 47 51 56
7  9 19 29 40 41 52 55
6  9 20 30 37 43 45 50
5 12 15 32 45 48 55 56
4 11 15 33 40 43 47 49
3 10 15 36 37 44 52 53
7 14 15 35 38 42 46 50
6 13 15 34 39 41 51 54
5 13 16 24 27 33 50 52
3 14 17 25 27 34 43 55
6 11 19 23 27 35 44 56
7 12 20 21 27 36 49 51
4 13 20 22 26 38 44 55
5 14 19 21 26 37 47 54
6 12 16 25 26 40 46 53
7 10 18 24 26 39 43 56
4 10 19 25 28 32 50 51
3 11 20 24 29 32 46 54
7 13 17 23 30 32 47 53
6 14 18 22 31 32 49 52
4 12 17 24 31 35 37 41
4 14 16 23 29 36 39 45
5 11 18 25 30 36 38 41
5 10 20 23 31 34 40 42
3 12 19 22 30 33 39 42
3 13 18 21 28 35 40 45
7 11 16 22 28 34 37 48
6 10 17 21 29 33 38 48

“Uh, quanta roba. C'è un modo per disegnarlo?”.

“Eh, ci sarebbe, ma sarebbe poco comprensibile, con 57 rette. Guarda:”.



“Argh”.

“Bella roba, eh? Viene da Wolfram Alpha, ripreso da questo post che ha tante belle figure, compresa un'analisi delle carte di Dobble (che è stato pubblicato anche con un altro nome, Spot It!)”.

“Uh, che bellezza”.

“Io mi limito a mettere le carte in una griglia, ordinate in modo tale che si possano intuire le rette, un po' come abbiamo fatto quando abbiamo costruito il piano proiettivo di ordine 3 partendo dal piano affine e aggiungendo la retta impropria. I buchi vuoti, purtroppo, corrispondono alle due carte mancanti”.





“Oh, ecco tutte le carte. Come faccio a intuire le rette?”.

“Non sono ancora tutte le carte: mancano quelle che compongono la retta impropria, che ti mostro tra un po'. Adesso osserva, per esempio, la prima riga. Vedi che tutte le carte hanno in comune uno stesso simbolo?”.

“Sì, il clown”.

“Ecco, tutte le righe orizzontali, cioè le rette orizzontali, sono identificate da un simbolo”.

“Vedo: il punto interrogativo nella seconda riga, il fantasmino nella terza, e così via”.

“Sì. Ora pensa che tutte le rette orizzontali dovranno convergere verso un unico punto, un punto della retta impropria”.

“Che, quindi conterrà i sette simboli relativi alle sette rette”.

“Esatto. In più, conterrà un ottavo simbolo, quello della retta impropria”.

“E gli altri sette punti della retta impropria, come sono fatti?”.

“Ci sono tutte le rette verticali, per esempio, che si intersecano in uno di quei punti. Poi ci sono le diagonali, sia ascendenti che discendenti. Poi viene il difficile”.

“Benissimo”.

“Immagina una diagonale che parta dal primo vertice in alto a sinistra, e che poi prosegua spostandosi di due carte a destra e una sola in basso”.

“Ah, una diagonale non inclinata di 45 gradi”.

“Esatto. Poi immagina un'altra diagonale che si muova di tre carte a destra e una in basso, e così via, mettendo tutte le combinazioni possibili.”.

“Uh, ecco perché il disegno completo ha tante rette”.

“Eh, sì, le rette sono tante quante i punti: 57. Tieni presente che le diagonali possono uscire da un lato e rientrare dall'altro”.

“Uh? In che senso?”.

“Guarda, questa è una diagonale:”.

# . . . . . .
. . . . # . .
. # . . . . .
. . . . . # .
. . # . . . .
. . . . . . #
. . . # . . .

“Ah. Avanti di uno, giù di due. Quando esco da un lato, rientro dall'altro”.

“Proprio così”.

“E quindi, abbiamo otto punti per la retta impropria?”.

“Sì, eccoli:”.



“Vedo. Il loro simbolo è la bomba”.

“Esatto, e gli altri simboli invece corrispondono ai gruppi di rette parallele che si intersecano in quel particolare punto”.

“Capito. Beh, niente male per un giochetto di carte”.

“C'è tanta matematica sotto, già.”.

“Se volessi creare un gioco analogo con più carte, dovrei passare all'ordine 8, vero?”.

“Sì, con 73 carte. Mentre se tu ne volessi meno, dovresti passare all'ordine 5, perché l'ordine 6 non esiste”.

“Ah, già. Con l'ordine 5 avrei solo 31 carte. Beh, chi l'avrebbe mai detto che con la matematica si costruiscono giochi da tavolo?”.

“E questo non è l'unico”.



Alcuni riferimenti:

Lo scettico — con l'elenco di tutte le carte e di tutti i simboli di Dobble.

Puzzlewocky — con delle meravigliose figure.

Ericmoorehouse — con tutto quello che sappiamo oggi sui piani proiettivi finiti.

domenica 10 novembre 2019

Giochi proiettivi — 6. Dualità

“Ricordi che abbiamo parlato della dualità?”.

“Sì, varie volte”.

“Bene. Ne riparliamo ancora, ponendo l'accento su un particolare”.

“Quale?”.

“Finora avevamo ragionato sui postulati: abbiamo detto che se scambiamo la parola punto con la parola retta, otteniamo un altro postulato. Per esempio, il postulato che afferma che per due punti passa una sola retta diventa il postulato che afferma che due rette si intersecano in un solo punto”.

“Certo, ricordo”.

“Bene, ora ti mostro un'altra conseguenza di questa dualità: nei modelli di geometrie finite che abbiamo considerato, possiamo scambiare i punti con le rette e viceversa e otteniamo ancora modelli di geometrie finite”.

“Ma come facciamo a scambiare i punti con le rette? Sono diversi, non li possiamo mica disegnare allo stesso modo”.

“Eh, no, non li devi disegnare allo stesso modo. Ti faccio un esempio, prendendo un piano proiettivo con pochi punti, per comodità. Ricordi il primo esempio che abbiamo visto? Il piano con con sette punti e sette rette?”.

“Sì, quello a triangolo”.

“Quello. Lo ridisegno, cambiando un po' i nomi dei punti: metto dei numeri”.



“Vedo. Ma come facciamo a dire che quei punti diventano rette, e quelle rette diventano punti? Non capisco”.

“Non è difficile, una volta capito il meccanismo. Prendiamo per esempio i tre punti etichettati con 1, 2 e 3”.

“Quelli rossi che stanno sulla retta di sinistra”.

“Esatto. Allora trasformo quella retta in un punto, che chiamo 123. Lo disegno in blu, per ricordare la sua precedente natura di retta”.

“Ah”.

“In questo piano proiettivo tutte le rette contengono tre punti, giusto?”.

“Vero”.

“E allora per ogni terna di punti abbiamo una retta a cui assegniamo un nome formato dai nomi dei tre punti”.

“Mh. Ma come li disegno questi punti? Sono collegati da rette?”.

“Certo: prendi per esempio il punto 1, che dovrà diventare una retta. A quali rette appartiene?”.

“Uhm, il punto 1 sta su tre rette: quella che passa per 1, naturalmente, e poi per 2 e per 3; quella che passa per 1, 4 e 5, e quella che passa per 1, 6 e 7”.

“Bene, per dualità allora la retta 1 contiene tre punti: 123, 145 e 167”.

“Ahh, quindi nel mio disegno collego quei punti con una retta. Questa dovrebbe essere la retta che si chiama 1”.



“Esatto”.

“Ora credo di aver capito: i punti vengono etichettati con tre numeri, e le rette con un numero solo”.

“Proprio così. Se prima potevamo dire che per il punto 1 passano tre rette, e cioè la 123, la 145 e la 167, ora possiamo dire che la retta 1 contiene tre punti, e cioè 123, 145 e 167”.

“Bellissimo, ecco il disegno completo”.



“Ottimo, ora hai capito”.

“E cosa ce ne facciamo di questa dualità?”.

“Ci serve per capire meglio un gioco di carte”.

“Oh, finalmente un gioco”.

“Esiste un gioco da tavolo, che si chiama Dobble, formato da un mazzo di carte contenenti vari simboli, con questa caratteristica: comunque prendi due carte, queste hanno sempre un solo simbolo in comune”.

“Uh? È possibile? Saranno due o tre carte e, boh, pochi simboli, no?”.

“No, no, sono tante, e anche i simboli sono tanti”.

“Ma com'è possibile? Sempre un solo simbolo in comune? Non succede mai che ce ne siano due o che non ce ne sia nemmeno uno?”.

“Mai”.

“Mi sembra incredibile”.

“Eppure ci hai lavorato fino a poco fa”.

“Eh?”.

“Certo: guarda qua”.


  • Due rette si intersecano in un unico punto
  • Per due punti passa una sola retta
  • Due carte hanno un unico simbolo in comune



“Oh”.

“Eh”.

mercoledì 9 ottobre 2019

Giochi proiettivi — 5. Quali piani proiettivi finiti esistono?

Quindi non esistono piani proiettivi finiti di ogni ordine, ho capito bene?”.

“Hai capito bene”.

“Che strano. E quali ordini vanno bene, allora?”.

“Se vuoi sapere una regola, ti dico subito che ancora non è stata trovata. Cioè, si sa che esistono piani proiettivi di ordine n, se n è una potenza di un numero primo. Per altri valori di n non si sa quasi nulla”.

“Eh? Stai dicendo che da dei postulati così semplici possono nascere teorie che ancora sono oggetto di studio?”.

“Esatto. Gli ordini dal 2 al 5 sono stati studiati, esiste un unico piano proiettivo per ognuno di quegli ordini”.

“In che senso uno? Potrebbero essercene di più?”.

“Sì, con strutture diverse, ma servono più punti”.

“Però un piano di ordine 5 ha già 52 + 5 + 1, cioè 31 punti”.

“Sì, ma sono ancora troppo pochi. Dell'ordine 6 abbiamo già detto”.

“Sì: non esiste”.

“Anche quelli di ordine 7 e 8 sono unici. Per l'ordine 9, invece, ne esistono quattro tipi diversi”.

“Addirittura”.

“Già. Poi se ne conosce uno di ordine 11, qualcun altro di ordine superiore, per esempio ce ne sono 193 di ordine 25, ma non si conosce una regola generale, e per ora la storia finisce qua”.

“Basta? E l'ordine 10? L'hai saltato”.

“L'ordine 10 ha messo a dura prova i matematici. La ricerca di un piano proiettivo di ordine 10 ha avuto inizio nel 1980 e, dopo circa duemila ore di tempo macchina su un Cray e più di duecento giorni su vari VAX, si è conclusa il 29 novembre 1988”.

“E l'hanno trovato?”.

“No”.

“Ma allora!”.

“Mi ricordo che ci raccontarono della scoperta mentre eravamo a lezione, all'università. Hanno dimostrato che non esistono piani proiettivi di ordine 10, ammesso di poter usare il verbo dimostrare per una situazione come questa”.

“Perché?”.

“Perché nessuno controlla i calcoli del computer e, prima che tu dica che è impossibile che un computer sbagli, ti dirò che hanno calcolato anche quale fosse la probabilità di errore”.

“Perché, i computer sbagliano?”.

“Ecco quello c'è scritto nel lavoro che annuncia la fine della cosiddetta dimostrazione:”.

There is, moreover, the possibility of an undetected hardware failure. A common error of this type is the random changing of bits in a computer memory, which could mean the loss of a branch of the search tree. This is the worst kind of hardware error, because we might lose solutions without realizing it. The CRAY-1A is reported to have such errors at the rate of about one per one thousand hours of computing. At this rate, we expect to encounter two to three errors! We did discover one such error by chance. After a hardware problem, Patterson reran the 1,000 A2's just before the failure and the statistics have changed for the A2 processed just prior to the malfunction. How should one receive a "proof" that is almost guaranteed to contain several random errors?


“Un errore ogni mille ore? Non è mica tanto trascurabile, no?”.

“No, infatti. Facendo poi alcuni controlli incrociati, gli autori hanno concluso che la probabilità di aver perso dei dati che avrebbero potuto portare, forse, alla scoperta di un piano di ordine 10, è minore di 10-5”.

“Insomma, è molto piccola, ma non è zero”.

“No, non lo è. D'altra parte, se la dimostrazione fosse scritta su carta e contenesse un errore, quale sarebbe la probabilità che, leggendola, qualcuno se ne accorga?”.

“Dici che non è certo che, prima o poi, qualcuno si accorga di un errore?”.

“Eh, chissà”.

giovedì 12 settembre 2019

Giochi proiettivi — 4. Il problema dei 36 ufficiali di Eulero

“Finalmente un gioco?”.

“Sì, ma non quello di cui ti parlerò fra un po', per il quale abbiamo fatto questo studio sui piani proiettivi finiti”.

“Ah”.

“Ricordi che l'altra volta abbiamo calcolato il numero di punti e di rette di un piano proiettivo di ordine n?”.

“Sì, sono n2 + n + 1”.

“Ammesso che esista, questo piano”.

“Non capisco come faccia a non esistere”.

“Per questo ti propongo un giochino: ci sono 36 ufficiali che appartengono a 6 reggimenti. Un'immagine (presa dal sito dell'AMS) ci mostra la situazione: i reggimenti sono identificati dai colori, i gradi degli ufficiali da una pedina degli scacchi”.



“Ok”.

“Il gioco consiste nel riallineare i 36 ufficiali in modo tale che ogni riga e ogni colonna contenga ufficiali di reggimenti diversi e di rango diverso”.

“Ah, una specie di doppio sudoku?”.

“Più o meno l'idea è quella. Per esempio, se gli ufficiali e i reggimenti fossero solo cinque, questa sarebbe una soluzione:”.



“Ok, chiaro”.

“Se invece fossero sette, ecco come si potrebbe fare:”.



“Bene. Provo con sei, allora?”.

“Puoi provare, ma non ce la farai”.

“Ma come?”.

“Eh, non ci si riesce”.

“Ma se ci si riesce con cinque, con sei si avranno più possibilità, no?”.

“E invece, non si può”.

“Mah. E Eulero l'ha dimostrato?”.

“No, Eulero ha congetturato che non si potesse, ma non è riuscito a dimostrarlo”.

“Ah! Ma allora è certamente un problema difficile”.

“Sì, e anche la dimostrazione è molto difficile. Il primo a dimostrare l'impossibilità è stato Tarry, nel 1900”.

“Tarry? Non l'ho mai sentito nominare”.

“Infatti non era un matematico. O, meglio, non era un matematico professionista: è famoso fondamentalmente per questa dimostrazione”.

“Ma pensa. Quindi non vediamo la dimostrazione, vero?”.

“No. Tarry ha fatto una serie di calcoli lunghi e laboriosi, poi ci sono stati tentativi successivi di semplificare la dimostrazione, qualcuno anche sbagliato”.

“Andiamo bene”.

“Nel 1936 è stata addirittura pubblicata una lista completa di tutti questi sudoku, come li chiami tu, e che in realtà si chiamano quadrati latini, e si è potuto verificare che nessuno di questi soddisfaceva la doppia condizione del problema: colori diversi e simboli diversi su ogni riga”.

“Un doppio quadrato latino?”.

“Sì, che viene chiamato quadrato greco-latino. Nel 1960 è arrivata una dimostrazione definitiva”.

“Ehi, il 1960 non è tanto tempo fa”.

“Eh, no”.

“E perché la chiami dimostrazione definitiva?”.

“Perché, utilizzando un sacco di matematica che serve per fare tutt'altro, per esempio la teoria dei codici, è stato finalmente dimostrato che esistono quadrati greco-latini di ogni ordine superiore al 2, tranne che per l'ordine 6”.

“Ah! Quindi Eulero aveva visto lontano”.

“Come al solito, direi. Ora, grazie all'uso dei computer, puoi andare su internet e trovare una lista con tutti i quadrati greco-latini fino all'ordine 8, assieme a tanti altri tipi di quadrati latini”.

“Si è persa un po' la magia, però”.

“Oppure no, se questo ci fa rendere conto di quali abilità possedessero quelli nati in un mondo senza computer”.

“Eh, vero. Ma non ho ancora capito cosa c'entri questo problema con gli spazi proiettivi”.

“La dimostrazione si basa su questo fatto: esiste un piano proiettivo di ordine n se e solo se esiste un insieme di n − 1 quadrati latini di ordine n che, a due a due, possono essere combinati per fare un quadrato greco-latino. Tutto questo a partire da n = 3, però”.

“Santo cielo”.

“Non mi addentro troppo nella dimostrazione, ti mostro solo un esempio con il caso più piccolo, il piano proiettivo di ordine 3. Ripartiamo da qui:”.



“Una vecchia conoscenza”.

“Già. Scegliamo una riga, per esempio quella verde, e scegliamo due punti su di essa, per esempio quello più in alto e quello più in basso, che chiameremo X e Y”.

“Ok”.

“Avevamo n + 1 punti sulla retta verde, due li abbiamo usati, ne rimangono n − 1”.

“Sì, nel nostro caso 2”.

“Li chiameremo Q1 e Q2”.

“Bene”.

“Le rette che escono dai due punti X e Y le numeriamo da 1 fino a n (escludiamo quindi la retta verde, quella da cui siamo partiti con la costruzione)”.

“Bene”.

“Mentre le rette che escono dai vari punti Qi le etichettiamo con A, B e C”.

“Ok”.

“In tutto avevamo n2 + n + 1 punti, abbiamo già dato un nome a n + 1, ne rimangono n2”.

“Giusto”.

“Questi li etichettiamo con una coppia di numeri. Ognuno di essi, infatti, si trova su una retta che passa per X e su una seconda retta che passa per Y”.

“Sì, perché comunque scelgo due punti c'è una retta che passa per essi”.

“Bene. Allora ognuno di questi punti viene etichettato con il numero corrispondente alle due rette che passano per X e Y”.

“Ah, ecco perché si chiamano così: servono per darci delle coordinate”.

“Esattamente. Ora la situazione è questa:”.



“Vedo”.

“Ogni punto Qi ci permette di creare un quadrato latino: quindi potremo avere n − 1 quadrati latini”.

“In che modo?”.

“Prendiamo per esempio il punto Q2: da esso escono tre rette, che si chiamano A, B e C, che passano per tutti i nove punti con la coppia di coordinate. Per esempio, la retta A passa per (2,3), (1,2) e (3,1)”.

“Sì, vero”.

“Allora noi creiamo una tabella 3 × 3, e nelle caselle di coordinate (2,3), (1,2) e (3,1) scriviamo A”.

“Ahh! Così?”.

+---+---+---+
|   | A |   |
+---+---+---+
|   |   | A |
+---+---+---+
| A |   |   |
+---+---+---+

“Esatto. Poi facciamo la stessa cosa con la riga B, che passa per (3,3), (2,2) e (1,1), e infine con la riga C, che passa per (1,3), (3,2) e (2,1)”.

“Mi viene un quadrato fatto così:”.

+---+---+---+
| B | A | C |
+---+---+---+
| C | B | A |
+---+---+---+
| A | C | B |
+---+---+---+

“Che, come vedi, è un quadrato latino: ogni simbolo si ripete una sola volta su ogni riga e su ogni colonna”.

“Giusto. Poi si potrà fare la stessa cosa anche con Q1, vero?”.

“Sì. Basta osservare la figura e vedere quali punti attraversano le tre righe etichettate con A, B e C. Risulta un quadrato fatto così:”.

+---+---+---+
| C | A | B |
+---+---+---+
| A | B | C |
+---+---+---+
| B | C | A |
+---+---+---+

“Confermo. Ma il quadrato greco-latino dov'è?”.

“Basta combinare i due quadrati che abbiamo trovato:”.

+----+----+----+
| BC | AA | CB |
+----+----+----+
| CA | BB | AC |
+----+----+----+
| AB | CC | BA |
+----+----+----+

“Ahh, bellissimo!”.

“Vedi che ci sono tutte le possibili coppie: ogni lettera in prima posizione si trova una volta sola su ogni riga e su ogni colonna, e la stessa cosa fanno le lettere in seconda posizione”.

“E questo metodo funziona sempre?”.

“Se hai un piano proiettivo riesci sempre a costruire un quadrato associato al punto Qi, perché ogni retta che lo contiene interseca una sola volta le due rette X e Y. Quindi ogni riga e ogni colonna del quadrato latino avranno esattamente ogni simbolo una sola volta. Inoltre, comunque tu prenda due di questi quadrati latini, potrai sempre costruire un quadrato greco-latino combinandoli insieme perché ogni retta che esce da uno dei Qi interseca ogni altra retta che esce da un altro Qj in un solo punto: quindi nel quadrato otterrai tutte le possibili coppie”.

“Che bello”.

“E funziona anche all'inverso: se hai n − 1 quadrati latini che, a due a due, possono formare un quadrato greco-latino, facendo questa costruzione al contrario potrai sempre costruire un piano proiettivo”.

“Molto bene”.

“Ora, il fatto che si sia riusciti a dimostrare che il problema degli ufficiali di Eulero non ha soluzione, significa che non è possibile avere un piano proiettivo di ordine 6: niente quadrati greco-latini, niente piani proiettivi”.

“Oh”.

“Quindi sappiamo che, se un piano proiettivo esiste, ha certamente n2 + n + 1 punti, e altrettante rette. Ma non è detto che esista: per esempio, quello di ordine 6 non esiste”.

“E gli altri ordini?”.

“Mah”.



N.B. Per saperne di più sul legame tra quadrati magici e piani proiettivi, qui c'è un bell'articolo.

Qui, invece, l'esempio fatto anche in questo post, ma con più colori.

venerdì 16 agosto 2019

Intermezzo autoreferenziale

Questa frase scritta da Roberto Zanasi contiene diciannove A, due B, nove C, tredici D, ventitré E, due F, una G, una H, diciannove I, una J, una K, una L, una M, ventidue N, undici O, una P, due Q, sette R, otto S, sedici T, diciotto U, sei V, una W, una X, una Y e due Z.

sabato 22 giugno 2019

Giochi proiettivi — 3. Qualche calcolo

“Ora facciamo un po' di conti”.

“Con gli spazi proiettivi?”.

“Sì, proviamo a contare i punti, le rette, e proviamo a capire se c'è qualche relazione interessante”.

“Bene”.

“Supponiamo quindi di avere un piano proiettivo che contiene almeno una retta”.

“Giusto, non vogliamo strutture degeneri”.

“Esatto. E supponiamo che esista una retta che contiene n + 1 punti”.

“Perché n + 1 e non semplicemente n?”.

“Perché è più comodo”.

“Allora non discuto”.

“Con n almeno 2, per evitare i casi degeneri”.

“Bene. Quindi questa retta ha almeno tre punti”.

“Esatto, come nel primo esempio che abbiamo visto”.

“Quello a triangolo: ricordo”.

“Ricordi anche che abbiamo inserito un postulato che evita i casi degeneri?”.

“Sì, quello che dice che esistono almeno 4 punti distinti, a 3 a 3 non allineati”.

“Che si può esprimere anche in forma duale: esistono almeno 4 rette distinte, che a 3 a 3 non passano per lo stesso punto”.

“Giusto”.

“Quindi, oltre alla nostra retta che contiene n + 1 punti, ci sono altre rette e altri punti fuori da essa”.

“Ancora giusto”.

“Consideriamo un qualsiasi punto al di fuori della nostra retta, e chiamiamolo P”.

“Ok”.

“Ora possiamo considerare tutte le rette che passano per uno dei punti della nostra retta e per P”.

“Sono n + 1, dato che abbiamo n + 1 punti, giusto?”.

“Dimmi tu: sono davvero tutte diverse, oppure qualcuna di queste è sempre la stessa?”.

“Uh. Mi sembra che non sia possibile che due di queste rette siano la stessa retta”.

“Prova a spiegare”.

“Provo: indico con r la retta data, quella che non contiene P, e chiamo A e B due suoi punti. Poi considero le due rette PA e PB”.

“Quindi la domanda diventa: è possibile che PA e PB siano la stessa retta? I postulati ce lo consentono?”.

“Il primo dice che per due punti distinti passa una sola retta”.

“Giusto”.

“Quindi se PA e PB fossero la stessa retta, essa dovrebbe contenere i tre punti P, A e B. Ah, ho capito! La retta che passa per A e per B è proprio r, quindi anche questa retta dovrebbe essere r”.

“E perché non è possibile?”.

“Perché dovrebbe contenere quindi anche P, ma abbiamo detto all'inizio che P è un punto esterno”.

“Ottimo. Quindi, riassumendo: abbiamo la retta r che contiene n + 1 punti, abbiamo un punto P esterno, e abbiamo n + 1 rette che passano per P e intersecano r in n + 1 punti diversi”.

“Ci sono”.

“Ora facciamo un disegno che ci faccia vedere le cose:”.



“Oh, benissimo”.

“Ora, l'ultimo postulato dice che esistono quattro rette distinte che a tre a tre non passano per uno stesso punto”.

“In questo disegno di rette ce ne sono anche di più di quattro”.

“Però non rispettano il postulato”.

“Ma come?”.

“Se ne prendi quattro che passano per P, evidentemente passano tutte per lo stesso punto e quindi il postulato è falso”.

“E fin qua ci siamo”.

“Se ne prendi solo tre che passano per P, e come quarta retta prendi quella viola, le tre che passano per P non rispettano il postulato”.

“Ah, già. E allora? C'è qualcosa di sbagliato?”.

“No, semplicemente il disegno non è completo: deve esistere un'altra retta, che non passa per P”.

“Ah-ha!”.

“E dovrà passare per uno dei punti della retta viola”.

“Perché non esistono rette parallele: due rette si intersecano sempre in un punto: ho capito. Facciamo il disegno, però”.

“Sì, immagino che questa nuova retta passi per A:”.



“Vedo. Ma cosa sono quei punti arancioni?”.

“Beh, se la nuova retta disegnata passa per A, non può passare per gli altri punti della prima retta”.

“Giusto, altrimenti sarebbe coincidente con essa”.

“E, però, deve intersecare le altre rette”.

“Perché non esistono parallele, giusto?”.

“Sì. Quindi devono esistere altri punti di intersezione, quelli che ho segnato in arancione”.

“Ok, ci sono”.

“Allora quanti punti avrà la nuova retta?”.

“Dunque, contiene A, e contiene i punti arancioni… i punti arancioni sono uno in meno rispetto alle rette che avevamo, cioè n… ah, certo! La nuova retta contiene n + 1 punti”.

“Allora abbiamo dimostrato un teorema importante: se in un piano proiettivo c'è una retta che contiene n + 1 punti, allora tutte le rette contengono n + 1 punti”.

“Ah, ecco”.

“E, grazie alla magia del principio di dualità, possiamo immediatamente dire, senza fare altre figure o considerazioni, che per tutti i punti passano n + 1 rette”.

“Bello”.

“Ora contiamo tutti i punti del piano”.

“Oh. Proviamo”.

“Fissiamone uno, e chiamiamolo P”.

“Fin qua è facile, uno l'abbiamo contato”.

“Ora, per esso e per ognuno di tutti gli altri punti passa una e una sola retta: ce lo assicurano i postulati”.

“Giusto”.

“Ci sono n + 1 rette che passano per P, e ognuna di esse contiene n punti diversi da P”.

“Vero. Quindi in tutto ci sono n(n + 1) punti?”.

“No: hai dimenticato di contare P”.

“Giusto: allora possiamo dire che ci sono n(n + 1) + 1 punti”.

“O, anche, n2 + n + 1 punti”.

“Ok, è la stessa cosa. Ehi, possiamo usare la dualità anche qui, vero?”.

“Certo”.

“Allora ci sono anche n2 + n + 1 rette!”.

“Certo”.

“Quindi ci siamo riusciti: un piano proiettivo di ordine n contiene n2 + n + 1 punti e n2 + n + 1 rette”.

“Se esiste”.

“Come se esiste?”.

“Eh”.

martedì 4 giugno 2019

Giochi proiettivi — 2. Convergenze parallele

“C'è una cosa che non mi convince in quello strano esempio di geometria finita che mi hai fatto vedere l'altra volta”.

“Questo?”.



“Sì, questo. Non mi convince quell'arco: rovina la simmetria”.

“Avresti preferito una circonferenza?”.

“Sarebbe stato molto più bello e simmetrico, sì”.

“In effetti, la voce su Wikipedia relativa a questo modello, che si chiama Piano di Fano, mostra la figura che piace a te”.

“E perché tu l'hai disegnata così?”.

“Per non dare l'idea che la retta che contiene i punti D, E e F sia diversa dalle altre. Se disegnassi una circonferenza, questa retta sembrerebbe chiusa, mentre le altre no”.

“E non è così?”.

“No: le sette rette sono tutte fatte allo stesso modo, cioè sono tutte insiemi che contengono tre punti: se disegnassimo chiusa quella centrale, cosa che potremmo anche fare, dovremmo chiudere anche le altre sei, e il disegno risulterebbe inutilmente complicato”.

“Ah. Quindi la chiusura avrebbe un senso? Potrei percorrere le rette in cerchio, per così dire? Potrei camminare da A verso D, poi verso C, poi di nuovo verso A?”.

“Sì, nulla lo vieterebbe”.

“Che strana geometria”.

“Possiamo farla diventare una geometria un po' meno strana, forse, dando un ruolo speciale a una delle rette. Potremmo fare come si fa nei disegni in prospettiva: la retta all'orizzonte è una retta diversa dalle altre”.

“Nel senso che non esiste?”.

“Eh, quando si parla di esistenza in questo ambito i filosofi diventano matti. La retta all'orizzonte è una retta, è addirittura una delle prime rette che vengono disegnate quando si disegna a mano. Eppure è una retta fittizia, perché nella realtà (quale realtà, poi? non quella del disegno) non c'è”.

“Argh”.

“Per esempio, immaginiamo che la retta ad arco sia la retta all'orizzonte, quella che i Veri Matematici chiamano retta impropria”.

“Ok”.

“Togliamola dal disegno, allora. E togliamo quindi anche i tre punti da cui è composta: in effetti, la retta è l'insieme di quei tre punti”.

“Va bene, mi viene un disegno del genere:”.



“Benissimo. Ora hai anche delle rette parallele”.

“Cosa? Ma come? Dove?”.

“Per esempio le rette {A, C} e {B, G}”.

“Ah. Effettivamente non si incontrano”.

“Mentre prima si incontravano in D, un punto all'orizzonte”.

“Che strano”.

“Poi anche {A, G} e {B, C} sono parallele”.

“Vero: prima si incontravano in F. Infine {C, G} e {A, B} sono ancora parallele, e prima si incontravano in E”.

“Ottimo. Ora la figura è bella simmetrica come piace a te, anche se abbiamo perso qualcosa”.

“Che cosa?”.

“La dualità non funziona più: ora ci sono 6 rette, ma solo 4 punti”.

“Ah, già”.

“Questo è quello che si chiama piano affine, dove esiste ancora il parallelismo. Se completiamo ogni retta di un piano affine con un nuovo punto, un punto improprio, che è il punto di intersezione all'infinito di due rette parallele, otteniamo il piano proiettivo, quello da cui siamo partiti”.

“E i punti impropri che aggiungiamo costituiscono poi la retta impropria, giusto?”.

“Giustissimo.”.

“Bene, credo di aver capito, anche se questa faccenda della retta all'infinito mi pare ancora molto nebulosa”.

“Dopo ti faccio un altro esempio. Prima, però, una definizione: chiamiamo piano proiettivo di ordine n una geometria che soddisfa gli assiomi per un piano proiettivo finito e che ha almeno una retta con esattamente + 1 punti distinti incidenti con essa, con n maggiore di 1”.

“Fammi capire: cos'è cambiato rispetto a prima?”.

“Prima abbiamo dato una definizione generica, adesso aggiungiamo il concetto di ordine. Insomma, cominciamo a contare le cose”.

“Mh. Quindi l'esempio che abbiamo visto, che contiene rette con tre punti, va bene, perché se n + 1 è uguale a 3 allora n è uguale a 2, e 2 è maggiore di 1”.

“Esatto. Quello che abbiamo visto è l'esempio di piano proiettivo più piccolo che possiamo fare”.

“Niente ordine 1?”.

“No, abbiamo scartato i casi degeneri l'altra volta, ricordi?”.

“Giusto. Esiste anche un esempio di piano proiettivo di ordine 3?”.

“Sì, ma te lo faccio vedere a partire dal piano affine di ordine 3. Prima di mostro alcune rette, poi ti faccio vedere come aggiungere la retta impropria”.

“Proviamo”.

“Cominciamo da qua”.




“Aiuto”.

“Allora, cominciamo dai punti: ce ne sono nove”.

“Benissimo”.

“Poi, per capire come sono fatte le rette, inizio col dirti che ogni retta contiene tre punti”.

“Ok”.

“Le rette facili sono quelle disegnate in nero: tre orizzontali, tre verticali e due in diagonale ”.

“Ok, una diagonale ascendente e una discendente”.

“Esatto. Ora, per capire come sono fatte le altre, ho usato dei colori. La retta rossa, per esempio, contiene i tre punti A, H e F”.

“Vedo: sono sempre tre punti. Però non mi piace quell'arco”.

“Capisco, credo che questo non sia il modo più naturale di disegnare questo piano. Dovremmo immaginarci tre diagonali ascendenti, e non una, così come tre diagonali discendenti”.

“E come facciamo?”.

“Possiamo farlo in due modi. Il primo è pensare che ci troviamo su una carta geografica”.

“In che senso?”.

“Dobbiamo pensare che se usciamo da destra, nella carta geografica, rientriamo da sinistra, e viceversa”.

“Ah”.

“Così, per esempio, se parti da H, scendi verso sinistra e incontri D, poi continui ancora a sinistra e incontri C”.

“Uh, vedo. Vale per tutti i punti: è come se le diagonali più corte andassero a capo dall'altra parte”.

“Esatto. L'altro modo è quello di mettere i nove punti sulla superficie laterale di un cilindro, in modo da non avere una colonna di destra, una colonna di centro e una colonna di sinistra, ma tre colonne in posizioni indistinguibili. In questo modo ci sono tre diagonali discendenti e tre diagonali ascendenti, senza dover andare a capo”.

“Uh, bello questo metodo”.

“Ho provato a fare un disegnino con le tre diagonali discendenti: le figure tridimensionali non sono sempre belle, ma forse si capisce qualcosa: le rette sono tutte uguali. Non ho fatto le altre rette per non complicare troppo la figura”.



“Ah, ecco, vedo. Molto bene!”.

“Ora direi di riprendere il modello sul piano, per semplicità di disegno. Hai visto che ci sono tante rette parallele: in tutto dodici”.

“Sì, che hanno direzioni diverse”.

“Bene: a ognuna di esse aggiungiamo un punto all'infinito”.

“E come?”.

“Le prolunghiamo, e le facciamo incontrare. Ci sono tre rette che vanno in direzione nord-sud, tre rette in direzione est-ovest, tre che vanno da sud-ovest a nord-est, e tre che vanno da nord-ovest a sud-est.”.

“Quindi le prolunghiamo e le incurviamo un pochino?”.

“Sì, così:”.



“Santo cielo”.

“Ho dovuto rinunciare a un po' di simmetrie: come vedi, ho spostato tutti gli archi colorati da una parte, per non intralciare i prolungamenti”.

“Ah, gulp, vedo. Ma c'è molta roba in più rispetto a prima”.

“Sì, ci sono dodici prolungamenti: tre per le rette orizzontali, tre per le rette verticali, tre per quelle ascendenti verso destra, tre per quelle discendenti verso destra”.

“E ognuno dei quattro gruppi si interseca in un punto rosso”.

“Esatto, e quindi abbiamo quattro nuovi punti”.

“Che, aggiunti ai precedenti nove punti, danno un totale di tredici punti”.

“Ok”.

“Poi ci sono le rette: ne avevamo dodici, e abbiamo aggiunto quella all'infinito, quella verde”.

“Totale: tredici”.

“Ed ecco ripristinata la dualità: tredici rette, tredici punti. Ogni retta contiene quattro punti, per ogni punto passano quattro rette”.

“Devo ammettere che questa dualità è elegante. Ma questo numero di rette e punti, è un caso che sia 13?”.

“Naturalmente no”.

“Naturalmente”.

domenica 2 giugno 2019

Giochi proiettivi — 1. Geometrie

“Giochi proiettivi?”.

“Già”.

“Ma proprio giochi veri? O giochi che piacciono solo ai matematici?”.

“Giochi veri, di quelli che si comprano in negozio”.

“Ah. Proiettivi”.

“Proiettivi”.

“Nel senso geometrico del termine?”.

“Esatto. Avrai sentito certamente parlare di geometria proiettiva”.

“Sicuro”.

“Guarda che ne avevamo già parlato”.

“Ah, ecco, non ho ripassato, ehm”.

“Beh, non è che dobbiamo ripetere tutto: ci basta ricordare che cosa sia una geometria”.

Una?”.

“Sì, una perché ne esistono tante, a seconda di quello che vuoi conservare e quello che può invece variare.”.

“Ah, ora che rileggo, mi viene in mente qualcosa: una geometria è lo studio delle proprietà di uno spazio che sono invarianti rispetto ad un gruppo di trasformazioni”.

“Sì. Tanto per fare un esempio, ricorderai che a scuola si potevano studiare le proprietà delle figure congruenti, oppure le proprietà delle figure simili. In un caso ti interessano le dimensioni delle figure, nell'altro solo le forme: tutto dipende da quello che vuoi analizzare”.

“Sì, sì, capisco. Ma per i giochi che geometria ci interessa?”.

“Quella proiettiva”.

“Capirai, la più complicata”.

“Per la precisione: la geometria proiettiva finita”.

Finita? Capisco sempre di meno”.

“Facciamo un passo alla volta. Non abbiamo nemmeno bisogno di ripetere tutto il discorso fatto quando abbiamo parlato del programma di Erlangen: ci basta ripartire dai postulati di Euclide”.

“Ah, proprio dalle basi”.

“Sì, e ce ne bastano proprio pochi”.

“Sarà. Mai fidarsi dei Veri Matematici quando fanno le cose facili”.

“Capisco. Come al solito, le cose possono complicarsi molto in fretta, ma noi rimaniamo sul semplice. Prima di tutto, una teoria ha bisogno di alcuni termini primitivi”.

“Quelli che non si possono spiegare ulteriormente, vero?”.

“Esatto. Quelli la cui natura, se così si può dire, verrà spiegata dalle regole del gioco”.

“Stiamo già giocando?”.

“In un certo senso sì: la geometria, e in generale le teorie matematiche, sono come un gioco. Tu apri la scatola, trovi degli oggetti, e ti chiedi cosa siano. Poi apri il manuale, e leggi che quell'affarino di plastica che hai in mano è un carro armato, che soddisfa a certe regole, che può muoversi solo in un certo modo, che può attaccare solo in un certo momento e seguendo certe altre regole, che può essere ucciso. Ma naturalmente non è un vero carro armato”.

“Decisamente no”.

“Quindi io ti dirò che gli oggetti del nostro gioco si chiamano punti e rette, ma non ti dirò che cosa sono, perché non posso andare più a fondo. Posso però dirti quali sono le regole che essi devono rispettare”.

“Va bene; quindi punti e rette sono gli unici enti primitivi della geometria?”.

“C'è anche un terzo oggetto: il concetto di incidenza”.

“Che sarebbe?”.

“Sarebbe una relazione tra punti e rette. Dato che è un concetto primitivo, non posso spiegartelo ulteriormente, però comunque cercherò di dirti qualcosa per farti capire da dove nasce. Del resto, anche se non ti ho detto che cosa sia un punto, tu un'idea mentale te la sei fatta”.

“Certo, so bene cos'è un punto”.

“Permettimi di dubitare. Anzi, vedrai tra un po' che quello che chiameremo punto non sarà per niente un oggetto che assomiglia ai punti a cui siamo abituati. Le rette, poi, lo saranno ancora meno”.

“Non saranno dritte?”.

“Non si potrà nemmeno parlare del concetto di essere dritto. Del resto, essere dritto significa stare su una retta, quindi c'è poco da spiegare”.

“Andiamo bene”.

“Dunque, stavamo parlando del concetto di incidenza. Quando parliamo normalmente, diciamo che un punto appartiene a una retta, no?”.

“Esatto”.

“Oppure che una retta passa per un punto, o che contiene un punto”.

“Ancora esatto”.

“Quindi esiste una relazione tra una retta e un punto, se il punto sta sulla retta o se, viceversa, la retta passa per un punto”.

“Sì”.

“Questa relazione la chiamiamo incidenza. Invece di dire che un punto sta su una retta, diremo che un punto è incidente alla retta. E invece di dire che una retta contiene un punto, diremo che la retta è incidente al punto”.

“E perché questo linguaggio orripilante?”.

“Per poter usare un solo termine invece di due diversi. Ci piace la simmetria: dato che il concetto è lo stesso, usiamo la stessa parola”.

“È bruttissimo”.

“Concordo. Infatti nel linguaggio comune continueremo a usare i vecchi termini. Però è importante sapere che si può unificare il concetto, rendendolo simmetrico, anche nel linguaggio”.

“Non capisco l'importanza”.

“Perché non ricordi più il concetto di dualità. Ma ne riparleremo”.

“Meno male. Ora diciamo le regole?”.

“Prima una definizione, che ci permette di scrivere in modo leggermente più carino le regole”.

“Ok”.

“Diciamo che punti incidenti a una stessa retta si dicono collineari”.

“Va bene”.

“Ora, le regole, cioè i postulati di Euclide, formulati secondo il linguaggio che abbiamo deciso di usare. Per ora ti dico i primi due, poi vediamo gli altri. Eccoli qua:”.

P1. Per ogni coppia di punti distinti esiste un'unica retta incidente a entrambi i punti.
P2. Per ogni coppia di rette distinte esiste un unico punto incidente a entrambe le rette.

“Mi sembrano condivisibili, mi pare che siano i soliti, a parte quel brutto incidente”.

“Ora cerco di spiegarti la bellezza di questo modo di procedere. Prendi il primo postulato, e scambia punti con rette”.

“In che senso?”.

“Cancella punti e scrivi rette, cancella retta e scrivi punto”.

“Ah, ma diventano uguali. Certo, dobbiamo sistemare un apostrofo e il genere degli aggettivi”.

“Questo passamelo. O preferisci che invece delle parole usi le formule? Con le formule non ci sono più problemi di apostrofi, di plurali e singolari, di maschili e femminili”.

“Ok, ok, va benissimo così. Se faccio quella sostituzione, il primo postulato diventa uguale al secondo”.

“O, se fai la sostituzione nel secondo, è quello che diventa uguale al primo”.

“Esatto”.

“Quindi, a questo livello, le regole non fanno differenza tra punti e rette. Se due persone aprono la scatola del gioco e uno crede che le pedine rosse siano le rette e le blu i punti, e l'altro invece crede il contrario, fino a questo momento le regole non dicono chi abbia ragione. Se avessimo usato il verbo appartenere per i punti e contenere per le rette, allora avremmo fatto una differenza. Con il verbo incidere manteniamo una perfetta simmetria. Anzi, il termine usato per questo tipo di simmetria dai Veri Matematici è dualità”.

“Va bene, allora”.

“Ora, in un mondo perfetto sarebbe bellissimo fermarsi qui: due soli postulati, uno che si può confondere con l'altro, e basta”.

“E non possiamo farlo?”.

“Eh, no. Introduciamo un postulato che ci permetta di escludere casi degeneri, coi quali non vogliamo avere a che fare perché porterebbero a introdurre un sacco di eccezioni nei teoremi che poi scriveremo”.

“Casi degeneri? In che senso?”.

“Pensa a una scatola con una pedina sola, per esempio”.

“E che gioco è, un gioco con una pedina sola?”.

“Appunto”.

“E poi, sarà un punto o una retta?”.

“Potrebbe essere sia un punto che una retta: sono entrambi casi degeneri che non vogliamo. Ancora peggio: pensa a una scatola vuota”.

“Bella fregatura! Ma le regole non proibiscono situazioni di questo tipo?”.

“Sai che in questo caso entrano in gioco le meravigliose proprietà dell'insieme vuoto”.

“Oh no”.

“Eh sì. Una scatola vuota è compatibile, per esempio, con la regola che dice che due rette devono intersecarsi in un punto: dato che di rette non ce ne sono, è impossibile che la situazione contemplata dalla regola non si verifichi”.

“Vabbé, il delirio dei Veri Matematici con l'insieme vuoto è proverbiale. Escludiamo pure questi casi degeneri”.

“Benissimo, ecco qua:”.

P3. Esistono almeno quattro punti distinti a tre a tre non collineari.

“Uhm, fammi capire. Così escludiamo strutture con pochi punti: ne servono almeno 4”.

“Bene. Questi quattro non stanno tutti sulla stessa retta. Anzi, se ne prendi tre, come preferisci, nemmeno quei tre stanno sulla stessa retta”.

“Quindi posso immaginarmi una cosa del genere?”.



“Puoi certamente farlo, ma sappi che non è l'unico modo per immaginarsi questa situazione”.

“Va bene, anche se ancora non capisco”.

“Porta pazienza: capirai”.

“Ok. Ma l'introduzione di questo postulato non porta una asimmetria nella dualità che tanto ti piaceva?”.

“Ah, ottima domanda! No, non lo fa: prova a enunciare il postulato duale”.

“Oh, allora, scambiando rette con punti mi verrebbe da dire una cosa del genere:”.

P4. Esistono almeno 4 rette distinte che a tre a tre non incidono sullo stesso punto.

“Ottimo, hai anche usato il verbo incidere”.

“E non dovremmo aggiungere questo postulato, per mantenere la dualità?”.

“No, se prendi i quattro punti del postulato 3, e consideri tutte le rette che passano per due di quei punti, il tuo postulato 4 è automatico”.

“Ah, ma lo vedo anche dal disegno!”.

“Esatto”.

“Bene, e adesso?”.

“E adesso preparati a una sorpresa: questi postulati non definiscono solo la geometria alla quale siamo abituati, ma definiscono anche altri tipi strani di geometrie. Anzi, a dir la verità mi aspettavo un'obiezione”.

“Quale?”.

“Questi tre postulati non prevedono le rette parallele, che nella geometria a cui pensiamo sempre esistono”.

“Ah, hai ragione. Anzi, il postulato 2 le vieta proprio, le rette parallele!”.

“Esattamente. In questo tipo di geometria le rette parallele non esistono. Per questo viene chiamata geometria proiettiva”.

“È quella dei disegni in prospettiva?”.

“Esatto: nei disegni in prospettiva le rette parallele non esistono: quelle che nella realtà sono parallele, in prospettiva si intersecano sulla linea d'orizzonte”.

“Va bene. Qual è, invece, la sorpresa a cui mi devo preparare?”.

“Eccola qua: quanti punti sono necessari per lavorare con questa geometria?”.

“Beh, infiniti, no? Devo sempre poter disegnare le rette”.

“E chi ha detto che le rette sono composte da infiniti punti?”.

“Eh, se sono rette devono per forza… No, mi fermo subito, non succede niente per forza”.

“Bene”.

“I postulati non parlano mai di infiniti punti”.

“Bene”.

“E mi pare che da nessuna parte sia sottinteso il concetto di infinito. Nella geometria euclidea c'erano dei postulati apposta che ci permettevano di capire che una retta contiene infiniti punti”.

“Benissimo. Qua invece no: quindi è lecito che nella nostra scatola che contiene le pedine di questo gioco ci sia un numero finito di oggetti”.

“Che strano”.

“Ecco una configurazione di punti e rette che rispetta i postulati”.



“Cosa sto guardando? Una figura?”.

“No, l'universo di questa geometria. È composto da 7 punti: A, B, C, D, E , F, G”.

“Questi li vedo”.

“Poi ci sono delle rette. Tieni presente che, anche se sono disegnate come segmenti, in realtà non sono composte da infiniti punti. I segmenti ci servono solo per vedere meglio la struttura ma, tanto per fare un esempio, la retta che passa per A, E e B non contiene altri punti”.

“È una retta composta da soli tre punti?”.

“Esatto”.

“Che roba”.

“E quell'arco?”.

“È una retta anche lui”.

“Ma come? Non è drit… oh”.

“Già”.

“Non c'è scritto da nessuna parte che una retta è dritta”.

“Già. Inoltre, l'arco non esiste nemmeno, è solo un ausilio per raggruppare i punti”.

“Ah, va bene, che roba”.

“Avrei anche potuto descrivere gli oggetti senza l'ausilio di un disegno, ma sarebbe stato più brutto e meno comprensibile”.

“Come?”.

“Così: ti ho già fatto l'elenco dei punti, mi basta fare anche quello delle rette”.

Elenco delle rette:
{A, E, B}
{A, G, F}
{A, D, C}
{D, E, F}
{B, G, D}
{B, F, C}
{C, G, E}

“Tutto qua?”.

“Tutto qua. Puoi verificare che i tre postulati sono validi: se scegli due punti qualsiasi, c'è una sola retta che passa per entrambi. Se scegli due rette, queste si intersecano in un solo punto. Infine, esistono quattro punti a tre a tre non allineati, per esempio A, E, G, D”.

“Ed esistono anche quattro rette che non passano per uno stesso punto. Anzi, per ogni punto passano esattamente tre rette”.

“E allora sarà vera anche la proposizione duale: riesci a vederla?”.

“Dovrebbe essere: ogni retta contiene esattamente tre punti. Ed è vero!”.

“Benissimo”.

“Che strano, una geometria con sette punti e sette rette. Ma è un caso che il numero di punti e il numero di rette siano uguali?”.

“Hai già dimenticato la dualità?”.

“No ma… Ah! Se devo poter scambiare punti con rette, il numero dei punti deve essere uguale a quello delle rette, altrimenti non ce la faccio”.

“Proprio così”.

“E adesso?”.

“Adesso, facciamo qualche altro esempio, ragioniamo un po' su quello che succede, poi giochiamo”.

“Ottimo!”.