“Ora facciamo un po' di conti”.
“Con gli spazi proiettivi?”.
“Sì, proviamo a contare i punti, le rette, e proviamo a capire se c'è qualche relazione interessante”.
“Bene”.
“Supponiamo quindi di avere un piano proiettivo che contiene almeno una retta”.
“Giusto, non vogliamo strutture degeneri”.
“Esatto. E supponiamo che esista una retta che contiene n + 1 punti”.
“Perché n + 1 e non semplicemente n?”.
“Perché è più comodo”.
“Allora non discuto”.
“Con n almeno 2, per evitare i casi degeneri”.
“Bene. Quindi questa retta ha almeno tre punti”.
“Esatto, come nel primo esempio che abbiamo visto”.
“Quello a triangolo: ricordo”.
“Ricordi anche che abbiamo inserito un postulato che evita i casi degeneri?”.
“Sì, quello che dice che esistono almeno 4 punti distinti, a 3 a 3 non allineati”.
“Che si può esprimere anche in forma duale: esistono almeno 4 rette distinte, che a 3 a 3 non passano per lo stesso punto”.
“Giusto”.
“Quindi, oltre alla nostra retta che contiene n + 1 punti, ci sono altre rette e altri punti fuori da essa”.
“Ancora giusto”.
“Consideriamo un qualsiasi punto al di fuori della nostra retta, e chiamiamolo P”.
“Ok”.
“Ora possiamo considerare tutte le rette che passano per uno dei punti della nostra retta e per P”.
“Sono n + 1, dato che abbiamo n + 1 punti, giusto?”.
“Dimmi tu: sono davvero tutte diverse, oppure qualcuna di queste è sempre la stessa?”.
“Uh. Mi sembra che non sia possibile che due di queste rette siano la stessa retta”.
“Prova a spiegare”.
“Provo: indico con r la retta data, quella che non contiene P, e chiamo A e B due suoi punti. Poi considero le due rette PA e PB”.
“Quindi la domanda diventa: è possibile che PA e PB siano la stessa retta? I postulati ce lo consentono?”.
“Il primo dice che per due punti distinti passa una sola retta”.
“Giusto”.
“Quindi se PA e PB fossero la stessa retta, essa dovrebbe contenere i tre punti P, A e B. Ah, ho capito! La retta che passa per A e per B è proprio r, quindi anche questa retta dovrebbe essere r”.
“E perché non è possibile?”.
“Perché dovrebbe contenere quindi anche P, ma abbiamo detto all'inizio che P è un punto esterno”.
“Ottimo. Quindi, riassumendo: abbiamo la retta r che contiene n + 1 punti, abbiamo un punto P esterno, e abbiamo n + 1 rette che passano per P e intersecano r in n + 1 punti diversi”.
“Ci sono”.
“Ora facciamo un disegno che ci faccia vedere le cose:”.
“Oh, benissimo”.
“Ora, l'ultimo postulato dice che esistono quattro rette distinte che a tre a tre non passano per uno stesso punto”.
“In questo disegno di rette ce ne sono anche di più di quattro”.
“Però non rispettano il postulato”.
“Ma come?”.
“Se ne prendi quattro che passano per P, evidentemente passano tutte per lo stesso punto e quindi il postulato è falso”.
“E fin qua ci siamo”.
“Se ne prendi solo tre che passano per P, e come quarta retta prendi quella viola, le tre che passano per P non rispettano il postulato”.
“Ah, già. E allora? C'è qualcosa di sbagliato?”.
“No, semplicemente il disegno non è completo: deve esistere un'altra retta, che non passa per P”.
“Ah-ha!”.
“E dovrà passare per uno dei punti della retta viola”.
“Perché non esistono rette parallele: due rette si intersecano sempre in un punto: ho capito. Facciamo il disegno, però”.
“Sì, immagino che questa nuova retta passi per A:”.
“Vedo. Ma cosa sono quei punti arancioni?”.
“Beh, se la nuova retta disegnata passa per A, non può passare per gli altri punti della prima retta”.
“Giusto, altrimenti sarebbe coincidente con essa”.
“E, però, deve intersecare le altre rette”.
“Perché non esistono parallele, giusto?”.
“Sì. Quindi devono esistere altri punti di intersezione, quelli che ho segnato in arancione”.
“Ok, ci sono”.
“Allora quanti punti avrà la nuova retta?”.
“Dunque, contiene A, e contiene i punti arancioni… i punti arancioni sono uno in meno rispetto alle rette che avevamo, cioè n… ah, certo! La nuova retta contiene n + 1 punti”.
“Allora abbiamo dimostrato un teorema importante: se in un piano proiettivo c'è una retta che contiene n + 1 punti, allora tutte le rette contengono n + 1 punti”.
“Ah, ecco”.
“E, grazie alla magia del principio di dualità, possiamo immediatamente dire, senza fare altre figure o considerazioni, che per tutti i punti passano n + 1 rette”.
“Bello”.
“Ora contiamo tutti i punti del piano”.
“Oh. Proviamo”.
“Fissiamone uno, e chiamiamolo P”.
“Fin qua è facile, uno l'abbiamo contato”.
“Ora, per esso e per ognuno di tutti gli altri punti passa una e una sola retta: ce lo assicurano i postulati”.
“Giusto”.
“Ci sono n + 1 rette che passano per P, e ognuna di esse contiene n punti diversi da P”.
“Vero. Quindi in tutto ci sono n(n + 1) punti?”.
“No: hai dimenticato di contare P”.
“Giusto: allora possiamo dire che ci sono n(n + 1) + 1 punti”.
“O, anche, n2 + n + 1 punti”.
“Ok, è la stessa cosa. Ehi, possiamo usare la dualità anche qui, vero?”.
“Certo”.
“Allora ci sono anche n2 + n + 1 rette!”.
“Certo”.
“Quindi ci siamo riusciti: un piano proiettivo di ordine n contiene n2 + n + 1 punti e n2 + n + 1 rette”.
“Se esiste”.
“Come se esiste?”.
“Eh”.
sabato 22 giugno 2019
martedì 4 giugno 2019
Giochi proiettivi — 2. Convergenze parallele
“C'è una cosa che non mi convince in quello strano esempio di geometria finita che mi hai fatto vedere l'altra volta”.
“Questo?”.
“Sì, questo. Non mi convince quell'arco: rovina la simmetria”.
“Avresti preferito una circonferenza?”.
“Sarebbe stato molto più bello e simmetrico, sì”.
“In effetti, la voce su Wikipedia relativa a questo modello, che si chiama Piano di Fano, mostra la figura che piace a te”.
“E perché tu l'hai disegnata così?”.
“Per non dare l'idea che la retta che contiene i punti D, E e F sia diversa dalle altre. Se disegnassi una circonferenza, questa retta sembrerebbe chiusa, mentre le altre no”.
“E non è così?”.
“No: le sette rette sono tutte fatte allo stesso modo, cioè sono tutte insiemi che contengono tre punti: se disegnassimo chiusa quella centrale, cosa che potremmo anche fare, dovremmo chiudere anche le altre sei, e il disegno risulterebbe inutilmente complicato”.
“Ah. Quindi la chiusura avrebbe un senso? Potrei percorrere le rette in cerchio, per così dire? Potrei camminare da A verso D, poi verso C, poi di nuovo verso A?”.
“Sì, nulla lo vieterebbe”.
“Che strana geometria”.
“Possiamo farla diventare una geometria un po' meno strana, forse, dando un ruolo speciale a una delle rette. Potremmo fare come si fa nei disegni in prospettiva: la retta all'orizzonte è una retta diversa dalle altre”.
“Nel senso che non esiste?”.
“Eh, quando si parla di esistenza in questo ambito i filosofi diventano matti. La retta all'orizzonte è una retta, è addirittura una delle prime rette che vengono disegnate quando si disegna a mano. Eppure è una retta fittizia, perché nella realtà (quale realtà, poi? non quella del disegno) non c'è”.
“Argh”.
“Per esempio, immaginiamo che la retta ad arco sia la retta all'orizzonte, quella che i Veri Matematici chiamano retta impropria”.
“Ok”.
“Togliamola dal disegno, allora. E togliamo quindi anche i tre punti da cui è composta: in effetti, la retta è l'insieme di quei tre punti”.
“Va bene, mi viene un disegno del genere:”.
“Benissimo. Ora hai anche delle rette parallele”.
“Cosa? Ma come? Dove?”.
“Per esempio le rette {A, C} e {B, G}”.
“Ah. Effettivamente non si incontrano”.
“Mentre prima si incontravano in D, un punto all'orizzonte”.
“Che strano”.
“Poi anche {A, G} e {B, C} sono parallele”.
“Vero: prima si incontravano in F. Infine {C, G} e {A, B} sono ancora parallele, e prima si incontravano in E”.
“Ottimo. Ora la figura è bella simmetrica come piace a te, anche se abbiamo perso qualcosa”.
“Che cosa?”.
“La dualità non funziona più: ora ci sono 6 rette, ma solo 4 punti”.
“Ah, già”.
“Questo è quello che si chiama piano affine, dove esiste ancora il parallelismo. Se completiamo ogni retta di un piano affine con un nuovo punto, un punto improprio, che è il punto di intersezione all'infinito di due rette parallele, otteniamo il piano proiettivo, quello da cui siamo partiti”.
“E i punti impropri che aggiungiamo costituiscono poi la retta impropria, giusto?”.
“Giustissimo.”.
“Bene, credo di aver capito, anche se questa faccenda della retta all'infinito mi pare ancora molto nebulosa”.
“Dopo ti faccio un altro esempio. Prima, però, una definizione: chiamiamo piano proiettivo di ordine n una geometria che soddisfa gli assiomi per un piano proiettivo finito e che ha almeno una retta con esattamente n + 1 punti distinti incidenti con essa, con n maggiore di 1”.
“Fammi capire: cos'è cambiato rispetto a prima?”.
“Prima abbiamo dato una definizione generica, adesso aggiungiamo il concetto di ordine. Insomma, cominciamo a contare le cose”.
“Mh. Quindi l'esempio che abbiamo visto, che contiene rette con tre punti, va bene, perché se n + 1 è uguale a 3 allora n è uguale a 2, e 2 è maggiore di 1”.
“Esatto. Quello che abbiamo visto è l'esempio di piano proiettivo più piccolo che possiamo fare”.
“Niente ordine 1?”.
“No, abbiamo scartato i casi degeneri l'altra volta, ricordi?”.
“Giusto. Esiste anche un esempio di piano proiettivo di ordine 3?”.
“Sì, ma te lo faccio vedere a partire dal piano affine di ordine 3. Prima di mostro alcune rette, poi ti faccio vedere come aggiungere la retta impropria”.
“Proviamo”.
“Cominciamo da qua”.
“Aiuto”.
“Allora, cominciamo dai punti: ce ne sono nove”.
“Benissimo”.
“Poi, per capire come sono fatte le rette, inizio col dirti che ogni retta contiene tre punti”.
“Ok”.
“Le rette facili sono quelle disegnate in nero: tre orizzontali, tre verticali e due in diagonale ”.
“Ok, una diagonale ascendente e una discendente”.
“Esatto. Ora, per capire come sono fatte le altre, ho usato dei colori. La retta rossa, per esempio, contiene i tre punti A, H e F”.
“Vedo: sono sempre tre punti. Però non mi piace quell'arco”.
“Capisco, credo che questo non sia il modo più naturale di disegnare questo piano. Dovremmo immaginarci tre diagonali ascendenti, e non una, così come tre diagonali discendenti”.
“E come facciamo?”.
“Possiamo farlo in due modi. Il primo è pensare che ci troviamo su una carta geografica”.
“In che senso?”.
“Dobbiamo pensare che se usciamo da destra, nella carta geografica, rientriamo da sinistra, e viceversa”.
“Ah”.
“Così, per esempio, se parti da H, scendi verso sinistra e incontri D, poi continui ancora a sinistra e incontri C”.
“Uh, vedo. Vale per tutti i punti: è come se le diagonali più corte andassero a capo dall'altra parte”.
“Esatto. L'altro modo è quello di mettere i nove punti sulla superficie laterale di un cilindro, in modo da non avere una colonna di destra, una colonna di centro e una colonna di sinistra, ma tre colonne in posizioni indistinguibili. In questo modo ci sono tre diagonali discendenti e tre diagonali ascendenti, senza dover andare a capo”.
“Uh, bello questo metodo”.
“Ho provato a fare un disegnino con le tre diagonali discendenti: le figure tridimensionali non sono sempre belle, ma forse si capisce qualcosa: le rette sono tutte uguali. Non ho fatto le altre rette per non complicare troppo la figura”.
“Ah, ecco, vedo. Molto bene!”.
“Ora direi di riprendere il modello sul piano, per semplicità di disegno. Hai visto che ci sono tante rette parallele: in tutto dodici”.
“Sì, che hanno direzioni diverse”.
“Bene: a ognuna di esse aggiungiamo un punto all'infinito”.
“E come?”.
“Le prolunghiamo, e le facciamo incontrare. Ci sono tre rette che vanno in direzione nord-sud, tre rette in direzione est-ovest, tre che vanno da sud-ovest a nord-est, e tre che vanno da nord-ovest a sud-est.”.
“Quindi le prolunghiamo e le incurviamo un pochino?”.
“Sì, così:”.
“Santo cielo”.
“Ho dovuto rinunciare a un po' di simmetrie: come vedi, ho spostato tutti gli archi colorati da una parte, per non intralciare i prolungamenti”.
“Ah, gulp, vedo. Ma c'è molta roba in più rispetto a prima”.
“Sì, ci sono dodici prolungamenti: tre per le rette orizzontali, tre per le rette verticali, tre per quelle ascendenti verso destra, tre per quelle discendenti verso destra”.
“E ognuno dei quattro gruppi si interseca in un punto rosso”.
“Esatto, e quindi abbiamo quattro nuovi punti”.
“Che, aggiunti ai precedenti nove punti, danno un totale di tredici punti”.
“Ok”.
“Poi ci sono le rette: ne avevamo dodici, e abbiamo aggiunto quella all'infinito, quella verde”.
“Totale: tredici”.
“Ed ecco ripristinata la dualità: tredici rette, tredici punti. Ogni retta contiene quattro punti, per ogni punto passano quattro rette”.
“Devo ammettere che questa dualità è elegante. Ma questo numero di rette e punti, è un caso che sia 13?”.
“Naturalmente no”.
“Naturalmente”.
“Questo?”.
“Sì, questo. Non mi convince quell'arco: rovina la simmetria”.
“Avresti preferito una circonferenza?”.
“Sarebbe stato molto più bello e simmetrico, sì”.
“In effetti, la voce su Wikipedia relativa a questo modello, che si chiama Piano di Fano, mostra la figura che piace a te”.
“E perché tu l'hai disegnata così?”.
“Per non dare l'idea che la retta che contiene i punti D, E e F sia diversa dalle altre. Se disegnassi una circonferenza, questa retta sembrerebbe chiusa, mentre le altre no”.
“E non è così?”.
“No: le sette rette sono tutte fatte allo stesso modo, cioè sono tutte insiemi che contengono tre punti: se disegnassimo chiusa quella centrale, cosa che potremmo anche fare, dovremmo chiudere anche le altre sei, e il disegno risulterebbe inutilmente complicato”.
“Ah. Quindi la chiusura avrebbe un senso? Potrei percorrere le rette in cerchio, per così dire? Potrei camminare da A verso D, poi verso C, poi di nuovo verso A?”.
“Sì, nulla lo vieterebbe”.
“Che strana geometria”.
“Possiamo farla diventare una geometria un po' meno strana, forse, dando un ruolo speciale a una delle rette. Potremmo fare come si fa nei disegni in prospettiva: la retta all'orizzonte è una retta diversa dalle altre”.
“Nel senso che non esiste?”.
“Eh, quando si parla di esistenza in questo ambito i filosofi diventano matti. La retta all'orizzonte è una retta, è addirittura una delle prime rette che vengono disegnate quando si disegna a mano. Eppure è una retta fittizia, perché nella realtà (quale realtà, poi? non quella del disegno) non c'è”.
“Argh”.
“Per esempio, immaginiamo che la retta ad arco sia la retta all'orizzonte, quella che i Veri Matematici chiamano retta impropria”.
“Ok”.
“Togliamola dal disegno, allora. E togliamo quindi anche i tre punti da cui è composta: in effetti, la retta è l'insieme di quei tre punti”.
“Va bene, mi viene un disegno del genere:”.
“Benissimo. Ora hai anche delle rette parallele”.
“Cosa? Ma come? Dove?”.
“Per esempio le rette {A, C} e {B, G}”.
“Ah. Effettivamente non si incontrano”.
“Mentre prima si incontravano in D, un punto all'orizzonte”.
“Che strano”.
“Poi anche {A, G} e {B, C} sono parallele”.
“Vero: prima si incontravano in F. Infine {C, G} e {A, B} sono ancora parallele, e prima si incontravano in E”.
“Ottimo. Ora la figura è bella simmetrica come piace a te, anche se abbiamo perso qualcosa”.
“Che cosa?”.
“La dualità non funziona più: ora ci sono 6 rette, ma solo 4 punti”.
“Ah, già”.
“Questo è quello che si chiama piano affine, dove esiste ancora il parallelismo. Se completiamo ogni retta di un piano affine con un nuovo punto, un punto improprio, che è il punto di intersezione all'infinito di due rette parallele, otteniamo il piano proiettivo, quello da cui siamo partiti”.
“E i punti impropri che aggiungiamo costituiscono poi la retta impropria, giusto?”.
“Giustissimo.”.
“Bene, credo di aver capito, anche se questa faccenda della retta all'infinito mi pare ancora molto nebulosa”.
“Dopo ti faccio un altro esempio. Prima, però, una definizione: chiamiamo piano proiettivo di ordine n una geometria che soddisfa gli assiomi per un piano proiettivo finito e che ha almeno una retta con esattamente n + 1 punti distinti incidenti con essa, con n maggiore di 1”.
“Fammi capire: cos'è cambiato rispetto a prima?”.
“Prima abbiamo dato una definizione generica, adesso aggiungiamo il concetto di ordine. Insomma, cominciamo a contare le cose”.
“Mh. Quindi l'esempio che abbiamo visto, che contiene rette con tre punti, va bene, perché se n + 1 è uguale a 3 allora n è uguale a 2, e 2 è maggiore di 1”.
“Esatto. Quello che abbiamo visto è l'esempio di piano proiettivo più piccolo che possiamo fare”.
“Niente ordine 1?”.
“No, abbiamo scartato i casi degeneri l'altra volta, ricordi?”.
“Giusto. Esiste anche un esempio di piano proiettivo di ordine 3?”.
“Sì, ma te lo faccio vedere a partire dal piano affine di ordine 3. Prima di mostro alcune rette, poi ti faccio vedere come aggiungere la retta impropria”.
“Proviamo”.
“Cominciamo da qua”.
“Aiuto”.
“Allora, cominciamo dai punti: ce ne sono nove”.
“Benissimo”.
“Poi, per capire come sono fatte le rette, inizio col dirti che ogni retta contiene tre punti”.
“Ok”.
“Le rette facili sono quelle disegnate in nero: tre orizzontali, tre verticali e due in diagonale ”.
“Ok, una diagonale ascendente e una discendente”.
“Esatto. Ora, per capire come sono fatte le altre, ho usato dei colori. La retta rossa, per esempio, contiene i tre punti A, H e F”.
“Vedo: sono sempre tre punti. Però non mi piace quell'arco”.
“Capisco, credo che questo non sia il modo più naturale di disegnare questo piano. Dovremmo immaginarci tre diagonali ascendenti, e non una, così come tre diagonali discendenti”.
“E come facciamo?”.
“Possiamo farlo in due modi. Il primo è pensare che ci troviamo su una carta geografica”.
“In che senso?”.
“Dobbiamo pensare che se usciamo da destra, nella carta geografica, rientriamo da sinistra, e viceversa”.
“Ah”.
“Così, per esempio, se parti da H, scendi verso sinistra e incontri D, poi continui ancora a sinistra e incontri C”.
“Uh, vedo. Vale per tutti i punti: è come se le diagonali più corte andassero a capo dall'altra parte”.
“Esatto. L'altro modo è quello di mettere i nove punti sulla superficie laterale di un cilindro, in modo da non avere una colonna di destra, una colonna di centro e una colonna di sinistra, ma tre colonne in posizioni indistinguibili. In questo modo ci sono tre diagonali discendenti e tre diagonali ascendenti, senza dover andare a capo”.
“Uh, bello questo metodo”.
“Ho provato a fare un disegnino con le tre diagonali discendenti: le figure tridimensionali non sono sempre belle, ma forse si capisce qualcosa: le rette sono tutte uguali. Non ho fatto le altre rette per non complicare troppo la figura”.
“Ah, ecco, vedo. Molto bene!”.
“Ora direi di riprendere il modello sul piano, per semplicità di disegno. Hai visto che ci sono tante rette parallele: in tutto dodici”.
“Sì, che hanno direzioni diverse”.
“Bene: a ognuna di esse aggiungiamo un punto all'infinito”.
“E come?”.
“Le prolunghiamo, e le facciamo incontrare. Ci sono tre rette che vanno in direzione nord-sud, tre rette in direzione est-ovest, tre che vanno da sud-ovest a nord-est, e tre che vanno da nord-ovest a sud-est.”.
“Quindi le prolunghiamo e le incurviamo un pochino?”.
“Sì, così:”.
“Santo cielo”.
“Ho dovuto rinunciare a un po' di simmetrie: come vedi, ho spostato tutti gli archi colorati da una parte, per non intralciare i prolungamenti”.
“Ah, gulp, vedo. Ma c'è molta roba in più rispetto a prima”.
“Sì, ci sono dodici prolungamenti: tre per le rette orizzontali, tre per le rette verticali, tre per quelle ascendenti verso destra, tre per quelle discendenti verso destra”.
“E ognuno dei quattro gruppi si interseca in un punto rosso”.
“Esatto, e quindi abbiamo quattro nuovi punti”.
“Che, aggiunti ai precedenti nove punti, danno un totale di tredici punti”.
“Ok”.
“Poi ci sono le rette: ne avevamo dodici, e abbiamo aggiunto quella all'infinito, quella verde”.
“Totale: tredici”.
“Ed ecco ripristinata la dualità: tredici rette, tredici punti. Ogni retta contiene quattro punti, per ogni punto passano quattro rette”.
“Devo ammettere che questa dualità è elegante. Ma questo numero di rette e punti, è un caso che sia 13?”.
“Naturalmente no”.
“Naturalmente”.
domenica 2 giugno 2019
Giochi proiettivi — 1. Geometrie
“Giochi proiettivi?”.
“Già”.
“Ma proprio giochi veri? O giochi che piacciono solo ai matematici?”.
“Giochi veri, di quelli che si comprano in negozio”.
“Ah. Proiettivi”.
“Proiettivi”.
“Nel senso geometrico del termine?”.
“Esatto. Avrai sentito certamente parlare di geometria proiettiva”.
“Sicuro”.
“Guarda che ne avevamo già parlato”.
“Ah, ecco, non ho ripassato, ehm”.
“Beh, non è che dobbiamo ripetere tutto: ci basta ricordare che cosa sia una geometria”.
“Una?”.
“Sì, una perché ne esistono tante, a seconda di quello che vuoi conservare e quello che può invece variare.”.
“Ah, ora che rileggo, mi viene in mente qualcosa: una geometria è lo studio delle proprietà di uno spazio che sono invarianti rispetto ad un gruppo di trasformazioni”.
“Sì. Tanto per fare un esempio, ricorderai che a scuola si potevano studiare le proprietà delle figure congruenti, oppure le proprietà delle figure simili. In un caso ti interessano le dimensioni delle figure, nell'altro solo le forme: tutto dipende da quello che vuoi analizzare”.
“Sì, sì, capisco. Ma per i giochi che geometria ci interessa?”.
“Quella proiettiva”.
“Capirai, la più complicata”.
“Per la precisione: la geometria proiettiva finita”.
“Finita? Capisco sempre di meno”.
“Facciamo un passo alla volta. Non abbiamo nemmeno bisogno di ripetere tutto il discorso fatto quando abbiamo parlato del programma di Erlangen: ci basta ripartire dai postulati di Euclide”.
“Ah, proprio dalle basi”.
“Sì, e ce ne bastano proprio pochi”.
“Sarà. Mai fidarsi dei Veri Matematici quando fanno le cose facili”.
“Capisco. Come al solito, le cose possono complicarsi molto in fretta, ma noi rimaniamo sul semplice. Prima di tutto, una teoria ha bisogno di alcuni termini primitivi”.
“Quelli che non si possono spiegare ulteriormente, vero?”.
“Esatto. Quelli la cui natura, se così si può dire, verrà spiegata dalle regole del gioco”.
“Stiamo già giocando?”.
“In un certo senso sì: la geometria, e in generale le teorie matematiche, sono come un gioco. Tu apri la scatola, trovi degli oggetti, e ti chiedi cosa siano. Poi apri il manuale, e leggi che quell'affarino di plastica che hai in mano è un carro armato, che soddisfa a certe regole, che può muoversi solo in un certo modo, che può attaccare solo in un certo momento e seguendo certe altre regole, che può essere ucciso. Ma naturalmente non è un vero carro armato”.
“Decisamente no”.
“Quindi io ti dirò che gli oggetti del nostro gioco si chiamano punti e rette, ma non ti dirò che cosa sono, perché non posso andare più a fondo. Posso però dirti quali sono le regole che essi devono rispettare”.
“Va bene; quindi punti e rette sono gli unici enti primitivi della geometria?”.
“C'è anche un terzo oggetto: il concetto di incidenza”.
“Che sarebbe?”.
“Sarebbe una relazione tra punti e rette. Dato che è un concetto primitivo, non posso spiegartelo ulteriormente, però comunque cercherò di dirti qualcosa per farti capire da dove nasce. Del resto, anche se non ti ho detto che cosa sia un punto, tu un'idea mentale te la sei fatta”.
“Certo, so bene cos'è un punto”.
“Permettimi di dubitare. Anzi, vedrai tra un po' che quello che chiameremo punto non sarà per niente un oggetto che assomiglia ai punti a cui siamo abituati. Le rette, poi, lo saranno ancora meno”.
“Non saranno dritte?”.
“Non si potrà nemmeno parlare del concetto di essere dritto. Del resto, essere dritto significa stare su una retta, quindi c'è poco da spiegare”.
“Andiamo bene”.
“Dunque, stavamo parlando del concetto di incidenza. Quando parliamo normalmente, diciamo che un punto appartiene a una retta, no?”.
“Esatto”.
“Oppure che una retta passa per un punto, o che contiene un punto”.
“Ancora esatto”.
“Quindi esiste una relazione tra una retta e un punto, se il punto sta sulla retta o se, viceversa, la retta passa per un punto”.
“Sì”.
“Questa relazione la chiamiamo incidenza. Invece di dire che un punto sta su una retta, diremo che un punto è incidente alla retta. E invece di dire che una retta contiene un punto, diremo che la retta è incidente al punto”.
“E perché questo linguaggio orripilante?”.
“Per poter usare un solo termine invece di due diversi. Ci piace la simmetria: dato che il concetto è lo stesso, usiamo la stessa parola”.
“È bruttissimo”.
“Concordo. Infatti nel linguaggio comune continueremo a usare i vecchi termini. Però è importante sapere che si può unificare il concetto, rendendolo simmetrico, anche nel linguaggio”.
“Non capisco l'importanza”.
“Perché non ricordi più il concetto di dualità. Ma ne riparleremo”.
“Meno male. Ora diciamo le regole?”.
“Prima una definizione, che ci permette di scrivere in modo leggermente più carino le regole”.
“Ok”.
“Diciamo che punti incidenti a una stessa retta si dicono collineari”.
“Va bene”.
“Ora, le regole, cioè i postulati di Euclide, formulati secondo il linguaggio che abbiamo deciso di usare. Per ora ti dico i primi due, poi vediamo gli altri. Eccoli qua:”.
P1. Per ogni coppia di punti distinti esiste un'unica retta incidente a entrambi i punti.
P2. Per ogni coppia di rette distinte esiste un unico punto incidente a entrambe le rette.
“Mi sembrano condivisibili, mi pare che siano i soliti, a parte quel brutto incidente”.
“Ora cerco di spiegarti la bellezza di questo modo di procedere. Prendi il primo postulato, e scambia punti con rette”.
“In che senso?”.
“Cancella punti e scrivi rette, cancella retta e scrivi punto”.
“Ah, ma diventano uguali. Certo, dobbiamo sistemare un apostrofo e il genere degli aggettivi”.
“Questo passamelo. O preferisci che invece delle parole usi le formule? Con le formule non ci sono più problemi di apostrofi, di plurali e singolari, di maschili e femminili”.
“Ok, ok, va benissimo così. Se faccio quella sostituzione, il primo postulato diventa uguale al secondo”.
“O, se fai la sostituzione nel secondo, è quello che diventa uguale al primo”.
“Esatto”.
“Quindi, a questo livello, le regole non fanno differenza tra punti e rette. Se due persone aprono la scatola del gioco e uno crede che le pedine rosse siano le rette e le blu i punti, e l'altro invece crede il contrario, fino a questo momento le regole non dicono chi abbia ragione. Se avessimo usato il verbo appartenere per i punti e contenere per le rette, allora avremmo fatto una differenza. Con il verbo incidere manteniamo una perfetta simmetria. Anzi, il termine usato per questo tipo di simmetria dai Veri Matematici è dualità”.
“Va bene, allora”.
“Ora, in un mondo perfetto sarebbe bellissimo fermarsi qui: due soli postulati, uno che si può confondere con l'altro, e basta”.
“E non possiamo farlo?”.
“Eh, no. Introduciamo un postulato che ci permetta di escludere casi degeneri, coi quali non vogliamo avere a che fare perché porterebbero a introdurre un sacco di eccezioni nei teoremi che poi scriveremo”.
“Casi degeneri? In che senso?”.
“Pensa a una scatola con una pedina sola, per esempio”.
“E che gioco è, un gioco con una pedina sola?”.
“Appunto”.
“E poi, sarà un punto o una retta?”.
“Potrebbe essere sia un punto che una retta: sono entrambi casi degeneri che non vogliamo. Ancora peggio: pensa a una scatola vuota”.
“Bella fregatura! Ma le regole non proibiscono situazioni di questo tipo?”.
“Sai che in questo caso entrano in gioco le meravigliose proprietà dell'insieme vuoto”.
“Oh no”.
“Eh sì. Una scatola vuota è compatibile, per esempio, con la regola che dice che due rette devono intersecarsi in un punto: dato che di rette non ce ne sono, è impossibile che la situazione contemplata dalla regola non si verifichi”.
“Vabbé, il delirio dei Veri Matematici con l'insieme vuoto è proverbiale. Escludiamo pure questi casi degeneri”.
“Benissimo, ecco qua:”.
P3. Esistono almeno quattro punti distinti a tre a tre non collineari.
“Uhm, fammi capire. Così escludiamo strutture con pochi punti: ne servono almeno 4”.
“Bene. Questi quattro non stanno tutti sulla stessa retta. Anzi, se ne prendi tre, come preferisci, nemmeno quei tre stanno sulla stessa retta”.
“Quindi posso immaginarmi una cosa del genere?”.
“Puoi certamente farlo, ma sappi che non è l'unico modo per immaginarsi questa situazione”.
“Va bene, anche se ancora non capisco”.
“Porta pazienza: capirai”.
“Ok. Ma l'introduzione di questo postulato non porta una asimmetria nella dualità che tanto ti piaceva?”.
“Ah, ottima domanda! No, non lo fa: prova a enunciare il postulato duale”.
“Oh, allora, scambiando rette con punti mi verrebbe da dire una cosa del genere:”.
P4. Esistono almeno 4 rette distinte che a tre a tre non incidono sullo stesso punto.
“Ottimo, hai anche usato il verbo incidere”.
“E non dovremmo aggiungere questo postulato, per mantenere la dualità?”.
“No, se prendi i quattro punti del postulato 3, e consideri tutte le rette che passano per due di quei punti, il tuo postulato 4 è automatico”.
“Ah, ma lo vedo anche dal disegno!”.
“Esatto”.
“Bene, e adesso?”.
“E adesso preparati a una sorpresa: questi postulati non definiscono solo la geometria alla quale siamo abituati, ma definiscono anche altri tipi strani di geometrie. Anzi, a dir la verità mi aspettavo un'obiezione”.
“Quale?”.
“Questi tre postulati non prevedono le rette parallele, che nella geometria a cui pensiamo sempre esistono”.
“Ah, hai ragione. Anzi, il postulato 2 le vieta proprio, le rette parallele!”.
“Esattamente. In questo tipo di geometria le rette parallele non esistono. Per questo viene chiamata geometria proiettiva”.
“È quella dei disegni in prospettiva?”.
“Esatto: nei disegni in prospettiva le rette parallele non esistono: quelle che nella realtà sono parallele, in prospettiva si intersecano sulla linea d'orizzonte”.
“Va bene. Qual è, invece, la sorpresa a cui mi devo preparare?”.
“Eccola qua: quanti punti sono necessari per lavorare con questa geometria?”.
“Beh, infiniti, no? Devo sempre poter disegnare le rette”.
“E chi ha detto che le rette sono composte da infiniti punti?”.
“Eh, se sono rette devono per forza… No, mi fermo subito, non succede niente per forza”.
“Bene”.
“I postulati non parlano mai di infiniti punti”.
“Bene”.
“E mi pare che da nessuna parte sia sottinteso il concetto di infinito. Nella geometria euclidea c'erano dei postulati apposta che ci permettevano di capire che una retta contiene infiniti punti”.
“Benissimo. Qua invece no: quindi è lecito che nella nostra scatola che contiene le pedine di questo gioco ci sia un numero finito di oggetti”.
“Che strano”.
“Ecco una configurazione di punti e rette che rispetta i postulati”.
“Cosa sto guardando? Una figura?”.
“No, l'universo di questa geometria. È composto da 7 punti: A, B, C, D, E , F, G”.
“Questi li vedo”.
“Poi ci sono delle rette. Tieni presente che, anche se sono disegnate come segmenti, in realtà non sono composte da infiniti punti. I segmenti ci servono solo per vedere meglio la struttura ma, tanto per fare un esempio, la retta che passa per A, E e B non contiene altri punti”.
“È una retta composta da soli tre punti?”.
“Esatto”.
“Che roba”.
“E quell'arco?”.
“È una retta anche lui”.
“Ma come? Non è drit… oh”.
“Già”.
“Non c'è scritto da nessuna parte che una retta è dritta”.
“Già. Inoltre, l'arco non esiste nemmeno, è solo un ausilio per raggruppare i punti”.
“Ah, va bene, che roba”.
“Avrei anche potuto descrivere gli oggetti senza l'ausilio di un disegno, ma sarebbe stato più brutto e meno comprensibile”.
“Come?”.
“Così: ti ho già fatto l'elenco dei punti, mi basta fare anche quello delle rette”.
Elenco delle rette:
{A, E, B}
{A, G, F}
{A, D, C}
{D, E, F}
{B, G, D}
{B, F, C}
{C, G, E}
“Tutto qua?”.
“Tutto qua. Puoi verificare che i tre postulati sono validi: se scegli due punti qualsiasi, c'è una sola retta che passa per entrambi. Se scegli due rette, queste si intersecano in un solo punto. Infine, esistono quattro punti a tre a tre non allineati, per esempio A, E, G, D”.
“Ed esistono anche quattro rette che non passano per uno stesso punto. Anzi, per ogni punto passano esattamente tre rette”.
“E allora sarà vera anche la proposizione duale: riesci a vederla?”.
“Dovrebbe essere: ogni retta contiene esattamente tre punti. Ed è vero!”.
“Benissimo”.
“Che strano, una geometria con sette punti e sette rette. Ma è un caso che il numero di punti e il numero di rette siano uguali?”.
“Hai già dimenticato la dualità?”.
“No ma… Ah! Se devo poter scambiare punti con rette, il numero dei punti deve essere uguale a quello delle rette, altrimenti non ce la faccio”.
“Proprio così”.
“E adesso?”.
“Adesso, facciamo qualche altro esempio, ragioniamo un po' su quello che succede, poi giochiamo”.
“Ottimo!”.
“Già”.
“Ma proprio giochi veri? O giochi che piacciono solo ai matematici?”.
“Giochi veri, di quelli che si comprano in negozio”.
“Ah. Proiettivi”.
“Proiettivi”.
“Nel senso geometrico del termine?”.
“Esatto. Avrai sentito certamente parlare di geometria proiettiva”.
“Sicuro”.
“Guarda che ne avevamo già parlato”.
“Ah, ecco, non ho ripassato, ehm”.
“Beh, non è che dobbiamo ripetere tutto: ci basta ricordare che cosa sia una geometria”.
“Una?”.
“Sì, una perché ne esistono tante, a seconda di quello che vuoi conservare e quello che può invece variare.”.
“Ah, ora che rileggo, mi viene in mente qualcosa: una geometria è lo studio delle proprietà di uno spazio che sono invarianti rispetto ad un gruppo di trasformazioni”.
“Sì. Tanto per fare un esempio, ricorderai che a scuola si potevano studiare le proprietà delle figure congruenti, oppure le proprietà delle figure simili. In un caso ti interessano le dimensioni delle figure, nell'altro solo le forme: tutto dipende da quello che vuoi analizzare”.
“Sì, sì, capisco. Ma per i giochi che geometria ci interessa?”.
“Quella proiettiva”.
“Capirai, la più complicata”.
“Per la precisione: la geometria proiettiva finita”.
“Finita? Capisco sempre di meno”.
“Facciamo un passo alla volta. Non abbiamo nemmeno bisogno di ripetere tutto il discorso fatto quando abbiamo parlato del programma di Erlangen: ci basta ripartire dai postulati di Euclide”.
“Ah, proprio dalle basi”.
“Sì, e ce ne bastano proprio pochi”.
“Sarà. Mai fidarsi dei Veri Matematici quando fanno le cose facili”.
“Capisco. Come al solito, le cose possono complicarsi molto in fretta, ma noi rimaniamo sul semplice. Prima di tutto, una teoria ha bisogno di alcuni termini primitivi”.
“Quelli che non si possono spiegare ulteriormente, vero?”.
“Esatto. Quelli la cui natura, se così si può dire, verrà spiegata dalle regole del gioco”.
“Stiamo già giocando?”.
“In un certo senso sì: la geometria, e in generale le teorie matematiche, sono come un gioco. Tu apri la scatola, trovi degli oggetti, e ti chiedi cosa siano. Poi apri il manuale, e leggi che quell'affarino di plastica che hai in mano è un carro armato, che soddisfa a certe regole, che può muoversi solo in un certo modo, che può attaccare solo in un certo momento e seguendo certe altre regole, che può essere ucciso. Ma naturalmente non è un vero carro armato”.
“Decisamente no”.
“Quindi io ti dirò che gli oggetti del nostro gioco si chiamano punti e rette, ma non ti dirò che cosa sono, perché non posso andare più a fondo. Posso però dirti quali sono le regole che essi devono rispettare”.
“Va bene; quindi punti e rette sono gli unici enti primitivi della geometria?”.
“C'è anche un terzo oggetto: il concetto di incidenza”.
“Che sarebbe?”.
“Sarebbe una relazione tra punti e rette. Dato che è un concetto primitivo, non posso spiegartelo ulteriormente, però comunque cercherò di dirti qualcosa per farti capire da dove nasce. Del resto, anche se non ti ho detto che cosa sia un punto, tu un'idea mentale te la sei fatta”.
“Certo, so bene cos'è un punto”.
“Permettimi di dubitare. Anzi, vedrai tra un po' che quello che chiameremo punto non sarà per niente un oggetto che assomiglia ai punti a cui siamo abituati. Le rette, poi, lo saranno ancora meno”.
“Non saranno dritte?”.
“Non si potrà nemmeno parlare del concetto di essere dritto. Del resto, essere dritto significa stare su una retta, quindi c'è poco da spiegare”.
“Andiamo bene”.
“Dunque, stavamo parlando del concetto di incidenza. Quando parliamo normalmente, diciamo che un punto appartiene a una retta, no?”.
“Esatto”.
“Oppure che una retta passa per un punto, o che contiene un punto”.
“Ancora esatto”.
“Quindi esiste una relazione tra una retta e un punto, se il punto sta sulla retta o se, viceversa, la retta passa per un punto”.
“Sì”.
“Questa relazione la chiamiamo incidenza. Invece di dire che un punto sta su una retta, diremo che un punto è incidente alla retta. E invece di dire che una retta contiene un punto, diremo che la retta è incidente al punto”.
“E perché questo linguaggio orripilante?”.
“Per poter usare un solo termine invece di due diversi. Ci piace la simmetria: dato che il concetto è lo stesso, usiamo la stessa parola”.
“È bruttissimo”.
“Concordo. Infatti nel linguaggio comune continueremo a usare i vecchi termini. Però è importante sapere che si può unificare il concetto, rendendolo simmetrico, anche nel linguaggio”.
“Non capisco l'importanza”.
“Perché non ricordi più il concetto di dualità. Ma ne riparleremo”.
“Meno male. Ora diciamo le regole?”.
“Prima una definizione, che ci permette di scrivere in modo leggermente più carino le regole”.
“Ok”.
“Diciamo che punti incidenti a una stessa retta si dicono collineari”.
“Va bene”.
“Ora, le regole, cioè i postulati di Euclide, formulati secondo il linguaggio che abbiamo deciso di usare. Per ora ti dico i primi due, poi vediamo gli altri. Eccoli qua:”.
P1. Per ogni coppia di punti distinti esiste un'unica retta incidente a entrambi i punti.
P2. Per ogni coppia di rette distinte esiste un unico punto incidente a entrambe le rette.
“Mi sembrano condivisibili, mi pare che siano i soliti, a parte quel brutto incidente”.
“Ora cerco di spiegarti la bellezza di questo modo di procedere. Prendi il primo postulato, e scambia punti con rette”.
“In che senso?”.
“Cancella punti e scrivi rette, cancella retta e scrivi punto”.
“Ah, ma diventano uguali. Certo, dobbiamo sistemare un apostrofo e il genere degli aggettivi”.
“Questo passamelo. O preferisci che invece delle parole usi le formule? Con le formule non ci sono più problemi di apostrofi, di plurali e singolari, di maschili e femminili”.
“Ok, ok, va benissimo così. Se faccio quella sostituzione, il primo postulato diventa uguale al secondo”.
“O, se fai la sostituzione nel secondo, è quello che diventa uguale al primo”.
“Esatto”.
“Quindi, a questo livello, le regole non fanno differenza tra punti e rette. Se due persone aprono la scatola del gioco e uno crede che le pedine rosse siano le rette e le blu i punti, e l'altro invece crede il contrario, fino a questo momento le regole non dicono chi abbia ragione. Se avessimo usato il verbo appartenere per i punti e contenere per le rette, allora avremmo fatto una differenza. Con il verbo incidere manteniamo una perfetta simmetria. Anzi, il termine usato per questo tipo di simmetria dai Veri Matematici è dualità”.
“Va bene, allora”.
“Ora, in un mondo perfetto sarebbe bellissimo fermarsi qui: due soli postulati, uno che si può confondere con l'altro, e basta”.
“E non possiamo farlo?”.
“Eh, no. Introduciamo un postulato che ci permetta di escludere casi degeneri, coi quali non vogliamo avere a che fare perché porterebbero a introdurre un sacco di eccezioni nei teoremi che poi scriveremo”.
“Casi degeneri? In che senso?”.
“Pensa a una scatola con una pedina sola, per esempio”.
“E che gioco è, un gioco con una pedina sola?”.
“Appunto”.
“E poi, sarà un punto o una retta?”.
“Potrebbe essere sia un punto che una retta: sono entrambi casi degeneri che non vogliamo. Ancora peggio: pensa a una scatola vuota”.
“Bella fregatura! Ma le regole non proibiscono situazioni di questo tipo?”.
“Sai che in questo caso entrano in gioco le meravigliose proprietà dell'insieme vuoto”.
“Oh no”.
“Eh sì. Una scatola vuota è compatibile, per esempio, con la regola che dice che due rette devono intersecarsi in un punto: dato che di rette non ce ne sono, è impossibile che la situazione contemplata dalla regola non si verifichi”.
“Vabbé, il delirio dei Veri Matematici con l'insieme vuoto è proverbiale. Escludiamo pure questi casi degeneri”.
“Benissimo, ecco qua:”.
P3. Esistono almeno quattro punti distinti a tre a tre non collineari.
“Uhm, fammi capire. Così escludiamo strutture con pochi punti: ne servono almeno 4”.
“Bene. Questi quattro non stanno tutti sulla stessa retta. Anzi, se ne prendi tre, come preferisci, nemmeno quei tre stanno sulla stessa retta”.
“Quindi posso immaginarmi una cosa del genere?”.
“Puoi certamente farlo, ma sappi che non è l'unico modo per immaginarsi questa situazione”.
“Va bene, anche se ancora non capisco”.
“Porta pazienza: capirai”.
“Ok. Ma l'introduzione di questo postulato non porta una asimmetria nella dualità che tanto ti piaceva?”.
“Ah, ottima domanda! No, non lo fa: prova a enunciare il postulato duale”.
“Oh, allora, scambiando rette con punti mi verrebbe da dire una cosa del genere:”.
P4. Esistono almeno 4 rette distinte che a tre a tre non incidono sullo stesso punto.
“Ottimo, hai anche usato il verbo incidere”.
“E non dovremmo aggiungere questo postulato, per mantenere la dualità?”.
“No, se prendi i quattro punti del postulato 3, e consideri tutte le rette che passano per due di quei punti, il tuo postulato 4 è automatico”.
“Ah, ma lo vedo anche dal disegno!”.
“Esatto”.
“Bene, e adesso?”.
“E adesso preparati a una sorpresa: questi postulati non definiscono solo la geometria alla quale siamo abituati, ma definiscono anche altri tipi strani di geometrie. Anzi, a dir la verità mi aspettavo un'obiezione”.
“Quale?”.
“Questi tre postulati non prevedono le rette parallele, che nella geometria a cui pensiamo sempre esistono”.
“Ah, hai ragione. Anzi, il postulato 2 le vieta proprio, le rette parallele!”.
“Esattamente. In questo tipo di geometria le rette parallele non esistono. Per questo viene chiamata geometria proiettiva”.
“È quella dei disegni in prospettiva?”.
“Esatto: nei disegni in prospettiva le rette parallele non esistono: quelle che nella realtà sono parallele, in prospettiva si intersecano sulla linea d'orizzonte”.
“Va bene. Qual è, invece, la sorpresa a cui mi devo preparare?”.
“Eccola qua: quanti punti sono necessari per lavorare con questa geometria?”.
“Beh, infiniti, no? Devo sempre poter disegnare le rette”.
“E chi ha detto che le rette sono composte da infiniti punti?”.
“Eh, se sono rette devono per forza… No, mi fermo subito, non succede niente per forza”.
“Bene”.
“I postulati non parlano mai di infiniti punti”.
“Bene”.
“E mi pare che da nessuna parte sia sottinteso il concetto di infinito. Nella geometria euclidea c'erano dei postulati apposta che ci permettevano di capire che una retta contiene infiniti punti”.
“Benissimo. Qua invece no: quindi è lecito che nella nostra scatola che contiene le pedine di questo gioco ci sia un numero finito di oggetti”.
“Che strano”.
“Ecco una configurazione di punti e rette che rispetta i postulati”.
“Cosa sto guardando? Una figura?”.
“No, l'universo di questa geometria. È composto da 7 punti: A, B, C, D, E , F, G”.
“Questi li vedo”.
“Poi ci sono delle rette. Tieni presente che, anche se sono disegnate come segmenti, in realtà non sono composte da infiniti punti. I segmenti ci servono solo per vedere meglio la struttura ma, tanto per fare un esempio, la retta che passa per A, E e B non contiene altri punti”.
“È una retta composta da soli tre punti?”.
“Esatto”.
“Che roba”.
“E quell'arco?”.
“È una retta anche lui”.
“Ma come? Non è drit… oh”.
“Già”.
“Non c'è scritto da nessuna parte che una retta è dritta”.
“Già. Inoltre, l'arco non esiste nemmeno, è solo un ausilio per raggruppare i punti”.
“Ah, va bene, che roba”.
“Avrei anche potuto descrivere gli oggetti senza l'ausilio di un disegno, ma sarebbe stato più brutto e meno comprensibile”.
“Come?”.
“Così: ti ho già fatto l'elenco dei punti, mi basta fare anche quello delle rette”.
Elenco delle rette:
{A, E, B}
{A, G, F}
{A, D, C}
{D, E, F}
{B, G, D}
{B, F, C}
{C, G, E}
“Tutto qua?”.
“Tutto qua. Puoi verificare che i tre postulati sono validi: se scegli due punti qualsiasi, c'è una sola retta che passa per entrambi. Se scegli due rette, queste si intersecano in un solo punto. Infine, esistono quattro punti a tre a tre non allineati, per esempio A, E, G, D”.
“Ed esistono anche quattro rette che non passano per uno stesso punto. Anzi, per ogni punto passano esattamente tre rette”.
“E allora sarà vera anche la proposizione duale: riesci a vederla?”.
“Dovrebbe essere: ogni retta contiene esattamente tre punti. Ed è vero!”.
“Benissimo”.
“Che strano, una geometria con sette punti e sette rette. Ma è un caso che il numero di punti e il numero di rette siano uguali?”.
“Hai già dimenticato la dualità?”.
“No ma… Ah! Se devo poter scambiare punti con rette, il numero dei punti deve essere uguale a quello delle rette, altrimenti non ce la faccio”.
“Proprio così”.
“E adesso?”.
“Adesso, facciamo qualche altro esempio, ragioniamo un po' su quello che succede, poi giochiamo”.
“Ottimo!”.
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