domenica 18 dicembre 2016

Elenco di volumi poco standard che il sovrano della Persia avrebbe dovuto usare per contenere tutto il riso chiesto da Sissa Nassir

Casella Volume Volume equivalente
1 25.0 mm3 Un chicco di riso
2 50.0 mm3 Due chicchi di riso
3 100 mm3 Una pallina di 6 mm di raggio
4 200 mm3 Otto chicchi di riso
5 400 mm3 Sedici chicchi di riso
6 800 mm3 1/78 di Iphone 4
7 1.60 cm3 Un millilitro e mezzo
8 3.20 cm3 Un cucchiaino da tè
9 6.40 cm3 Un ditale
10 12.8 cm3 Un quinto di Iphone 4
11 25.6 cm3 Un attoparsec cubico
12 51.2 cm3 Uno shottino
13 102 cm3 Un Iphone 4 e mezzo
14 205 cm3 Un quartino scarso
15 410 cm3 Una bibita in lattina abbondante
16 819 cm3 Una bottiglia di vino
17 1.64 dm3 Tre respiri
18 3.28 dm3 1.2 nanosecondi luce cubici
19 6.55 dm3 Un pallone da calcio
20 13.1 dm3 Un Hubble-barn
21 26.2 dm3 Una mole abbondante di gas ideale
22 52.4 dm3 Un serbatoio di automobile
23 105 dm3 Un corpo umano e mezzo
24 210 dm3 Una grande vasca da bagno
25 419 dm3 Due barili e mezzo
26 839 dm3 Quasi un metro cubo
27 1.68 m3 Una hoppus ton
28 3.36 m3 La vernice necessaria per dipingere l'esterno della casa bianca
29 6.71 m3 Uno smoot cubico abbondante
30 13.4 m3 Una piccola balena grigia
31 26.8 m3 Una megattera
32 53.7 m3 Un container di categoria 1B
33 107 m3 Una balenottera azzurra
34 215 m3 Quasi due autobus inglesi a due piani
35 429 m3 Un contenitore grande quanto un campo da calcio e alto 5 centimetri
36 859 m3 L'acciaio utilizzato nella costruzione della torre Eiffel
37 1.72 dam3 La capacità di carico di un Boeing 747 Large Cargo
38 3.44 dam3 Una bella piscina olimpica
39 6.87 dam3 Un contenitore grande quanto un campo da calcio e alto un metro
40 13.7 dam3 Sei piscine olimpiche
41 27.5 dam3 10 Neperdecametri cubici
42 55.0 dam3 Il volume dell'acciaio utilizzato per la diga delle Tre Gole
43 110 dam3 La Royal Albert Hall
44 220 dam3 Uno Zeppelin
45 440 dam3 Mezzo Empire State Building
46 880 dam3 Due superpetroliere
47 1.76 hm3 Quasi due Empire State Building
48 3.52 hm3 Un cubo di 150 metri di lato
49 7.04 hm3 Quasi un furlong cubico
50 14.1 hm3 Metà del cemento usato per la diga delle Tre Gole
51 28.1 hm3 Tutto il cemento usato per la diga delle Tre Gole
52 56.3 hm3 Una palla di 576 metri di diametro
53 113. hm3 Undici Teracm3
54 225 hm3 Metà del volume occupato da tutti gli esseri umani sulla terra
55 450 hm3 Uno Sydney Harbour (sydharb)
56 901 hm3 Un terzo del monte Everest
57 1.80 km3 Due terzi del monte Everest
58 3.60 km3 Un monte Everest e mezzo
59 7.21 km3 Un miglio nautico cubico abbondante
60 14.4 km3 Un cubo di lato 2.4 km
61 28.8 km3 Un terzo di tutto il petrolio estratto dal 1850
62 57.6 km3 Una volta e mezzo l'acqua contenuta nel bacino della diga delle Tre Gole
63 115 km3 Tutto il petrolio estratto dal 1850
64 231 km3 Un contenitore grande quanto tutte le terre emerse della terra e alto un millimetro e mezzo

Per amor di completezza, non posso non annotare qui il numero esatto di chicchi di riso, pari a 18446744073709551615, cioè 3 × 5 × 17 × 257 × 641 × 65537 × 6700417.

Numero molto piccolo, però, se confrontato con il numero degli angeli; come dice il sommo poeta nel canto 28 del Paradiso:

L'incendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che 'l numero loro
più che 'l doppiar de li scacchi s'immilla.

Il numero degli angeli si otterrebbe quindi eseguendo moltiplicazioni successive per mille, e non per due. Arrivando così a questo risultato:

1001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001001.

Un bel numero, composto da 190 cifre, uguale a 7 × 11 × 13 × 17 × 73 × 97 × 101 × 137 × 193 × 353 × 449 × 641 × 769 × 1409 × 9901 × 19841 × 69857 × 206209 × 976193 × 5882353 × 6187457 × 99990001 × 66554101249 × 75118313082913 × 834427406578561 × 9999999900000001 × 1253224535459902849 × 53763491189967221358575546107279034709697.

sabato 10 dicembre 2016

Nondum matura est

Esattamente venticinque anni fa sono entrato per la prima volta in classe in qualità di colui che sta seduto dall'altra parte della cattedra. Non era il lavoro che avrei voluto fare nella vita.

Ero uno bravo all'università: mi piaceva studiare matematica, anche se le materie algebriche mi davano più difficoltà (gli unici due 28 del mio curriculum: algebra e topologia algebrica); mi piaceva l'ambiente, volevo diventare prof universitario.

Buongiorno, mi chiamo Roberto Zanasi, mi mancano due esami alla fine, vorrei dare la tesi con lei, vorrei farla sui frattali: così mi presento al mio futuro relatore. Lui mi guarda, dice beh, di solito non sono gli studenti che decidono l'argomento, io non studio direttamente i frattali, però studio argomenti molto vicini a quello che le interessa. Ma che media ha? Eh, rispondo, ho preso due 28, gli altri sono trenta e trenta e lode. Ok, tenga, si guardi questo libro e poi ne riparliamo. Il libro parlava di caos e di attrattori strani. Io avevo ancora in mente, come se l'avessi letto il giorno prima, un articolo su Le Scienze, scritto da un tale Hofstadter, che parlava di misteriosi oggetti matematici chiamati strani attrattori (traduttori traditori, già: la traduzione di strange attractors era forse ancora poco diffusa; l'articolo originale era del novembre 1981, in Italia sarà uscito qualche mese dopo). Mi sono detto subito: beh, è inutile che io legga il libro, questi attrattori strani sono un sogno che si realizza, figuriamoci se posso cambiare idea.

E infatti torno dal professore e gli dico ok. E lui risponde si sbrighi a finire gli esami.

Avevo tenuto il più bello per ultimo: meccanica superiore. Avevo tenuto il più brutto per penultimo: teoria dei numeri. Con la testa piena di attrattori strani e di estate che si avvicina vado all'appello di teoria dei numeri e mi accorgo di non sapere molto. Il prof mi prende da parte e mi dice senti, vedi tu, forse è meglio se torni. Io ci rimango un po' male, ma in effetti ha ragione, non ho capito alcuni argomenti. Rimango lì in aula a sedere un po', l'occhio spento e il viso di cemento, e mentre guardo qualche altro esame viene da me l'assistente e mi fa beh, ma cosa è successo? E io rispondo che semplicemente non avevo studiato abbastanza. Poi il prof torna e mi dice che il voto sarebbe stato un venticinque, ma secondo lui non era bello rovinare il libretto. Si avvicina qualche compagno di corso e mi chiede oh, allora, cosa t'ha detto? Ma niente, rispondo, dice che il voto sarebbe stato venticinque, non voleva rovinarmi la media, al che vedo facce strane nei volti di chi ho di fronte e tergiverso.

Studio di più, passa l'estate, torno a dare l'esame, porto a casa un trenta e lode, maledetto quasicorpo associativo non planare, ti ho capito. Poi arriva meccanica superiore, studio con piacere, concludo con un trenta e lode, vado dal prof della tesi, buongiorno, ho dato l'ultimo esame, son pronto.

Ottobre 1989. Entro al centro di calcolo dell'università e ho un account su un supercomputer (che, probabilmente, aveva meno capacità di calcolo del mio attuale cellulare), devo studiare dei sistemi di equazioni differenziali, fare grafici, capire cose. Mi piace programmare, riesco bene a fare quello che devo fare, tutto procede bene. Ottengo una borsa di studio per laureandi, il 4 luglio 1990 mi laureo, al rinfresco post laurea fatto all'università sono presenti anche i miei genitori, che fanno conoscenza col mio relatore, che dice tutto bene, tra un po' di tempo ci sarà posto per assumerlo (se vi state dicendo che l'università assume per concorso pubblico, e allora come faceva a sapere che mi avrebbero assunto? rispondo: ah ah). Passa il tempo, scriviamo un articolo, arrivano altri laureandi, il laureato che lavorava con me viene assunto e diventa ricercatore, ottengo un'altra borsa di studio, passa il 1990, io faccio quello che devo fare, sono molto rapido, e mi prendo qualche libertà. Si avvicina la fine della borsa di studio e all'orizzonte non se ne vedono altre, nel frattempo decido di sposarmi, e mi chiedo come fare per raggranellare qualche soldino. Si potrebbero fare supplenze nella scuola (era un periodo in cui chiamavano anche gli studenti, figuriamoci i laureati), ma il prof dice no, tu devi essere qua sempre dalla mattina alla sera, come faccio io.

Penso, penso, e decido di accettare qualche ora di supplenza: così mi compro la lavatrice. Vorrà dire che starò all'università un po' di più al pomeriggio, tanto lo dicono tutti che sono molto efficiente.

10 dicembre 1991: entro a scuola. La prima persona che si incontra entrando in una scuola è sempre un bidello: Scusa, tu, ehi? Dov'è che vai? Non puoi girare per la scuola. Ecco, io, ehm, devo fare una supplenza, e… Oh! Mi scusi, professore, è così giovane, non volevo, mi dispiace, vada, vada. Non si preoccupi, sa dirmi dov'è la segreteria? E la sala insegnanti?

Prendo il registro, mi dicono che il prof che devo sostituire (che guarda caso si ammala sempre nelle due settimane prima della vigilia di Natale (e che incontrerò nuovamente come docente di un corso abilitante (e che non conosce il termine "orientazione", erano in due in commissione e non sono stati capaci di cercarlo su un dizionario, mah))) ha preparato una verifica. Tiro fuori il testo dal registro, lo guardo, si avvicinano due colleghi (colleghi!), mi guardano, guardano il foglio, mi chiedono chi sono, rispondo, mi chiedono da che scuola vengo, rispondo ma veramente questa è la prima scuola, non ho mai fatto supplenze prima, sorridono, ah! la prima! bene! anche noi insegniamo matematica, hai bisogno d'aiuto?, ah, devi fare una verifica di goniometria, eh, questo si risolve così, questo colà, se hai bisogno chiedi pure eh, auguri, bene, bene.

Entro in classe e, oh, bastano poche ore per farmi scoprire quanto mi piace parlare di matematica. Certo, ci sono alcuni aggiustamenti da fare (prof, scusi, mentre lei ha dimostrato tutto il teorema della corda io stavo disegnando la circonferenza, non è che potrebbe rispiegare? un pochino più lentamente, magari?), ma è un bel mondo.

La borsa di studio che mi permette di rimanere all'università sta per scadere, il 31 gennaio è l'ultimo giorno. Stiamo lavorando a un secondo articolo scientifico da pubblicare, io provo a chiedere al mio prof ma allora, ci sarà un concorso? cosa faccio? mi preparo? e lui risponde adesso pensiamo a finire l'articolo. Va bene, arriva il primo giorno di febbraio, io continuo a lavorare, facciamo un po' di rifiniture, gli ultimi grafici, passa circa una settimana, e finalmente stampo l'ultima figura. Salgo in ufficio dal prof a portarla, contento. Entra, mi dice, bene, bene, questa figura è ottima. Allora, chiudi la porta, per piacere, siediti. Ho deciso di interrompere la nostra collaborazione.

Gelo lungo la schiena e volto rovente.

Segue qualche spiegazione, riferimenti al fatto che ho malauguratamente deciso di accettare supplenze, al fatto che non ero sempre il primo ad arrivare e l'ultimo a andare via, piccolezze rispetto a quello che mi ha detto dopo e che mi ha ferito di più: non hai abbastanza fantasia. C'è qualcosa che posso fare per rimediare a tutto questo?, domando. No. Così, secco. No. Mi scuso solo per una cosa, aggiunge: averti fatto lavorare durante questa settimana in cui la tua borsa di studio era già scaduta.

Vado a casa, entro, mi siedo sul divano, c'erano i miei in casa, dico: il prof mi ha dato il benservito. Spiego quello che è successo, l'atmosfera è abbastanza cupa, mi alzo, vado in camera mia, mi siedo sul mio letto, il cane che avevo all'epoca salta su, lo prendo in braccio e piango.

Entra la mamma, mi consola, entra il babbo, parliamo un po', adesso cosa farai? Ci sono sempre le supplenze, rispondo, devo dire che non mi dispiace farle, anzi è molto bello, per alcuni aspetti meglio che entrare in un centro di calcolo e stare sempre davanti a uno schermo, però… Però? Eh, rispondo, mi sembra di vivere nella storia della volpe e l'uva, come farò a sapere se davvero sarebbe stato peggio rimanere all'università, adesso che non ho scelta? Eh.

E, insomma, eccomi qua. Alla fine ho fatto l'insegnante, mi sono sposato, sono andato di ruolo nel 2000, mi è stato chiesto di fare esercitazioni per l'università e, quindi, all'università sono tornato davvero in qualità di insegnante. Certo, non come professore universitario: niente ricerca, solo didattica, qualche ora ogni tanto, mica tutti gli anni. La ragazza che ha dato la tesi col mio prof quando io lavoravo con la borsa di studio ha vinto il concorso, ha preso il "mio" posto (e non discuto sul merito, eh), si è sposata con l'altro ricercatore, quello che lavorava con me, io ho incontrato dopo molti anni il suddetto prof che ha anche avuto il coraggio di chiedermi se mi piaceva fare esercitazioni all'università, ho risposto sì, ha detto bene.

Per vari anni continuo a sognare di essere di nuovo all'università a lavorare ai miei attrattori strani. Ma comincio anche a incontrare ex studenti, che mi raccontano di quello che fanno, che si ricordano di me, che mi ringraziano. E allora mi dico che va bene così, che puoi pensare che tutto succeda per caso, e allora non puoi farci niente, e magari l'uva era davvero acerba, oppure puoi pensare che tutto accada per una ragione, e quindi va davvero bene così, e che quello non sarà mica stato l'unico grappolo d'uva esistente nell'universo. Hai imparato a fare una cosa, e a farla bene: goditela. Tutto andrà bene, alla fine. E se non va bene, non è la fine.

giovedì 8 dicembre 2016

La formula del piccolo Gauss senza parole


“Uh, bello, hai fatto l'albero di Natale?”.

“…”.

“Ah, non volevi fare l'albero di Natale”.

“Vedi tu”.

“Allora cos'è?”.

“È una dimostrazione senza parole della formula del piccolo Gauss”.

“Oh, mamma, ancora con questa storia, ma la sanno già tutti!”.

“Ti ricordi anche cosa dice?”.

“Ehm, dice che per calcolare la somma dei primi numeri naturali mi basta moltiplicare l'ultimo numero per il successivo e dividere tutto per due”.

“Sai anche perché?”.

“Mh, ecco, forse no”.

“Una dimostrazione semplice è questa: se vogliamo provare a calcolare la somma dei numeri da 1 a 100, possiamo scriverli due volte in fila, una sopra all'altra; nella prima fila mettiamo i numeri in ordine crescente, nella seconda in ordine decrescente, così:”.

  1 +  2 + 3  + ... + 98 + 99 + 100
100 + 99 + 98 + ... +  3 +  2 +   1

“E perché facciamo così?”.

“Prova a sommare le varie colonne”.

“Allora, dalla prima risulta 1 + 100 che fa 101, dalla seconda 2 + 99 che fa ancora 101… ehi, risulta sempre 101!”.

“Esatto. E quante colonne hai?”.

“Sono 100”.

“E quindi la somma totale è uguale a 100×101”.

“Ah! E siccome ho contato tutto due volte, la somma dei numeri da 1 a 100 è uguale alla metà di 100×101, cioè 5050”.

“Esatto. E se invece di arrivare fino a 100 vuoi arrivare fino a n?”.

“In questo caso ho n colonne la cui somma è + 1. Quindi la somma dei numeri che stanno in una singola fila è uguale a n(+ 1)/2”.

“E questa è la famosa formula del piccolo Gauss.”.

“E quindi? Cosa c'entra la figura con l'albero di Natale?”.

“Ora te la spiego. Osserva i cerchi gialli: nella prima fila ne hai uno solo”.

“Nella seconda fila ce ne sono due”.

“Nella terza tre”.

“Eh, va bene, in ogni fila ce n'è uno in più”.

“Ok, tu vuoi sommarli”.

“Ah! La somma dei primi numeri interi vista sotto forma di triangolo”.

“Proprio così, infatti i numeri come 1, 1 + 2, 1 + 2 + 3, eccetera, vengono proprio chiamati numeri triangolari”.

“Ah. E i dischi che si accendono? E i collegamenti con l'ultima fila?”.

“Dimmi se sei d'accordo su questa affermazione: a ogni disco giallo è associata un'unica coppia di dischi blu e, viceversa, a ogni coppia di dischi blu è associato un unico disco giallo”.

“Fammi vedere bene la figura, uhm. Ah, ora capisco perché vengono evidenziati quei collegamenti, servono per mostrare la tua affermazione!”.

“Infatti. Da ogni disco giallo puoi tracciare due collegamenti, uno che va verso sinistra e un altro che va verso destra: entrambi finiscono su due dischi blu. L'accoppiamento disco giallo-coppia di dischi blu è unico”.

“È come se io associassi un sistema di coordinate ai dischi gialli?”.

“Benissimo! È esattamente così: puoi numerare i dischi blu con i numeri da 1 a 7, e ogni disco giallo è caratterizzato da una coppia di quei numeri. Per esempio, il disco più in alto corrisponde a (1,7).”.

“Vediamo se ho capito: i dischi della seconda fila sono (1,6) e (2,7), quelli della terza sono (1,5), (2,6) e (3,7),  giusto?”.

“Esatto. L'unica differenza, rispetto ai sistemi di coordinate a cui siamo abituati, è che qui non conta l'ordine in cui disponi le due coordinate. Per esempio, le coppie di dischi blu (1,5) e (5,1) identificano lo stesso disco giallo”.

“Giusto, sono d'accordo. Non ho capito però cosa abbiamo dimostrato?”.

“Che la somma dei dischi gialli corrisponde al numero degli accoppiamenti dei dischi blu”.

“Ah. E quanti sono?”.

“Hai 7 dischi, ne vuoi scegliere 2. In quanti modi puoi farlo?”.

“Mi sembra semplice: ho 7 scelte per il primo disco e 6 per il secondo, totale 6×7 = 42, che è sempre un bel numero”.

“Però, così facendo, li conti due volte”.

“Perché?”.

“Perché, appunto, non distingui tra (1,5) e (5,1). In generale, non distingui tra (a,b) e (b,a)”.

“E quindi devo dividere per due il mio calcolo. Ci sono quindi 21 modi di accoppiare due dischi blu”.

“E quindi ci sono 21 dischi gialli”.

“Vediamo, la formula per la somma dei numeri da 1 a 6 dice che devo fare 6×7/2… ehi, è lo stesso calcolo fatto adesso con gli accoppiamenti”.

“Eh, certo.”.

“Ehm, già, sennò non sarebbe una dimostrazione”.

“Eh. Ora, generalizza: vuoi sommare n file di dischi”.

“Quindi voglio calcolare la somma dei numeri da 1 a n”.

“Quanti dischi blu ti servono?”.

“Uno in più, cioè n + 1”.

“E quanti accoppiamenti puoi fare?”.

“Ho n + 1 scelte per il primo disco blu, n per il secondo, però devo dividere tutto per 2 perché non conta l'ordine con cui li prendo”.

“Quanto viene?”.

“(+ 1)n/2”.

“Ed ecco la formula del piccolo Gauss”.

“Fatta con l'albero di Natale”.

“Santo cielo”.

domenica 6 novembre 2016

L'identità del bastone da hockey

“Tutti conoscono il triangolo di Tartaglia”.

Tutti”.

“Oh, insomma, tanti… Mai visto uno schema del genere?”.



“Mh, sì, l'ho visto. Ogni numero si ottiene sommando i due numeri che si trovano sopra di lui”.

“Esatto. Sul contorno si mettono degli 1, e poi si segue la regola che dici tu. Questo schema si chiama triangolo di Tartaglia e ha un sacco di proprietà. Oggi ci concentriamo su una di queste: l'identità del bastone da hockey”.

“Bel nome. Cosa c'entra poi l'hockey?”.

“Assolutamente niente”.

“Benissimo”.

“Ma vedrai cosa c'entra il bastone da hockey tra un po'. Scegli una casella del triangolo, abbastanza in basso”.

“Ok, scelgo 126”.



“Ora, il numero che hai scelto è uguale alla somma dei due numeri che gli stanno sopra”.

“Vero, 126 = 56 + 70”.

“Bene, ecco una figura: la somma dei due numeri azzurri è uguale al numero rosso”.



“Fin qua ci sono”.

“A loro volta, i due numeri che hai indicato sono ottenuti dalla somma di altri numeri: concentriamoci sul 56”.

“56 è la somma di 21 + 35”.

“Bene. A questo punto possiamo dire che il tuo 126 è uguale alla somma di 70 + 21 + 35. Riassumo questo risultato con un'altra figura: la somma dei numeri nelle caselle azzurre è uguale al numero scritto nella casella rossa”.



“Ah, certo”.

“E ora continua con lo stesso procedimento: il 21 a cosa è uguale?”.

“Alla somma di 6 + 15”.

“Ecco la figura aggiornata:”.



“Uh, capisco dove vuoi arrivare. Ogni numero a sinistra viene scomposto nella somma dei due numeri che gli stanno sopra”.

“Proprio così, fino a che non arrivo alla fine”.



“Vedo. E adesso?”.

“Bé, faccio un ultimo passo: invece di evidenziare quel numero 1 che sta a sinistra di 5, evidenzio quello più in alto”.



“Ok”.

“Ed ecco il bastone da hockey”.

“L'insieme delle caselle evidenziate?”.

“Certo, vedi come assomiglia a un bastone da hockey?”.

“Roba da matti”.

“Ma come, non apprezzi la capacità dei Veri Matematici di dare nomi divertenti alle cose?”.

“Ah, guarda, divertentissimi”.

“Almeno serve a qualcosa, questo bastone da hockey?”.

“Direi di no, se non a fare giochi matematici”.

“Benissimo. Sai cosa ti dico?”.

“Cosa?”.

“Che nel dare nomi divertenti alle cose, quelli imbattibili sono i fisici”.

giovedì 6 ottobre 2016

Sconvolgimenti

“Jacopo ha appena finito di imbustare le ultime lettere che ha scritto e si sta accingendo a scrivere gli indirizzi. Ma il suo gatto è molto giocherellone e, mentre Jacopo apre il cassetto, la belva salta sulla scrivania, Jacopo si spaventa, la mano gli scivola, perde l'equilibrio, si sbraccia e, sbam, colpisce inavvertitamente la pila delle buste e la scaraventa in aria.

Scocciatissimo, si alza dalla sedia, le raccoglie, e le rimette sulla scrivania. Ma ha un problema: ha perso l'ordine.

Che fare? Aprire nuovamente tutte le buste, vedere a chi sono indirizzate le lettere, e scrivere gli indirizzi? Una noia mortale. No: Jacopo piuttosto si affida al caso. Prende una busta, e ci scrive sopra il primo indirizzo della sua lista. Prende una seconda busta, e via col secondo indirizzo. E prosegue così fino alla fine.“

“Chissà quanti errori ha fatto.”

“Gli è andata male, in effetti: ha fatto il massimo numero di errori
possibile.”

“Ma dai, non ha beccato nemmeno un indirizzo?”

“No, nessuna lettera ha l'indirizzo giusto.”

“Non è possibile, è stato sfortunatissimo.”

“Chissà. Bisognerebbe fare i conti.”

“Oh, no, dai, un problema anche qui?”

“Eh, la vita è fatta di problemi.”

“...”

“Questo è un problema di dismutazioni.”

“Di cosa?.”

Dismutazioni, o sconvolgimenti. Sono le permutazioni senza punti fissi.“

“Quelle in cui mescolo tutto?”

“Esatto. Quelle in cui nessun elemento rimane al suo posto.”

“Io so calcolare le permutazioni, ma queste sono casi particolari che non saprei gestire.”

“Eh, non è facile calcolarle, infatti. Il modo più bello per farlo è scrivere una formula ricorsiva.”

“Ah, certo, formula ricorsiva, bellissima, certo, certo.”

“Noto dell'ironia.”

“Daai?”

“Il concetto di funzione ricorsiva è la quintessenza dello spirito matematico. È il cercare di ottenere il massimo rendimento con il minimo sforzo, è il non fare fatica inutile, è lo stare seduti lungo la sponda di un fiume, allungare la mano e pescare il pesce, e scoprire che è già cotto e pulito.”

“Ok, va bene, rinuncio. Vediamo questa fantomatica formula.”

“L'idea è questa: supponiamo di avere 10 caselle numerate da 1 a 10 e riempite con i numeri da 1 a 10, e di mescolare il tutto in modo tale che in nessuna casella cada il numero corrispondente.”

“Cioè nella casella 1 non cade il numero 1, nella casella 2 non cade il numero 2, eccetera?”

“Esatto. Vogliamo contare in quanti modi possibili si possa realizzare una situazione di questo tipo”.

“E come si fa?”

“Si comincia a guardare la prima casella. Cosa c'è dentro?”

“Ah, boh? Certamente non c'è il numero 1.”

“Bene: cosa ci mettiamo? Scegli.”

“Ah, non saprei. Diciamo che ci sia il numero 7?”

“Va bene, nella prima casella c'è il numero 7. Ora andiamo nella casella numero 7: cosa contiene?”

“Certamente non contiene il numero 7, no?”

“Esatto. Ora la domanda è: contiene 1?”

“Beh, potrebbe contenerlo oppure no.”

“E allora facciamo due casi. O 1 è contenuto nella casella 7 oppure no.”

“E questi due casi a cosa ci servono?”

“Analizziamoli. Primo caso: la casella 1 contiene 7 e la casella 7 contiene 1.”

“Ok. Quindi?”

“Quindi abbiamo già sistemato i due numeri 1 e 7, ora dobbiamo risolvere un problema analogo al precedente, con una importante differenza: se prima avevamo a che fare con 10 elementi, ora ne abbiamo 8. Un problema più semplice.”

“Mh, vabbé, ma se non sapevo risolvere quello di prima non so nemmeno risolvere questo.”

“Fammi finire: c'è anche il caso 2: la casella 1 contiene 7 ma la casella 7 non contiene 1.”

“Ok, conterrà qualcos'altro.”

“Certo. Vogliamo capire se si tratta di un problema già risolto in precedenza.”

“Mh, credo di aver capito a cosa ti riferisci: prima abbiamo ricondotto il problema al caso di 8 elementi. Ma adesso?”

“Adesso dobbiamo riempire le caselle da 2 a 10…”

“Quindi abbiamo 9 caselle.”

“E in ognuna di esse non possiamo mettere un numero.”

“Aspetta, perché? Cioè, ho capito che nella casella 2 non posso mettere 2, nella 3 non posso mettere 3, eccetera. Ma nella 7? Il 7 è già stato usato per riempire la 1, quindi quale numero non posso mettere dentro alla casella 7?”

“Ricordati che siamo nel secondo caso: la casella 7 non contiene 1.”

“Ah, ma certo, altrimenti cado nel primo caso che ho già studiato.”

“Esatto. Quindi, praticamente, in questo secondo caso ti sei ricondotto al problema con 9 buste.”

“Giusto.”

“Per concludere: ricorda che siamo partiti da un esempio: abbiamo detto che dentro alla casella 1 è contenuto il 7. Ma 7 è stato scelto a caso.”

“Certo, l'ho scelto io.”

“E quante scelte avevi?”

“Dieci?”

“No, non dieci: nella casella 1 è vietato mettere il numero 1.”

“Allora ho 9 scelte. Quindi il calcolo che stiamo facendo va moltiplicato per 9.”

“Perfetto. A questo punto è fatta la formula ricorsiva: il numero di dismutazioni di 10 elementi lo puoi calcolare sommando il numero di dismutazioni di 8 elementi più quello di 9 elementi, e moltiplicando il risultato per 9.”

“Ma io non so calcolare il numero di dismutazioni di 8 elementi! E nemmeno quello di 9!”

“Ed ecco la magia della ricorsività: ha qualcosa di speciale il numero 10?”

“Eh, uhm, no, direi di no, l'hai scelto tu come esempio, suppongo.”

“Esatto, quindi in realtà io potrei scrivere una formula ricorsiva generica, per il calcolo delle dismutazioni di n elementi.”

“Penso di sì. Anzi, forse ci riesco anche io: posso indicarle con D(n)?”

“Certo.”

“Allora la formula dovrebbe essere questa: il numero di dismutazioni di n elementi, D(n), è uguale a quello di n−1 elementi, cioè D(n−1), sommato a quello di n−2 elementi, cioè D(n−2), il tutto moltiplicato per n−1.”

“Molto bene! La formula è esattamente questa: D(n) = (n−1)(D(n−1) + D(n−2)).”

“Questo ancora non mi aiuta. Se io non so calcolare D(8) e D(9) non mi muovo.”

“Puoi muoverti invece, andando all'indietro. Sai calcolare D(8)?”

“Ho detto di no!”

“Hai detto male: secondo la tua formula, D(8) = 7(D(7) + D(6)).”

“Ma così si complica ancora di più! Non so calcolare niente!”

“Invece no: se continui ad andare indietro, arrivi a calcoli molto facili che puoi ottenere immediatamente.”

“Ah.”

“Per esempio, quanto vale D(1)?”

“Dismutazioni con 1 elemento? Ma si può fare? Un solo elemento non si permuta, rimane fermo al suo posto!”

“Certo, e quindi quante sono le dismutazioni di 1 elemento?”

“Non esistono. Ah, ho capito, sono i giochini che fate voi Veri Matematici con lo zero… Dato che non esistono, dico che il loro numero è 0”

“Bene, vedo che ti stai abituando alla mentalità matematica. Adesso: quanto vale D(2)?”

“Vediamo: con 2 elementi posso fare solo due cose. O li lascio fermi, e non ho una dismutazione, o li scambio tra loro, e questa volta ho una dismutazione. Quindi D(2) = 1”

“Ottimo, ecco fatto. Ora puoi calcolare tutto, basta usare la formula ricorsiva tante volte fino a che non arrivi a dover calcolare D(1) e D(2)”

“Ahh, molto bene!”

“Ecco i risultati:”

D(3) = 2(D(2) + D(1)) = 2(1 + 0) = 2
D(4) = 3(D(3) + D(2)) = 3(2 + 1) = 9
D(5) = 4(D(4) + D(3)) = 4(9 + 2) = 44
D(6) = 5(D(5) + D(4)) = 5(44 + 9) = 265
D(7) = 6(D(6) + D(5)) = 6(265 + 44) = 1854
D(8) = 7(D(7) + D(6)) = 7(1854 + 265) = 14833
D(9) = 8(D(8) + D(7)) = 8(14833 + 1854) = 133496
D(10) = 9(D(9) + D(8)) = 9(133496 + 14833) = 1334961

“Quindi, volendo rispondere alla mia domanda iniziale, cioè se è stato un caso sfortunato oppure no, dovrei calcolarmi il rapporto tra queste dismutazioni e tutte le possibili permutazioni di 10 elementi”

“Che sono 10 fattoriale, cioè 3628800.”

“Il rapporto risulta circa 0.37, è stato sfortunato”

“Già. E del fatto che questo risultato sia molto vicino a 1/e ne parliamo un'altra volta.”

“Oh!”

“Eh.”

martedì 23 agosto 2016

Una proposta di ordinamento olimpico di Simon Tatham

Scrivo ancora qualcosa sulla classifica olimpica definitiva. Nel post precedente non c'era nessun tentativo di confronto fra i tipi di medaglie: uno stato che aveva ottenuto una sola medaglia d'oro non era confrontabile con un altro stato che aveva ottenuto un solo argento.

La proposta di Tatham, fatta otto anni fa, si basa invece sulle regole seguenti, che sono decisamente condivisibili:


  • Il numero di medaglie guadagnate conta, a parità di altri fattori: se uno stato X ha ottenuto almeno tanti ori, almeno tanti argenti e almeno tanti bronzi di quanti ne abbia ottenuto uno stato Y, allora i due stati sono almeno pari in classifica.
  • Oro è meglio di argento, argento è meglio di bronzo: se lo stato X ha ottenuto, ad esempio, un argento in più e un bronzo in meno rispetto allo stato Y, allora deve essere più in alto in classifica. Infatti Y, per ottenere lo stesso risultato di X, dovrebbe fare meglio in una specialità in cui ha vinto il bronzo e riuscire a ottenere l'argento.


Diciamo allora che uno stato X è stato migliore di un altro stato Y se il medagliere di Y può essere trasformato nel medagliere di X mediante una sequenza di aggiunte di medaglie oppure di sostituzione di medaglie basse con medaglie alte.

Il che si traduce nel seguente insieme di regole: se indichiamo con (O, A, B) il numero di ori, argenti e bronzi ottenuti da X, e con (o, a, b) il numero di ori, argenti e bronzi ottenuti da Y, allora X precede Y se e solo se


  • Oo,
  • O + Ao + a,
  • O + A + Bo + a + b.

Ed ecco il risultato:


Come di consueto, classifiche olimpiche

Anche quest'anno, così come avevo fatto in occasione delle olimpiadi di Londra, ho fatto un'immagine con la madre di tutte le classifiche olimpiche:


Le spiegazioni sono nel post di quattro anni fa.




Qui sotto, invece, la sequenza delle operazioni che ho eseguito per arrivare al grafico finale, in modo da non diventare matto di nuovo tra quattro anni.


  • Programmino python che legge il file in cui ho inserito il medagliere, copiato da wikipedia, e che produce un file scritto in linguaggio dot, digeribile dalla suite graphviz.
  • Uso del preprocessore tred per la riduzione transitiva (insomma, per togliere frecce inutili ottenibili mediante la proprietà transitiva).
  • Modifica manuale delle label troppo lunghe per farle andare a capo in maniera graficamente soddisfacente.
  • Uso del programma dot per produrre un file png.


giovedì 4 agosto 2016

I numeri di Catalan — 2. Percorsi particolari possono portare a ponderate persuasioni

Abbiamo visto come fare per calcolare quanti percorsi di minima lunghezza si possono fare su una griglia n × n, se si vuole andare da un vertice al vertice opposto”.

“Sì, è come calcolare gli anagrammi di una parola composta da tante lettere quante sono i passi che servono per fare il percorso, distinguendo tra passi verso destra e passi verso l'alto”.

“Bene, ora aggiungiamo una complicazione: partiamo dall'angolo in basso a sinistra, arriviamo all'angolo in alto a destra, e dobbiamo sempre stare al di sotto della diagonale del quadrato”.

“Uhm, fammi capire bene”.

“Ecco, per esempio questo è un percorso che non va bene:”.



“Ah, capisco, il terzo passo ci fa passare dall'altra parte della diagonale. Il secondo però arriva sulla diagonale, va bene lo stesso?”.

“Sì, l'importante è non andare al di là: possiamo stare sotto o, al massimo, toccare la diagonale”.

“Ok, quindi col giochino degli anagrammi si tratta di, uhm, considerare solo parole nelle quali le D non possono essere seguite da troppe A. Ehm, mi rendo conto di non averlo detto in maniera proprio precisa”.

“Infatti non è facile. Puoi dire che, presa una parola, ogni segmento iniziale non contiene più A che D, lasciando al lettore il compito di definire il concetto di segmento iniziale, anche se è abbastanza intuitivo”.

“Vabbé, mi pare abbastanza chiaro. Quello che non è chiaro è come fare il calcolo, ci sono troppe possibilità per analizzarle tutte”.

“Effettivamente è complicato. Ma, come ti dicevo, ho capito una dimostrazione che mi permette di ricordare una delle tante formule per il calcolo di questi possibili percorsi obbligati”.

“Interessante”.

“Provo a spiegarti, procedendo pian piano. Prima di tutto, dato un certo percorso P, come quello in figura, tanto per fissare le idee, chiamiamo elevazione di P il numero e(P) uguale al numero di tratti verticali che si trovano al di sopra della diagonale. I tratti possono anche partire dalla diagonale stessa”.

“Vediamo, fammi contare: nella figura che hai disegnato ci sono due tratti verticali, giusto?”.

“Giusto. In questo percorso, e(P) = 2”.

“Fin qua ci sono”.

“Ora definiamo una trasformazione che, dato un certo percorso, ne produce uno nuovo. Questa è un po' difficile da spiegare, quindi vado per passi. Ci sei?”.

“Vai”.

“Allora, per prima cosa seguiamo il percorso, partendo dal punto iniziale, fino a che non oltrepassa la diagonale”.

“Nel nostro esempio lo fa al terzo passo”.

“Esatto. Da questo momento andiamo avanti fino a identificare l'ultimo tratto, che sarà necessariamente orizzontale, che sta nella zona proibita. L'ultimo passo prima del primo rientro, insomma”.

“Perché è necessariamente orizzontale?”.

“Beh, perché un passo verticale si allontana dalla diagonale, non si può mai avvicinare”.

“Ah, ho capito, ok”.

“Bene, hai capito quindi qual è il passo che ci interessa, nel nostro esempio?”.

“Mi pare di sì, lo coloro di rosso:”.



“Ok. Ora spezziamo in tre parti il nostro percorso. La parte successiva alla freccia rossa viene spostata e messa all'inizio”.

“La devo proprio staccare?”.

“Sì, stiamo costruendo una nuova figura. La parte dopo la freccia rossa diventa la prima. Disegnata quella, si mette la freccia rossa, e successivamente tutta la parte precedente la freccia rossa. In sostanza, la parte in alto a destra va in basso a sinistra, quella in basso a sinistra va in alto a destra, e la freccia rossa le congiunge”.

“Provo, viene una cosa del genere?”.



“Esatto!”.

“La freccia rossa però non è rimasta ferma”.

“No, no, non doveva. La freccia rossa continua a separare i due pezzi, però si sposta. Ma prova a calcolare l'elevazione di questa nuova figura”.

“C'è una sola freccia verticale al di sopra della diagonale, ora l'elevazione è uguale a 1, quindi è diminuita”.

“Perfetto”.

“Succede sempre così?”.

“Prova a pensarci. La trasformazione che abbiamo definito spezza la figura in due parti. Sulla parte superiore non sappiamo niente, se non che essa parte dalla diagonale e che la sua ultima freccia termina anch'essa sulla diagonale, perché l'arrivo è fisso: è sempre il punto in alto a destra”.

“Giusto”.

“Quindi, facendo lo scambio dei due pezzi di percorso, siamo sicuri del fatto che il pezzo in alto a destra, che ora è finito in basso a sinistra, parte da un punto della diagonale e finisce in un punto della diagonale”.

“Vero”.

“Poi attacchiamo la freccia rossa, che ci fa fare uno spostamento verso destra”.

“Vero anche questo. Poi attacchiamo la prima parte, che è quella che avevamo analizzato in precedenza, e che sicuramente usciva dalla diagonale”.

“Esatto. E, spostandola di un passo verso destra, otteniamo come risultato il fatto che la prima freccia che usciva dalla diagonale ora sta sotto”.

“Ah! Ecco perché l'elevazione diminuisce sempre di uno! Perché in pratica riusciamo a fare rientrare una freccia. E una soltanto, perché il passo a destra è di un solo segmentino”.

“Benissimo. Ecco quindi che la nostra trasformazione, ogni volta che viene applicata, fa diminuire l'elevazione di 1”.

“Ma quindi se la applico una seconda volta, dovrei ottenere un percorso di quelli cercati, cioè un percorso di quelli che stanno sempre sotto la diagonale”.

“Certo. Prova! Prima di tutto, identifica il punto in cui spezzare”.

“Vediamo, devo seguire il percorso fino a che non esco, e poi devo colorare di rosso l'ultimo segmento orizzontale prima del rientro sulla diagonale. Mi viene una cosa del genere però:”.



“Va benissimo”.

“Ma il segmento rosso è l'ultimo!”.

“Non importa, applica la regola, funziona anche in questo caso”.

“Boh, allora, dovrei prendere il pezzo di percorso che segue la freccia rossa, ma non c'è”.

“Bene, mettilo al primo posto”.

“Ma non c'è!”.

“Quindi non metti niente, rimani fermo nell'angolo in basso a sinistra”.

“Ok. Poi devo mettere la freccia rossa, e poi la parte precedente, cioè tutto”.

“Quasi tutto, no? La freccia rossa l'hai già messa”.

“Quasi tutto, sì. Ecco qua: funziona!”.



“Come vedi l'elevazione è diventata uguale a 0, e quindi hai ottenuto uno dei percorsi validi”.

“Ok, fin qua ci sono”.

“Ora andiamo all'indietro. Dato un percorso, questo può essere sempre pensato come ottenuto dalla trasformazione di un altro percorso avente elevazione aumentata di uno?”.

“Ah, non ne ho idea”.

“Pensa al procedimento fatto e prova a vedere se riesci a invertirlo”.

“Allora, fino ad adesso abbiamo cercato il primo segmento orizzontale che termina sulla diagonale”.

“Giustissimo”.

“Che poi, nella trasformazione, diventa l'ultimo segmento orizzontale che parte dalla diagonale”.

“Benissimo, hai capito come funziona”.

“Ah, quindi per invertire il processo devo prendere l'ultimo segmento orizzontale che parte dalla diagonale e fare il contrario di quello che facevo prima”.

“Che è poi la stessa cosa, cioè devi invertire la parte sopra con la parte sotto”.

“Vediamo se ho capito. Riprendo la prima figura, quella con elevazione 2, e identifico l'ultimo segmento orizzontale che parte dalla diagonale:”.



“Bene”.

“Adesso inverto la parte superiore con l'inferiore. Vediamo, ho solo una freccia in su, poi metto la freccia rossa, poi tutto il resto. Ecco qua:”.


“Benissimo. Ti convince il fatto che questo percorso, di elevazione 3, diventa quello da cui siamo partiti applicando la solita trasformazione?”.

“Sì, funziona. Spezzo in corrispondenza della freccia rossa, e torno indietro. Ok, ci sono”.

“Quindi, se continuiamo ad andare indietro, possiamo arrivare ad avere un percorso con elevazione 5, sei d'accordo?”.

“Sì”.

“E quindi, riassumendo, il numero di percorsi con elevazione 5 è uguale al numero di percorsi con elevazione 4, al numero di percorsi con elevazione 3, e così via fino all'elevazione 0”.

“Aspetta, aspetta, perché sono uguali?”.

“Perché a ogni percorso di elevazione 0 ne corrisponde uno e uno solo di elevazione 1, e a ogni percorso di elevazione 1 ne corrisponde uno e uno solo di elevazione 2, e così via. Abbiamo detto che la nostra trasformazione è invertibile, cioè si può andare avanti e indietro, aumentando o diminuendo l'elevazione, in un unico modo”.

“Ok, ho capito”.

“Quindi, come concludiamo?”.

“Eh, se il numero di percorsi aventi una certa elevazione è sempre lo stesso, e se conoscessi quante elevazioni posso avere…”.

“Ma lo sai!”.

“Uh?”.

“Eh, al massimo di quanti passi puoi salire?”.

“Ah, ma certo, se la scacchiera è 5 × 5 al massimo posso salire di 5 passi. In una scacchiera n × n l'elevazione massima è n”.

“E la minima?”.

“Zero”.

“E quindi quante elevazioni puoi avere?”.

“In tutto sono + 1”.

“Bene, hai n + 1 gruppi, contenenti lo stesso numero di elementi, aventi elevazioni diverse. A te interessano soltanto quei percorsi aventi elevazione 0, quindi come puoi calcolarli?”.

“Prendo tutti i possibili percorsi e li divido per n + 1, facile”.

“Ed ecco quindi la formula:”.



“Uhh, questi sono i numeri di Catalan?”.

“Esatto”.

“Quindi nel nostro caso il numero di percorsi che si possono ottenere su una griglia di lato 5, in modo tale da stare sempre sotto la diagonale, sono… fammi fare i calcoli… 42”.

“Che è sempre un bel numero”.

“…”.

“Sono un po' tanti per disegnarli tutti, però. Ti faccio invece vedere tutta la casistica per una griglia più semplice, la 3 × 3”.

“Ok. Aspetta che faccio i conti… dovrebbe risultare 5”.

“Giusto. Primo gruppo, da elevazione 3 a elevazione 0. Ogni percorso si ottiene da quello che gli sta sopra applicando la nostra trasformazione. Naturalmente l'unico elemento accettabile è quello più in basso, quello con elevazione zero”.



“Ok, ho capito”.

“Secondo gruppo:”.



“Ok, ho controllato, anche qua tutto bene”.

“Terzo gruppo:”.



“Bene”.

“Quarto gruppo:”.



“Giusto anche questo, vai con l'ultimo”.

“Quinto e ultimo gruppo:”.



“Ahh, molto bene, ho capito. Ogni percorso con elevazione 0 è legato a un particolare percorso con elevazione 1, uno con elevazione 2, e così via”.

“Esattamente. Con n = 3 ci sono 6! / (3! × 3!) possibili percorsi, cioè 20. Li abbiamo raggruppati in cinque gruppi da 4 elementi ciascuno, un elemento per ogni possibile valore dell'elevazione”.

“Benissimo”.

“Sarebbe bello un disegno unico con una griglia di percorsi”.

“Sarebbe bello, ma il margine di questa pagina è troppo stretto per contenerla”.

“…”.






Grazie a Paul Gaborit di stackexchange per il codice LaTeX usato per tutte le figure. Senza sarei diventato matto.

mercoledì 3 agosto 2016

I numeri di Catalan — 1. Permutazioni e anagrammi

“Ho scoperto un metodo per ricordarmi una delle tante formule per il calcolo dei numeri di Catalan”.

“Ah, tu pensa che io non so nemmeno cosa siano, questi numeri”.

“Eh, ci sono tanti modi per definirli, tutti equivalenti. Ma forse è meglio prima parlare di anagrammi”.

“Eh?”.

“Sì, mescolamenti di lettere, prendi una parola e riordini le lettere in modo da ottenerne un'altra”.

“E cosa c'entra la matematica?”.

“In matematica si contano i modi che si hanno per mescolare le lettere, in modo da ottenere nuove parole”.

“Ah, ma queste parole devono avere significato?”.

“No, vogliamo contare i modi di mescolare le lettere in una parola, senza tener conto del significato delle nuove parole ottenute. In termini matematici, si dice che stiamo contando le permutazioni di n oggetti”.

“E come si fa questo calcolo?”.

“Ti faccio un esempio, supponi che la parola sia UNO”.

“Ok”.

“Per creare tutte le nuove parole, immagina di avere tre caselle vuote da riempire”.

“Va bene”.

“In quanti modi puoi riempire la prima casella?”.

“Direi tre, no? Ci posso mettere la U, oppure la N, oppure ancora la O”.

“Esatto. Ora, in quanti modi puoi riempire la seconda casella?”.

“Ancora tre, come prima”.

“Eh, no”.

“Perché?”.

“Perché una lettera è già stata usata per la prima casella”.

“Ah! Certo! Mi rimangono due lettere, posso riempire la seconda casella solo in due modi”.

“Molto bene. Quindi finora quanti anagrammi parziali hai fatto?”.

“Uhm, per ogni scelta della prima casella ne ho due per la seconda, quindi tre per due? Sei modi?”.

“Certo, non è nemmeno difficile scriverli tutti:”.

UN_
UO_
NU_
NO_
OU_
ON_

“Ah, vero. E vedo che mi rimane una sola possibilità per la terza casella, la lettera che non ho ancora scelto”.

“Esattamente, ecco i sei anagrammi:”.

UNO
UON
NUO
NOU
OUN
ONU

“Bene, ho capito”.

“Sapresti rifare il calcolo con quattro lettere?”.

“Direi di sì: 4 modi per la prima casella, 3 per la seconda, 2 per la terza, e 1 per l'ultima. Totale: 24”.

“Mi interessa di più la formula del risultato”.

“Ah. Allora la formula è questa: 4×3×2×1”.

“Ottimo. Con n elementi come diventa?”.

“Diventa una schifezza del genere: × (− 1) × (− 2) × … × 2 × 1”.

“Dato che è una schifezza, come dici tu, i Veri Matematici hanno inventato un simbolo apposta per questo tipo di moltiplicazione: si chiama fattoriale e si indica con il punto esclamativo:”.

n! = × (− 1) × (− 2) × … × 2 × 1

“Mh, mi pare di ricordare qualcosa dai tempi della scuola”.

“Eh, già. Ora, quanti sono gli anagrammi della parola MAMMA?”.

“Sono cinque lettere, quindi cinque fattoriale, aspetta che faccio il calcolo”.

“No, non è il risultato corretto”.

“Eh? Perché”.

“Ti rispondo con una domanda: quanti sono gli anagrammi della parola MMM?”.

“Non sono sei?”.

“Prova a scriverli”.

“Uhm, eh, no, non sono sei, non si possono mescolare tre lettere uguali”.

“Quindi?”.

“Quindi c'è un solo anagramma. Però con la parola MAMMA non so mica come fare”.

“Immagina per un momento che le lettere siano tutte diverse”.

“Ma non lo sono, come faccio? Cambio parola?”.

“In un certo senso, sì, fai così: considera la parola M1A1M2M3A2”.

“Gulp”.

“Ho solo numerato le lettere in modo da renderle distinguibili una dall'altra. Se non ti piacciono gli indici, puoi immaginare che le lettere abbiano colori diversi”.

“Ah, no, va bene anche così”.

“Ora, quanti anagrammi puoi fare con questa nuova parola?”.

“Dato che le lettere sono tutte diverse, sono cinque fattoriale, no?”.

“Esatto, 5!, che fa 120”.

“Però ci sono parole che sono uguali, se cancelliamo gli indici”.

“Per esempio?”.

“Beh, per esempio M1A1M2M3A2 e M2A1M1M3A2”.

“Bene. Proviamo a fare un po' di calcoli: quante parole diventano uguali se cancelliamo solo gli indici delle lettere M?”.

“Ci sono 3 lettere M, e se cancello, uhm…  non so”.

“Ti giro la domanda: quante parole diverse puoi fare mescolando soltanto le lettere M?”.

“Ce ne sono tre, se mescolo solo loro… ah, certo, 3!, cioè 6, come abbiamo visto prima”.

“Perfetto. E quante, invece, se mescoli soltanto le due lettere A?”.

“Beh, 2!, cioè 2”.

“Giusto. Quindi, tra tutti i 120 possibili modi che hai di mescolare quelle lettere, otterrai gruppi di parole che diventano uguali quando cancelli gli indici. In particolare, quando cancelli gli indici della M, avrai dei gruppi formati da 6 parole che diventano tutte uguali. Quando cancelli gli indici della A, avrai dei gruppi da 2”.

“Sì, quindi? Devo contare i gruppi?”.

“Proprio così”.

“Ancora non so come fare”.

“Ragiona al contrario: una singola parola, come per esempio MAMMA, crea un gruppo formato da molte parole, quando aggiungi gli indici”.

“Eh, ma quante?”.

“Tieni fisse le lettere, muovi soltanto gli indici”.

“Ah, ho 6 modi per muovere gli indici della M e 2 per quelli della A. Ho capito! Ho 6×2 parole uguali nel gruppo”.

“Proprio così: per convincerti, te le scrivo tutte:”.

M1A1M2M3A2
M1A2M2M3A1
M1A1M3M2A2
M1A2M3M2A1
M2A1M1M3A2
M2A2M1M3A1
M2A1M3M1A2
M2A2M3M1A1
M3A1M1M2A2
M3A2M1M2A1
M3A1M2M1A2
M3A2M2M1A1

“Ok, devo raggruppare le 120 parole in gruppi da 12, quindi ottengo 120/12, cioè 10 anagrammi diversi”.

“Giusto, eccoli qua:”.

MMMAA
MMAMA
MMAAM
MAMMA
MAMAM
MAAMM
AMMMA
AMMAM
AMAMM
AAMMM

“Va bene, ho capito”.

“In generale, la formula è quindi questa: conti tutte le lettere e ne calcoli il fattoriale, poi conti la numerosità dei gruppi di lettere che si ripetono, e dividi il risultato che hai ottenuto prima per il fattoriale di ognuna di queste numerosità”.

“Mh, sì, credo di aver capito”.

“Niente di meglio che fare un esempio: quanti sono gli anagrammi della parola MATEMATICA?”.

“Allora, ci sono 10 lettere, quindi 10!, però ci sono 2 lettere M, quindi devo dividere per 2!, ci sono 3 lettere A, quindi devo dividere per 3!, poi ci sono anche 2 lettere T, quindi divido ancora per 2!. Il calcolo è quindi 10!/(2! × 3! × 2!)”.

“Che fa 151200. Bene, quindi hai capito la regola per gli anagrammi. Ora, un problema. Data una griglia 5 × 5, quanti sono i percorsi minimi che puoi fare partendo dall'angolo in basso a sinistra e arrivando all'angolo in alto a destra?”.

“Eeeh?”.

“Una cosa del genere:”.




“Boh? Non ne ho idea”.

“Hai capito cosa significa percorsi minimi?”.

“Veramente no”.

“Sono i percorsi più corti possibile”.

“Ah. Quindi non posso tornare indietro, posso solo andare a destra o in alto”.

“Molto bene! Quanti passi in alto?”.

“Ah, al massimo 5”.

“No, non al massimo”.

“Oh, certo, esattamente cinque, vero. Devo andare verso l'alto cinque volte se voglio arrivare nella riga più in alto. So anche cosa stai per chiedermi: quanti passi verso destra? Anche quelli sono esattamente 5”.

“Perfetto. Il percorso nella figura là in alto, quindi, può essere riassunto da dieci istruzioni: vai a destra, vai in alto, vai in alto, vai in alto, vai a destra, vai a destra, vai in alto, vai a destra, vai a destra, vai in alto”.

“Sì, molto noioso, ma è giusto.”.

“Ti abbrevio le istruzioni in questo modo: DAAADDADDA”.

“Ahh, ma quindi un percorso è una parola, e contare tutti i percorsi significa contare tutte le parole di quel tipo!”.

“Proprio così. Quindi quanti sono questi percorsi?”.

“Una parola da 10 lettere, con 5 A e 5 D, quindi 10! / (5! × 5!), fa 252”.

“Perfetto. Ultima domanda: com'è la formula per una scacchiera × n?”.

“Vediamo: ci sono 2n lettere, e due gruppi da n elementi ciascuno, quindi (2n)! / (n! × n!)”.

“Benissimo. Per motivi che ora non ti dirò, perché aprono un altro mondo, quel numero si indica anche in questo modo:”.




“Ah”.

“Per quanto riguarda i calcoli, basta usare il tastino nCr della calcolatrice”.

“Bene, buono a sapersi. Quindi questi sono i numeri di Catalan?”.

“No, ancora no, questo è un argomento propedeutico”.

“Gulp”.

giovedì 7 luglio 2016

Gli orologi di Fourier — 3. Somme infinite che si annullano

“Facciamo un riassunto di quanto detto finora? Tra orologi e figure tridimensionali ho perso un po' il filo”.

“Ok. Allora, combinando in sequenza alcune lancette abbiamo visto che è possibile disegnare figure molto complicate, persino Homer Simpson”.

“Me lo ricordo”.

“E abbiamo anche visto che le lancette che ruotano, al variare del tempo, possono disegnare una curva tridimensionale”.

“Ricordo anche questo: le tre dimensioni contengono tutto quello che ci interessa, poi se vogliamo possiamo anche considerare meno informazioni di quelle che sono disponibili”.

“Esatto”.

“Rimane da spiegare una cosa: come facciamo a sapere come costruire l'orologio che genera una figura, per esempio Homer?”.

“Benissimo: parliamo di questo. Quando abbiamo a che fare con tante lancette che ruotano, ognuna di esse dà un contributo alla creazione della figura finale. Noi vorremmo analizzare il risultato in modo da capire come è stato costruito l'orologio”.

“Ok”.

“Dobbiamo premettere un'ipotesi: le lancette non girano a qualunque velocità”.

“In che senso?”.

“Fissata la velocità della prima, le altre vanno a velocità doppia, tripla, quadrupla, eccetera. Ma non consideriamo lancette che girano a velocità diverse da queste”.

“Perché?”.

“Eh, la risposta è difficile da dare, senza entrare a fondo nella matematica. Diciamo che la risposta più semplice è: perché non ce n'è bisogno, con lancette che girano alle velocità che ti ho detto possiamo generare qualunque curva periodica”.

“Periodica?”.

“Sì, cioè che si ripete dopo un certo tempo, sempre uguale a sé stessa”.

“Homer Simpson non mi sembra mica tanto periodico, però”.

“Se riguardi il video, invece, noterai che il disegno della faccia di Homer corrisponde a un giro completo della lancetta più lenta: la curva, anche se complicata, è una curva chiusa”.

“Ah”.

“Bene, fissate queste condizioni, ecco come si fa a trovare quali lancette servono per disegnare una certa curva. Immagina, per semplicità, che ce ne siano soltanto due”.

“Ok”.

“Queste girano, una a una certa velocità, una a velocità doppia, e tu, soltanto osservando la curva disegnata da esse, vuoi scoprire… ah, già, cosa vuoi scoprire?”.

“Beh, come sono fatte queste lancette”.

“Più precisamente?”.

“Eh, come ruotano e quanto sono lunghe”.

“Ma lo sai già come ruotano, no?”.

“Oh. Sì, in effetti sì, mi hai detto che la velocità è fissata a priori”.

“Esatto. Quindi tu vuoi sapere soltanto la loro lunghezza”.

“Ok. Come faccio?”.

“Immagina di prendere l'orologio (del quale tu non puoi vedere le lancette, ma solo il risultato che produce) e di farlo ruotare in senso opposto rispetto alla rotazione della prima lancetta”.

“Uhm. Che succede?”.

“Succede che la prima lancetta rimane ferma, no?”.

“Ah, sì, è vero, lei vorrebbe girare in un senso e io la faccio girare nell'altro, rimane ferma mentre l'orologio le gira intorno”.

“Perfetto. L'altra lancetta, invece, continua a girare per i fatti suoi”.

“A velocità diversa, immagino”.

“Sì, ma non importa: ora vogliamo eliminare il contributo dato da questa lancetta che ruota”.

“E come si fa?”.

“Ora viene il difficile. Immagina di scattare tante fotografie a una lancetta che ruota, fino a che non ha fatto un giro completo”.

“Va bene”.

“Ti risulterà una cosa del genere:”.



“Ne conto dieci, però”.

“Sì, è un esempio, immagina di averne dieci, cento, quanti ne vuoi”.

“Ok”.

“Ora mettiamoli tutti uno dopo l'altro”.

“Come per fare la somma?”.

“Sì”.

“Ma non c'è bisogno, si vede già che la somma è nulla: per ogni vettore c'è quello opposto”.

“Eh, hai ragione, ma questo solo perché ne ho disegnati dieci. Se fossero undici?”.

“Ah”.

“E poi c'è un altro problema: stiamo guardando la fotografia di una sola lancetta che ruota, perché il nostro orologio era molto semplice”.

“Ah già, ne aveva solo due, di lancette”.

“Se ce ne fossero di più, la fotografia non sarebbe così bella simmetrica”.

“Mh”.

“Non importa, però, il procedimento che ti sto suggerendo è universale. Che succede se metti tutte le lancette una dietro l'altra?”.

“Immagino che salti fuori una figura molto grossa”.

“Questo è vero, e tra poco rimedieremo a questo problema. Ma guarda com'è fatta, questa figura:”.



“Ah, certo, è chiusa”.

“E quindi la somma di tutti quei vettori fa zero”.

“Ho capito. Ma come risolviamo il problema del fatto che all'aumentare del numero di vettori la figura diventa sempre più grande?”.

“Semplice: riscaliamo i vettori di un certo fattore”.

“Cioè li accorciamo?”.

“Esatto. Immagina di non averne dieci, ma di averne un numero infinito, di lunghezza infinitesima”.

“Otterrei un poligono di infiniti lati piccolissimi… come una circonferenza?”.

“Proprio così”.

“Ah, bello. Che comunque si chiude, e quindi la somma di quei vettori infinitesimi sarebbe sempre nulla”.

“Esatto”.

“E che succederebbe se ci fossero altre lancette che ruotano?”.

“Se le altre lancette ruotano a velocità doppia, tripla, eccetera, la somma di tutti i vettori farebbe due giri, o tre, o più, ma comunque si chiuderebbe”.

“Molto bene, quindi questo è il modo per eliminare tutti i contributi delle lancette che ancora ruotano, dopo che abbiamo staccato l'orologio dal muro e lo abbiamo fatto ruotare in senso opposto rispetto alla prima lancetta. Però dicevi che questo era il sistema per scoprire come è fatta, questa prima lancetta. Non ho capito come fare quest'ultimo calcolo”.

“Hai ragione, non l'abbiamo ancora detto. Siamo rimasti, quindi, con un sistema che mediante infinite somme fa sparire tutti i contributi tranne quello di una sola lancetta, che ora non ruota più. Pensiamo quindi a quello che succede quando sommiamo, con la tecnica utilizzata prima, i contributi forniti da questa singola lancetta ferma”.

“Questa volta sommiamo infinite volte lo stesso vettore, quindi otteniamo una… semiretta?”.

“Non esattamente: ricordati che non sommiamo il vettore così com'è, ma prima lo riduciamo, facendolo diventare molto piccolo”.

“Vabbè, allora il risultato dipende da quanto è piccolo”.

“Esatto. Partiamo con un esempio semplice, la figura di sopra. Dividiamo l'angolo giro in 10 parti, otteniamo quindi dieci vettori uguali, e li sommiamo: cosa otteniamo?”.

“Un vettore lungo 10 volte quello iniziale”.

“E se quindi vuoi sapere quanto è lungo quello iniziale, cosa devi fare?”.

“Dividere per 10”.

“Bene. Se invece di fotografie ne facessi 20, per riottenere il vettore iniziale dovresti sommare tutto e dividere per 20”.

“Sono d'accordo. Non capisco bene come fare se invece di 10 o 20 ne ho infiniti, di questi vettori”.

“Non capisci perché ancora non sai com'è il fattore di scala che usi per ridurre gli infiniti vettori”.

“Già. Come si trova questo fattore di scala?”.

“Si fa così: si parte dalla circonferenza. Quanto è lunga?”.

“Dipende dal raggio, no?”.

“Certo. Fissiamo, come fanno sempre i Veri Matematici, un raggio comodo, cioè un raggio uguale a uno”.

“Ok, allora in questo caso la circonferenza è lunga 2π”.

“Benissimo. Ora immagina di raddrizzarla facendola diventare un segmento”.

“Ok, sarà sempre lungo 2π”.

“Senza dubbio. Ora dividilo in N parti, e quello è il tuo fattore di scala”.

“Ah, quindi questo è il valore per cui moltiplico tutti i vettori?”.

“Esatto”.

“Quindi, quando faccio la mia somma, ho N copie dello stesso vettore, lunghe 2π/N volte la lunghezza iniziale”.

“Molto bene. Quando le sommi tutte, cosa ottieni?”.

“Ah, N si semplifica! Ottengo 2π volte la lunghezza iniziale”.

“E quindi, finalmente, hai capito come si trova la lunghezza iniziale di questo fantomatico vettore?”.

“Ho capito! Prendo il risultato di questa somma, e divido per 2π”.

“Perfetto. Quella che hai appena fatto si chiama analisi di Fourier, e ti permette di trovare le lunghezze di tutti i vettori rotanti che servono per costruire una curva periodica”.

“Ma queste somme di infiniti termini infinitesimi si fanno davvero, in matematica?”.

“Sì, si chiamano integrali, e si indicano con un simbolo strano a forma di S allungata. Ecco come scrivono i Veri Matematici:”.




“Uh, abbastanza incomprensibile”.

“Ammetto che la prima volta che la vedi, potrebbe essere effettivamente poco chiara”.

“Eh”.

“Ma riassume tutto quello che abbiamo detto: f(x) è la curva che vogliamo decomporre con l'analisi di Fourier. La formula ti dice che se vuoi ottenere la lunghezza di uno dei vettori (indicato con cn), devi prendere la curva f, farla ruotare in verso opposto rispetto a quello della rotazione del vettore che vuoi (e questo lo ottieni moltiplicando tutto per einx), poi devi applicare il fattore di scala che riduce il risultato (e questo si ottiene moltiplicando tutto per dx), poi sommi tutto (l'integrale), e infine dividi il risultato per 2π. Ecco fatto”.

“Ma Fourier come faceva a fare queste cose senza GeoGebra?”.

“Era bravo”.

venerdì 10 giugno 2016

Gli orologi di Fourier — 2. Tre dimensioni

“Com'è quindi questa faccenda della lancette che girano al contrario?”.

“Prima di spiegartela più nel dettaglio, vorrei farti capire una cosa. Partiamo da questa domanda: quante informazioni contiene il grafico formato dalle lancette che abbiamo visto la volta scorsa?”.

“In che senso informazioni?”.

“Quante variabili, quanti numeri servono per descriverlo completamente?”.

“Uhm, uhm. È un grafico sul piano, no? Non sono due variabili?”.

“Sì, è vero, ma se lo pensi come punto che si muove, c'è una terza variabile nascosta: il tempo che passa. Il movimento della punta della matita sul grafico finale (il faccione di Homer Simpson, per dire) è descritto completamente da tre variabili: le coordinate del punto (due variabili) e l'istante di tempo in cui la punta della matita si trovava proprio in quel punto del foglio”.

“Ah, ok, una funzione in tre variabili, quindi?”.

“Non esattamente: una funzione lega il variare di alcune variabili all'interno di un insieme al variare di altre variabili all'interno di un altro insieme. In questo caso siamo interessati alla funzione che lega il tempo che passa alla punta della matita”.

“Quindi una variabile nell'insieme di partenza e due in quello di arrivo?”.

“Esatto. La sua rappresentazione completa ha bisogno di tre assi cartesiani: uno per il tempo che passa e altri due per le coordinate del punto che si muove”.

“Quindi, se ho capito bene, il grafico dovrebbe essere quello di una curva nello spazio?”.

“Proprio così. Per comodità di disegno possiamo poi fare come si faceva a scuola quando, invece di disegnare in prospettiva, si disegnavano le proiezioni ortogonali”.

“Uh, lontani ricordi…”.

“Se indichiamo le tre variabili con t per il tempo, x e y per la posizione del punto sul foglio, abbiamo tre disegni possibili. Possiamo disegnare soltanto x e y, in questo modo:”.




“E otteniamo la curva che avevamo già visto l'altra volta”.

“Oppure disegniamo t e x”.

“E che grafico salta fuori?”.

“Questo:”.




“Ah, una funzione normale…”.

“Ne esistono di anormali?”.

“Eh, diciamo che questa è una funzione che sono più abituato a vedere”.

“Hai ragione, in effetti è così. Anche quella nel piano t, y dovrebbe essere abbastanza normale, come dici tu:”.




“Sì, direi di sì”.

“Ma potresti anche disegnarle tutte e tre insieme”.

“Come proiezioni?”.

“Non solo: in fondo, le proiezioni le abbiamo già viste separate. Potremmo disegnarle come hai detto tu all'inizio: come curva nello spazio. Ecco qua, puoi orientarla come vuoi trascinando col mouse il grafico. Prova a riottenere le tre proiezioni viste prima”.