mercoledì 30 maggio 2012

Retrovie

Modena non è stata particolarmente colpita dai terremoti di questi giorni (qui è consentito anche ai più scettici mettere in atto qualunque tipo di gesto o attività apotropaica): abbiamo sentito le scosse, qualche edificio ha messo su un po' di crepe, nel centro storico è caduta una palla di marmo dal tetto di una chiesa che ha travolto le linee del filobus e ha lasciato un buco sul marciapiede, ma, alla fine, niente di irreparabile.


Non è andata così bene più a nord, nella cosiddetta bassa. Avete letto gli articoli, avete sentito i telegiornali, avete visto le foto: un disastro. La seconda scossa, quella di ieri, è stata brutta.

Io ero in classe, era appena suonata la campana, stavo per uscire, tutti erano in piedi, qualcuno voleva sapere come fare per rimediare ai suoi voti, qualcuno voleva uscire, qualcuno stava chiacchierando, tutti abbiamo sentito il pavimento saltellare. Ho in mente un fermo-immagine, tutti che mi guardano a bocca aperta, mentre cerchiamo di renderci conto di quello che succede, poi qualcuno si muove, sposta una sedia, ma non vuole essere il primo a mettere la testa sotto al banco perché a sedici anni se metti la testa sotto il banco fai brutta figura. E allora io urlo "tutti sotto i banchi!" e mentre mi fiondo sotto la cattedra vedo che tutti quanti si stanno mettendo al riparo, per quanto un banco possa essere considerato un riparo.

E là sotto, con una mano appoggiata sul pavimento, sento muovere tutto e sento i due studenti che stanno nei due banchi davanti alla cattedra che dicono "ma non finisce più!", e io dico "zitti!", "state zitti!", e non so bene perché lo dico, cosa c'è poi da ascoltare, e poi anche loro cominciano a dire "sshht, zitti!", forse vogliamo capire se la scuola starà in piedi, o forse vogliamo poter sentire se qualcuno chiama perché ha davvero bisogno, chissà.

Poi il tempo, che in quei momenti è dotato di vita propria e fa un po' quel che gli pare, finalmente passa e le scosse si fermano. Ci alziamo, si sentono le tre campane, e io dico "andate giù", e poi urlo "PIANO, NON CORRETE!", che mi ricordo ancora di quel terremoto di sedici anni fa, quando non esisteva un piano di evacuazione per la scuola, quando non si mettevano le teste sotto ai banchi, quando si correva fuori alla disperata, e c'era quella ragazza che era rimasta un po' indietro rispetto ai compagni, si era messa a correre nell'atrio vuoto, ed è caduta a terra. Non si è fatta nulla, ma il panico è una brutta bestia.

Io ho raccolto le mie cose e sono uscito, ho cercato gli studenti e ho fatto l'appello per vedere se c'erano tutti. Il punto di ritrovo era nel parco dell'istituto di riposo che si trova di fronte alla nostra scuola: lontano dagli edifici, sull'erba, all'ombra degli alberi, aveva un'atmosfera surreale. E la sensazione di essere in uno strano mondo mi ha accompagnato per tutto il giorno, e poi anche per la notte e il giorno dopo, cioè oggi. I telefoni non andavano, qualcuno è riuscito a fare qualche telefonata utilizzando una cabina telefonica (ne esistono ancora, sì), le auto non giravano. Quando mi ha telefonato mia moglie, da Carpi, sentivo un elicottero, delle sirene, lei che mi diceva che ci sarebbe voluto un po' per tornare a casa, visto che le strade erano intasate.

Una volta consegnati gli studenti ai loro parenti ho preso la bicicletta e me ne sono andato a casa. Ho attraversato due parchi, pieni zeppi di gente. Bambini che giocavano, biciclette, persone sedute sull'erba, carrozzine, passeggini, ragazzi più grandi che chiacchieravano. Era bellissimo, non avevo mai visto così tanta gente al parco, sembrava una giornata di festa. E mi ripetevo che non era vero, che c'era gente che aveva paura, che erano arrivate notizie di morti e di crolli, eppure non potevo fare a meno di pensare che sarebbe stato bello se tutte le giornate fossero state così, con la gente al parco che si chiede "come va?", che si dà una mano, che si aiuta.

I miei genitori si erano preoccupati di prelevare i nipoti da scuola, e li avevano raccolti tutti in cortile. Li ho visti giocare, li ho salutati, ho tirato fuori il telefono e mi sono attaccato a internet, per capire un po' cosa stesse succedendo.

Leggendo, trovavo notizie spaventose, e durante tutta la giornata ho cercato di informarmi, ho mandato email ad amici che abitano a Carpi e dintorni, ho guardato carte geografiche piene di puntini e stelline, ho letto la lista delle ultime scosse, e mi rendevo conto che a pochi chilometri di distanza c'era il disastro.


Nel pomeriggio vado a casa, arriva mia moglie, ce ne stiamo seduti su un paio di panchine, parliamo con altre persone che abitano nel nostro condominio. Che si fa stanotte? Qualcuno dormirà in macchina, qualcuno in casa sul divano, qualcuno non lo sa ancora. Mi telefona un amico e mi dice che se ne va con tutta la famiglia in montagna, tanto le scuole sono chiuse; lui poi tornerà a Modena il giorno dopo, vediamo come va la notte.

Già, la notte. Io ho lo sportello di un armadio che è un sismografo sensibilissimo, e quando sento quel rumore le pulsazioni mi vanno a mille (e mi succede da quando, sedici anni fa, ho scoperto mio malgrado questa caratteristica). Mia moglie mi propone di montare una tenda nel prato dietro casa, i figli sono ben felici, e allora via che si monta la tenda.


Prima di andare a dormire raccolgo un po' i pensieri, mi rivedo la studentessa quasi in lacrime che aveva paura di tornare in casa, lo studente sperduto che sarebbe dovuto tornare a casa con la corriera, ma le strade erano bloccate, i figli e i nipoti che in un lampo si infilano sotto la tavola mentre io sono ancora lì che mi chiedo "ma sarà un'altra scossa, o è solo un'impressione?" (era un'altra scossa), le ambulanze, gli elicotteri, la collega che abita nella zona dell'epicentro e non ha notizie, e mi sento un po' in colpa. Perché io posso dormire in tenda sotto casa, mentre qualcuno deve dormire in tenda perché la casa non ce l'ha più.

E allora, tra la paura che non passa, e il pensiero di essere ancora uno dei fortunati, mi pare di essere come il soldato che sta nelle retrovie. Un po' sollevato perché non è coinvolto direttamente, ma terrorizzato perché a trenta chilometri più a nord c'è la guerra.

7 commenti:

giovanna ha detto...

Mi sei venuto in mente. Non hanno parlato di disastri nella città di Modena, ma è fuor di dubbio che stiate vivendo anche voi momenti di panico.
La mia solidarietà,
spero tanto che tutto finisca presto.
ps: siete stati bravi a scuola...

g

zar ha detto...

A scuola è andata bene, tutti fuori senza problemi.

A Modena niente disastri, ma che brutta che è la paura.

Alberto ha detto...

Hai fatto una cronaca magistrale.

zar ha detto...

Grazie. A me è servita per mettere un po' di ordine nei miei pensieri.

Martina ha detto...

Noi non avevamo già più nessuno in classe...ci siamo fiondati fuori e ci siamo attaccati a uno dei muri portanti...
Ho passato tre giorni in montagna e sono tornata giù oggi e sento tutto tremare, anche se è solo nella mia mente...ho un po' paura di tornare a scuola..

zar ha detto...

Non è proprio solo nella tua mente, eh...

zar ha detto...
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