Il compasso dei greci è uno strumento che si richiude dopo aver disegnato un cerchio.
«Praticamente inutile».
«Ma no, dai».
«Ma come no? Non puoi costruirci niente, non riesci nemmeno a ricopiare un segmento da un'altra parte».
«Tu credi che sia così, ma tieni presente che i greci facevano geometria con questi due strumenti, e tutti i teoremi classici che conosci fanno uso solo di riga e compasso».
«Ma dai, io non riuscirei nemmeno a copiare un segmento da un'altra parte, come ti dicevo».
«Bè, questo è uno dei primi problemi affrontati da Euclide. Nei suoi Elementi, questa costruzione è la proposizione numero due».
«E la uno qual è?».
«La uno riguarda la costruzione di un triangolo equilatero, conoscendone un lato».
«Ah, quella la so fare anche io, col compasso si punta su un estremo del lato e si traccia una circonferenza di raggio uguale al lato, si fa la stessa cosa dall'altra parte, ed è fatto».
«Sì, è così. Ecco una figura che riassume il procedimento».
«Però ancora non capisco come si possa copiare un segmento da un'altra parte, senza tacche sul righello e senza poter tenere il compasso aperto».
«Qui il procedimento è un po' più complicato. Diciamo per bene i termini del problema: dati un punto A e un segmento BC, costruire a partire da A un segmento congruente a BC, in una direzione assegnata».
«Ok, sì, il problema è questo. Voi Veri Matematici siete sempre bravi a dire le cose in modo rigoroso».
«Timeo Danaos et dona ferentes».
«Eh?».
«Niente, niente, tutte le volte che fai commenti sui Veri Matematici bisogna sempre stare attenti».
«Ok, non lo faccio più. Dai, dimmi come devo fare per copiare il segmento BC a partire da A».
«Per prima cosa congiungi A con B e costruisci il triangolo equilatero di base AB».
«Ah, ecco perché questa costruzione è la proposizione uno».
«Esatto, serve per dimostrare la numero due. Indica con D il terzo vertice del triangolo equilatero, e poi traccia le due semirette DA e DB».
«Va bene, questo posso farlo col mio righello quasi inutile».
«Ora punta il compasso in B e traccia la circonferenza di raggio BC».
«Ok, anche questo è fattibile, non sposto il compasso».
«Esatto. Chiama E l'intersezione tra la circonferenza che hai appena fatto e la semiretta DB».
«Bene, prendo quella fuori dal triangolo equilatero?».
«Sì. Adesso costruisci la circonferenza di centro D e raggio DE, e indica con F la sua intersezione con la semiretta DA».
«Ok, sempre quella esterna al triangolo equilatero?».
«Sì. Ecco fatto».
«Cosa?».
«Il segmento AF è congruente a BC».
«Ah, ma è vero! E se voglio disegnarlo in una direzione diversa?».
«Centra il compasso in A e traccia la circonferenza di raggio AF, e poi scegli la direzione che vuoi su quella circonferenza».
«Ho capito. Bé, alla fine il compasso scarso dei greci si comporta come un compasso normale».
«Infatti, grazie a questa proposizione puoi trasportare un segmento dove vuoi, come se tu usassi un compasso normale».
«E allora non potevamo subito dire che il compasso dei greci è uguale al nostro?».
«No, perché così abbiamo uno strumento ancora più semplice ed essenziale. E con quello possiamo fare comunque un sacco di costruzioni, e così la nostra abilità è ancora più evidente».
«Stai scherzando, vero?».
«Non molto, in realtà. Sai che nel 1672 Mohr ha scoperto che tutte le costruzioni che si possono fare con riga e compasso si possono fare solo col compasso?».
«Eh?».
«Sì, anche se la sua dimostrazione è stata trovata solo nel 1928. E nel 1797 Mascheroni ha scoperto in maniera indipendente lo stesso teorema, che oggi porta il nome di teorema di Mohr-Mascheroni, e che dice appunto che tutte le costruzioni fattibili con riga e compasso si possono fare anche senza riga».
«Ma come fai, senza riga, a tracciare le righe?».
«Eh, bé, questo è vero, nelle costruzioni di Mohr-Mascheroni le righe vanno immaginate, e sono definite quando si conoscono due punti contenuti in esse. A parte questo problema, tutto il resto si fa tranquillamente».
«Roba da matti. E si può fare il contrario? Cioè si può fare tutto con la sola riga?».
«No, una sola riga non basta. Servono anche un cerchio [edit: o almeno un arco di cerchio] e il suo centro. Questo è un risultato congetturato nel 1822 e dimostrato nel 1833, e si chiama teorema di Poncelet-Steiner».
«Ma, alla fine, con riga e compasso si possono fare tutte le costruzioni che si vogliono?».
«Ecco un'altra bella domanda».
[Per quanto riguarda la quasi inutilità del compasso, si veda RM 032]
mercoledì 29 giugno 2011
lunedì 27 giugno 2011
I greci non erano normali — 1: dimostrazioni
Ai greci non bastava sapere che il quadrato costruito sull'ipotenusa di un triangolo rettangolo era equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti: no, loro volevano anche dimostrarlo. È stato quando qualcuno si è chiesto il perché la geometria funzioni in un certo modo che è iniziata la rovina degli studenti.
Se chiediamo a uno studente di ogni ordine e grado che cosa sia una dimostrazione di un teorema, lui farà fatica a rispondere. C'è qualcuno che fa ancora fatica a distinguere una definizione da una dimostrazione, per dire.
Comunque, una dimostrazione è una sequenza di deduzioni che, partendo da affermazioni che sappiamo essere vere (e che chiamiamo ipotesi) ci porta a concludere che una certa affermazione (la tesi) è anch'essa vera.
Volendo essere pignoli, anche questa sequenza di deduzioni dovrebbe soddisfare a certe regole, altrimenti come facciamo a sapere se stiamo deducendo correttamente? Ma questo è un problema che è stato affrontato successivamente, i greci non se ne sono preoccupati molto. Euclide, negli Elementi, presenta cinque cosiddette nozioni comuni (o assiomi) che userà in seguito, ma non analizza il procedimento deduttivo nel dettaglio. Eccole, nella versione di Tartaglia:
Concentriamoci sulla struttura dei teoremi, mentre lasciamo ai logici l'analisi delle regole di deduzione.
Una dimostrazione funziona se si può appoggiare sulle ipotesi, cioè su altre affermazioni vere. Ma allora la domanda che il bravo matematico si pone è: come facciamo a sapere che le ipotesi sono vere?
Una prima risposta è: perché le abbiamo dimostrate prima.
«Ah, una gran risposta! Non ci vuol molto a capire che non funziona, eh».
«Già. Riesci a spiegarmi perché non funziona?».
«Eh, perché se le ipotesi le abbiamo dimostrate prima, vuol dire che si appoggiavano su altre ipotesi».
«E quindi?».
«E quindi anche quelle ipotesi andavano dimostrate ancora prima, e così via».
«Esatto. Se ci chiediamo perché le cose funzionano, rischiamo di iniziare una ricerca delle origini che non avrà mai fine. Se ogni dimostrazione ha bisogno di appoggiarsi su dimostrazioni precedenti, non finiamo più».
«E quindi? I greci non si sono preoccupati di questo fatto?».
«Oh, sì, è stato uno dei maggiori problemi. Euclide capì che questa ricerca delle origini a un certo punto deve finire».
«E come si fa a finirla? I teoremi iniziali dovrebbero essere senza dimostrazione, non si può».
«Invece è proprio così che si fa. Si stabiliscono delle affermazioni di base, sulle quali tutti i matematici sono d'accordo, e si parte da lì. Quelle affermazioni sono vere perché noi diciamo che lo sono, e basta».
«Ed Euclide ha fatto così?».
«Sì. All'inizio elenca una serie di affermazioni, che chiama postulati, che ci dicono come funziona la geometria. Eccole qua:».
«Ah, mi pare di aver studiato qualcosa a scuola. Però non ne abbiamo parlato molto».
«Eh, infatti sono cose che da studenti si capiscono poco. Sembrano stupidaggini, figuriamoci se uno studente sente il bisogno di un postulato che afferma che per due punti passa una sola retta».
«In effetti, è una cosa talmente ovvia…».
«Infatti deve essere ovvia. Dato che non è dimostrabile, più evidente è, meglio è. Ma è solo quando si è studiato tanta geometria che ci si può chiedere che cosa succederebbe modificando qualche postulato. E da lì si capisce che sono proprio i postulati a stabilire come funziona la geometria. Se cambi qualcosa nelle fondamenta, la struttura che costruisci potrebbe essere completamente diversa (e se cambi qualcosa facendo poca attenzione, la struttura potrebbe anche crollare)».
«Ma quindi anche Euclide avrà studiato tanta geometria, prima di fare l'elenco dei suoi postulati, no?».
«Sì, Euclide ha sistematizzato tutta la geometria, dandole le basi e una struttura coerente. I teoremi principali magari erano già noti, si sapeva che erano veri, ma non si sapeva il motivo. Grazie a Euclide tutto viene messo in ordine».
«Bè, niente male».
«Eh, no, niente male davvero. Ancora oggi studiamo la sua geometria così come l'aveva scritta lui, con pochissimi aggiustamenti. I greci, ad esempio, si preoccupavano molto di dare definizioni costruttive, mentre noi non siamo così ossessionati dalla costruzione degli oggetti geometrici».
«Cosa significa definizioni costruttive?».
«Significa che non ti basta, per esempio, dire che esiste un certo triangolo isoscele, ma devi anche saperlo costruire utilizzando gli strumenti adatti».
«Che sarebbero?».
«I greci utilizzavano soltanto la riga e il compasso».
«Vabbè, anche noi quando facciamo dei disegni tecnici utilizziamo riga e compasso».
«Vero. Ma la riga e il compasso dei greci erano strumenti molto essenziali».
«Cioè?».
«Sulla riga non puoi segnare delle tacche, non puoi prendere misure. Se hai due punti sul piano, con la riga puoi disegnare la retta che passa per i due punti, e basta».
«Ah, come dice il primo postulato».
«Esattamente».
«E il compasso? Non è come il nostro compasso?».
«No, è molto più essenziale: come dice il terzo postulato, puoi puntarlo in un certo punto, aprirlo fino ad arrivare a un secondo punto, disegnare il cerchio e poi, non appena lo stacchi dal foglio, tac, si richiude».
«Cosa? Non posso usarlo per riportare delle lunghezze?».
«Assolutamente no. Apri, fai il disegno, stacchi, tac, hai perso la misura».
«Ma allora che geometria si riesce a fare con degli strumenti così inutili?».
«Eh, bella domanda».
Se chiediamo a uno studente di ogni ordine e grado che cosa sia una dimostrazione di un teorema, lui farà fatica a rispondere. C'è qualcuno che fa ancora fatica a distinguere una definizione da una dimostrazione, per dire.
Comunque, una dimostrazione è una sequenza di deduzioni che, partendo da affermazioni che sappiamo essere vere (e che chiamiamo ipotesi) ci porta a concludere che una certa affermazione (la tesi) è anch'essa vera.
Volendo essere pignoli, anche questa sequenza di deduzioni dovrebbe soddisfare a certe regole, altrimenti come facciamo a sapere se stiamo deducendo correttamente? Ma questo è un problema che è stato affrontato successivamente, i greci non se ne sono preoccupati molto. Euclide, negli Elementi, presenta cinque cosiddette nozioni comuni (o assiomi) che userà in seguito, ma non analizza il procedimento deduttivo nel dettaglio. Eccole, nella versione di Tartaglia:
- Quelle cose che à una medesima cosa sono equali, fra loro sono equali.
- Et se à cose equal siano aggionte cose equali, tutte le somme seranno equali.
- Et se da cose equali seranno tolte cose equali, quelle cose, che resteranno, seranno equali.
- Se alcuna cosa sia posta sopra a un'altra, e serà applicata a quella, che l'una non ecceda l'altra, quelle seranno fra loro equali.
- Ogni tutto è maggiore della sua parte.
Concentriamoci sulla struttura dei teoremi, mentre lasciamo ai logici l'analisi delle regole di deduzione.
Una dimostrazione funziona se si può appoggiare sulle ipotesi, cioè su altre affermazioni vere. Ma allora la domanda che il bravo matematico si pone è: come facciamo a sapere che le ipotesi sono vere?
Una prima risposta è: perché le abbiamo dimostrate prima.
«Ah, una gran risposta! Non ci vuol molto a capire che non funziona, eh».
«Già. Riesci a spiegarmi perché non funziona?».
«Eh, perché se le ipotesi le abbiamo dimostrate prima, vuol dire che si appoggiavano su altre ipotesi».
«E quindi?».
«E quindi anche quelle ipotesi andavano dimostrate ancora prima, e così via».
«Esatto. Se ci chiediamo perché le cose funzionano, rischiamo di iniziare una ricerca delle origini che non avrà mai fine. Se ogni dimostrazione ha bisogno di appoggiarsi su dimostrazioni precedenti, non finiamo più».
«E quindi? I greci non si sono preoccupati di questo fatto?».
«Oh, sì, è stato uno dei maggiori problemi. Euclide capì che questa ricerca delle origini a un certo punto deve finire».
«E come si fa a finirla? I teoremi iniziali dovrebbero essere senza dimostrazione, non si può».
«Invece è proprio così che si fa. Si stabiliscono delle affermazioni di base, sulle quali tutti i matematici sono d'accordo, e si parte da lì. Quelle affermazioni sono vere perché noi diciamo che lo sono, e basta».
«Ed Euclide ha fatto così?».
«Sì. All'inizio elenca una serie di affermazioni, che chiama postulati, che ci dicono come funziona la geometria. Eccole qua:».
- Adimandiamo che ce sia concesso, che da qualunque ponto in qualunque ponto si possi condurre una linea retta.
- Anchora adimandiamo che ci sia concesso, che si possi slongare una linea retta terminata direttamente in continuo quanto ne pare.
- Anchora adimandiamo che ce sia concesso, che sopra a qualunque centro ne piace puotiamo designare un cerchio di che grandezza ci pare.
- Similmente adimandiamo, che ci sia concesso tutti li angoli retti esser fra loro equali.
- Adimandiamo etiam che ci sia concesso, che se una linea retta cascarà sopra due linee rette, & che duoi angoli da una parte siano minori di duoi angoli retti, che quelle due linee senza dubbio, protratte in quella medesima parte sia necessario congiongersi.
«Ah, mi pare di aver studiato qualcosa a scuola. Però non ne abbiamo parlato molto».
«Eh, infatti sono cose che da studenti si capiscono poco. Sembrano stupidaggini, figuriamoci se uno studente sente il bisogno di un postulato che afferma che per due punti passa una sola retta».
«In effetti, è una cosa talmente ovvia…».
«Infatti deve essere ovvia. Dato che non è dimostrabile, più evidente è, meglio è. Ma è solo quando si è studiato tanta geometria che ci si può chiedere che cosa succederebbe modificando qualche postulato. E da lì si capisce che sono proprio i postulati a stabilire come funziona la geometria. Se cambi qualcosa nelle fondamenta, la struttura che costruisci potrebbe essere completamente diversa (e se cambi qualcosa facendo poca attenzione, la struttura potrebbe anche crollare)».
«Ma quindi anche Euclide avrà studiato tanta geometria, prima di fare l'elenco dei suoi postulati, no?».
«Sì, Euclide ha sistematizzato tutta la geometria, dandole le basi e una struttura coerente. I teoremi principali magari erano già noti, si sapeva che erano veri, ma non si sapeva il motivo. Grazie a Euclide tutto viene messo in ordine».
«Bè, niente male».
«Eh, no, niente male davvero. Ancora oggi studiamo la sua geometria così come l'aveva scritta lui, con pochissimi aggiustamenti. I greci, ad esempio, si preoccupavano molto di dare definizioni costruttive, mentre noi non siamo così ossessionati dalla costruzione degli oggetti geometrici».
«Cosa significa definizioni costruttive?».
«Significa che non ti basta, per esempio, dire che esiste un certo triangolo isoscele, ma devi anche saperlo costruire utilizzando gli strumenti adatti».
«Che sarebbero?».
«I greci utilizzavano soltanto la riga e il compasso».
«Vabbè, anche noi quando facciamo dei disegni tecnici utilizziamo riga e compasso».
«Vero. Ma la riga e il compasso dei greci erano strumenti molto essenziali».
«Cioè?».
«Sulla riga non puoi segnare delle tacche, non puoi prendere misure. Se hai due punti sul piano, con la riga puoi disegnare la retta che passa per i due punti, e basta».
«Ah, come dice il primo postulato».
«Esattamente».
«E il compasso? Non è come il nostro compasso?».
«No, è molto più essenziale: come dice il terzo postulato, puoi puntarlo in un certo punto, aprirlo fino ad arrivare a un secondo punto, disegnare il cerchio e poi, non appena lo stacchi dal foglio, tac, si richiude».
«Cosa? Non posso usarlo per riportare delle lunghezze?».
«Assolutamente no. Apri, fai il disegno, stacchi, tac, hai perso la misura».
«Ma allora che geometria si riesce a fare con degli strumenti così inutili?».
«Eh, bella domanda».
giovedì 23 giugno 2011
Riguardo il concetto di vero
Oggi gli studenti dell'ultimo anno di liceo scientifico hanno svolto la prova di matematica: forse qualcuno che di solito passa di qua ha visto i testi, ha provato a risolverli, ha letto delle polemiche riguardanti il quesito di geometria solida.
Magari non tutti sanno che, del liceo scientifico, esiste anche il cosiddetto piano nazionale informatica (detto PNI). La prova finale di matematica è, di solito, un po' diversa da quella tradizionale. A volte i problemi sono un pochino più difficili, o richiedono di lavorare un po' di più con la calcolatrice e il calcolo numerico; nei quesiti si parla un po' di più di probabilità.
Ho dato un'occhiata alla prova del PNI, e sono rimasto un po' interdetto davanti al primo quesito. Eccolo qua:
In sei ore lo studente dovrebbe risolvere un problema tra i due proposti, e dovrebbe rispondere a cinque quesiti su dieci. Forse, facendo il problema in mezz'ora e quattro quesiti in un'altra mezz'ora, lo studente potrebbe anche farcela.
Magari non tutti sanno che, del liceo scientifico, esiste anche il cosiddetto piano nazionale informatica (detto PNI). La prova finale di matematica è, di solito, un po' diversa da quella tradizionale. A volte i problemi sono un pochino più difficili, o richiedono di lavorare un po' di più con la calcolatrice e il calcolo numerico; nei quesiti si parla un po' di più di probabilità.
Ho dato un'occhiata alla prova del PNI, e sono rimasto un po' interdetto davanti al primo quesito. Eccolo qua:
Silvia, che ha frequentato un indirizzo sperimentale di liceo scientifico, sta dicendo ad una sua amica che la geometria euclidea non è più vera perchè per descrivere la realtà del mondo che ci circonda occorrono modelli di geometria non euclidea. Silvia ha ragione? Si motivi la risposta.
In sei ore lo studente dovrebbe risolvere un problema tra i due proposti, e dovrebbe rispondere a cinque quesiti su dieci. Forse, facendo il problema in mezz'ora e quattro quesiti in un'altra mezz'ora, lo studente potrebbe anche farcela.
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domenica 12 giugno 2011
mercoledì 8 giugno 2011
Voci di corridoio
Avevamo forse bisogno di un piccolo libro di questo tipo: perché c’è molta più scuola reale qui, in queste pagine virtuali, che negli articoli e nelle polemiche che normalmente inondano i nostri quotidiani; perché è un modo possibile, per chi a scuola non ci mette più piede da tanti anni, per capire che nel frattempo le cose sono molto cambiate e che chi parla di scuola oggi sta spesso parlando della scuola di trenta o di quindici anni fa: quella che conobbe lui, appunto, e che ora non è più.
Così recita l'introduzione a Voci di corridoio, un ebook sulla scuola fatto da prof (e da uno studente, diciamo così).
Si trova qua, grazie a Peppe e lo Scorfano (e a tutti quelli che hanno scritto).
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