“Basta con questi stranieri!”.
“Cosa c'è?”.
“Questa gente che non è fiorentina, che non conosce le nostre usanze e le nostre tradizioni! Cosa viene a fare qui?”.
“Ma chi? Ma cosa?”.
“Questi extracittadini, che vengono qua e rovinano il clima della nostra bella città!”.
“Ma che città? Cosa stai dicendo?”.
“Vengono da fuori, sono alteri, boriosi, sono dei parvenu”.
“Vabè, quando hai finito poi mi spieghi”.
“Ho finito: stavo parafrasando uno dei temi del sedicesimo canto dell'Inferno”.
“L'invasione degli stranieri? La sostituzione etnica? Il crollo delle tradizioni?”.
“Esatto”.
“Ma di chi stiamo parlando?”.
“Dei contadini che abitano fuori Firenze e che, forti dei loro improvvisi guadagni vengono in città e fanno il bello e il cattivo tempo, rovinando la nostra bella città! Prima i fiorentini!”.
“Ma dai, Dante dice questa roba?”.
“Eh sì, nel sedicesimo canto, incontrando dei suoi concittadini”.
“Concittadini che sono all'Inferno, quindi non sono proprio degli stinchi di santo. Che peccato hanno commesso?”.
“Hanno peccato contro natura”.
“Ah. Meglio non commentare”.
“Uno di loro si giustifica, però”.
“In che modo?”.
“Così:”.
E io, che posto son con loro in croce,
Iacopo Rusticucci fui; e certo
la fiera moglie più ch’altro mi nuoce
“Capisco bene? Colpa della moglie?”.
“Capisci bene. Del resto, se uno ha una fiera moglie è facile che prenda la navicella e si diriga verso l'altra sponda”.
“Ma santo cielo”.
“Assieme a Iacopo Rusticucci ci sono anche Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi”.
“Nomi decisamente fiorentini”.
“Dialogando con Dante, questi poveretti gli domandano se a Firenze albergano ancora cortesia e valore”.
“E Dante dice di no?”.
“Dice di no, per colpa di questi stranieri che vengono nella nostra bella città e…”.
“Ho capito, ho capito”.
“Dante lo dice così:”.
La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni
“E la gente nuova sono i contadini che abitano in periferia”.
“Eh sì”.
“Benissimo. Abbiamo anche qualcosa di scientifico in questo canto, oltre a queste invettive?”.
“Eh, il canto è dedicato per buona parte ai tre disgraziati e alla povera Firenze, ma nel finale si riscatta, ed è dal finale che prendiamo spunto”.
“Cosa succede nel finale?”.
“Nel finale i due poeti devono scendere verso il fondo dell'inferno, ma la strada non è semplice. Il Flegetonte si getta verso il basso con una cascata, e il sentiero si interrompe. Allora Virgilio esegue una strana manovra: si fa dare da Dante la cintura e la getta in fondo al burrone, come se questo fosse un segnale convenuto tra lui e qualcun altro”.
“E che succede? A parte il fatto che Virgilio avrebbe potuto gettare la sua cintura, invece che quella di Dante”.
“Succede una cosa molto strana, tanto che Dante impiega un certo numero di versi per assicurare al lettore che non sta dicendo cose inventate, che è tutto vero, anche se molto strano. Insomma, crea un po' di hype”.
“E poi?”.
“E poi arriva”.
“Ma chi?”.
“Arriva uan figura dal basso, che sembra nuotare nell'aria”.
“E chi è?”.
“Uno che fa meravigliare anche il cuore più coraggioso:”.
[ch’]i’ vidi per quell’aere grosso e scuro
venir notando una figura in suso,
maravigliosa ad ogne cor sicuro,
sì come torna colui che va giuso
talora a solver l’àncora ch’aggrappa
o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
che ’n sù si stende, e da piè si rattrappa.
“Una figura che nuota nell'aria?”.
“Esatto, e per questo parliamo di nuoto”.
“E tutta questa storia per parlare di nuoto?”.
“Avresti preferito parlare dell'invasione della nostra sacra patria?”.
“Nono, va benissimo il nuoto”.
“Ottimo. Dunque, perché galleggiamo, quando siamo capaci di galleggiare?”.
“Per il principio di Archimede, direi”.
“Esatto: un corpo immerso in un fluido riceve una spinta verso l'alto pari al peso del volume del fluido spostato. Ma questa è la versione facile”.
“In che senso?”.
“Nel senso che se il corpo è puntiforme va tutto bene, ma se non lo è bisogna capire qualcosa di più”.
“Ah, cosa?”.
“Sul corpo immerso agisce la forza di gravità, che possiamo pensare applicata nel centro di massa del corpo”.
“Il baricentro”.
“Quello. Anche la forza di Archimede è applicata in un centro di massa, ma non in quello del corpo sollevato, ma in quello del fluido spostato”.
“Ah”.
“Ed ecco che succedono cose nuove: immagina il nuotatore steso in acqua, orizzontalmente, con le mani avanti, le gambe tese, che tenta di galleggiare. La parte superiore dell'uomo è più leggera rispetto alla parte inferiore: i nostri arti inferiori devono sostenere il nostro peso, le gambe ci servono per camminare o correre, poi ci sono gli organi interni, e così via. In alto abbiamo solo la testa, che dovrebbe essere almeno un po' pesante e non piena d'aria, ma anche se stendiamo le braccia verso l'alto il nostro centro di massa è comunque più spostato verso i piedi”.
“E quindi?”.
“Quindi, siccome invece il centro di gravità dell'acqua che spostiamo è più in alto, la forza di Archimede e la forza di gravità non agiscono sullo stesso punto del nostro corpo, e noi percepiamo una rotazione: cerchiamo di stare orizzontali sulla superficie dell'acqua, ma i nostri piedi vanno in basso. Nel ruotare, i due centri di applicazione si spostano e, quando si trovano uno sulla verticale dell'altro, la rotazione si interrompe”.
“Ma con i piedi un po' affondati si nuota male”.
“Esatto, e quindi i nuotatori devono imparare a nuotare minimizzando la dispersione di energia, perché un corpo mezzo affondato deve vincere una forza di attrito maggiore. Per esempio, devono tenere la testa sott'acqua per più tempo possibile, in modo da sfruttare meglio la spinta di Archimede e da spostare un po' in avanti il loro centro di massa”.
“Ah, potrebbero nuotare sempre sott'acqua, a questo punto”.
“E infatti nel 1956 un nuotatore a rana giapponese vinse la medaglia d'oro inventando una nuova tecnica: dopo il tuffo iniziale non riemerse più, se non negli ultimi 5 metri”.
“Accidenti, un'intera vasca sott'acqua?”.
“Sì, quasi intera: poi riemergeva negli ultimi 5 metri, prendeva fiato, faceva la virata e tornava sotto: il regolamento lo permetteva”.
“Uno sforzo sovrumano”.
“E infatti molti nuotatori soffrivano molto, qualcuno si fermava senza fiato, qualcuno sveniva”.
“Non è mica bello svenire sott'acqua”.
“Infatti. A quel punto la federazione internazionale ha cambiato il regolamento, ponendo un limite alla distanza massima percorribile sott'acqua e obbligando il nuotatore a far emergere la testa fuori dall'acqua dopo ogni bracciata. Ma tutto questo è inutile, se poi non si spinge”.
“Beh, ovvio, muovendo gambe e braccia”.
“Certo. Il principio che permette a un corpo di muoversi in un fluido è quello di azione e reazione”.
“Ok”.
“L'acqua non offre appigli, e quindi cosa fa il nuotatore? Semplicemente, per modo di dire, la sposta. Il nuotatore, insomma, non spinge sé stesso, ma spinge via l'acqua, in direzione opposta a quella del movimento che vuole ottenere”.
“Quando un corpo A esercita una forza su un corpo B, anche il corpo B esercita la stessa forza sul corpo A”.
“Giusto: il nuotatore esercita una forza sull'acqua, spingendola indietro, e l'acqua restituisce il favore spingendo il nuotatore in avanti. Succede la stessa cosa nei razzi, ad esempio: il razzo espelle a gran velocità i gas di combustione verso il basso, e in cambio riceve una spinta verso l'alto”.
“Bello”.
“E si può scegliere: il nuotatore potrebbe spingere poca acqua a grande velocità, oppure molta acqua a bassa velocità, ottenendo lo stesso effetto”.
“E quale è meglio?”.
“Il secondo: muovere acqua a grande velocità produce turbolenze, aumenta gli attriti, e alla fine fa perdere energia. Meglio muovere molta acqua a velocità più bassa”.
“Come quando si usano le pinne?”.
“Esatto. Ci può essere anche un altro modo per limitare gli attriti: cercare di fare scorrere l'acqua nella maniera più liscia possibile, in modo che crei meno turbolenze possibile passando aderente al corpo”.
“E come si fa?”.
“Intanto ci si depila: i nuotatori sono sempre liscissimi”.
“Ecco”.
“Oppure si usa un materiale che ricopre la pelle e offre un attrito minore. Fino a qualche anno fa si usavano costumi speciali interi, che coprivano braccia e gambe, e che hanno permesso di superare molti record. Poi sono stati vietati”.
“Ah”.
“Anche se, per prima cosa, il regolamento internazionale specifica che i costumi devono essere rispettosi del comune senso del pudore”.
“Benissimo”.
“E come seconda cosa specifica che non possono essere trasparenti”.
“Perfetto”.
“Più avanti, specifica che devono essere filati di natura tessile, naturale o sintetica. Non impermeabili, che non aiutino nel galleggiamento, che non scendano sotto al ginocchio, che non coprano le braccia, e altre cose ancora.”.
“Che roba”.
“Eh, stilare un regolamento tecnico non deve essere semplice. Chissà che costume avrà il personaggio atteso da Dante e Virgilio”.
“Non mi hai ancora detto come si chiama”.
“No, però nuota a rana”.
1 commento:
Due note "a margine".
A proposito del pensiero di Dante sui forestieri a Firenze:
Tratto da: Platone, La Repubblica – Cap. VIII:
Quando il cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine;
In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte;
in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo.
Mi ricordo quialche anno fa di essere rimasto colpito dalla lettura di questo passo, segnalato non mi ricordo più da chi e dove, e l'avevo inoltrato a un mio amico molto più colto di me, il quale mi aveva detto che in generale è fuorviante riferire le parole di un dato periodo storico, ormai passato, all'attualità.
Sui vortici creati dai nuotatori, mi è tornata alla mente questa vicenda che risale alle olimpiadi del 2016:
https://swimswam.com/problem-rio-pool/
Posta un commento