“Canto ottavo, finora quello più povero di riferimenti scientifici”.
“Passiamo al nono?”.
“Proviamo ugualmente a dire qualcosa. Virgilio e Dante si stanno avvicinando a un'alta torre e, osservando la cima, vedono due fiammelle. In lontananza, poi, vedono una seconda torre rispondere al segnale”.
Io dico, seguitando, ch’assai prima
che noi fossimo al piè de l’alta torre,
li occhi nostri n’andar suso a la cima
per due fiammette che i vedemmo porre
e un’altra da lungi render cenno
tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre.
“Segnale? Che segnale? Per chi?”.
“È quello che si chiede anche Dante, e Virgilio risponde indicando chi è stato richiamato da quelle luci: Flegiàs, alla guida di una piccola barca che viaggia velocissima sulle acque paludose”.
“Va bene. Quale spunto scientifico prendiamo da qui?”.
“Uno spunto molto vago: le due fiammelle”.
“E cioè?”.
“E cioè il fatto che la comunicazione tra le due torri possa avvenire anche senza l'uso delle parole. Si possono usare simboli diversi, abbreviazioni, linguaggi diversi o, semplicemente, codifiche diverse. L'informazione può essere trasmessa in molti modi”.
“Stiamo parlando di teoria dell'informazione?”.
“Sì, e anche di linguaggio. Siamo nella palude dello Stige, le acque emettono vapori che limitano la visibilità. In più, nel pantano sono immerse le anime dei dannati, che urlano, gridano, ne fanno di tutti i colori. Evidentemente c'è bisogno di comunicare tra la riva sui cui si trovano Dante e Virgilio e un luogo lontano, su cui è stata costruita la seconda torre; luogo che potrebbe essere il posto in cui sta di solito il traghettatore, Flegiàs, oppure l'altra riva: questo non è chiarissimo. Come fare per comunicare in modo efficiente attraverso un canale disturbato?”.
“Disturbato?”.
“Sì, le voci dei dannati possono impedire che un richiamo vocale arrivi a destinazione, e i fumi della palude possono impedire segnali visivi: un uomo (o un diavolo, visto l'ambiente) che gesticola potrebbe non essere visto”.
“E quindi accendiamo le luci”.
“Esatto: due luci e non una per dare ridondanza (magari la prima fiammella non viene vista, e allora per sicurezza mettiamocene una seconda), accese su una torre per evitare i fumi della palude. Non è necessario poi trasmettere molta informazione, basta un bit: luce accesa, vieni qua; luce spenta, aspetta. E infine, per essere sicuri che il messaggio sia arrivato a destinazione, c'è anche la trasmissione di una ricevuta di ritorno”.
“La luce proveniente dall'altra torre”.
“Quella. Questo sistema di semplice comunicazione tra due punti mi ricorda due cose. La prima, non scientifica ma molto evocativa, è l'accensione dei fari di Gondor nel Signore degli Anelli”:
Per un po’ tornò a regnare il silenzio. Poi: “Che cos’è quello?” gridò a un tratto Pippin, aggrappandosi al mantello di Gandalf. “Guarda! Fuoco, fuoco rosso! Ci sono draghi in questa regione? Guarda, eccone un altro!”
Per tutta risposta Gandalf incitò a gran voce il cavallo. “Su, Mantombroso! Dobbiamo affrettarci. Il tempo stringe. Lo vedi? I fari di Gondor sono accesi, chiedono aiuto. È scoppiata la guerra. Vedi il fuoco su Amon Dîn, e le fiamme su Eilenach; e si spostano rapidamente verso ovest: a Nardol, Erelas, Min-Rimmon, Calenhad e l’Halifirien alle frontiere di Rohan.”
“Non molto scientifico, effettivamente”.
“Lo so, ma mi piaceva citarlo, mi piace quella scena con i fuochi che si propagano, portando il messaggio sempre più lontano. Ma rimedio alla poca scientificità con la seconda cosa che mi è venuta in mente: il problema dei due generali”.
“Cos'è?”.
“È un problema non risolubile relativo alla comunicazione tra due soggetti su un canale non affidabile”.
“Eh? Non risolubile? Non affidabile? E i generali cosa c'entrano?”.
“Il problema dice questo: ci sono due generali che devono coordinare un attacco verso truppe nemiche. Le truppe si trovano tra il primo generale e il secondo. I generali possono comunicare tra loro soltanto mandando dei messaggeri, che però devono attraversare la zona nemica e quindi potrebbero essere catturati o uccisi”.
“E quindi il messaggio non arriva”.
“Esatto. I due generali sanno che possono vincere solo se attaccano contemporaneamente, e quindi vogliono essere sicuri di accordarsi sul momento preciso in cui sferrare l'attacco. Come fare? Supponiamo che il primo generale mandi il messaggio attacchiamo domani alle nove del mattino”.
“Per essere sicuro, questo generale dovrebbe aspettare una risposta di conferma. Ma se non arriva?”.
“I casi sono due: o il messaggio non è arrivato al secondo generale, e in questo caso un attacco porterebbe alla sconfitta, oppure il messaggio è arrivato, ma la ricevuta di ritorno no”.
“In questo caso si potrebbe attaccare, ma come si fa a essere sicuri?”.
“Il problema è proprio questo: non si può esserlo. Non esiste un metodo per essere sicuri, in queste condizioni di canale non affidabile”.
“E quindi come si fa?”.
“Serve un canale di comunicazione sicuro, altrimenti c'è sempre il dubbio che l'attacco non funzioni perché i due generali non sono riusciti a mettersi d'accordo”.
“Non è un gran successo, questo”.
“Non lo è, ma non si può fare di meglio. Cioè, dal punto di vista matematico si può dimostrare che non esiste un algoritmo che funzioni, dando la certezza ai due generali; ma usando il calcolo delle probabilità si può cercare di tenere bassa l'incertezza, cercando di capire quale sia la probabilità che il messaggio spedito da uno dei due generali sia intercettato e bloccato”.
“Un problema, per i generali che devono attaccare”.
“Già. E qui ci dobbiamo fermare, perché il resto del canto è occupato dallo sfogo di Dante nei confronti di una particolare anima dannata”.
“Uh, non prova pietà questa volta?”.
“Macché, è tutto un caro Virgilio, vorrei pestare quel tale che è molto antipatico e che non sopporto. E, da parte di Virgilio, ma certo, caro Dante, mi sembra cosa buona e giusta, sfogati pure: anche se sta già penando le pene dell'inferno, infierisci pure”.
“Ma dai”.
“Sì, sì. Dante e Virgilio sono sulla barca di Flegiàs, e un dannato immerso nell'acqua fangosa allunga le mani e chiede a Dante cosa ci faccia lì, dato che non è un'anima dannata. Dante risponde lascia fare, son qua adesso ma poi vado via, piuttosto tu chi sei, che sei così brutto?”.
“Incredibile”.
“E il tipo risponde Vedi che son un che piango”.
“E non dice il nome?”.
“Stranamente no. Ma Dante lo riconosce, e gli dice che è bene che pianga, e dovrebbe continuare a farlo, brutto schifoso. Leggi qua:”.
E io a lui: «Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto».
“È proprio arrabbiato”.
“Sì. Dante poi prosegue dicendo che quel tipo in vita non ha commesso nessuna buona azione che meriti di essere ricordata. Poi, tutto gentile, si rivolge a Virgilio”.
E io: «Maestro, molto sarei vago
di vederlo attuffare in questa broda
prima che noi uscissimo del lago»
“Terribile. E Virgilio?”.
“E Virgilio dice ma certo caro Dante”.
Ed elli a me: «Avante che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
di tal disio convien che tu goda».
“Poveretto quel tipo. Ma chi è?”.
“Né Dante né Virgilio ne pronunciano il nome. Gli altri dannati, però, quando lo vedono staccarsi dalla barca, gli danno addosso gridando il suo nome. Impariamo quindi che il poveretto si chiama Filippo Argenti”.
“Poi che succede?”.
“Succede che Dante e Virgilio vanno verso la città di Dite, ma trovano chiuso. E direi di lasciarli lì a soffrire per un po'”.
“Sono d'accordo. Chiudiamo così, quindi?”.
“Lasciamo chiudere a Caparezza, questa volta”.
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