“Siamo al canto tredicesimo, quello di Pier della Vigna”.
“Uh, triste argomento, i suicidi”.
“Già. Non c'è molta scienza, questa volta, ma c'è molta retorica”.
“Che a noi non interessa”.
“Potrebbe interessarci, invece. Ma prima sottolineiamo l'unica osservazione sperimentale che fa Dante, che è questa:”.
Come d’un stizzo verde ch’arso sia
da l’un de’capi, che da l’altro geme
e cigola per vento che va via,
sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond’io lasciai la cima
cadere, e stetti come l’uom che teme.
“Cosa succede qui?”.
“Succede che a Dante sembra di sentire dei lamenti ma non capisce da dove vengano, e allora Virgilio gli consiglia di strappare un ramoscello, così si chiariranno tutti i dubbi”.
“E Dante strappa il ramoscello?”.
“Sì, solo che qui i cespugli sono le anime dei dannati, e strappare un ramoscello provoca loro dolore”.
“Ma santo cielo”.
“Eh. Quindi Dante strappa il ramoscello, e osserva che sta succedendo qualcosa di simile a quando si mette un pezzo di legno verde in un fuoco, in modo che uno solo dei due estremi del pezzo sia tra le fiamme. Dall'altro estremo dopo poco cominciano a uscire acqua e vapore, a volte con un fischio”.
“Ah, vero, il fuoco trasforma i liquidi ancora contenuti nel ramo in vapore, e la pressione li fa uscire”.
“Esatto. In questo caso dal ramoscello rotto escono parole e sangue”.
“Ma povere anime”.
“E qui finisce l'osservazione scientifica. Poi ci sarebbe un altro aspetto, anche se non è molto chiaro”.
“Cioè?”.
“L'anima a cui Dante ha strappato un ramoscello si presenta con queste parole:”.
Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi,
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:
fede portai al glorioso offizio,
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.
“E chi è, quindi? Colui che tenne entrambe le chiavi del cuore di Federico?”.
“Chi parla è Pier della Vigna, segretario dell'imperatore Federico II di Svevia. Lui conservava entrambe le chiavi del cuore di Federico, appunto”.
“Ma cosa significa? Due chiavi? Del cuore?”.
“Questo è il mio dubbio, infatti. Ho trovato scritto in un solo sito che qui Dante fa riferimento a forzieri sofisticati che avevano una serratura che doveva essere aperta con una chiave e chiusa con un'altra, ma non so se sia vero, non ho trovato altri riferimenti a riguardo. Mi dicono che forse si riferisce a forzieri che avevano una chiave che serviva per il deposito, e non per il prelievo, e una seconda chiave che serviva solo per prelevare, un po' come le casse continue delle banche di oggi. Ma, ancora una volta, non ho riferimenti certi. Se fosse così, sarebbe molto bello”.
“Perché?”.
“Perché ricorda un meccanismo usato nelle attuali reti informatiche”.
“Ah”.
“Io devo mandarti uno scrigno contenente un documento segreto, e non voglio che nessuno lo legga”.
“Metti un lucchetto”.
“Ma poi a te serve la chiave”.
“E allora mandamela”.
“Ma se la rubano?”.
“Mettila dentro a uno scrigno… oh”.
“Non funziona, come vedi. O ci vediamo di persona e ti passo la chiave, oppure questo sistema è poco sicuro”.
“Vediamoci di persona, allora”.
“E se non potessimo? Tu vai di persona presso tutte le sedi fisiche alle quali farai prelevare soldi dalla tua carta di credito?”.
“Eh, no”.
“Ma non tutto è perduto: io metto il documento dentro allo scrigno e lo chiudo col mio lucchetto, di cui solo io possiedo la chiave, e poi ti mando tutto”.
“Ma così non riesco ad aprirlo”.
“No, tu al momento non vuoi aprirlo, anzi. Accanto al mio lucchetto, ce ne metti uno anche tu, di cui questa volta tu hai la chiave”.
“E poi?”.
“E poi mi rimandi lo scrigno”.
“E cosa te ne fai, ora che ha due lucchetti?”.
“Ora tolgo io mio lucchetto, e ti rimando il tutto”.
“Ah! Geniale! C'è ancora il mio lucchetto, quindi nessuno può sbirciare il documento segreto. Poi io lo tolgo e, finalmente, posso leggere quello che voglio. Ma questo metodo esiste davvero?”.
“Certo”.
“Che meraviglia”.
“Chissà se Dante quando parlava di entrambe le chiavi parlava di un vero scrigno con due chiavi. Comunque, questo è quello che mi è venuto in mente. Per concludere, poi, c'è un terzo aspetto interessante di questo canto”.
“Quale? La retorica?”.
“Sì, ci sono alcune figure retoriche che sfruttano un po' di matematica, o di geometria”.
“Ma dai”.
“Ci vuole un po' di fantasia, ma non solo ai matematici piacciono le simmetrie, per esempio”.
“Ci sono figure retoriche che hanno a che fare con le simmetrie?”.
“Sì, per esempio quando Pier della Vigna chiede un po' di rispetto a Dante, spiega che le anime in questa parte dell'Inferno sono state tramutate in cespugli, così:”.
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi
“E questa è una figura retorica?”.
“Un chiasmo: nella prima parte ci sono due termini, uomini e fummo, e nella seconda parte ci sono altri due termini simmetrici di questi due, cioè con i ruoli invertiti, che sono fatti e sterpi. Lo schema qui è sostantivo-verbo seguito da verbo-sostantivo. Potremmo dire SVVS, una sigla palindroma”.
“Benissimo”.
“E ai matematici le simmetrie piacciono, perché permettono di risparmiare un po' di fatica”.
“Capirai”.
“Poco prima, Dante dice”.
Cred’io ch’ei credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi
da gente che per noi si nascondesse
“Io credevo che lui credesse che io credessi? Si diverte, Dante”.
“Vero? Gioca coi suoni, li ripete. Scopro anche che questa figura si chiama polipototo: una parola ripetuta, mutando il genere o il caso”.
“E anche questo piace ai matematici?”.
“Se le parole fossero ripetute identiche a sé stesse, in matematica si parlerebbe di periodicità. Qui ci sono delle modifiche, delle perturbazioni, direbbero i matematici”.
“Esistono anche le perturbazioni matematiche?”.
“Certo. Si parte da una cosa nota, facile da studiare, e la si modifica un pochino in modo da non distruggerne la struttura, e si cercano le proprietà che non variano. Ma questa l'ho citata soltanto perché mi piace molto il verso Cred’io ch’ei credette ch’io credesse”.
“Eh eh”.
“C'è anche un'altra ripetizione, un altro poliptoto, qui:”.
La meretrice che mai da l’ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio,
infiammò contra me li animi tutti;
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.
“Un sacco di fiamme. Ma chi è questa meretrice?”.
“Sta parlando dell'invidia, che non distolse mai gli occhi disonesti dalla reggia dell'imperatore. L'invidia è morte di tutti e vizio delle corti (anzi, morte di tutti e delle corti vizio - un altro chiasmo, oserei dire), e infiammò gli animi di tutti quanti contro di me (cioè contro Pier della Vigna), e a loro volta essi infiammarono l'imperatore, tanto che i miei onori si trasformarono in tristi lutti. Insomma, Pier della Vigna è caduto in disgrazia a causa dell'odio dei cortigiani”.
“Un po' come certe comari di un paesino”.
“Esatto. Ma tutto questo canto è pieno di figure retoriche, perché Pier della Vigna si meritava un registro elevato. Subito dopo questi versi, infatti Pier della Vigna spiega di aver cercato di sfuggire il disonore con la morte, e questo fatto lo ha reso ingiusto contro sé stesso:”.
L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.
“Un altro chiasmo”.
“Esatto. Dopodiché Dante incontra due scialacquatori, Lano da Siena e Iacopo da Sant'Andrea. Ecco come li introduce:”.
Noi eravamo ancora al tronco attesi,
credendo ch’altro ne volesse dire,
quando noi fummo d’un romor sorpresi,
similemente a colui che venire
sente ’l porco e la caccia a la sua posta,
ch’ode le bestie, e le frasche stormire.
Ed ecco due da la sinistra costa,
nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
che de la selva rompieno ogni rosta.
“Uh, quanti versi”.
“E guarda tutte quelle ripetizioni, guarda quante s-t: ”.
“Esse ti?”.
“similemente, sente, posta, bestie, frasche, stormire, sinistra costa, sì forte, selva, rosta”.
“Ah, capito”.
“E insomma, anche se non è esattamente periodicità in senso matematico, potremmo dire che è quasi periodicità”.
“E non dirmi che i matematici sono riusciti a dare un significato a una quasi proprietà?”.
“Ovviamente”.
“Ci rinuncio. Anzi, cado come corpo morto cade.”.