“Siamo arrivati al canto decimo dell'Inferno: siamo all'interno della città di Dite, Dante e Virgilio stanno camminando tra le tombe degli eretici, quando incontrano Farinata degli Uberti. Dante e Farinata parlano, c'è qualche schermaglia politica, cose di Guelfi e Ghibellini, poi dalla tomba in cui Farinata sta scontando la sua pena si alza un'altra anima, quella di Cavalcante dei Cavalcanti”.
“Bel nome”.
“Sai, i toscani sono così. Cavalcante è in pena per suo figlio, Guido, amico di Dante. Vuole sapere come sta, perché dalle parole di Dante, che fa riferimento a Guido usando il passato remoto, sembra che sia morto. In realtà è un equivoco, le parole di Dante non si riferivano alla morte di Guido, che al momento in cui avviene il viaggio nell'Inferno è ancora vivo”.
“Beh, una piccola consolazione per il padre”.
“Eh, no, perché Dante indugia, stupito della domanda, e Cavalcante interpreta questo silenzio come timore da parte di Dante di dover confermare la notizia della morte. Siccome Dante non parla, Cavalcante si convince della morte del figlio e cade, come svenuto, nella tomba dalla quale si era alzato, senza dire più nulla”.
“Ma no, ma poveretto!”.
“Eh”.
“Ma perché Dante non ha detto niente? Ma poteva rispondere, no? Ma santo cielo”.
“Dante è rimasto stupito perché sa che i dannati sono dotati di preveggenza: sanno vedere il futuro”.
“Ah, e quindi si chiede come mai Cavalcante, che può vedere il futuro, non sappia se il figlio è vivo o morto”.
“Esatto”.
“E perché Cavalcante non lo sa?”.
“Dante è stupito proprio per questo, ma non può dare voce ai suoi pensieri perché non appena Cavalcante ricade all'interno della tomba Farinata riprende il suo discorso, come se non fosse successo nulla”.
“Sono tutti sensibilissimi, questi dannati”.
“Si devono adattare anche loro alle condizioni in cui vivono, per così dire. E non è finita qui: Farinata predice il futuro di Dante”.
“Ma come?”.
“Eh, sì. Farinata e Dante stavano parlando del fatto che i loro rispettivi avi vennero cacciati da Firenze, esiliati. E Dante ha sottolineato che i suoi antenati erano migliori di quelli di Farinata, perché anche se cacciati sono sempre stati in grado di rientrare a Firenze, prima o poi. Ed ecco la risposta di Farinata:”.
«S’elli han quell’arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’arte pesa[»].
“Di che arte stiamo parlando?”.
“Dell'arte di rientrare dall'esilio. La faccia della donna di cui parla Farinata è la faccia della luna: entro cinquanta fasi lunari anche Dante sperimenterà l'esperienza dell'esilio, e allora vedrà che riuscire a rientrare a Firenze non sarà così facile”.
“Simpatico questo Farinata”.
“Diciamo che anche Dante non è stato molto diplomatico”.
“Ma questa è poi una profezia vera? Se è vera, non si capisce perché Cavalcante non potesse conoscere la sorte del figlio”.
“Esatto, e infatti Dante chiede spiegazioni, ora che una profezia lo tocca direttamente:”.
El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo».
“Cioè sta dicendo che i dannati, secondo lui, vedono il futuro ma non il presente?”.
“Proprio così”.
“E la risposta?”.
“È questa:”.
«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,
le cose», disse, «che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce.
Quando s’appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano.
Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta».
“Vedono le cose lontane?”.
“Sì, come i presbiti, quelli che hanno mala luce. Perché le cose lontane sono vicine a Dio, che le illumina per bene. Ma quando gli eventi si avvicinano, allora tutto diventa sempre più offuscato. Del presente i dannati non sanno nulla, a meno che qualcuno non porti loro delle notizie”.
“E l'ultima terzina di cosa parla?”.
“Dice che alla fine dei tempi, quando non esisterà più niente di futuro, la conoscenza delle anime dannate sarà azzerata”.
“Va bene. Se volevamo parlare di qualcosa di scientifico, mi pare di poter dire che qui non ce n'è nemmeno un po'. Forse l'accenno alla presbiopia, ma per il resto…”.
“Eh, è tutto il contrario di quello che sappiamo ora sul futuro”.
“Cioè niente”.
“No, non del tutto. Anche oggi facciamo previsioni sul futuro”.
“Non vorrai mica parlare degli oroscopi”.
“Ma no. Oggi abbiamo sviluppato la fisica, abbiamo modelli matematici del mondo, e cerchiamo anche di prevedere il futuro. Pensa alle previsioni del tempo”.
“Beh, non un gran futuro. Forse siamo in grado di prevedere il tempo di domani, ma ogni tanto qualche previsione sbaglia clamorosamente”.
“Sì, esattamente il contrario rispetto alla preveggenza delle anime dell'Inferno. Noi vediamo abbastanza bene nell'immediato futuro, mentre non abbiamo idea di come sarà quello più lontano. Ma dipende poi da cosa vogliamo vedere”.
“In che senso?”.
“Beh, non so prevedere che tempo ci sarà tra una settimana, ma posso prevedere dove sarà la luna”.
“Ah. Beh, ma la luna è un oggetto ben definito, è un po' diverso dal tempo di domani”.
“Sì, ma alla base ci sono le stesse idee”.
“Quali?”.
“Noi conosciamo delle leggi evolutive locali…”.
“Eh?”.
“Delle leggi matematiche che ci dicono cosa succede istante per istante. Per esempio, la legge di gravità ci dice come si attraggono due corpi nello spazio. Sapendo come si attraggono istante per istante, possiamo provare a ricostruire una legge globale che ci dica la posizione della luna in un qualunque momento. Queste leggi, questi modelli matematici, si chiamano equazioni differenziali”.
“Roba che Dante conosceva?”.
“Assolutamente no. Il calcolo differenziale nasce con Newton e Leibniz, siamo alla fine del 1600. Poi nei secoli è stato perfezionato, e dalle basi poste dai due scienziati si è sviluppata tantissima matematica. Sono dell'inizio del 1800 i teoremi fondamentali di Cauchy sull'esistenza e l'unicità delle soluzioni delle equazioni differenziali”.
“Ci è voluto un po'”.
“Eh sì. E da quegli studi sono nati anche problemi filosofici: ecco una famosa citazione di Laplace del 1814, in pieno illuminismo”.
Noi dobbiamo considerare lo stato presente dell'universo come l'effetto di un dato stato anteriore e come la causa di ciò che sarà in avvenire. Un'intelligenza che, in un dato istante, conoscesse tutte le forze che animano la natura e la rispettiva posizione degli esseri che la costituiscono, e che fosse abbastanza vasta per sottoporre tutti i dati alla sua analisi, abbraccerebbe in un’unica formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo come quello dell'atomo più sottile; per una tale intelligenza tutto sarebbe chiaro e certo e così l'avvenire come il passato le sarebbero presenti.
“Beh, niente male”.
“Già. Tanti saluti al libero arbitrio: le leggi matematiche sono inesorabili, tutto è scritto, la libertà è un'illusione”.
“Beh, siamo passati dal disegno di Dio al disegno delle equazioni”.
“Se non vogliamo azzardare il fatto che le equazioni sono Dio”.
“Uh”.
“Ma Dante non pensava che la creazione di Dio fosse disegnata fin dall'inizio, lui credeva nel libero arbitrio, l'uomo poteva fare scelte”.
“E quindi gli illuministi avevano una fede nelle equazioni più salda di una fede religiosa”.
“Con la differenza che le equazioni si ottengono da dimostrazioni matematiche, che sono vere senza dubbio”.
“E quindi è così? Il futuro è predeterminato e noi non ci possiamo fare niente?”.
“No, per tre motivi”.
“Oh, bene. Addirittura tre”.
“Il primo è che Laplace parlava di equazioni differenziali, che sono modelli matematici del mondo. Sono precisi, ma sono modelli, non sono la realtà. I modelli si studiano, si confrontano con le osservazioni, gli esperimenti, e se si scoprono contraddizioni i modelli vengono cambiati o buttati via. E poi si ricomincia, con altri modelli e altre osservazioni. Questa è l'essenza del metodo scientifico: faccio un'ipotesi, controllo se il mondo si comporta secondo le mie ipotesi, se non lo fa butto via l'ipotesi”.
“Insomma, non posso mai avere la certezza del fatto che la mia ipotesi è vera”.
“Esatto. Puoi solo dire se è falsa. Ma poi c'è un secondo motivo”.
“Quale?”.
“Laplace aveva ragione nell'esempio di un universo formato da solo due corpi: sui due corpi agisce la forza di gravità e sappiamo esattamente quello che succede in ogni istante. Le equazioni si risolvono esattamente, tutto è prevedibile, fine. Ma l'universo deve essere formato solo da due corpi”.
“Un po' pochini”.
“Ne bastano tre per avere il caos”.
“Addirittura”.
“Sì, e uso caos con il significato matematico della parola”.
“I matematici si appropriano proprio di tutto!”.
“Eh, sì. Il cosiddetto problema dei tre corpi, studiato inizialmente da Lagrange e Poincaré, ha soluzioni caotiche. Questo significa che un piccolo errore nelle condizioni iniziali del problema (cioè dove si trovano esattamente i tre corpi nello spazio, e che velocità hanno?) si amplifica nel tempo fino a diventare, dopo poco, grande quanto le grandezze che fanno parte della soluzione del problema”.
“Cosa vuol dire?”.
“Se tu hai tre corpi che distano qualche metro uno dall'altro, ben presto l'errore diventa dell'ordine del metro. Quindi la tua misura è completamente fuori controllo: i due corpi potrebbero anche scontrarsi, o essere molto più lontani di quello che si prevedeva. Se i tre corpi sono pianeti che distano milioni di chilometri, ci vorrà magari un po' più tempo ma prima o poi l'errore diventerà dell'ordine dei milioni di chilometri, e quindi non sai se i pianeti continueranno a girare dove pensavi oppure si scontreranno”.
“Bisognerebbe misurare senza errori”.
“Ma questo è impossibile, no? Una qualunque misura è sempre affetta da errori, non possiamo mai sapere il valore esatto della posizione o della velocità di un corpo”.
“In teoria, però, nel modello matematico si potrebbe”.
“Vero, ma non del tutto. Non tutte le equazioni differenziali sono risolubili esattamente: per alcune possiamo appoggiarci soltanto al calcolo numerico e fare previsioni con i computer. E i computer non possono memorizzare una posizione o una velocità con precisione infinita, perché non sono dotati di una memoria infinita”.
“Uffa”.
“E questo ci porta al terzo motivo: sarebbe possibile, nella realtà, conoscere la posizione e la velocità di un corpo con precisione infinta?”.
“Eh, hai detto di no”.
“Ma perché no? Pensiamo ai pianeti: cosa significa conoscere posizione e velocità con precisione infinita? Cosa dovremmo fare? Perché se andiamo sempre più in piccolo, a un certo punto non possiamo più considerare un pianeta come un unico corpo: non è omogeneo, magari è un po' elastico, c'è l'acqua, e così via. Ma non è tutto: andando ancora più in piccolo, arrivando agli atomi, entriamo nel mondo microscopico che tanto fa sudare ancora oggi i fisici”.
“Stai parlando della meccanica quantistica? Dell'equazione dell'amore di Dirac?”.
“NO! NON DIRLO”.
“Ah, lo sapevo”.
“Lascia perdere tutti quei discorsi farlocchi che si trovano in rete su quell'equazione, e le citazioni false che la tirano fuori in ogni momento. Se vuoi, c'è una citazione forse vera di Feynman che mette a posto tutti i discorsi a riguardo”.
“Quale?”.
“Non l'ho trovata direttamente su un'opera firmata da Feynman, quindi non posso giurare sulla sua autenticità. In rete si trovano riferimenti che possono essere controllati, ma comunque te la dico lo stesso perché inquadra per bene il problema. La citazione è questa: Credo di poter dire con sicurezza che nessuno comprende la meccanica quantistica. Non è un aforisma memorabile, e quindi potrebbe benissimo essere vero”.
“Va bene, ma c'entra qualcosa quindi la meccanica quantistica col caos?”.
“Sì. Per misurare una grandezza fisica relativa a un oggetto, devi osservarlo. E per osservarlo devi interagire con esso”.
“Ma se lo guardo da lontano? Non interagisco, mi tengo bene a distanza”.
“Come fai a guardarlo? Tu osservi dei fotoni, che hanno precedentemente colpito l'oggetto: quindi hai interagito. E ogni interazione modifica quello che volevi misurare. Basta un colpetto di un fotone, e il corpo non è più esattamente dove era prima”.
“Ma basta anche solo un misero fotone?”.
“Eh sì, certo. Se osservi un pianeta, ok, un fotone fa pochissimo. Ma se osservi un altro fotone, o una particella subatomica…”.
“Ok, va bene”.
“Quindi è impossibile misurare le grandezze fisiche con precisione infinita per motivi profondi, non perché adesso i nostri strumenti sono scarsi ma in futuro, chissà”.
“Ok. E quindi, alla fine, esiste il libero arbitrio?”.
“Il fatto che Dante abbia scritto Inferno, Purgatorio e Paradiso implica che la risposta sia sì. Lo dice anche nel canto 16 del Purgatorio: se non esistesse il libero arbitrio, non sarebbe giusto essere premiati per la virtù e puniti per la colpa”.
Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.
“E noi cosa diciamo?”.
“Siamo liberi di dire quello che vogliamo”.