Cento anni fa, il 22 maggio 1921, giorno di Santa Rita, come lei amava sempre ricordare, nasceva mia nonna, la persona nota a tutti come la nonna Giulia.
Ha vissuto la guerra, è stata sfollata, ha visto l'aeroplano Pippo sganciare bombe, una delle quali è caduta, inesplosa, nel cortile del gruppo di case in cui abitavano lei e alcuni fratelli. Suo marito, mio nonno, ha fatto la campagna di Russia, le ha raccontato come è sopravvissuto e come è riuscito a tornare a casa, concludendo: Giulia, se non sono morto là, non muoio più. Purtroppo non è stato così: pochi anni dopo, quando mia mamma faceva la terza media, forse il giorno prima dell'esame, non ricordo bene, il nonno è morto sul lavoro. Faceva il ferroviere, lavorava sui binari, conosceva gli orari dei treni a memoria, ha sentito il rumore del treno che doveva arrivare e si è spostato su un altro binario: purtroppo non ha sentito il rumore dell'altro treno che, fuori orario, stava passando su quel binario dove lui si era appena messo.
Dunque mia nonna non ha avuto una vita facile. Gliel'hanno resa meno pesante i nipoti, e io sono stato il primo, e per lei avevo un ruolo speciale. Mi ha fatto da mamma quando mia mamma non poteva esserci, perché aveva trovato da lavorare in un'altra città (alla banca d'Italia, quanto era orgogliosa mia nonna del fatto che sua figlia avesse vinto il concorso in un posto così prestigioso).
Mi salutava sempre allo stesso modo, anche quando ero ormai un distinto e rispettabile adulto al quale non si addiceva un saluto del genere: ciao, bella creatura! Nonna, dai, davanti a tutti. Beh, cosa c'è?
Andava tutte le domeniche in cimitero, a trovare suo marito. Una volta l'ho accompagnata (non mi piaceva molto visitare i cimiteri, quindi quella prima volta è stato un evento un po' speciale) e lei si è fermata davanti alla tomba e gli ha parlato, come se fosse lì. Guarda chi t'ho portato, ha detto.
Quando è diventata bisnonna è rinata. Quando è nato il mio primo figlio ha chiesto insistentemente di avere una foto con lei che lo teneva in braccio. Poi si è scusata della sua insistenza, e ci ha raccontato che voleva una foto che testimoniasse al primo bisnipote che lei c'era e l'aveva tenuto in braccio, dato che pensava che non sarebbe rimasta viva a lungo per poterlo vedere crescere e sentirlo parlare. E invece l'ha visto crescere per ventiquattro anni, e ne ha visti molti altri.
Si muoveva in bicicletta, sempre. Intorno ai novantaquattro anni è caduta, e mia mamma voleva impedirle di usarla ancora: lei l'ha presa malissimo, sembrava una condanna a morte. Allora è andata dal meccanico, gli ha detto oh, io devo andare in bicicletta ma qua non ci riesco più, è troppo alta e rischio di cadere, cum'a fàmia? Il meccanico ha capito, ha detto ci penso io, ha preso il flessibile e ha tagliato un pezzo di telaio, in modo da abbassare il seggiolino. Lei è tornata a casa ridendo come una bambina, e pedalando.
Spesso comandava, e per questo spesso litigava con mia mamma. Era una donna che ha vissuto da sola per la maggior parte della sua vita, la più grande di dodici fratelli, e che aveva la responsabilità di una figlia da educare e mantenere: non aveva un carattere facile, si doveva fare come diceva lei. Ma mi adorava.
Il regalo più grande che potevo farle era andarla a trovare e stare un po' con lei, e naturalmente ora penso che avrei potuto fare di più. Perché adesso la nonna non c'è più, è morta l'anno scorso poco prima di compiere novantanove anni, in piena pandemia, il cinque maggio. Ha avuto una polmonite, batterica, da cui si era ripresa, ma che l'aveva lasciata molto debilitata. Tanto che, una notte, ancora in ospedale, si è addormentata e non si è più svegliata.
Non è stato possibile celebrare il funerale: c'è stata solo una breve benedizione nel cortile davanti all'ospedale, con i nipoti e i bisnipoti. Il pomeriggio prima ero stato in visita alle camere ardenti: era tutto deserto, poteva entrare una sola persona alla volta, e mi sono trovato davanti all'ingresso assieme a un altro, evidentemente anche lui in visita. In attesa, ci siamo messi a leggere i mille cartelli che erano appesi all'entrata: uno di questi parlava delle "visite ai pazienti", e ci siamo messi a ridere di fronte alla definizione di "pazienti".
Qualche giorno fa l'ho finalmente sognata. Tutto, in quel sogno, era un simbolo che per me aveva un significato. Era a casa sua, seduta per terra tra la sala e la camera da letto. Questo mi ha ricordato quella volta in cui si è seduta per terra in mezzo ai bisnipotini, e noi le abbiamo detto nonna, cosa fai, adesso come fai a rialzarti? E lei, con un sorrisone, ha detto guarda, faccio così: ha piegato una gamba, appoggiato una mano, e si è alzata in un attimo. Me l'hanno insegnato a ginnastica, ha detto.
Era quindi tra la sala, dove stava sempre e dove tante volte ha fatto da mangiare per me, e la camera da letto, dove teneva la foto di suo marito. Tra le due stanze c'era un telo, un velo semitrasparente, e se vi viene in mente la scena della morte di Sirius Black, beh, era quel velo lì. Al di là del velo si vedeva in trasparenza il televisore, che era sempre acceso. Mi fa compagnia, diceva sempre.
Mi guardava, lì seduta per terra, e sorrideva. Mi sono svegliato, e sorridevo anche io.