“Prof, ascolti, io ho due, tre e mezzo e quattro allo scritto. All'orale ho preso due e tre. Domani posso farmi interrogare per rimediare?”.
“Ehm. Proprio domani, che è l'ultima ora dell'anno? Perché non vieni oggi che abbiamo due ore?”.
“Eh, no, prof, devo ripassare. Facciamo domani?”.
“Prof, domani vorrei venire anche io a farmi interrogare”.
“Anche io!”.
“Ehi, anche io!”.
“C'eravamo prima noi due!”.
“Io mi sono prenotato la settimana scorsa!”.
“Noi cinque volevamo venire fuori ora, possiamo?”.
Per questo la scuola intesa in questa maniera, così come l'esame di stato per sua natura è una pagliacciata: uno non può giocarsi "la vita" su un esame, o su un azzardato recupero all'ultim'ora; così come è riduttivo valutare l'impegno di una persona in centesimi.
RispondiEliminaAlmeno c'è la decenza di non chiamarla più "maturità".
"the market of the fish" come io amichevolmente lo chiamo
RispondiEliminaRonkas, a parte la storia dell'esame di maturità, la scuola non è affatto intesa in quella maniera: sono quegli studenti che pretendono di salvare con una sola interrogazione l'intero anno scolastico.
RispondiEliminaNon credi?
La scuola è intesa in quella maniera, almeno lo è de facto.
RispondiEliminaIn una scuola con 750 studenti e un centinaio di professori, di cui la maggioranza dei primi e consistente parte dei secondi la pensa in quella maniera (e lo consente) ogni ideale pensiero di controbattere una cosa del genere è soppresso.
ah, fantastici!
RispondiElimina...che tenerezza!:-)