“Ed eccoci al canto dove piovono fuoco e fiamme”.
“Chi sono i poveretti che subiscono questa pena?”.
“Sono i violenti contro Dio. Siamo in una zona sabbiosa, simile a un deserto; i violenti sono sdraiati, seduti o camminano a seconda del loro specifico peccato”.
“In che senso?”.
“Puoi essere violento contro Dio perché sei un bestemmiatore, e in quel caso sarai sdraiato. Oppure puoi essere violento contro Dio perché sei un usuraio…”.
“Cosa c'entra Dio con gli usurai?”.
“Ne parleremo approfonditamente più avanti. Per ora diciamo solo che un usuraio non lavora per guadagnare, mentre Dio ha fornito l'uomo dell'operosità perché con essa si guadagni da vivere. Dunque, se ti arricchisci tramite il denaro e non tramite il lavoro, hai peccato contro Dio”.
“Non so se scuotere la testa o applaudire”.
“Eh. E poi ci sono i sodomiti, peccatori contro Natura e quindi contro Dio”.
“Poveracci”.
“Su tutti, piove fuoco”.
Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,
piovean di foco dilatate falde,
come di neve in alpe sanza vento.
“Una bella nevicata calda”.
“E qui abbiamo una prima osservazione naturale: la caduta della neve è più lenta della caduta della pioggia. Verticale, perché non c'è vento, e inesorabile”.
“Quell'ultimo verso descrive bene tutto. Ma, invece della pace della neve, c'è il tormento del fuoco”.
“Esatto. Ma andiamo avanti: dopo un incontro con Capaneo, uno dei sette re che assediarono Tebe, superbo odiatore di Dio, i due poeti incontrano un ruscello”.
Tacendo divenimmo là ’ve spiccia
fuor de la selva un picciol fiumicello,
lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
Quale del Bulicame esce ruscello
che parton poi tra lor le peccatrici,
tal per la rena giù sen giva quello.
“Acqua rossa?”.
“Sangue”.
“Ah, certo. E il Bulicame cos'è?”.
“Una fonte d'acqua sulfurea che si trova vicino a Viterbo. Mi piace molto il verso successivo, che sembra una annotazione inutile: quell'acqua veniva suddivisa tra le peccatrici, cioè le prostitute, che la usavano per lavarsi”.
“Perché ti piace?”.
“Perché anche qua con una riga in più riusciamo a visualizzare la scena, e poi perché tra tutti gli esempi che Dante avrebbe potuto trovare, ha scelto proprio le peccatrici, come se fosse loro affezionato. E non sto facendo allusioni, dico davvero. E infine perché questo è un ottimo servizio antibufala nei confronti di chi dice che nel medioevo erano tutti sporchi e non si lavavano mai”.
“Benissimo”.
“Segue poi una spiegazione tutt'altro che scientifica sulle origini dei fiumi infernali”.
“Inventata? Sbagliata?”.
“Richiama un passo della Bibbia, ma non ha nulla di scientifico. Si tratta di mitologia, insomma, ma leggiamo lo stesso. Virgilio comincia la spiegazione così:”.
«In mezzo mar siede un paese guasto»,
diss’elli allora, «che s’appella Creta,
sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto.
Una montagna v’è che già fu lieta
d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida:
or è diserta come cosa vieta.
Rea la scelse già per cuna fida
del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
quando piangea, vi facea far le grida.
“Parla di Creta?”.
“Sì. Ora Creta è andata in rovina, ma anticamente era casta, o innocente, o perfetta e paradisiaca, se vogliamo. Sull'isola c'è una montagna, Ida, che un tempo era ricca di corsi d'acqua e di boschi, e Rea la scelse come nascondiglio per suo figlio Giove. Ma andiamo avanti, perché dentro al monte Ida c'era qualcosa”.
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
che tien volte le spalle inver’ Dammiata
e Roma guarda come suo speglio.
La sua testa è di fin oro formata,
e puro argento son le braccia e ’l petto,
poi è di rame infino a la forcata;
da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che ’l destro piede è terra cotta;
e sta ’n su quel più che ’n su l’altro, eretto.
“Un vecchio”.
“Un vecchio che guarda Roma, la cui testa è fatta d'oro, braccia e petto d'argento, rame fino all'inguine, e sotto è tutta di ferro, tranne il piede destro che è di terracotta”.
“Che delirio”.
“Ed ecco da dove nascono i fiumi:”.
Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
d’una fessura che lagrime goccia,
le quali, accolte, foran quella grotta.
Lor corso in questa valle si diroccia:
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
poi sen van giù per questa stretta doccia
infin, là ove più non si dismonta,
fanno Cocito; e qual sia quello stagno
tu lo vedrai, però qui non si conta».
“Mamma mia”.
“La statua è tutta crepata, e dalle fessure escono lacrime che si raccolgono alla base e formano i fiumi: l'Acheronte, lo Stige e il Flegetonte. Le acque scendono per un canale fino al punto in cui non scendono più”.
“Eh, a un certo punto si fermeranno”.
“E laggiù formeranno il Cocito, ma per quello c'è tempo, bisogna arrivare fino al fondo dell'Inferno. E Dante, che ogni tanto fa delle domande da tontolone, ma diciamo pure che le fa per ragioni didattiche, chiede a Virgilio come mai quel fiume che hanno davanti lo incontrano soltanto adesso, quando invece esso nasce dalla statua, molto più in alto”.
“Santo cielo”.
“Eh, Virgilio infatti gli spiega che stanno girando intorno al bordo di una voragine, ma non l'hanno ancora percorso tutto, quindi è normale che non abbiano ancora visto tutto:”.
Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo;
e tutto che tu sie venuto molto,
pur a sinistra, giù calando al fondo,
non se’ ancor per tutto il cerchio vòlto:
per che, se cosa n’apparisce nova,
non de’ addur maraviglia al tuo volto»
“Benissimo. Abbiamo letto tanto, ma qua non c'è nulla di scientifico”.
“Lo so. L'osservazione scientifica la facciamo quindi noi, a partire dalla spiegazione di Virgilio e dall'osservazione che l'acqua, come tutte le cose pesanti, cade verso il basso”.
“Sai che osservazione”.
“Eppure, soltanto nel 1847 il matematico Cauchy ha sfruttato questa osservazione per risolvere un problema che, altrimenti, non avrebbe saputo risolvere”.
“Uh, Cauchy non era mica l'ultimo arrivato”.
“Eh, no. Il problema era quello di determinare l'orbita di un corpo celeste a partire dalle sue equazioni del moto. Le equazioni di quel tipo sono molto complicate, e una risoluzione esatta spesso è impraticabile: ci sono troppe incognite da gestire e non è facile ridurle”.
“E quindi?”.
“Per semplificare le idee, supponiamo che le incognite siano solo due. Poi Cauchy dirà che anche se sono n va bene lo stesso, ma limitiamoci a due così vediamo le cose”.
“Speriamo di vederle”.
“Una funzione in una variabile è una curva (se non ci si mettono di mezzo gli analisti a inventarsi funzioni patologiche): assegni dei valori alla variabile, trovi il risultato, metti tutto su un piano cartesiano, ed ecco la curva”.
“Fin qua direi che ci siamo, sono le cose che si fanno a scuola”.
“Sì. Ora, se di variabili ne hai due, devi scegliere due valori, darli in pasto alla funzione e ottenere il risultato. I due valori li scegli su un piano, e il risultato lo puoi visualizzare come un'altezza. Insomma, una funzione in due variabili puoi immaginartela come una superficie, un lenzuolo lanciato per aria che sta per adagiarsi sul letto”.
“Uh, che immagine”.
“O, se vogliamo, una montagna”.
“Ah”.
“Ora Cauchy dice: supponiamo di essere sempre al di sopra del livello del mare, tranne che in un punto in cui arriviamo a quota zero”.
“Quel punto è la soluzione dell'equazione”.
“Esatto. Come facciamo a trovarlo?”.
“Se non sappiamo risolvere le equazioni, non saprei”.
“Facciamo come i fiumi di Dante: facciamo scorrere dell'acqua, e vediamo dove va a finire”.
“Ma dai”.
“Certo. C'è un modo semplice per calcolare la direzione di massima pendenza, che i Veri Matematici chiamano gradiente: punto per punto il gradiente è un vettore che ci indica la direzione di massima discesa (o salita, dipende dal segno che si sceglie). Seguendo le indicazioni date dal gradiente, siamo in grado di arrivare in fondo e di trovare dove la montagna arriva al livello del mare”.
“Cioè sappiamo risolvere l'equazione”.
“Esatto. Anche se bisogna sistemare un po' di cose: che succede se, invece di arrivare al mare, finiamo sul fondo di un laghetto di montagna?”.
“Uh, non va mica bene”.
“Eh, no. La soluzione consiste nello spostarsi un po' e continuare a provare a scendere. Questo metodo si chiama proprio metodo della discesa del gradiente: è come guardare una carta geografica e scendere perpendicolarmente alle isoipse”.
“Hai detto questa frase solo perché volevi dire isoipse, vero?”.
“Lo confesso. Avrei voluto dire Qual è il geometra che scende il gradiente, ma mi sembrava irrispettoso”.